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di nullità del provvedimento amministrativo.

Con l’inizio del Ventunesimo secolo, nel quadro evolutivo appena descritto si è innestata una produzione normativa che ha incarnato l’intento diffuso di “svecchiare” il diritto amministrativo, affrancandolo dalla concezione ottocentesca che lo voleva solo quale sistema di regole volte a tutelare il privato da provvedimenti amministrativi degradanti i diritti in interessi legittimi mediante il meccanismo impugnatorio dell’azione costitutiva d’annullamento.

Un grosso contributo in tal senso è stato fornito dalla già citata Legge n. 205 del 2000 che, per come si è già visto nel primo capitolo, con la previsione dell’articolo 7, comma 4, ha attribuito al giudice amministrativo, anche nell’ambito della sua competenza generale di legittimità, il potere di emanare nei confronti dell’amministrazione sentenze di accertamento e condanna al risarcimento del danno, vuoi in forma generica vuoi in forma specifica260.

L’introduzione dell’articolo 21 bis della Legge istitutiva dei T.A.R., poi, ha per la prima volta previsto una disciplina espressa per la tutela degli interessi legittimi pretensivi261 disponendo che nel caso di accoglimento del ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, il giudice amministrativo possa ordinare a questa di provvedere262 entro trenta giorni e, nel caso di perdurante inadempimento, nominare provvedimento e sarebbe stato il vizio dell’atto adottato in carenza di potere, cui consegue, come reazione sanzionatoria, la nullità del provvedimento Così CAVALLO B., Provvedimenti ed atti amministrativi, in

Trattato di diritto amministrativo, diretto da SANTANIELLO G., III, Padova, 1993, p. 300.

260 Sul tema della risarcibilità del danno da lesione dell’interesse legittimo deve intendersi qui richiamato quanto esposto nel paragrafo 13 del primo capitolo e nel paragrafo 4 del secondo capitolo.

261 Sulla tutela avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione si richiama quanto già detto in precedenza nella nota n. 250.

262La norma, non chiarendo quale debba essere il contenuto dell’ordine di provvedere rivolto dal giudice all’amministrazione, aveva sollevato il dubbio se il ricorrente potesse far valere soltanto la posizione giuridica procedimentale (strumentale in rapporto all’azione amministrativa), piuttosto che la posizione giuridica finale, teleologicamente orientata all’ottenimento del provvedimento favorevole dell’amministrazione. Non si sapeva, inoltre, se nell’ambito della generalità delle controversie sottoposte alla sua cognizione, il giudice amministrativo potesse conoscere anche del merito, pronunziandosi anche sul rapporto, senza i vincoli del giudizio di legittimità. Rimaneva oscuro, infine, quali fossero i poteri del giudice nel caso di silenzio su attività vincolata dell’amministrazione. L’Adunanza Plenaria, chiamata a

un commissario ad acta che la sostituisca nel compimento degli atti dovuti. In tal modo s’è inteso affrancare l’azione proposta contro l’inerzia della pubblica amministrazione dagli schemi tradizionali dell’azione di annullamento e si è tipizzata un’ulteriore azione di accertamento e di condanna propria del giudice amministrativo.

Sulla stessa scia, sempre la Legge n. 205 del 2000, riformando all’articolo 3 il sistema di norme sulle misure cautelari nel processo amministrativo, ha previsto che la domanda cautelare possa essere formulata anche quando il pregiudizio grave e irreparabile derivi da un comportamento inerte dell’amministrazione. Ha, inoltre, sganciato la tutela giurisdizionale del giudice amministrativo dal carattere della rigorosa tipicità, introducendo il principio delle atipicità delle misure cautelari ed ha, infine, previsto un’ulteriore possibilità per il giudice amministrativo di emettere un

pronunciarsi sulla questione se la cognizione del Giudice amministrativo sia limitata all’accertamento della illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, ovvero si estenda all’esame della fondatezza della pretesa sostanziale del privato, ha stabilito, nella già citata pronuncia n. 1 del 2002, pubblicata tra l’altro in Urbanistica e appalti, 2002, 4, p. 420, con nota di TARANTINO L., e in Foro Italiano, 2002, III, 227, con nota di TRAVI A., i seguenti principi: a) “l’art. 21 bis identifica l’oggetto del ricorso nel silenzio (co.

1), senza fare alcun riferimento alla pretesa sostanziale del ricorrente” e, pertanto, “se ne deve dedurre che il legislatore ha inteso circoscrivere il giudizio alla inattività dell’amministrazione”; b) il giudizio sul

silenzio “si collega al dovere delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento mediante

l’adozione di un provvedimento espresso nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad un’istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, come prescrive l’art. 2, co. 2, della legge 241/90”; c) “la scelta operata dal legislatore si allinea al principio generale che assegna la cura dell’interesse pubblico all’amministrazione e al giudice amministrativo, nelle aree in cui l’amministrazione è titolare di potestà pubbliche, il solo controllo sulla legittimità dell’esercizio della potestà. Questo schema viene superato mediante l’attribuzione al giudice del potere di riformare l’atto o sostituirlo in via diretta e immediata, in sede di accoglimento del ricorso (art. 26, co. II, della legge 1034/71). Tuttavia, proprio perché derogativi del principio predetto, i casi di ingerenza del giudice nella sfera dell’attività pubblicistica dell’amministrazione sono previsti da esplicite norme autorizzative (art. 6, co. II e art. 7, commi I e IV, della legge 1034/71)”; d) il potere di mero accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di provvedere

si profila anche con riferimento ai casi di attività vincolata della Pubblica Amministrazione, in quanto il legislatore ha inteso definire “una disciplina unica e differenziata, valida in tutti i casi in cui

l'amministrazione si sottragga al dovere di adottare un atto autoritativo esplicito. Sotto questo profilo sono irrilevanti i presupposti di fatto del provvedimento; è determinante che il silenzio riguardi l’esercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del privato si configuri come un interesse legittimo”.

provvedimento di condanna dell’amministrazione, prevedendo la possibilità per il giudice di ingiungere all’amministrazione il pagamento di una somma di denaro263. Con l’opera di novellazione della Legge n. 241 del 1990264, quindi, si è proceduto,

263 Va evidenziato come con la Legge n. 205 del 2000 si è passati da un sistema di tutela cautelare esclusivamente tipica ad un sistema di tutela cautelare esclusivamente atipica, nel quale la Legge non fissa l’oggetto ed il contenuto del provvedimento cautelare. Il testo della norma, che pure s’ispira a quello dell’articolo 700 C.p.c., non prevede però una tutela residuale, bensì unica. La nuova tutela cautelare, inoltre, si caratterizza per essere una tutela piena, in quanto prevista anche per i casi nei quali l’amministrazione non si pronuncia sull’istanza del privato ed è limitata solo dal principio generale di non ingerenza dell’Autorità giudiziaria nel merito amministrativo (tranne che nei casi di giurisdizione di merito, ovviamente) e da quello della provvisorietà del provvedimento cautelare che non può e non deve sostituirsi alla sentenza, che deve rimanere il provvedimento conclusivo con cui si decide il giudizio.

264 Opera di novellazione attuata mediante la Legge n. 15 del 2005 e la Legge n. 80 dello stesso anno (che ha apportato alcune modifiche agli articoli già novellati 2, 18, 19, 20, 21 e 25). La citata Legge n.15, al pari della Legge n 241 del 1990, ha avuto un iter parlamentare assai complesso. L’originario testo dell’A.C. n. 6844, approvato dalla Camera dei Deputati il 25 novembre 2000, infatti, decadde a causa dello scadere della Legislatura. Approvato nuovamente dal Consiglio dei Ministri il 7 marzo 2002, fu ripresentato in Parlamento quale A.S. n. 1281, e subì una lunga fase di “navette” essendo stato approvato dal Senato il 10 aprile 2003, trasmesso alla Camera che, il 14 gennaio 2004, lo approvò con modificazioni quale A.C. n. 3890. Ritrasmesso al Senato, il 21 luglio 2004, fu approvato con modificazioni quale A.S. n. 1281-B. Ritrasmesso alla Camera, infine, fu approvato senza altre modificazioni il 25 gennaio 2005. Giova ricordare che alla predetta opera di novellazione ne è, di recente, seguita una seconda ad opera del Decreto legislativo n. 69 del 2009. Il legislatore ha, innanzitutto, portato nuovamente da nvanta a trenta giorni - come era nella formulazione originaria della Legge n.. 241 del 1990 - il termine entro cui devono concludersi i procedimenti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, salvo che non sia individuato un termine diverso da disposizioni di legge, da decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o da atti di Autorità di garanzia e di vigilanza. Come previsto, con i predetti decreti è possibile stabilire termini non superiori a novanta giorni, mentre “Nei casi in cui tenendo conto della sostenibilità

dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento (…)”, siano indispensabili termini maggiori a 90 giorni,

essi comunque non possono superare i 180 giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione. La Legge n. 69 del 2009 specifica, poi, che restano ferme le disposizioni vigenti in materia ambientale che prevedono termini diversi, così come per i procedimenti di verifica o autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali, archeologici, artistici e paesaggistici, rimangono in vigore i termini stabiliti dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio. L’articolo 7 della Legge n. 69 ha, inoltre, stabilito che continuano ad applicarsi le disposizioni regolamentari, vigenti alla data del 4 luglio scorso, che prevedono termini non superiori a 90 giorni per la conclusione dei procedimenti, mentre le disposizioni regolamentari che prevedono termini superiori a 90 giorni cesseranno di avere effetto a

per la prima volta, a sganciare l’esperibilità del ricorso innanzi al giudice amministrativo dal rigoroso termine decadenziale di sessanta giorni previsto per le azioni impugnative, prevedendo la possibilità per il privato di ottenere tutela rispetto all’inerzia dell’amministrazione senza l’onere della diffida e nel termine decadenziale di un anno dalla scadenza dei termini concessi all’amministrazione per provvedere.

Si è, inoltre, stabilito che il giudice amministrativo possa anche conoscere della fondatezza della pretesa fatta valere dal privato a seguito della mancato provvedimento dell’amministrazione 265, individuando così un’ulteriore fattispecie

decorrere dal 4 luglio 2010. Ai sensi della nuova normativa, inoltre, la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, di cui si tiene conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato, e l’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento può essere fonte di responsabilità per danni. Come precisato all’articolo 2 –bis della Legge n. 241, introdotto dalla Legge n. 69, poi, il diritto al risarcimento del danno ingiusto si prescrive in cinque anni e le controversie in materia sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Con l’integrazione dell’articolo 29 della Legge n. 241, ad opera dell’articolo 10 della Legge n. 69, è stato inoltre stabilito che la disposizione inerente l’obbligo di concludere il procedimento entro il termine prefissato attiene ai livelli essenziali delle prestazioni che concernono i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (articolo 117, c. 2, lettera m) della Costituzione) e sulla cui determinazione lo Stato ha legislazione esclusiva. Attengono, altresì, ai livelli essenziali delle prestazioni suddette le norme della Legge n. 241 riguardanti gli obblighi dell’amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, le disposizioni della medesima legge relative alla durata massima dei procedimenti e quelle concernenti la dichiarazione di inizio attività ed il silenzio assenso. Le regioni e gli enti locali, dunque, nel regolamentare i procedimenti amministrativi di loro competenza, possono solo prevedere, a favore dei privati, livelli di tutela ulteriori rispetto a quelli assicurati dalle disposizioni riguardanti i livelli essenziali delle prestazioni sopra dette, non potendo stabilire garanzie inferiori.

265 Va precisato che la predetta facoltà è stata generalmente interpretata in modo restrittivo, affermando che la stessa possa essere esercitata nelle sole ipotesi in cui la decisione sulla domanda del privato presupponga un’attività amministrativa vincolata. Diversamente, in tutti i casi nei quali ricorrano margini di discrezionalità amministrativa o tecnica, si è reputato che il giudice debba limitarsi a dichiarare la sussistenza (o meno dell’obbligo di provvedere). In tal senso si veda GIOVAGNOLI R., I silenzi della

pubblica amministrazione dopo la legge n. 80 /2005, Milano, 2005, p.158. In giurisprudenza si vedano:

T.A.R. Abruzzo, Pescara, n. 45 del 2007, in www.giustizia-amministrativa.it, che afferma la possibilità per il giudice amministrativo, in sede di decisione di un ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, di operare la verifica della fondatezza dell’istanza deve ritenersi limitata ai casi in cui venga in rilievo

nella quale consentire al giudice amministrativo di pronunciare una sentenza di accertamento e condanna nei confronti dell’amministrazione.

Sempre con la Legge n. 15 del 2005 (e qui si giunge al tema principale della nostra trattazione), poi, si è introdotto il nuovo capo IV bis della Legge n. 241 del 1990, che ha codificato per la prima volta in una norma di diritto sostanziale i vizi del provvedimento amministrativo ed ha fissato all’articolo 21 septies la norma di portata generale, della quale si accennava all’inizio del capitolo, sulla nullità del provvedimento stesso266.

Più in particolare, il legislatore in merito all’annullabilità s’è limitato a confermare ciò che già era previsto dalla norma processuale (si fa riferimento al citato Testo unico del Consiglio di Stato) e che nessuno aveva mai messo in discussione, e cioè che l’annullabilità è generata dalla violazione di legge,

un’attività interamente vincolata dell’amministrazione che postuli accertamenti valutativi complessi. Più di recente, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 5013 del 28 settembre 2007, in

www.giustizia-amministrativa.it, nella quale si condivide il predetto orientamento precisandosi, tuttavia, che il nuovo

potere conferito al giudice nei procedimenti in questione, pur in presenza di attività astrattamente discrezionale, non dia spazio a scelte alternative in relazione alla fattispecie concreta in ragione delle peculiarità emergenti dal complessivo procedimento percorso. Diversamente, v’è stato chi ha sostenuto che il giudizio di fondatezza de quo debba essere inteso quale nuovo caso di giurisdizione di merito: così SCOCA F.G., Giustizia amministrativa, Torino, 2005, p. 169. In tal senso, in giurisprudenza si vedano: Tar Veneto, Sezione III, n. 430419 del 2005, rinvenibile in www.giustamm.it ; Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, Sezione giurisdizionale, decisione n. 726 del 2005, anch’essa rinvenibile su www.giustamm.it nella quale si ritiene che, il giudizio sul silenzio dell’amministrazione ancorché definito come rito camerale, in realtà risponde ai requisiti di un processo a cognizione piena, e la previsione che il giudice amministrativo possa “conoscere della fondatezza dell’istanza” deve essere interpretato come attribuzione al giudice di provvedere sull’oggetto del giudizio, che non può essere ridotto al silenzio, ma comprende anche la fondatezza della domanda. Si tratterebbe, quindi, secondo il C.G.A. di una giurisdizione di merito.

266 Giova, preliminarmente, evidenziare che la norma in questione sarebbe riferibile e, dunque, applicabile solo al provvedimento amministrativo e non anche agli atti amministrativi. Dal dato letterale della norma, infatti, si ricava che gli altri atti amministrativi diversi dai provvedimenti (tra i quali spiccano per importanza gli atti endoprocedimentali) non sarebbero inficiati in nessuno dei casi per i quali è prevista la nullità del provvedimento. Sotto il profilo dei limiti temporali di efficacia della norma, invece, la Sezione IV del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 6023 del 2005, ha affermato che la norma in questione ha “carattere procedimentale e non processuale, e trova immediata applicazione ai

dall’incompetenza e dall’eccesso di potere. In merito alla nullità, invece, ha adottato una scelta più complessa: cercando di prendere posizione nel tormentato dibattito esistito ed esistente sul tema, infatti, ha inteso tradurre in norma i risultati a cui dottrina e giurisprudenza erano approdati attraverso il lungo processo evolutivo descritto nei precedenti due paragrafi.

La normativa in esame, allora, ha individuato quattro casi tassativi nei quali il provvedimento amministrativo è affetto da nullità: la violazione di norme di leggi che espressamente prevedono la nullità del provvedimento per detta circostanza, il difetto assoluto di attribuzione, la presenza di vizi strutturali essenziali ed, infine, la violazione o l’elusione del giudicato267.

Le intenzioni del legislatore di fare chiarezza in merito al vizio della nullità, come si vedrà a breve, hanno però trovato solo parziale realizzazione, essendo risultato il testo dell’articolo 21 septies lacunoso in alcuni passaggi (si fa riferimento alla mancata indicazione di quali siano i casi di nullità strutturale ed al problema

267 In tal senso si veda quanto affermato dal relatore della legge, CERULLI IRELLI V., in Osservazioni

generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in www.giustamm.it, 2005, 2: “A partire da una serie di decisioni assai note del 1992 (Cons. Stato, ad .pl. n.1,2, e altre del 1992) la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha iniziato una nuova fase, secondo la quale, almeno in alcuni casi, le prescrizioni legislative circa la nullità di atti amministrativi vadano intese come ipotesi di vera e propria nullità <intesa in senso civilistico e pertanto imprescrittibile, insanabile e rilevabile d’ufficio>. A questa ipotesi sicuramente si ascrive quella già menzionata di cui all’art.3 del T.U. (l’assunzione degli impieghi senza il ricorso prescritto per le singole carriere è nulla di diritto e non produce alcun effetto a carico dell’amministrazione); e di recente, sicuramente vanno ascritte alla categoria le ipotesi previste dal d.lgs. n 444/1994. E ipotesi di nullità, a prescindere da singole disposizioni di legge, vengono riscontrate dalla giurisprudenza, negli anni più recenti, a proposito di atti adottati in elusione del giudicato (ad esempio, Cons. Stato, IV, n. 1001/2000; V, n. 1231/1996). Tale unità, che la giurisprudenza estende anche agli atti elusivi delle sentenze di primo grado non sospese, opera nei casi in cui, come dice la giurisprudenza <l’atto si pone integralmente in contrasto con il precedente giudicato, e non anche quando l’atto si sorregge su una pluralità di ragioni giustificatrici> (ad esempio, Cons. Stato, V, n. 494/1993); segnatamente laddove secondo le statuizioni della sentenza da eseguire, <residui all’amministrazione un potere discrezionale>. Possiamo dunque affermare, che pur nel silenzio delle leggi, a parte le ipotesi singolari sopra ricordate, la categoria della nullità degli atti amministrativi sia già da tempo entrata nel contesto del nostro ordinamento; per la via, come di consueto, dell’interpretazione giurisprudenziale. La nuova norma recepisce nella sostanza questi orientamenti, trasformandoli in prescrizioni legislative; e perciò dando luogo a molteplici conseguenze di ordine positivo”.

dell’individuazione degli elementi essenziali del provvedimento)268 ed essendo il processo amministrativo sprovvisto di regole espresse idonee a disciplinare le azioni atte a fare valere il vizio della nullità269.

4. Le nullità previste dall’articolo 21 septies: le sorti della c.d. nullità virtuale