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Compagna, moglie, madre: il problema della "maternità forzata" nella Romania di Ceaușescu.

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Academic year: 2021

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Indicazioni per la lettura

La lingua romena utilizza delle lettere non presenti nel nostro alfabeto, mentre altre sono pronunciate in modo differente dall'italiano:

ă – Ă → /ə/, come la vocale a nell'inglese about

â – Â e î – Î → /ɨ/, vocale centrale chiusa con suono intermedio tra i e u H → /h/, come la consonante h nell'inglese hall

J → /j/, come la consonante j nel francese jours S → /s/ come la consonante s in sete

ș – Ș → /ʃ/, come il gruppo consonantico sc in scendereț – Ț → /ʦ/, come la consonante z in sezione

z – Z → /z/, come la consonante s in rosa

Nota: essendo la tematica dell'aborto e le vicissitudini a essa connesse estremamente delicate da affrontare, è risultato molto complesso ottenere testimonianze dirette da persone che avessero vissuto tali esperienze nel periodo ceaușista. Le traduzioni da me realizzate all'interno di questa tesi sono pertanto il risultato di una selezione di interviste riportate in Politica duplicității. Controlul

reproducerii în România lui Ceaușescu di G. Kligman, Le mémoire de l'avortement en Roumanie comuniste – Une ethnographie des formes de la mémoire du pronatalism roumain di E.L. Anton e Voices of Romanian women: perceptions of sexuality, reproductive behavior, and partner relations during the Ceauşescu era di A. Băban e H.P. David.

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Introduzione

Durante il mio percorso di studi di lingua e letteratura romena mi sono interessata della storia contemporanea del Paese, e in particolare della dittatura comunista instaurata a partire dal 1947.

La questione femminile, aspetto piuttosto controverso di quel periodo, ha attratto fortemente la mia attenzione: al momento della sua proclamazione, il regime si pose come nuovo ordine socio-economico che avrebbe annullato le disuguaglianze tra uomo e donna all'interno della società; in realtà, peggiorò le condizioni di vita di tutte le cittadine romene, promuovendo una politica pronatalista e una regolamentazione di aspetti dell'esistenza estremamente privati, quali contraccezione e aborto, in maniera serrata.

Questa tesi sarà divisa in tre parti: nel primo capitolo esaminerò la condizione femminile in Romania agli inizi del XX secolo, incentrandomi sulla conquista dei diritti civili e politici delle donne. Approfondirò quindi le teorie riguardanti il ruolo femminile nella società socialista, per poi passare all'indagine della reale attuazione di queste teorie attraverso l'analisi dei Codici di Famiglia russi, che sarebbero divenuti il modello per le politiche sociali da adottare negli Stati appartenenti al blocco sovietico. Il filo conduttore di questo primo capitolo sarà la concezione di maternità e famiglia nella realtà dell'Europa orientale.

Nel secondo capitolo affronterò il tema della “maternità forzata” durante la dittatura socialista romena, fenomeno che vide la sua realizzazione più completa con la legge contro l'aborto del 1966 voluta da Ceaușescu. Analizzerò i metodi contraccettivi e abortivi praticati illegalmente, assieme alle conseguenze dei tentativi falliti di aborto, riportando testimonianze di persone (donne e uomini, persone comuni e personale medico) che hanno vissuto traumatiche esperienze. Nell'ultimo capitolo esaminerò le conseguenze del pronatalismo romeno, ovvero le ripercussioni psicologiche sulla popolazione femminile e quelle sociali sulle generazioni di minori dagli anni '70 ad oggi.

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Femminismo, socialismo e maternità nell'Europa dell'Est

1.1. La maternità come risorsa: l'emancipazione politica e sociale delle donne in Romania.

Nonostante il tardo coinvolgimento della Romania nel processo di modernizzazione sociale e culturale che già si era sviluppato da tempo nel resto d'Europa, a partire dal 1800 vennero adottati programmi politici che puntavano a riformare la struttura socio-economica del Paese. Tra i tanti aspetti toccati da questa ondata di rinnovamento si può sicuramente annoverare lo status civile e politico delle donne romene: infatti, se fino all'inizio del XIX secolo esse venivano ritenute a malapena come facenti parte delle società civile (tanto da non essere nemmeno considerate cittadine dal punto di vista giuridico), tra 800 e 900 la condizione femminile subì un processo di profondo mutamento.

Questo percorso di cambiamenti radicali può essere suddiviso in 3 tappe: il periodo preliminare alla comparsa del movimento femminista, il momento di nascita vera e propria di questa corrente e, infine, la piena affermazione del femminismo come nuovo approccio alla realtà in mutamento del 1900.

Così come in altre realtà europee, con la creazione di salotti letterari e artistici, istituiti presso le dimore di donne istruite dell'alta società nelle più importanti città romene (Iași, Cluj, Bucarest), si sviluppò un embrione del futuro movimento femminista nazionale. Questi luoghi d'incontro, dove venivano organizzate serate culturali, fondati circoli e riviste, invitati gli esponenti più influenti di arte e politica dell'epoca, avevano due finalità: da un lato, servivano ad aumentare il prestigio delle padrone di casa tramite l'affermazione delle proprie doti artistiche al di fuori dell'ambito domestico; dall'altro, si trasformavano in vere e proprie fucine dove venivano discussi i diritti che le donne avrebbero dovuto acquisire per poter dare appieno il proprio apporto alla società romena. Il fermento di nuove idee iniziò a dare i suoi frutti a livello politico a partire dalla metà del

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1800: alcuni esponenti del movimento pașoptista1 come Nicolae Bălcescu e C.A. Rosetti2 esprimevano il proprio sostegno all'emancipazione femminile, criticando coloro che non si interessavano alle condizioni di vita di donne e bambini.

L'importanza di un maggior coinvolgimento delle donne nel dibattito pubblico si fece strada sempre più, soprattutto tra i membri delle classi agiate, portando a una nuova stagione nel discorso politico. In seguito alla Rivoluzione del 1848, evento al quale molte donne avevano partecipato in prima persona al fianco di mariti e fratelli, apparve sempre più chiara la necessità che la riforma della società romena dovesse passare attraverso l'emancipazione femminile; comparvero così sulla scena pubblica alcune figure di spicco: Maria Rosetti, editrice nel 1865 di

Mama și copilul (La madre e il bambino), settimanale che si occupava di

educazione infantile; Maria Flechtenmacher, fondatrice nel 1878 di Femeia

Română (Donna Romena), giornale in cui si discutevano i termini

dell'emancipazione femminile; Sofia Nădejde, collaboratrice della Flechtenmacher; Adela Xenopol3, fondatrice nel 1896 di Dochia, rivista nella

quale si promuoveva l'indipendenza intellettuale, giuridica e politica della donna. Con l'aiuto di queste e altre attiviste, furono fondate anche diverse associazioni a sostegno delle donne, ad esempio la Liga Femeilor din România (Lega delle Donne Romene, istituita a Iași nel 1894) e la Asociația pentru Emanciparea

Civilă și Politică a Femeilor Române (Associazione per l'Emancipazione Civile e

Politica delle Donne Romene, istituita a Iași nel 1918).

Le richieste avanzate in questa prima fase dal movimento femminista si concentravano su 2 punti fondamentali:

1 Movimento pașoptista: movimento politico e culturale dei partecipanti alla Rivoluzione del 1848, con la quale si cercò (senza successo) di riunire i principati romeni per creare uno stato nazionale moderno. Dal punto di vista ideologico, i pașoptisti erano a favore di una forte militanza per ottenere libertà nazionale e giustizia sociale; dal punto di vista culturale, lottavano per la diffusione dell'educazione tra la popolazione, per una letteratura autoctona e per la creazione della stampa nazionale.

2 Nicolae Bălcescu (1819-1852): storico e scrittore, partecipò alla rivoluzione (fazione liberale). C.A. Rosetti (1816-1885): politico e pubblicista, fu uno dei capi della Rivoluzione.

3 Maria Rosetti (1819-1893): prima giornalista e pubblicista donna in Romania, moglie di C. A. Rosetti. Maria Flechtenmacher (1838-1888): scrittrice, pubblicista e pedagoga.

Sofia Nădejde (1856-1946): pubblicista e scrittrice di orientamento marxista. Adela Xenopol (1861-1939): scrittrice, prosatrice e autrice drammatica.

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– l'accesso all'educazione, strumento che avrebbe permesso alla popolazione femminile di partecipare in modo consapevole alla vita civile del Paese (mettendo a tacere i conservatori che ritenevano superfluo investire le donne di diritti che non avrebbero né compreso né esercitato);

– il diritto di voto, per dare la possibilità alle donne di esprimere la propria opinione sulle istituzioni pubbliche e spingerle a dar loro maggiori tutele in ambito lavorativo, materno, ecc.

Inizialmente queste posizioni non vennero accolte con molto entusiasmo dall'opinione pubblica, soprattutto dai conservatori, la cui visione dominata da un marcato maschilismo si sarebbe potuta riassumere con una frase circolante all'epoca: “il femminismo, come il tifo, sono i due mali che hanno colpito il paese”. L'ostilità era alimentata anche all'interno del dibattito politico, sia dalla fazione conservatrice che da quella liberale: se i conservatori continuavano a sostenere un ordine sociale basato su una visione nettamente patriarcale, i cui pilastri erano la divisione in classi e la subordinazione della donna all'uomo, i liberali intendevano modernizzare la società romena mantenendo la popolazione femminile lontana dalla sfera pubblica, demandando alla donna il tradizionale ruolo di madre caritatevole, donna-Madonna la cui funzione sarebbe stata di fondamentale supporto per la crescita delle generazioni a venire.

I sostenitori del femminismo, dal canto loro, cominciarono a criticare pubblicamente l'alone di falsa morale che permeava quest'ottica maschilista: fu nel corso di questo dibattito che il ruolo della maternità, da destino “naturale” della donna e discriminante per il suo ingresso nello spazio pubblico, venne analizzato con un nuovo approccio, divenendo il punto di forza delle argomentazioni femministe.

Fino ad allora la maternità era stata ben delineata dalla concezione patriarcale tradizionale, essendo ritenuta elemento appartenente alla sfera privata dell'individuo: alla donna, naturale portatrice di istinto materno, competeva la cura della casa e la generazione della prole; il nucleo familiare, rappresentato pubblicamente dalla figura del capofamiglia, sottostava alle rigide regole della

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comunità, che non prevedeva deviazioni dal rigoroso ordine costituito. Analizzando il concetto per cui la donna sarebbe stata “per natura” sottomessa all'uomo, Sofia Nădejde ribatteva: “Immaginiamoci la donna allo stato di natura,

immaginiamocela quando non era ancora una persona (civilizzata): ognuno di voi non comprende forse che i figli sono stati la causa della sua dipendenza dall'uomo, temporanea prima e, attraverso un abuso (perpetrato nel tempo), permanente poi? Sostengo che solo questa sia la causa principale dello stato attuale della donna.”(I)

Con il passare del tempo, grazie all'impegno della prima “ondata” di femministe, la maternità venne finalmente percepita come fenomeno sociale: come prima istituzione educativa, la madre era colei che doveva crescere i figli secondo i principi di amore e sacrificio patriottici, dunque era necessario che possedesse una buona istruzione per poter istruire a sua volta, trasmettendo valori sani e provvedendo così nel migliore dei modi alla prole. Il graduale cambiamento di mentalità portò finalmente alla creazione, a partire del 1864, di școli de fete (scuole per ragazze) in tutto il territorio nazionale. A chi osteggiasse ancora il cambiamento ormai avviato, Rădulescu4, nel suo Curierul de ambe sexe (Corriere per entrambi i sessi, fondato nel 1837), aveva scritto:“Uomini, non vi lamentate

delle vostre mogli, perché la colpa non è loro, ma di coloro che le hanno cresciute. Lamentatevi con voi stessi che non crescete (come si deve) le vostre figlie, lamentatevi con i vostri genitori che non hanno saputo crescere le vostre sorelle, lamentatevi dei governi passati perché, quando istituivano scuole per soli uomini per insegnarvi la lingua di Platone e rovinarvi le menti cacciandovi dentro idee che esistevano 2000 anni fa, le scuole per ragazze non esistevano da nessuna parte.”(II)

L'istruzione si rivelò un elemento fondamentale anche per coloro che, per varie ragioni, non avevano potuto sposarsi: per quelle donne fu essenziale la creazione di scuole professionali nelle quali apprendere un mestiere che desse loro la possibilità di sostentarsi con il proprio lavoro. In proposito, il deputato social-4 I.H. Rădulescu (1802-1872): scrittore, filologo e politico; membro e primo presidente dell'Accademia

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democratico Ficșinescu affermava: “Il destino della donna non deve essere

considerato uno e uno soltanto in modo assoluto – una società che non è in grado di fare di ogni uomo un marito non può avere la pretesa di fare di ogni donna una moglie. E una volta convinti che non è colpa della donna se non può rispondere alla sua funzione naturale, noi, sarete d'accordo, non possiamo rifiutare nessun mezzo che le assicuri un'esistenza onorevole e degna.”(III)

Con l'avvento del nuovo secolo, la fase di maggiore adesione alla corrente femminista si ebbe durante il periodo interbellico: questo fu un momento di intensa attività, dove personalità di spicco del calibro di Ella Negruzzi e Cecilia Cuțescu-Storck5 dettero il proprio contributo alla causa femminista indicendo conferenze pubbliche, fondando associazioni a carattere nazionale come il

Consiliul Național al Femeilor Române (Consiglio Nazionale delle Donne

Romene, fondato a Bucarest nel 1921) e inviando petizioni presso il Parlamento per l'ottenimento di maggiori diritti.

Essendo cambiata sia la concezione della maternità all'interno della società, sia la posizione lavorativa di molte donne (sempre più numerose nell'emergente settore industriale romeno), in linea con il nuovo stile di vita che si stava delineando in quegli anni vennero avanzate alcune specifiche richieste :

– il diritto a un lavoro equamente retribuito, in modo da poter provvedere alle necessità familiari assieme al marito e, allo stesso tempo, non essere economicamente dipendenti da quest'ultimo;

– il diritto di godere di un periodo di aspettativa sul lavoro in caso di maternità;

– il diritto di divorzio, per permettere una facile separazione da compagni inadatti (secondo una nuova visione della vita di coppia come partenariato e non più come sottomissione al marito);

– il diritto di amministrazione dei beni personali senza richiedere un 5 Ella Negruzzi (1876-1949): avvocato e figura preminente del movimento femminista nel periodo

interbellico.

Cecilia Cuțescu-Storck (1879-1969): pittrice, influenzò fortemente la vita culturale romena nel periodo interbellico.

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permesso al marito, per far fronte liberamente alle proprie esigenze; – il diritto di eredità e amministrazione dei beni, per garantire un

sostentamento in caso di morte del coniuge.

Queste rivendicazioni si andavano a unire a quella del voto, sul quale Calypso Botez6 si esprimeva nel seguente modo: “Che tipo di suffragio universale, che

tipo di democrazia può essere quella in cui le donne – la metà delle forze di produzione della nazione – non sono considerate? L'esclusione delle donne dal voto significa che il diritto di voto rimane sempre un privilegio di qualcuno, un privilegio di sesso, che, come ogni privilegio, non ha a che fare se non con una società dispotica.”(IV)

Le lotte per l'ottenimento di questi diritti dettero i loro frutti durante gli anni '30, anche se si dovette aspettare l'istituzione della Republică Populară Romînă (Repubblica Popolare Romena) per ottenere, almeno sulla carta, la completa uguaglianza politica e civile fra uomini e donne, grazie agli articoli 16/48 e 21/487. Con l'inizio ufficiale del regime totalitario si concluse anche l'evoluzione del movimento femminista: il movimento venne irregimentato dagli organi di Partito in un'unica organizzazione controllata, l'Uniunea Femeilor Democrate

Din România (Unione delle Donne Democratiche Romene), tramite la quale

furono propagandati i nuovi principi politici della repubblica socialista, rappresentativi del populismo delle autorità comuniste.

È importante sottolineare il fatto che, nonostante la crescita del movimento femminista e la continua propaganda che le sue esponenti portarono avanti, le nuove idee attecchirono più facilmente tra le classi benestanti, mentre trovarono 6 Calypso C. Botez (1880-1933): scrittrice e attivista per i diritti delle donne, fu cofondatrice della

Asociația pentru Emanciparea Civilă și Politică a Femeilor Române e del Consiliul Național al Femeilor Române.

7 Art. 16/48 Toţi cetăţenii Republicii Populare Române, fără deosebire de sex, naţionalitate, rasă,

religie sau grad de cultură, sînt egali în faţa legii. (Tutti i cittadini della Repubblica Popolare

Romena, senza distinzione di sesso, nazionalità, razza, religione o grado di cultura, sono uguali

davanti alla legge).

Art. 21/48 Femeia are drepturi egale cu bărbatul în toate domeniile vieţii de Stat, economic, social, cultural-politic şi de drept privat. La muncă egală femeia are drept de salarizare egal cu bărbatul. (La

donna ha gli stessi diritti dell'uomo in ogni ambito della vita dello Stato, economico, sociale, culturale, politico e di diritto privato. A parità di lavoro la donna ha diritto a un salario uguale a quello dell'uomo).

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meno terreno fertile tra la popolazione più povera, soprattutto tra quella rurale (che, fino alla metà del XX secolo, rappresentò l'80% della popolazione romena): nelle campagne il ruolo sociale della donna cambiò con un ritmo molto lento, essendo l'influenza del modello patriarcale molto più radicata.

1.2. Dal socialismo utopistico al socialismo scientifico: le teorie su famiglia, donna e maternità.

Per comprendere lo sviluppo del ruolo della donna come attrice sociale all'interno del blocco comunista, è necessario conoscere i principi teorici che ispirarono i fondatori del regime sovietico.

I pensatori socialisti concepirono una società basata su una struttura alternativa a quelle presenti storicamente fino ad allora: alla base di questa particolare visione si trovava un concetto diverso di lavoro, con il quale, attraverso la collettivizzazione delle risorse economiche, si mirava a raggiungere la giustizia sociale, ma anche una diversa concezione della famiglia.

Il primo filosofo che concepì un modello socialista che prevedesse un'evoluzione del ruolo della donna nella società fu Charles Fourier, appartenente alla corrente del socialismo utopistico8. Fourier teorizzò un complesso prototipo di società ideale, composta da gruppi di persone (falangi) la cui economia si sarebbe basata sulla proprietà societaria di tutto ciò che possedevano, e che avrebbero convissuto in strutture (falansteri) pensate per rendere qualsiasi esperienza sociale piacevole e organizzata in maniera razionale: secondo il filosofo, infatti, ogni aspetto della vita doveva essere sviluppato seguendo uno schema che permettesse di soddisfare le diverse pulsioni e inclinazioni degli individui, in 8 Socialismo utopistico: prima corrente del moderno pensiero socialista; si sviluppò tra il XVIII e il XIX secolo e vide tra i suoi esponenti di spicco Saint-Simon (1860-1925), Owen (1771-1858) e Fourier (1772-1837). L'aggettivo “utopistico” fu assegnato a questo movimento da Marx: egli lo utilizzò per sottolineare la diversa natura di questa corrente, secondo la quale era possibile attuare nella realtà un modello socialista puramente ideale attraverso la fondazione di comunità che facessero da esempio al resto della popolazione, dal modello “scientifico” elaborato da lui ed Engels, che si basava invece su un'analisi puntuale dei processi economici, sociali e storici e sull'affermazione del socialismo a livello mondiale grazie alla rivoluzione.

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modo da evitare la noia e l'alienazione tipiche della società attuale. Gli aspetti sui quali Fourier si concentrò maggiormente, e a cui si ispirarono Marx ed Engels per le loro riflessioni, furono lavoro, educazione e organizzazione della vita familiare.

Il lavoro avrebbe coinvolto tutte le classi sociali presenti, in modo da far cessare “la più ridicola tra le nostre doppiezze sociali, quella che crea una classe

destinata a consumare senza nulla produrre”. La giornata lavorativa sarebbe

stata organizzata in turni di circa 2 ore per mansione (in modo da dare a tutti la possibilità di partecipare alle diverse attività produttive, eliminando la monotonia di un lavoro ripetitivo e aumentando la soddisfazione personale), e ogni attività sarebbe stata retribuita secondo un sistema che dava maggior valore alla produzione di beni materiali che non al possesso di capitali o talenti personali, per garantire nel tempo la possibilità alla classe meno abbiente di arricchirsi e migliorare la propria posizione.

L'educazione sarebbe stata impostata in modo totalmente differente rispetto a quella tradizionale: i bambini sarebbero stati cresciuti in gruppi suddivisi per sesso ed età, affidati alle cure di persone preposte a istruirli a partire dai tre anni. Essi sarebbero stati introdotti ai lavori manuali già in tenera età, per poter trasformare quanto prima le inclinazioni personali in attività produttive. All'origine del modello educativo fourieriano vi era l'innovativa convinzione che “una madre può non trovare soddisfazione in una nidiata di bambini urlanti, ed

appassionarsi per il frutteto, le serre calde, le confetture, ecc.”; potendo affidare

i propri figli alla cura di personale specializzato (ovvero predisposto caratterialmente e quindi istruito allo scopo di accudire bambini), una donna avrebbe vissuto la sua esistenza in modo più completo, sperimentando al contempo l'esperienza della maternità e una vita lavorativa e sociale appagante. La novità più incisiva nella teorizzazione della comunità del falansterio risiedeva però nei rapporti interpersonali tra gli uomini e le donne che vi avrebbero abitato. Fourier partiva dal presupposto che il matrimonio tradizionale fosse fonte di infelicità, noia e gelosa possessività; tutto ciò era dovuto all'organizzazione del

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matrimonio stesso, basato sulla sottomissione della donna: “per uno che arriva

alla felicità mediante un ricco matrimonio, quanti altri trovano in questo legame soltanto il tormento di tutta la vita! Essi possono ben testimoniare che l'asservimento delle donne non è affatto nell'interesse degli uomini. Quale inganno per il sesso maschile essersi costretto a portare una catena, che gli è oggetto di orrore, e quanto è punito l'uomo dai fastidi di un simile legame, per aver ridotto la donna in servitù!” La soluzione a tal situazione, secondo il

filosofo, sarebbe stata la promozione di una nuova idea di unione tra sessi, basata su una libertà amorosa senza discriminazioni. Ciascun individuo avrebbe potuto tessere legami sentimentali e sessuali con chi avesse desiderato di più: ogni tipo di rapporto sarebbe stato lecito nella nuova società, dall'amore platonico a quello poliamoroso, dall'amore eterosessuale a quello omosessuale; gli abitanti avrebbero potuto soddisfare qualsiasi pulsione e fantasia personale, senza reprimere la loro vera natura con principi morali che avrebbero causato solo sofferenza. In sostanza, il funzionamento del falansterio di Fourier non avrebbe potuto prescindere dall'emancipazione femminile, alla base della quale si sarebbero costruiti rapporti amorosi più equilibrati e felici.

Il progetto del filosofo non fu meramente teorico, ma si cercò di renderlo realtà realizzando falansteri in varie parti del mondo: da Fourier stesso venne fondata la comunità de La Reunion in Texas, mentre da suoi seguaci vennero realizzate Brook Farm, il gruppo dell'Abbaye e la Societatea agronomică și manifacturieră (Società agronoma e manifatturiera)9, rispettivamente in Massachusetts, Francia e Romania; questi esperimenti societari però non riuscirono a sussistere per più di due anni ciascuno.

Le idee espresse dai fautori del socialismo utopistico furono riprese e sviluppate in modo più capillare da Marx, Engels e Bebel. Se già nella Sacra famiglia (1844) Marx affermava che l’indice del progresso di una società si misurasse dal grado di emancipazione della donna, nel Manifesto del Partito Comunista (1848) 9 Societatea agronomică și manifacturieră: falansterio fondato da Teodor Diamant (alias Teodor Mehtupciu,1810-1841) a Scăeni, nelle vicinanze di Ploiești. L'esperimento di Diamant anticipò alcuni cambiamenti sociali che avrebbero in seguito avuto luogo nel Paese (istruzione popolare diffusa, abolizione della schiavitù dei gitani, ecc.).

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si concentrò sulla critica dell'istituto del matrimonio borghese: partendo dalla critica che i borghesi avanzavano riguardo alla volontà dei comunisti di voler dar vita a una comunanza delle donne (essendo le donne considerate “strumento di produzione” all'interno del matrimonio), Marx sottolineò che “i nostri borghesi,

non contenti di avere a loro disposizione le mogli e le figlie dei loro proletari -per non parlare della prostituzione ufficiale - hanno come divertimento principale quello della reciproca seduzione delle loro consorti. II matrimonio borghese è, in realtà, la comunanza delle donne. Tutt’al più si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire alla comunione delle donne dissimulata con ipocrisia, una ufficiale e sincera.” In realtà, la famiglia borghese

rappresentava per il filosofo qualcosa di completamente ipocrita, in quanto basava la sua tranquillità e agiatezza sullo sfruttamento della classe operaia e sulla conseguente distruzione dei legami familiari del proletariato. Riguardo al destino della famiglia borghese, Marx sosteneva che “aboliti gli attuali rapporti

di produzione, sparirebbe allo stesso tempo la presente comunanza delle donne, che da quei rapporti deriva, quindi la prostituzione ufficiale e la non ufficiale.”

La chiave dell'emancipazione della donna si trovava quindi in una rivoluzione sociale che ponesse fine all'istituto matrimoniale corrente, poiché esso riproduceva al suo interno le dinamiche dello sfruttamento di classe: la posizione della donna era perciò assimilabile a quella del proletariato, mentre l'uomo era il rappresentate della prevaricazione borghese sul soggetto economicamente più debole.

Engels indagò i processi storici che avevano portato alla formazione della società contemporanea nel libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello

Stato (1884). Avvalendosi degli studi antropologici ed etnologici più avanzati

dell'epoca, Engels esaminò la nascita e l'evoluzione della famiglia a partire dalla preistoria: se, presso le popolazioni antiche, era stato il matriarcato a prevalere, il passaggio al patriarcato (per questioni di ereditarietà dei beni posseduti dalle famiglie) fu una rivoluzione epocale, che però “segnò la sconfitta sul piano

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della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli.” Da una prima versione intermedia del

sistema patriarcale, riconosciuta nella poligamia, il transito alla famiglia monogamica consacrò i ruoli dell'uomo-dominatore e della donna-dominata: questa nuova forma di famiglia, nata con lo scopo esplicito di far accedere all'eredità familiare solo i figli di paternità incontestata, poteva essere sciolta esclusivamente dal marito, il quale poteva anche liberamente ripudiare la moglie o tradirla senza conseguenze. Engels concluse quindi che “il primo contrasto di

classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte di quello maschile. La monogamia fu un grande progresso storico, ma contemporaneamente essa, accanto alla schiavitù e alla proprietà privata, schiuse quell’epoca che ancora oggi dura, nella quale ogni progresso è, ad un tempo, un relativo regresso, e in cui il bene e lo sviluppo degli uni si compie mediante il danno e la repressione di altri.” Nel corso dei secoli, dalla famiglia monogamica antica (già presente

presso Greci e Romani) avvenne il passaggio alla famiglia monogamica moderna, incarnata dal nucleo familiare borghese, che incarnava, secondo il filosofo, il trionfo dell'ipocrisia in fatto di amore: la scelta del partner, infatti, si basava unicamente sulla dote e sull'appartenenza a un determinato ceto sociale, risultando un matrimonio totalmente di interesse. Questo modello familiare incentivava anche l'espandersi della prostituzione e dell'adulterio, in quanto i due coniugi non si sarebbero mai amati veramente, ricercando nelle concubine (uomo) e nell'adulterio (donna) l'amore che non sarebbe mai stato presente nel legame ufficialmente riconosciuto. L'unica eccezione (parziale) a questa visione del matrimonio monogamico era costituita dalla classe proletaria, poiché essa, non possedendo capitale, basava le sue relazioni su veri legami affettivi.

Engels, al termine di questa analisi, sostenne che l'unica via per poter porre fine all'oppressione femminile e allo status quo del capitalismo nella società era quella della rivoluzione: attraverso la proprietà comune dei mezzi di produzione

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e l'ottenimento da parte della donna di tutti i diritti giuridici, si sarebbero rotte le dinamiche di potere all'interno della coppia e sarebbe sorta “una generazione

d’uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all’uomo che amano per timore delle conseguenze economiche.”

Anche Bebel10, nel suo testo La donna e il socialismo (1883), affrontò il tema dell'evoluzione del ruolo sociale della donna, condividendo le idee esposte da Engels ne L'origine della famiglia. Partendo dall'esposizione delle caratteristiche della donna del passato e della società nella quale viveva (ovvero elencando i motivi per i quali la donna aveva ottenuto, nel corso dei secoli, un posto inadatto alle sue vere capacità nella società), Bebel passava a narrare dettagliatamente le condizioni di vita delle donne contemporanee, calate all'interno di una società divisa tra borghesia e proletariato. Da lui venivano sottolineati aspetti importanti della condizione femminile del tempo: l'educazione inadeguata data alle fanciulle (“La donna che non sviluppa le sue attitudini fisiche, che, storpiata nella cultura

di quelle intellettuali, si aggira entro una sfera di idee molto ristrette, ponendosi in relazione soltanto con le sue conoscenze più prossime, non può elevarsi dal comune e dal mediocre. Il suo orizzonte intellettuale abbraccia sempre le più meschine faccende domestiche, le relazioni di parentela e ciò che ne dipende.”);

la diffusa pratica della prostituzione, che favoriva gli uomini condannando al contempo le donne alla scelta di vivere nel biasimo della comunità o nella castità forzata (“Gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi hanno considerato l’uso

della prostituzione come un privilegio a loro spettante per diritto. E sono quegli stessi uomini che vigilano severamente e più severamente condannano tutte le donne, che, vivendo fuori della sfera delle prostitute, commettono una colpa. Le donne hanno gli stessi istinti dell’uomo […] ma di ciò gli uomini non si

10 August F. Bebel (1840-1913): politico e scrittore tedesco, militò nel Partito dei Lavoratori Socialisti Tedeschi (SPD).

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preoccupano. Abusando della loro condizione di padroni le costringono a soffocare i loro più gagliardi istinti e fanno dipendere dalla loro castità la reputazione sociale e il matrimonio.”); la difficile condizione delle madri

proletarie, sfruttate dai datori di lavoro (“la donna, nel progresso dell’industria,

trova di anno in anno un campo sempre maggiore in cui poter occuparsi senza migliorare però sensibilmente – e questo è l’importante – la sua condizione sociale.”) e costrette a tornare quanto prima a lavoro per non perderlo, non prendendosi così cura della propria famiglia; la carenza di scuole, unici luoghi veramente adatti a istruire le generazioni future.

Da quest'analisi capillare della condizione femminile nel presente, Bebel elaborò il profilo della “donna dell'avvenire”, che sarebbe potuta esistere una volta terminata l'egemonia della classe borghese in ogni campo: “la donna sarà

socialmente ed economicamente indipendente; essa non sarà più soggetta neanche ad alcuna apparenza di dominio e di sfruttamento, trovandosi di fronte all'uomo nelle stesse condizioni di libertà e di uguaglianza e padrona del suo destino. La sua educazione sarà uguale a quella dell'uomo, […] potrà sviluppare, secondo il bisogno, le forze e le capacità fisiche ed intellettuali, e scegliere per la sua attività quei campi che corrispondono ai suoi desideri, alle sue tendenze e disposizioni.” La donna avrebbe potuto essere libera anche dal

punto di vista sentimentale, cosa impossibile da immaginare per la morale borghese basata sul rigido controllo dell'elemento femminile (in quanto strettamente connesso alla possibilità di generare figli naturali che avrebbero potuto rivalersi sull'eredità familiare): “nella società socialistica non vi sarà

niente da lasciare in eredità […], la donna sarà dunque libera e i figli non le diminuiranno questa libertà. […] Maestre, educatrici, amiche prestano sempre aiuto alla gioventù femminile in caso di bisogno.”

Adottando la filosofia marxista e applicandola dal punto di vista pratico, Lenin si occupò anche della questione femminile, affrontandola in svariati comizi e articoli: ispirandosi all'assunto foureriano in cui veniva sottolineato come l'estensione dei diritti della donna fosse la base generale di ogni progresso

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sociale, Lenin fu un fervente sostenitore di un'uguaglianza concreta tra uomo e donna, che si spingesse al di là dei riconoscimenti giuridici e venisse praticata nella vita reale di ogni membro della Repubblica dei soviet. Nonostante la progredita legislazione russa adottata a partire della Rivoluzione d'ottobre (la più progressista a livello mondiale per quanto concerneva il riconoscimento dei diritti delle donne), il leader sovietico dovette più volte rispondere agli attacchi sferrati contro le leggi promulgate, dovendo soprattutto difendere il diritto di divorzio come elemento libertario strettamente connesso all'affermazione del regime socialista: “in regime capitalista, l'esistenza di circostanze che non permettono

alle classi oppresse di «esercitare» i loro diritti democratici non è un caso isolato, ma è un fatto abituale, un fenomeno tipico. Nella maggior parte dei casi, in regime capitalista, il diritto di divorzio rimane lettera morta perché esso è soffocato economicamente; perché in qualunque democrazia, quando esiste un regime capitalista, la donna rimane una «schiava della casa» […] Tutta la «democrazia» consiste nella proclamazione e nella realizzazione dei «diritti» che, in regime capitalista, sono realizzati in una misura molto modesta e relativa, ma senza la loro proclamazione, senza la lotta immediata e diretta per questi diritti, senza l'educazione delle masse nello spirito della lotta, il socialismo è impossibile...”.

Lenin mise più volte in evidenza che “la donna, nonostante tutte le leggi

liberatrici, è rimasta schiava della casa, perché essa è oppressa, soffocata, inebetita, umiliata dalla meschina economia domestica, che la incatena alla cucina, ai bambini e ne logora le forze in un lavoro bestialmente improduttivo”.

Un'emancipazione reale sarebbe stata completa nel momento in cui la lotta di classe avesse coinvolto anche “la piccola economia domestica” trasformandola nella grande economia socialista, ossia attraverso l'istituzione di mense comuni, nidi e giardini d'infanzia che permettessero alla popolazione femminile di non essere impegnata con incombenze degradanti e di dare il proprio contributo alla costruzione della nuova società russa. Inoltre, enfatizzava in particolar modo l'importanza dell'impegno politico delle donne, incitando le operaie a partecipare

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il più possibile alle attività del partito e a eleggere in gran numero le proprie compagne al Soviet di Mosca, così da essere rappresentate attivamente presso il potere centrale.

Le posizioni di Lenin erano, almeno durante i primi anni di governo, comuni a quelle di Aleksandra Michajlovna Kollontaj. Dopo aver studiato la condizione della classe operaia femminile europea, viaggiando in Inghilterra, Svizzera e Finlandia per compiere le sue ricerche, una volta tornata in patria la Kollontaj aveva partecipato attivamente alla rivoluzione, venendo scelta direttamente da Lenin (con il quale strinse per alcuni anni un sodalizio ideologico molto stretto) per ricoprire la carica di Commissaria del popolo per l'Assistenza Sociale e ambasciatrice estera in Messico, Norvegia e Svezia. Fin da giovane, durante la sua attività politica in patria e all'estero, la studiosa aveva sempre espresso idee pioneristiche riguardo ai diritti delle donne, soprattutto nell'ambito delle relazioni di coppia: se prima del 1917 i suoi scritti erano stati redatti compiendo un'analisi estremamente dogmatica della realtà, con le opere post-rivoluzionarie la Kollontaj si cimentò in uno studio capillare delle vera situazione delle donne proletarie russe e del loro rapporto con la controparte maschile e con lo Stato, mettendo in risalto tutte le contraddizioni presenti tra le affermazioni propagandistiche del Governo e il vero impatto che le riforme avevano avuto sui cittadini sovietici.

In Rapporti tra i sessi e lotta di classe (1921) la Kollontaj dichiarò l'importanza di occuparsi dei legami sessuali tra la popolazione, “proprio perché la crisi

sessuale non tocca solamente gli interessi dei «possidenti», perché i problemi sessuali investono allo stesso modo uno strato sociale così considerevole come l'odierno proletariato”: la nuova morale sessuale, ancora in fase di formazione,

aveva sconvolto i rapporti tra gli uomini e le donne russe, dando origine a molteplici tipi di unione, non regolamentate e ancora viste secondo una doppia morale dalla maggior parte delle persone. Era necessario un cambiamento nell'approccio della classe proletaria alle relazioni amorose: da una parte era essenziale ammettere che, una volta avvenuta la rivoluzione, i vari tipi di

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istituzioni familiari non si erano sgretolati o modificati di pari passo con il cambiamento delle condizioni socio-economiche (tesi sostenuta dai socialisti); dall'altra, andava estirpata la concezione, di derivazione borghese, per cui solo all'uomo era concesso di vivere senza remore la propria sessualità e di avanzare pretese di fedeltà sulla propria compagna, pensiero che applicava il concetto di “proprietà” a qualcosa di puramente spirituale come la personalità di un altro essere umano. La forma di amore da adottare sarebbe stato l'“amore da

compagni”, un legame paritario tra i due partner che ne avrebbe non solo sancito

l'uguaglianza intellettuale e spirituale, ma avrebbe anche regolamentato in un'unica forma i rapporti amorosi di tutta la popolazione.

Il tema amoroso venne ripreso dalla Kollontaj in Largo all'Eros alato! (1923), testo in cui criticava l'“Eros senza ali”, il sesso senza morale che aveva preso fortemente piede nel periodo della guerra civile e consisteva nel mero accoppiamento per istinto di riproduzione. Essendo l'amore e il sesso pulsioni sociali che avevano avuto (in forme diverse nel corso dei diversi secoli) un forte effetto sull'interazione uomo-donna, i legami basati sui puri istinti animali, in una realtà socialista, avrebbero alimentato la dispersione delle energie individuali, che non si sarebbero potute concentrare sugli obiettivi da raggiungere per consolidare il socialismo nel Paese. Il tipo di relazione più opportuno da adottare per vivere nel modo più adeguato la propria vita sentimentale all'interno di questo nuovo tipo di organizzazione sociale sarebbe dovuto dunque essere l'“Eros alato”, un tipo di amore multiforme che “contiene gli elementi spirituali e

morali necessari al rafforzamento ed allo sviluppo del sentimento di solidarietà fra compagni”, unica forma di affetto e stima reciproca che avrebbe permesso a

uomini e donne di trascorrere un'esistenza piena, non rinunciando né ai propri sentimenti né alla partecipazione ad attività sociali.

Benché, secondo la rivoluzionaria pensatrice si stesse sempre più rafforzando “l’ideale dell’amore da compagni che l’ideologia proletaria sta forgiando per

sostituire il caduco ideale di amore coniugale “assorbente” ed “esclusivo” della cultura borghese”, durante il dibattito attorno all'etica comunista che aveva

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coinvolto l'opinione pubblica russa nella seconda metà degli anni '20, non tardarono a giungere critiche sui giudizi e le tesi espresse della Kollontaj: in prima battuta venne criticato lo stesso approcciarsi dell'ambasciatrice ad argomenti ritenuti inutili, la divulgazione dei quali avrebbe causato, secondo i suoi detrattori, un dispendio di energie sociali a favore di irrilevanti questioni psicologiche (lusso che avrebbe potuto permettersi solo la decadente borghesia). In seguito, venne disapprovato il suo pensiero riguardo l' “amore da compagni”, idea tacciata di fomentare la disgregazione sociale a favore del lassismo e del permissivismo sessuale.

Con il consolidarsi del governo dei Soviet, anche la posizione di Lenin (non ascrivibile alla rigida convinzione che la questione femminile si sarebbe risolta con l'abolizione della proprietà privata e l'ascesa del proletariato alla guida dello Stato, opinione condivisa del direttivo bolscevico) cambiò, creando una spaccatura tra lui e la Kollontaj. Il leader sovietico non pronunciò mai in pubblico parole di biasimo che colpissero l'ex Commissaria del popolo, ma nei colloqui che ebbe con Clara Zetkin11, trascritti dalla Zetkin stessa a un anno dalla morte di Lenin, espose la seguente tesi: “nel suo nuovo atteggiamento nei

riguardi delle questioni concernenti la vita sessuale, la gioventù si richiama naturalmente ai principi, alla teoria. Molti qualificano la loro posizione come "rivoluzionaria" e "comunista". Essi credono sinceramente che sia così. A noi vecchi non ce la danno a intendere. Benché io non sia affatto un asceta malinconico, questa nuova vita sessuale della gioventù, e spesso anche degli adulti, mi appare molto spesso come del tutto borghese, come uno dei molteplici aspetti di un lupanare borghese. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la "libertà dell'amore", cosi come noi comunisti la concepiamo. Voi conoscete senza dubbio la famosa teoria secondo la quale, nella società comunista, soddisfare i propri istinti sessuali e il proprio impulso amoroso è tanto semplice e tanto insignificante quanto bere un bicchier d'acqua. Questa teoria del

11 Clara Eissner Zetkin (1857-1933): esponente socialista e combattente per i diritti delle donne, militò nel Partito Comunista Tedesco (KPD). Ebbe rapporti molto stretti con il partito socialista russo (in particolare con Lenin) e fuggì in esilio in Russia dopo l'ascesa di Hitler.

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"bicchier d'acqua" ha reso pazza la nostra gioventù, letteralmente pazza. Essa è stata fatale a molti giovani e a molte ragazze. […] Io considero la famosa teoria del "bicchier di acqua" come non marxista e antisociale per giunta. Nella vita sessuale si manifesta non solo ciò che noi deriviamo dalla natura ma anche il grado di cultura raggiunto, si tratti di cose elevate o inferiori.”

Il cambiamento di pensiero del leader russo si verificò a causa di avvenimenti storici che portarono la dirigenza bolscevica a riconsiderare il ruolo della famiglia tradizionale, in quanto unico mezzo per riportare la stabilità nello stato sovietico. Fu la popolazione femminile ad essere più colpita da questo cambio di rotta, propagandistico prima e legislativo poi.

1.3. Il diritto di famiglia russo e la sua trasformazione (1917-1944)

Con la nascita della Repubblica dei Soviet, vennero innescati processi sociali che investirono la totalità della società russa. Questi cambiamenti, voluti fortemente dal nuovo governo, partirono dalla modificazione dei codici legislativi, che diventarono poi il modello da seguire per tutti gli Stati entrati a far parte del blocco sovietico. L'esposizione delle principali variazioni tra i diversi Codici di Famiglia adottati fino al periodo stalinista può aiutare a capire il tipo di approccio alle questioni sociali esportato alla fine della seconda Guerra Mondiale nella Romania del dopoguerra, punto di partenza per la deriva pronatalista del governo Ceaușescu.

Le prime riforme introdotte all'indomani della Rivoluzione di Ottobre furono varate per incentivare l'uguaglianza giuridica tra uomo e donna, con l'intento di sostituire quelle norme che limitavano molto la libertà della donna in campo civile e politico. Già nel 1917 il Governo Rivoluzionario riconobbe a tutte le donne il diritto a votare ed essere votate, il diritto di divorzio (rivolgendosi al tribunale o all'Ufficio di Stato Civile) e sancì l'abolizione del matrimonio religioso e la semplificazione del procedimento per il matrimonio civile.

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innovazioni giuridiche già presenti e ne introdusse di nuove: fu soppressa la potestà del marito sulla moglie e sancita l’assoluta parità tra coniugi e tra genitori e figli; fu introdotto l'accertamento giudiziale di paternità (in caso del rifiuto a riconoscere il figlio da parte del padre) per le donne nubili e la corresponsione degli alimenti al coniuge più svantaggiato in caso di divorzio; vennero poste garanzie a tutela delle madri lavoratrici; venne introdotto il divieto di adozione, per evitare il fenomeno, diffuso soprattutto nelle campagne, di mascherare il lavoro minorile tramite l'adozione del bambino sfruttato (i bambini abbandonati sarebbero stati presi in carico dallo Stato e accolti in apposite strutture adibite alla cura e all'istruzione delle nuove generazioni); infine, fu interdetta l’eredità, come diretta conseguenza dell'abolizione della proprietà privata.

La legalizzazione dell'aborto, libero e gratuito nelle strutture ospedaliere pubbliche, avvenne nel 1920. Contemporaneamente vennero introdotte pene per chi avesse commesso aborti illegali, mettendo a rischio la salute delle donne. In concomitanza con le riforme legislative, il nuovo potere iniziò un percorso che portasse le donne a ottenere l'uguaglianza anche dal punto di vista scolastico e lavorativo: fu incentivata la scolarizzazione di massa, soprattutto nelle campagne, con la creazione di classi miste; con numerosi interventi si tentò di arginare la discriminazione sessuale sul posto di lavoro, venne tutelato il lavoro delle donne incinte e introdotti nelle fabbriche i congedi obbligatori di maternità. Maggiori opportunità professionali e d’istruzione aprirono alle donne spazi e carriere nuove, riservate prima solo alla controparte maschile. Nella vita politica, molte donne vennero reclutate e arrivarono a ricoprire posizioni dirigenziali, ben simboleggiate dalle note Commissioni femminili (ženotdely) del partito bolscevico, fondate nel 1919. Inoltre, allo scopo di realizzare la reale emancipazione femminile da lavori considerati inutili e senza scopo, vennero istituiti i primi asili nido, mense (molto frequentate anni '20) e lavanderie collettive.

A causa degli sconvolgimenti portati dalla guerra civile e dalla carestia del 1920-21, si creò però una situazione di forte instabilità in tutto il territorio russo, che

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ebbe come conseguenza l'aumento della disoccupazione nelle città, della prostituzione, dell'abbandono dei minori e, in generale, una forte disgregazione sociale e familiare, fenomeni strettamente legati al dilagare della delinquenza giovanile. In risposta a questi eventi, e in concomitanza con la Nep12, fu elaborato e varato nel 1926 il secondo Codice di Famiglia. Questo codice, frutto delle discussioni nate in seno all'opinione pubblica, al Komsomol13 e alla dirigenza di partito riguardo a quale fosse l'etica comunista da adottare, introdusse delle modifiche sostanziali rispetto alla legislazione precedente sulla famiglia: il riconoscimento della validità del matrimonio non registrato in presenza di condizioni accertate dal tribunale (convivenza, educazione comune dei figli, ecc.), nel tentativo di porre fine a fenomeni dilaganti quali l'elevato numero di aborti e gli infanticidi, oltre ai matrimoni celebrati solo in forma religiosa (la maggioranza, nelle campagne) che, non essendo prima riconosciuti dal diritto ufficiale, risultavano non validi; l'ulteriore semplificazione del divorzio, che poteva essere sollecitato da un solo coniuge, presentando un atto dichiarativo presso l'Ufficio di Stato Civile (senza bisogno di recarsi in tribunale, che veniva chiamato in causa solo per disaccordi sul pagamento degli alimenti); l'eliminazione della “responsabilità materiale collettiva” nel caso di più padri putativi, obbligando il padre putativo con reddito maggiore al mantenimento dei figli (principio applicato anche nel caso di donne sposate); infine, il ripristino dell'adozione, per cercare di dare una casa allo spropositato numero di bambini abbandonati presenti nel Paese.

Le novità introdotte con questa versione del Codice non furono accettate facilmente dalla popolazione agricola russa: ancora molto legata all'organizzazione in comunità di villaggio, composta da famiglie di tipo 12 Nep: Novaja Ekonomicheskaja Politika (Nuova politica economica) istituita da Lenin nel 1921. Le riforme economiche varate all'interno di questo piano puntarono alla reintroduzione della proprietà privata in alcuni settori dell'economia (principalmente quello agricolo) per riparare ai danni economici dovuti al comunismo di guerra. La Nep riuscì a sollevare le condizioni economiche della Russia e fu interrotta nel 1929 da Stalin, che puntò invece sull'industrializzazione massiccia del Paese.

13 Komsomol: Kommunističeskij Sojuz Molodëži (Unione Comunista della Gioventù), organizzazione giovanile del Partito Comunista sovietico fondata nel 1918. Durante il 1925 i membri del Komsomol spinsero il partito a elaborare un Codice generale dell'etica comunista, rimasto tuttavia incompiuto.

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patriarcale, la popolazione delle campagne vedeva di cattivo occhio la comparazione delle “unioni di fatto” non registrate al matrimonio, oltre a subire come un'imposizione ingiusta il pagamento degli alimenti nei confronti dei coniugi, per la stragrande maggioranza donne, che abbandonavano il tetto coniugale. L'introduzione di questi tipi di obblighi portò a un conseguente aumento di uxoricidi e infanticidi, compiuti nell'intento di non dover versare soldi all'ex partner per i figli a carico.

Le nuove norme non furono viste positivamente nemmeno da buona parte degli intellettuali e degli esponenti della classe politica, a causa del riaccendersi, alla fine degli anni '20, del dibattito sull'etica comunista da adottare. Molti affermarono che il sostenere e diffondere teorie sul “libero amore” avrebbe portato i giovani a tenere comportamenti libertini e lascivi, incrementando ancor di più la disgregazione sociale che già si era presente.

Con l'ascesa al potere di Stalin, uomo dalla mentalità più conservatrice rispetto al suo predecessore, cambiò l'approccio sovietico alle politiche per la famiglia: il dittatore riteneva che la famiglia fosse la cellula di base necessaria al consolidamento del socialismo, per cui, ripristinando leggi che agevolassero unioni stabili e prolifiche, si sarebbe realizzato un processo di ripopolamento del Paese. L'aumento della popolazione (la cui crescita era in costante calo a causa di una pratica diffusa dell'aborto) era necessario per fornire manodopera da impiegare nel settore industriale, grazie al quale l'Unione Sovietica avrebbe potuto realmente progredire. Per raggiungere tale scopo, iniziò negli anni '30 una serrata propaganda a favore della famiglia tradizionale e del ruolo primario di moglie e madre della donna, andando in controtendenza rispetto all'immagine di rivoluzionaria e lavoratrice promossa nel decennio precedente. Nel 1934 fu varata la messa al bando (punita con pene detentive) di prostituzione e omosessualità, mentre nel 1936 fu proclamata un'ordinanza dal titolo “Sul divieto degli aborti, sull'aumento degli aiuti alle partorienti, sui sussidi statali per le famiglie numerose, sull'ampliamento delle sedi delle cliniche ostetriche, degli asili e dei giardini d'infanzia, sul rafforzamento delle pene per inosservanza degli

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obblighi alimentari e su alcune modifiche alla legislazione dei divorzi”. Con questo editto venne reintrodotto il divieto di aborto (tranne in caso di pericolo di vita per la donna) e la sua pratica punita con pene che variavano tra i 2 e i 10 anni; vennero concessi sussidi più ingenti alle madri più prolifiche, oltre a essere prevista la detenzione per quei coniugi che si rifiutassero di pagare gli alimenti ai partner, e disposta la creazione di nuovi istituti volti a prendersi cura di ragazze madri e bambini; infine, venne regolamentato in maniera più severa il divorzio, aumentando il costo delle pratiche necessarie e prevedendo che le dispute tra i partner venissero sempre giudicate dell'Ufficio Civile di Stato.

Le disposizioni adottate nel 1936 furono più tardi accompagnate dalle norme dell'editto di famiglia del 1944, emanate in risposta alla disgregazione della famiglia patriarcale contadina, avvenuta in conseguenza alla collettivizzazione forzata della terra, all'emigrazione interna verso le grandi città e al profondo squilibrio demografico tra uomini e donne venutosi a creare a causa della seconda Guerra Mondiale (31 milioni di maschi contro 52 milioni di femmine). Con questo editto vennero nuovamente ritenuti validi solo i matrimoni registrati; si istituirono medaglie e onorificenza per le madri con molti figli, tassando contemporaneamente i celibi e le famiglie poco numerose; si aumentarono i sussidi per le madri nubili, privandole però del diritto di ricerca della paternità (un padre poteva riconoscere i figli solo sposando la madre); si confermò la costruzione di istituti per l'infanzia, volti ad accogliere i numerosissimi bambini orfani.

Attraverso l'applicazione di queste nuove leggi, si ebbe un cambiamento marcato della percezione della donna: essendo la maternità, e non più la produzione a livello lavorativo, il suo ruolo primario, si ritornò a sposare la concezione patriarcale della famiglia guidata da una forte figura maschile responsabile del sostentamento economico del nucleo familiare. Questo processo fu coadiuvato dalla mentalità ancora presente nella stragrande maggioranza delle società delle Repubbliche Sovietiche (legate a valori religiosi e morali tipici delle popolazioni agricole) e dagli oggettivi problemi che i governi avevano nel garantire la

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costruzione di strutture per la cura della prole che avrebbero permesso alle donne di vedere alleggerito il proprio carico di lavoro casalingo (nonostante le leggi emanate, c'era una costante carenza di fondi per la realizzazione di asili e scuole). La svalutazione della donna dal punto di vista sociale si realizzò nonostante la propaganda continuasse a proclamare l'uguaglianza dei diritti fra i generi e nonostante la realtà di tutti i giorni vedesse un impiego sempre maggiore di donne in tutti i campi lavorativi (anche se in posizioni generalmente non specializzate e meno retribuite, in modo da poter coniugare il lavoro domestico con quello retribuito).

Fu questo l'insieme di dinamiche sociali che si configurò anche nella Repubblica Popolare Romena, all'indomani dell'ascesa al potere del Partito Comunista Romeno e dell'abdicazione di re Mihai I .

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La politica demografica socialista in Romania (1966-1989)

2.1. Nascita e consolidamento della Repubblica Popolare Romena

Il Partidul Social Democrat Român(Partito Socialdemocratico Romeno, PSDR), nato nel 1910 dalla riorganizzazione del Partidul Social Democrat al

Muncitorilor din România (Partito Socialdemocratico dei lavoratori della

Romania), fu da subito molto legato alla Rivoluzione d'Ottobre e alla nascita della Repubblica dei Soviet. Nel 1921 vide i suoi rappresentati dividersi in tradizionalisti (moderati) e massimalisti (radicali), distinguendosi le due fazioni in base al grado di affiliazione alle politiche bolsceviche. In quell'anno l'ala massimalista fondò il Partidul Comunist Român (Partito Comunista Romeno, PCR), che sarebbe diventato il partito unico del Paese tra il 1947 e il 1989.

Durante gli anni '30, dopo l'adesione alla Terza Internazionale, il partito romeno subì l'influenza sovietica in modo sempre più marcato, anche a causa dell'emigrazione di molti suoi esponenti in URSS dopo la messa al bando del partito da parte di re Ferdinand I14. Sebbene la propaganda successiva abbia mistificato il gran numero di iscritti negli anni precedenti all'istituzione del regime, il PCR non ebbe che 1000 membri presenti nel territorio romeno fino alla seconda Guerra Mondiale.

Il ruolo marginale del partito comunista ricoperto nella politica nazionale cambiò nel 1944, con l'ingresso in Romania dell'Armata Rossa e la destituzione del

14 Ferdinand di Hohenzollern-Sigmaringen (1865-1927): re di Romania tra il 1914 e il 1927. Durante il suo regno la Romania subì profondi cambiamenti: fu completata la realizzazione dello stato unitario nazionale (con l'annessione al Regato di Basarabia, Bucovina e Transilvania) e venne realizzata una grande riforma agraria. Tra i vari provvedimenti, bandì il PCR nel 1924. Alla sua morte salì al trono il nipote Mihai I, avendo il figlio Carol II rinunciato alla successione a causa della turbolenta vita amorosa. Carol II rientrò poi in patria nel 1930, detronizzò il figlio e venne eletto re. Tentò di influenzare la vita politica del Paese manipolando alcuni partiti e gruppi antisemiti, instaurando in seguito una dittatura regale tra il 1938 e il 1940. Nel 1940 venne forzato ad abdicare in favore del figlio Mihai.

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maresciallo Ion Antonescu15, alla guida effettiva del Paese dal 1940 (essendo il giovane re Mihai I solamente una marionetta nelle mani del militare). Una volta accettato l'armistizio con gli Alleati, il Paese fu letteralmente invaso dall'esercito sovietico e il re fu sottoposto a forti pressioni politiche affinché nominasse un governo filorusso con a capo il PCR. Il 6 marzo 1945 si formò quindi il primo governo romeno guidato dalla fazione comunista: nonostante ciò, il partito non aveva ancora sviluppato né una solida struttura a livello politico (tanto che dalla Russia vennero inviati rappresentanti del governo centrale e spie per consolidare l'influenza sul territorio del partito locale) né un grande sostegno a livello popolare, poiché la classe operaia era numericamente molto inferiore rispetto a quella contadina, che non abbracciava gli ideali socialisti. Il nuovo governo fu formalmente legittimato con le elezioni del novembre 1946, che avvennero in un clima violento, a causa delle intimidazioni messe in atto durante la campagna elettorale e dei brogli che la caratterizzarono. Il processo di sovietizzazione della Romania iniziò concretamente nel dicembre 1947 con l'elezione di Gheorghe Gheorghiu-Dej16, nominato segretario generale del partito17 dopo l'abdicazione forzata del re (che si era rifiutato di firmare le leggi propostegli in quanto anticostituzionali), e con la proclamazione delle Repubblica Popolare Romena. Dal punto di vista politico, il governo Dej si caratterizzò fin da subito per la cieca fedeltà alle direttive di Mosca e per la spietata repressione nei confronti degli oppositori politici e dei membri del partito e dell'esercito che, pur essendo fedeli 15 Ion Antonescu (1882-1946): militare e uomo politico, fu conducător (duce) di Romania tra il 1940 e il 1944. Dopo aver deposto Carol II e preso pieni poteri, Antonescu proclamò la nascita dello Stato nazional-Legionario, regime di stampo fascista controllato da polizia e Legionari (organizzazione paramilitare del partito filonazista Guardia di Ferro). A causa della ribellione interna dei Legionari per la conquista del potere, Antonescu strinse un forte sodalizio con Hitler, che lo aiutò a soffocare la rivolta. Con lo scoppio della seconda Guerra Mondiale, la Romania si alleò con i membri dell'Asse e rimase alleata della Germania fino al 1944; nell'agosto 1944 Mihai I, appoggiato da vari membri del governo, intervenne e fece arrestare Antonescu. Il conducător fu processato e condannato a morte per crimini conto la pace nel 1946.

16 Gheorghe Gheorghiu-Dej (1901-1965): figlio di operai, iscritto al PCR dal 1930, visse periodi di detenzione negli anni '30 e durante la dittatura di Antonescu. La sua carriera politica lo portò a diventare segretario generale del PCR nel 1945, anche se non ebbe pieni poteri fino al 1952, quando portò a termine le purghe all'interno della dirigenza del partito. Di orientamento fortemente stalinista, si distaccò dal partito sovietico moscovita in seguito all'ascesa di Chruščëv, dando il via a una politica estera di non-sudditanza verso il governo dell'URSS e di apertura nei confronti dell'Occidente. 17 Tra il 1948 e il 1965 il partito prenderà la denominazione Partidul Muncitoresc Român (Partito dei

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al segretario generale, ne minavano il potere. Per acquistare il consenso popolare si basò invece su una propaganda nazionalista e antisemita, prevedendo al contempo la creazione di organizzazioni di partito (per le donne, per la gioventù, per i contadini, ecc.) allo scopo di indottrinare la popolazione secondo l'ideologia socialista.

A livello economico, venne messo in moto un processo di modernizzazione della nazione non dissimile da quello imposto in Unione Sovietica da Stalin negli anni '30: i punti salienti di questa politica furono l'attuazione dei piani quinquennali (puntando sullo sviluppo dell'industrializzazione), la realizzazione di compagnie miste Sovrom18 e la collettivizzazione della terra attraverso l'istituzione di gospodării agricole colective (fattorie agricole collettive, GAC19).

L'influsso della dottrina stalinista, in Romania così come in altri stati satelliti dell'URSS, fu preponderante fino all'inizio degli anni '50. Con la morte di Stalin nel 1953, però, il successore Chruščëv mise in moto un processo di destalinizzazione del Paese, volto a denunciare il culto della personalità dell'ex dittatore e il clima di terrore creato all'interno dell'Unione Sovietica. Questo cambio di rotta, accolto repentinamente da altre nazioni del blocco sovietico, non fu però recepito positivamente in Romania a causa delle posizioni fortemente staliniste di Dej: il dittatore romeno iniziò così a pianificare un lento distacco dal partito comunista russo, con l'intento di promuovere una linea politica nazionale ed estera totalmente autoctona, basata sull'accentramento e sul consolidamento del potere nelle sue mani.

L'allontanamento dal governo sovietico fu favorito dalla nuova politica adottata in Russia: negli anni immediatamente successivi alla morte di Stalin, infatti, vennero approvate direttive che limitavano il ricorso alla violenza della polizia 18 Sovrom: società miste romeno-sovietiche, attive tra il 1945 e il 1956 in seguito a un accordo bilaterale per permettere il pagamento dei debiti di guerra romeni all'URSS. Di fatto rappresentarono il mezzo di sfruttamento economico sovietico delle risorse naturali del Paese (legno, gas, metalli, ecc.)

19 GAC: fattorie collettive create nel 1949 in seguito all'espropriazione dei terreni della nazione. Nonostante la propaganda ufficiale affermasse che la collettivizzazione favorisse i contadini più poveri, dopo l'introduzione del sistema delle quote (parti di raccolto da versare allo Stato, che non di rado coincidevano con la totalità del raccolto ottenuto) l'agricoltura romena subì un forte impoverimento.

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politica, diminuivano l'impiego di risorse economiche nell'industrializzazione forzata per favorire agricoltura e produzione di beni di consumo e promuovevano cambiamenti a livello sociale; questo nuovo indirizzo politico portò sia all'appianamento delle tensioni venutesi a creare in seno alla popolazione negli anni precedenti, sia alla perdita di controllo del PCUS (Partito Comunista dell'Unione Sovietica) sui governi degli stati satelliti, spinti a varare leggi che allentassero la morsa dell'oppressione sulle popolazioni dell'Europa orientale. La politica adottata da Chruščëv cambiò però nel 1958, quando sembrò chiaro che il controllo sovietico sulle Repubbliche socialiste si era troppo affievolito. In quell'anno iniziò la stagione antirevisionista, che riportò in auge i dogmi stalinisti in vigore fino a pochi anni prima.

Negli anni '50-'60 la politica romena attraversò quindi diverse fasi: tra il 1953 e il 1957 si assisté a una maggior repressione di oppositori e di avversari interni al partito (grazie alla quale Dej conquistò il controllo completo della nazione), accompagnata però da una serie di riforme che favorirono la vita della popolazione; in seguito, a partire dal 1958, complice la svolta antirevisionista russa, vennero nuovamente imposte riforme socio-economiche di stampo stalinista. A cavallo dei due periodi Dej divenne l'artefice della nuova politica del Paese: dopo una stagione di crescita avvenuta grazie a riforme meno asfissianti per l'economia, si tornò a puntare sull'industrializzazione forzata (progetto non gradito all'Unione Sovietica, che riteneva la Romania il granaio dell'URSS); in seguito al ritiro delle truppe dell'Armata Rossa dal Paese, si lavorò per smantellare il predominio culturale ed economico dell'URSS (fu abolito l'insegnamento obbligatorio del russo a scuola, vennero eliminate le Sovrom, ecc.); si stabilirono relazioni diplomatiche, e più tardi commerciali, con le democrazie occidentali, inclusi gli Stati Uniti.

L'improvvisa morte di Dej nel 1965 fu seguita dalla proclamazione a primo segretario del PCR di Nicolae Ceaușescu: lungi dall'arrestare la politica di “promozione dell'interesse nazionale” iniziata dal predecessore, Ceaușescu la spinse oltre. La Republica Socialistă Româniă (Repubblica Socialista di

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