• Non ci sono risultati.

Padre Deac commenta:

Se un marito rimane da solo con due o tre bambini, lei manda dei soldi poverina, messi con sacrificio da parte. Alcuni riescono a organizzarsi e comprano la casetta e dopo un po’ di anni tornano in Romania, sì, è vero, ci sono delle ferite ma non è una cosa così pesante perché se è consenziente, si sono messi d’accordo perché sa-pevano che trovava un posto di lavoro, ma ci sono diverse situazioni che il marito, trovandosi da solo, vedendo che non riesce ad andare avanti, perché il marito non è portato tanto per le cose domestiche, no? Cucinare, stirare, fare queste cose qua, dopo lavorando anche come contadini, perché parecchi sono contadini, alcuni si mettono a bere, allora nascono dei problemi molto seri, allora è un caso fortunato se ha lì una nonna, un nonno, che gli può dare una mano con i bambini, ma da solo… per questo parecchie famiglie si sono separate. Parlando anche francamente, parecchie famiglie si sono troncate perché se il marito si è messo a bere e la donna,

essendo anche un po’ avvenente, può trovare una relazione e ci sono dei casi tre-mendi, in cui i bambini sono cresciuti soltanto dai nonni. [Intervista a padre Sorin Justinian Deac, ottobre 2017]

La famiglia transnazionale non garantisce che vi siano cambiamenti nei ruo-li di genere, anzi mette gruo-li uomini di fronte alla difficoltà di non riuscire a di-fendere la propria mascolinità. Inoltre, l’emigrazione delle donne le espone al rischio di incontrare altre figure maschili. Come abbiamo detto all’inizio, quan-to più la famiglia transnazionale diverge dal ‘giusquan-to modo di fare famiglia’, tanto più viene considerata disfunzionale e getta sulle donne dubbi morali sul loro essere buone madri e di conseguenza sulla loro capacità legale di esserlo.

Transnational families, particularly those headed by females, threaten women’s civic duty of maternity. Geographic separation from the family, for instance, place women’s purity at risk. […] Women who leave young children […] also technically fall under the definition of “bad mothers”. By failing to fulfill women’s civic duty of maternity, they not only fall short of meeting their moral obligation to the family but also fail to fulfill their duties to the nation (Parreñas 2005, 37).

Se la famiglia nucleare – quella incentivata dall’urbanizzazione industriale perseguita ai tempi del comunismo (tranne che in ambito rurale) – è la sola ad essere associata al significato di ordine morale, tutti gli altri tipi vengono a rap-presentare un decadimento morale e la rottura dei legami di solidarietà familia-re. Quando decade l’obbligo alla coabitazione, esso trascina con sé la dissoluzio-ne di quanto viedissoluzio-ne percepito come il fondamento della coesiodissoluzio-ne sociale.

In modi molto più sensazionalisti i media rinforzano questa opinione, con articoli e video servizi che raggiungono nelle contrade più lontane della Roma-nia nonne sole con i nipoti, ‘abbandonati’ dalle figlie all’estero, figli sottratti ai genitori maschi con il sospetto di abuso sessuale – ciò rinforza l’idea che i ge-nitori maschi siano naturalmente incompetenti a fornire cure, oltre al dramma dei suicidi di bambini e adolescenti. Sono all’estero, quindi queste donne sono sottorappresentate nelle associazioni locali e comunitarie a difesa dei migranti e non hanno voce nei dibattiti pubblici che le riguardano. Questa scarsa rap-presentanza, alimentata dal fatto che spesso non hanno un permesso di lavoro valido e dal fatto che alcune sono madri single, quindi pure stigmatizzate, ren-de più aspra la critica nei loro confronti. E perpetua la tenren-denza ren-del governo a sottostimare la loro presenza nella composizione delle famiglie migranti. Quan-do le Quan-donne manifestano una qualche agentività, ad esempio cercanQuan-do di co-struirsi un percorso di vita completamente diverso da quello precedente in Romania (cercando un nuovo partner in Italia, ecc…), la loro scelta, oltre a non avere sempre successo, comporta una drammatica decisione rispetto ai

compi-ti materni – abbandono dei figli, diradamento dei contatcompi-ti con loro – che viene particolarmente colpita dalla scure morale.

Con il peso di una stigmatizzazione crescente in patria, le donne si sforzano in ogni modo di mantenere i propri legami con i figli, anche prendendo un aereo per risolvere le situazioni più urgenti:

Tutte le sere parlavo con mia filia, quella piccolina. Lei era piccolina poveretta e io piangeva tutti li giorni quando ho lavorato qua. Aora no mai piango così, no mai. È finito. Ma quando ho lavorato nove anni fa, tutti i giorni piangeva, ma no quando parlavamo a telefonino. Da sola! E poi questo fidanzato che ce l’ho ora, con lui tutto bene. Fili sono grandi a me, lui ce l’ha una, due ce l’ha a casa. Uno da 20 anni e una filia da 10 anni, piccolina. [Intervista a Mina, novembre 2017]

Sono con andata con urgenza con aereo, per mettermi a posto la mia casa, perché passato un inverno bruttissimo, meno 27 gradi per tre mesi. Le mie filie hanno visto la neve che io no ho mai visto a mia vita, 6-7 metri alta, in 2012. Sono andata de urgenza a casa, loro no hanno saputo che io vado a casa, ho preparato in due setti-mane la mia casa, con legna, riscaldamento, tutto. Ho profittato che quell’anno erano due ragazzi con picciola di 2 anni che hanno avuto casini con i genitori e no aveva dove stare e allora venite a casa mia, non ci sono problemi. Solo per avere qualcuno in mia casa. Qualcuno maturo in casa, quello volevo! Per paura dell’assistenza socia-le, sai? E voi state queste due camere, e voi state queste due camere. Mi veniva due volte settimana una amica che mi aiutava per pulizie, di mangiare, qualcosa. Quello periodo per loro è stato un po’ delicato. [Intervista a Catarina, novembre 2017]

Parli con Skype?

No, su WhatsApp.

Riesci a fare la videochiamata con WhatsApp? Ti prende bene?

Sì, mi prende bene. [Intervista a Tea, giugno 2018]

Sta andando bene. Questo anno sto tranquilla ma da gennaio mi faccio una scappa-ta in Romania, senza sapere lei. Mi ha detto de solo di un voto che ha preso e la prossima settimana cominciano con i test. Io le ho detto che volio vedere su internet come per la piccola: «Mamma ma pensi che è liceo quello? È università». Guarda che ti faccio vedere adesso i voti della piccola, no sono tanti grandi, ma sono. [In-tervista a Anuţa, giugno 2018]

Ho fatto una cosa con quella grande che aveva a quello tempo sei anni, sette anni, era prima classe… 8 anni aveva. Le ho detto: Vedete che oggi venite all’autobus, qualcuno vi riceve dalla macchina, vi mette su macchina e quell’autista vi porta fino alla mia ditta». Questo primo passo. Quando ho visto che erano le cose giuste ho detto: «Ora, quando viene quello autista, venite su e ci incontriamo in mercato nella citta», «Mamma ho paura!», «No, no avete paura, ci sentiamo al telefono». Le mie figlie sono cresciute, educate al telefono. Telefono per me è mia vita. [Intervista a Catarina, novembre 2017]

La piccina ha mantenuto gli amici in Romania?

Ah! Scrive con tutti. Si sentono, si vedono. Per il telefono ho fatto di tutto, per me e anche per loro. È bruttissimo. Parliamo al telefonino e così, va avanti li gior-ni. No è bene ma… dimi! Aiutami, no lo so come dire… [Intervista a Simina, maggio 2018]

Sento le mie fi[g]lie due-tre volte la settimana. La sera lavoro in ristorante, e no posso, ma prima di andare al lavoro telefono. Tanto mi mancano nel giorno libero, allora vado a cercare da comprare qualcosa per loro! Il pensiero è sempre con loro. [Intervista a Rosa, giugno 2018]

Tua figlia quanti anni aveva quando l’hai lasciata?

Lei è nata nel ’99 e io ho iniziato di fare Italia dal 2004.

Cinque anni…

Da cinque anni io manco, lei sa che io faccio… fino in 2009, lei aveva dieci anni e poi dopo ho mancato anche di più. Lei era abituata di mancare io nelle vacanze scolastiche, io venivo qua di Natale e di Pasqua per fare questi soldi. Esattamente quando sono momenti più belli. Perché mio marito non c’era.

Quanti anni aveva tua figlia quando è morto tuo marito?

Tre anni e mezzo, quattro. E lei oramai è rimasta senza padre e nelle vacanze scola-stiche anche senza mamma. Vedete le bisognanze economiche?

E con chi l’hai lasciata?

La mia mamma, la mia cugina. La mia mamma aveva altre volte anche lei di fare o di andare all’ospedale. Io giustamente pagavo la mia cugina. Se anche era cugi-na, dovevo pagare. E perciò si viene qua a lavorare, perché non ce la fai per le spese.

Tua cugina ti teneva la figlia però…

Io li pagavo. Non li pagavo come pagava lo Stato. Lo Stato da 200 euro di bambino se qualcuno lo mette in ‘plazament’ familiare, io non li potevo dare quello, ma li pagavo mangiare, il fatto che li lavava, il fatto che stava lì a casa. E la mia filia è abituata con la mia mancanza. E perciò ho desiderato di fa il liceo militare, perché il liceo militare li da una certa durezza. Non sono troppo felice, ma della durezza nella vita ce l’hai bisogno. Perché, se io non ero cresciuta con la durezza, che facevo adesso? Ero anche io persa.

E che relazione c’è tra te e tua figlia?

Sono relazione di più matematiche come sentimentale. Non sono troppo felice per questa cosa. Ma non solo la mia, tutti i bambini quali sono restati senza genitori. Sono relazioni economiche. Sì, quando ti vedi ti abbracci, abbraccio anche io una signora per quale lavoro, lo sto baciando anch’io, ma si parla di cose artificiali, non pensate; 50%, 40%. Come puoi abbracciare tu una persona quale sai che in mo-menti più belli, sì, per soldi, che io facevo. Poi sono cose a scuola che non è sano che genitori non sono a casa. Un sacco di cose psicologiche. E io, quando lei ha avuto esame psicologico al liceo militare, ho preparato per questa. [Intervista a Olga, novembre 2017]

L’amarezza e la lucidità di Olga contrastano con l’accorata insistenza delle altre nel ribadire che cercano in tutti i modi di tenere vivi i legami con i figli, di essere presenti anche nella distanza. I legami comprendono necessariamente i parenti e gli estranei a cui figli e figlie vengono affidati, una relazionalità spesso difficile perché, oltre a inviare denaro per il mantenimento dei figli, queste persone chiedono spesso di essere pagate, in cambio di ospitalità o di servizi. In alcune di queste interviste, come in quella di Catarina, colpisce come la rete di persone sulle quali contare mentre si è assenti sia limitata, al punto da non sapere a chi affidare le figlie. Forse per l’importanza del compito, forse per la fiducia che richiede, o forse perché quello che si cerca sino all’ultimo di fare è lasciare la prole nella propria casa, senza trasferirla altrove. Come se la relazio-nalità avesse quale campo privilegiato la casa, a darle fondamento e durata. I giorni sono segnati dalle telefonate o dalle chiamate via WhatsApp, uno dietro l’altro, nell’attesa delle vacanze e del ritorno.