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La politica demografica socialista in Romania (1966-1989)

2.2. La rottura con Mosca: le conseguenze social

2.3.1. Le varianti tecnocratiche

La prima variante tecnocratica fu elaborata dalla Commissione di studio delle misure per il miglioramento della crescita naturale della popolazione, costituita 23 Conducător: Duce, uno dei molti titoli utilizzati dalla propaganda per riferirsi a Ceaușescu. A partire dagli anni '70, con l'inizio del culto della personalità, la titolatura completa utilizzata dalla stampa per nominare il dittatore divenne Nicolae Ceaușescu, secretar general al Partidului Comunist Român,

președintele Republicii Socialiste România, comandant suprem al forțelor armate (Nicolae

Ceaușescu, segretario generale del Partito Comunista Romeno, presidente della Repubblica Socialista di Romania, comandante supremo delle forze armate). Gli altri appellativi più utilizzati erano Geniul

Carpaților (Genio dei Carpazi), Erou între eroi (Eroe tra gli eroi), Cel mai iubit fiu al poporului român (Il figlio più amato del popolo romeno), Tatăl națiunii (Padre della nazione).

da alcuni tecnici del Ministero della Sanità. Questa bozza presentava uno studio della situazione demografica dell'epoca, seguito da un elenco di misure occorrenti per incentivare la crescita del tasso di natalità. La ricerca sulla composizione della popolazione romena partiva dall'analisi dei dati su crescita naturale, natalità, mortalità generale e infantile, individuando quindi i fattori socio-economici e demografici che avrebbero rallentato la crescita del tasso di natalità (già sottolineati nel precedente studio del 1965).

L'accesso all'aborto era l'ultimo tema esposto nello studio: pur ammettendo che la legislazione nazionale fosse troppo permissiva, i tecnocrati non suggerirono affatto la reintroduzione di pene per l'interruzione di gravidanza, sottolineando invece come i medici fossero corresponsabili dell'elevato numero di aborti effettuati, dato che essi stessi ricevevano parte della quota versata dalle pazienti per l'operazione. Le soluzioni proposte tenevano conto di tutti gli aspetti sociali: si spaziava dall'incentivazione della contraccezione, considerata l'unico metodo efficacie e sicuro per un'adeguata pianificazione delle nascite (in controtendenza con la politica applicata dal governo, che aveva favorito fino ad allora la scarsa produzione e vendita dei contraccettivi), a un'educazione sessuale appropriata, da fornire a tutti i cittadini in ambito scolastico. Secondo i rappresentanti del Ministero della Sanità anche la propaganda di regime avrebbe dovuto essere riorganizzata, sia lavorando all'interno delle scuole, delle organizzazioni giovanili e di quelle femminili con programmi che istruissero su tematiche come la famiglia, la maternità, l'educazione dei figli, sia spronando il Ministero della Cultura e dell'Arte a produrre film e spettacoli che plasmassero “un'opinione pubblica favorevole alla natalità”. Sarebbero stati fondamentali anche incentivi economici per le famiglie, sia in termini di assegni familiari, sia in termini di maggiori benefici per le donne (allungamento del congedo di maternità, possibilità di richiedere turni di lavoro part-time, sgravi per l'assistenza medica e i medicinali, crescita del numero di asili nido e scuole materne, ecc.). Veniva inoltre suggerita l'istituzione di un organo di stato che si sarebbe dovuto occupare dello studio e del coordinamento dei problemi demografici.

Solo in ultima istanza venivano elencate le limitazioni da applicare all'aborto su richiesta. La paziente che avesse richiesto di interrompere la propria gravidanza avrebbe dovuto essere visitata da una commissione formata da un ginecologo, un internista e un'assistente sociale, che avrebbero dato il nulla osta all'operazione solo per determinati motivi: malattie o altri fattori genetici che mettessero in pericolo la vita della madre e del feto, deficienze fisiche o psichiche, stupro o incesto, ma anche stato civile, condizioni economiche e abitative e presenza di due figli in vita all'interno del nucleo familiare della donna. Se la richiedente avesse avuto meno di 16 anni, sarebbe stato necessario il consenso dei genitori, mentre l'aborto sarebbe potuto essere richiesto liberamente dalle donne con più di 40 anni di età. Il medico incaricato di effettuare l'aborto avrebbe dovuto avvertire 24 ore prima dell'operazione una commissione interna dell'ospedale (eccezion fatta per le urgenze, per le quali avrebbe dovuto dare la sua approvazione il direttore dell'unità sanitaria); nel caso si fosse presentata una donna con un caso anomalo di aborto, il medico avrebbe dovuto invece avvertire la Procura. Assieme a queste modifiche, venivano proposte infine limitazioni riguardanti il diritto di divorzio attraverso l'aumento delle somme richieste per le pratiche e l'istituzione di un periodo di 3 mesi tra la richiesta della coppia e la pronuncia della sentenza.

Dopo aver sollecitato l'eliminazione delle eccezioni medico-sociali che avrebbero permesso alle donne di accedere all'aborto, il Comitato Centrale del PCR discusse questo disegno di legge nell'agosto del '66: vari membri dell'assemblea sottolinearono il costo che alcuni provvedimenti economici a favore delle donne avrebbero comportato per lo Stato, bollando le proposte come demagogiche e non attuabili sul lungo periodo. Alcuni sostennero che la proposta non enfatizzasse il legame tra l'aborto e la mancata crescita della popolazione nazionale, avanzando quindi l'idea dell'abolizione della legge in vigore come soluzione definitiva al problema; altri proposero di aumentare in maniera spropositata il costo delle pratiche di aborto e divorzio, in modo da limitarne il numero e, al contempo, incassare maggiori introiti da parte di coloro che

avessero potuto accedervi; infine, fu proposta l'introduzione di una tassa di importo variabile per coloro che non avessero avuto figli.

L'intervento finale di Ceaușescu mostrò quale tipo di politica demografica fosse intenzionato a mettere in pratica negli anni a venire: “il problema della natalità e della crescita della popolazione è un problema del quale è fortemente responsabile il nostro partito, la conduzione del partito e il governo, e bisogna ammettere che non ha costituito una preoccupazione (così rilevante) per quegli organi che invece avevano il dovere di occuparsene. […] Credo che si debba porre immediatamente fine alle interruzioni di gravidanza”.(VI) Questa presa di posizione perentoria, lungi dall'essere puramente ideologica, era connessa ai piani di industrializzazione che il dittatore aveva per il Paese; l'aumento esponenziale della popolazione avrebbe garantito alla nazione la maggior quantità di manodopera possibile, rendendo attuabile lo sviluppo programmato dal governo. Ceaușescu, tuttavia, non ammise apertamente la volontà di ottenere forza lavoro grazie all'incremento forzato della natalità, giustificando invece la propria posizione con argomentazioni di tipo moralistico: “a mio parere, con il decreto di legalizzazione degli aborti, abbiamo legalizzato sia la prostituzione attraverso gli aborti stessi, sia la permissività verso i divorzi. […] Com'è mai possibile questo fatto, noi siamo un'istituzione di incoraggiamento alla prostituzione o abbiamo invece la responsabilità di conservare la salute del popolo, la crescita naturale del popolo, di conservare la moralità del popolo? […] Il problema della natalità non è una questione che riguarda il desiderio di alcuni di avere o meno dei bambini, ma è un problema sociale, (poiché) ogni persona ha dei doveri verso la società.”(VII)

Al termine della seduta il Comitato Esecutivo stabilì quindi che si procedesse alla rielaborazione dello studio analizzato, con nuove proposte che prevedessero “una risoluzione complessiva e su base reale del problema della crescita della natalità”, ponendo soprattutto l'accento sulle misure da introdurre per limitare l'accesso all'aborto.

La variante successiva, la cui redazione fu seguita da Voinea Marinescu24, fu presentata al Comitato Centrale il 20 settembre, nell'ambito di un incontro con esperti medici presieduto da Aurel Moga25. La nomina di un nuovo ministro della Sanità e della Previdenza Sociale era la diretta reazione alla lunga elaborazione della proposta di legge precedente, ritenuta inoltre troppo blanda per arginare il problema del calo di natalità.

La variante di Marinescu era addirittura più rigorosa rispetto al decreto approvato in seguito: l'interruzione di gravidanza era prevista nel caso in cui la gestante fosse in pericolo di vita o fosse stata vittima di stupro o incesto, ma non se fosse stata affetta da handicap psicofisici; non era inoltre previsto nessun limite d'età o di numero di figli dopo il quale il libero accesso all'aborto su richiesta fosse consentito. I medici avrebbero dovuto avvisare la Procura 24 ore prima di praticare un aborto, a meno che non fossero di fronte a un'emergenza medica di estrema gravità. Oltre a queste limitazioni, la proposta di legge prevedeva l'attuazione di misure stimolative per aumentare il tasso di natalità, come assegni familiari progressivi in base al numero dei figli presenti nel nucleo familiare, onorificenze per le madri di molti figli, controlli ginecologi periodici delle donne in età fertile e persecuzione penale dei padri che avessero abbandonato il tetto coniugale.

Durante il dibattito che seguì, taluni medici si opposero timidamente ad alcuni aspetti previsti dalla bozza del decreto, come la mancanza di un'età limite dopo la quale permettere l'accesso all'aborto o l'impossibilità di concedere l'interruzione di gravidanza in caso di forte disagio economico della madre; nessun partecipante si espresse però in difesa del diritto all'aborto senza restrizioni. Nei giorni successivi si tenne un'ulteriore seduta del Comitato Centrale durante la quale venne elaborato il testo finale del decreto.

24 Voinea Marinescu (1915-1973): ministro della Sanità e della Previdenza Sociale tra il 1957 e il 1966. Membro titolare dell'Accademia della RSR e della Società Internazionale di Chirurgia.

25 Aurel Moga (1903-1977): rettore dell'Istituto di Medicina e Farmacia di Cluj e professore di cardiologia presso l'Istituto di Medicina e Farmacia di Bucarest.

2.3.2. Il decreto 770/66

Nel mese di settembre si tenne l'ultima seduta del Comitato Esecutivo del CC riguardante la regolamentazione dell'accesso all'aborto e la modifica del diritto di divorzio. Durante la stesura della bozza di legge vennero prese in considerazione sia le proposte avanzate dalle commissioni tecniche del Ministero della Sanità, sia le idee esposte da Ceaușescu durante i vari dibattiti; dopo mesi di studi e discussioni, il 29 settembre 1966 fu così redatto il decreto 770. Questo decreto sanciva il divieto assoluto per le donne romene di ricorrere all'aborto, tranne che in pochi casi eccezionali:

– se la gravidanza avesse messo in pericolo di vita la gestante, e non ci fosse stato altro mezzo per migliorarne lo stato di salute;

– se uno dei genitori avesse sofferto di una malattia grave a trasmissione ereditaria che comportasse l'insorgenza di malformazioni congenite nel feto;

– se la donna in questione avesse presentato gravi invalidità di tipo fisico, psichico o sensoriale;

– se la donna avesse superato i 45 anni;

– se la donna avesse già partorito e allevato26 quattro figli; – se la donna fosse stata vittima di stupro o incesto.

Chi riteneva di rientrare tra queste categorie eccezionali si poteva presentare presso una commissione medica locale, nominata dal Comitato esecutivo del consiglio popolare regionale o da quello delle città di Bucarest e Costanza. Questa commissione, formata da un primario (o, in sostituzione, da uno specialista in ginecologia), da uno specialista in malattie interne e da un'infermiera, aveva l'incarico di redigere una scheda di identificazione della paziente e dei motivi che la inducevano a richiedere un'interruzione di gravidanza, con la possibilità di sottoporre la gestante a ulteriori esami 26 La donna richiedente l'interruzione di gravidanza doveva dimostrare di essere madre di quattro figli

specialistici o a inchieste di tipo sociale, allo scopo di valutare nel modo più completo possibile la validità della richiesta presentata. Nel caso in cui la domanda della paziente venisse accettata, era la stessa commissione a pianificare data e ora dell'intervento; in caso contrario, gli atti riguardanti il caso in questione venivano inviati presso la circoscrizione sanitaria di appartenenza della donna, per permettere alle autorità di seguire l'andamento della gravidanza (con l'intento di impedire il ricorso a pratiche abortive illegali).

L'aborto presso le strutture ospedaliere era consentito nei primi tre mesi di gestazione o, in presenza di patologie molto gravi, entro i primi sei mesi.

Infine, in caso di situazioni di emergenza, il medico poteva decidere di operare senza il consenso della commissione preposta all'analisi delle richieste di aborto, avendo però l'obbligo di avvertire il procuratore prima dell'intervento (o entro le 24 ore successive).

Il decreto, entrato in vigore il 1 ottobre 1966, fu accompagnato dalle Istruzioni nr. 819 del 19 ottobre. Esse prevedevano una serie di misure organizzative e amministrative che avrebbero favorito l'applicazione tempestiva della nuova legge antiaborto: la cessazione immediata delle interruzioni di gravidanza praticate negli studi medici; i criteri di selezione per la composizione delle commissioni mediche e i compiti che a queste spettavano; l'iter da far seguire alle pazienti; la lista delle malattie che, se riscontrate in una gestante, avrebbero permesso ai medici di effettuare l'aborto.

L'iter legislativo del decreto fu infine concluso il 29 dicembre dello stesso anno, quando la Marea Adunare Națională (Grande Assemblea Nazionale, teoricamente l'unico organo con poteri legislativi della Repubblica Socialista di Romania) lo approvò all'unanimità. Nel corso della seduta fu anche approvato il decreto 771, che prevedeva la modifica del Codice Penale: “Colui che, con qualsiasi mezzo, provoca un'interruzione di gravidanza al di fuori delle condizioni ammesse dalla legge, commette l'infrazione di procurato aborto. L'interruzione della gravidanza in corso, effettuata con il consenso della donna incinta, si punisce con la reclusione da 1 a 3 anni e l'interdizione professionale da

1 a 3 anni. La pena varia da 2 a 5 anni di reclusione e da 2 a 5 anni di interdizione professionale nel caso in cui sia stato causato un qualsiasi danno alla salute della donna incinta o un'infermità tra quelle elencate nell'articolo 473. Se viene causato il decesso della stessa, la pena varia da 5 a 10 anni di reclusione e da 3 a 6 anni di interdizione professionale. L'interruzione di gravidanza senza il consenso della donna incinta si punisce con la reclusione da 2 a 5 anni e l'interdizione professionale da 2 a 5 anni. La pena varia da 3 a 6 anni di reclusione e da 3 a 5 anni di interdizione professionale se, con il reato previsto nel passaggio precedente, è stato causato un qualsiasi danno alla salute della donna incinta o un'infermità tra quelle elencate nell'articolo 473. Se viene provocata la morte della stessa, la pena varia da 7 a 12 anni di reclusione e da 4 a 6 anni di interdizione professionale. Quando il reato è commesso allo scopo di ottenere un beneficio materiale, alla pena detentiva applicata vengono aggiunti 2 anni supplementari, senza oltrepassare il numero massimo di anni di reclusione previsti dalla legge”.(VIII)

Le misure restrittive27 incentivanti la natalità nel Paese furono accompagnate anche dalla modifica della legge sul divorzio presente all'interno del Codice di Famiglia. Il nuovo procedimento prevedeva che il divorzio venisse concesso solo in casi eccezionali, quando la relazione tra marito e moglie era considerata assolutamente compromessa. Chi avesse voluto richiedere lo scioglimento del proprio matrimonio era tenuto a osservare un periodo obbligatorio di tentata riconciliazione col partner, trascorso il quale la richiesta della coppia sarebbe stata sottoposta al giudizio di un tribunale. Dopo una valutazione complessiva dello stato della famiglia in questione (durata del matrimonio, presenza e numero dei figli, ecc.), il giudice procedeva a concedere o meno il consenso all'istanza presentata; poiché lo scopo della nuova legislazione era la limitazione del 27 La politica pronatalista adottata dai Paesi del blocco sovietico è stata realizzata attraverso l'attuazione di misure stimolative e/o restrittive. Per misure stimolative si intendono quei provvedimenti socio- economici che facilitavano il mantenimento della prole (assegni familiari, congedo parentale pagato, istituti di cura per bambini, ecc.). Nella categoria delle misure restrittive rientrano invece quelle misure giuridiche che rendevano difficile l'accesso all'aborto, alla contraccezione, al divorzio, ecc. La politica demografica romena si è basata soprattutto sull'adozione di misure restrittive.

numero di divorzi, la riconciliazione tra i coniugi era imposta per legge in caso di malattia incurabile di un partner, infedeltà, comportamenti degradanti o violenza domestica, essendo questi motivi ritenuti insufficienti per l'ottenimento del divorzio. Oltre ai vincoli legali, a rendere difficile l'ottenimento del divorzio era anche il costo della pratica in sé, calcolato in base al salario mensile dei richiedenti.

La nuova politica demografica varata dal regime romeno condizionò la vita della popolazione fino alla caduta di Ceaușescu, senza tuttavia raggiungere gli obiettivi per i quali era stata adottata; la generazione di decreței28 nata in seguito alla

promulgazione del decreto 770 non arrivò mai a essere così numerosa da far raggiungere alla Romania la quota di 30 milioni di abitanti (cifra alla quale il dittatore aveva preventivato di giungere nell'anno 2000). Il numero delle nascite, dopo un'iniziale impennata negli anni immediatamente successivi al 1966, decrebbe costantemente già a partire dal 1970.

2.3.3. La regolamentazione dell'accesso all'interruzione di gravidanza tra il