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Segue: la legittimazione ad agire e la rilevabilità d’ufficio della nullità del

Passando ora a valutare quale è il soggetto legittimato ad agire per fare valere il vizio della nullità del provvedimento amministrativo, va detto che comunemente l’azione di nullità è esercitabile da chiunque vi abbia interesse, in forza di quanto disposto dall’articolo 1421 del Codice civile.

Ovviamente l’affermazione secondo cui ogni interessato può agire e far rilevare la nullità deve fare i conti con i consueti limiti espressi dall’articolo 100 del Codice di procedura civile, che comporta per chi agisce l’onere di dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire321, e ciò in quanto l’azione di nullità non è di tipo popolare, attribuita a quivis de populo, quanto piuttosto riservata ad una categoria più ampia rispetto a quella costituita da coloro che hanno partecipato all’atto che si assume nullo ma pur sempre limitata dall’interesse ad agire, consistente nella necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale di una propria posizione giuridica soggettiva ed il conseguente danno alla propria sfera, derivante come effetto dell’atto di cui si deduce la nullità.

Ora, questa ampiezza di legittimazione dell’azione di nullità, che nel diritto civile segna nettamente la differenza tra il vizio della nullità e quello dell’annullabilità dell’atto o negozio giuridico, nel diritto amministrativo risulta piuttosto marginale e può dirsi quasi scolastica, in quanto nel processo amministrativo la legittimazione a fare valere l’annullabilità del provvedimento è già ampia e non limitata come quella prevista per fare valere l’annullabilità del negozio giuridico. Anzi, la caratteristica saliente della posizione giuridica dell’interesse legittimo fatto valere nel processo amministrativo è proprio quella di fare normalmente capo anche a soggetti terzi rispetto ai destinatari immediati degli effetti dell’atto amministrativo.

È per questo che la legittimazione a far valere la nullità può essere estesa senza troppi problemi a chiunque abbia un interesse concreto a far pronunciare al giudice

321 Così: Cassazione Civile n. 1553 del 17 marzo 1981, in Massimario giuridico italiano, 1981; Cassazione Civile n. 1475 del 9 marzo 1982, in Foro italiano, 1982, I, 654; Cassazione Civile, Sezione III, 11 gennaio 2001, n. 338, in Contratti, 2001, 5, p. 456; Cassazione Civile, Sezione II, 15 aprile 2002, n. 5420, in Archivio Civile, 1993, p. 192; Cassazione Civile, 28 aprile 2004, n. 8135, in Contratti, 2004, 12, 1085, con nota di VALENTINI A..

una sentenza dichiarativa che abbia come effetto quello di rimuovere ogni dubbio sul provvedimento impugnato e spazzare via, in tal modo, gli effetti che, di fatto, il provvedimento nullo ha prodotto nel mondo giuridico.

Un approccio più complesso richiede, invece, il problema della rilevabilità d’ufficio della nullità: la giurisprudenza del giudice amministrativo, infatti, pronunciandosi in materia di nullità e più precisamente in materia di pubblico impiego, ha posto in dubbio il principio per il quale la nullità del provvedimento amministrativo possa essere rilevata d’ufficio, non essendo accertabile in giudizio al solo fine di tutelare la legalità dell’azione amministrativa322.

Dal canto suo la Suprema Corte di Cassazione, in relazione al regime delle nullità nel diritto civile, ha costantemente323 sostenuto che il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto debba coordinarsi sia con il principio della domanda, sancito dall’articolo 99 del Codice di procedura civile, sia con quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, previsto dall’articolo 112 dello stesso Codice di rito.

Detti principi, che costituiscono un limite assoluto alla pronuncia del giudice, fanno si che solo le eccezioni (e non già le eccezioni in senso stretto) siano oggetto di pronuncia senza apposita domanda, in quanto esse sono dirette a negare i fatti costitutivi della pretesa attorea o ad affermare fatti impeditivi o estintivi ed attengono a situazioni già implicitamente dedotte dalla formulazione della domanda. La rilevabilità d’ufficio della nullità sarebbe ammissibile ogni qualvolta essa contraddice la domanda impedendone l’accoglimento.

322 Sull’ammissibilità della rilevabilità d’ufficio della nullità in materia di pubblico impiego si vedano: Consiglio di Stato, Sez. V., 11 maggio 2004, n. 2933, pubblicata in Foro Amministrativo CDS, 2004, p. 1421; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 13 aprile 2004, n. 2443; la già citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria, 5 marzo 1992, n. 5, pubblicata in Giurisprudenza Italiana, 1993, III,1, p. 500. In dottrina, sul punto, si veda PONTE D., La nullità del provvedimento amministrativo, Milano, 2007, pp. 131 e ss..

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Tra le pronunce più importanti sulla rilevabilità d’ufficio della nullità nella sola ipotesi di domanda di adempimento del contratto si vedano: Cassazione Civile, n. 3937 del 1958, in Giurisprudenza italiana, 1959, I, 1, p. 760; Cassazione Civile, n.1127 del 1970, in Foro italiano, 1970, I, 1907, con nota di PROTO PISANI A. e in Foro padano, 1971, I, p. 742, con nota di IRTI N., Risoluzione di contratto

nullo; Cassazione Civile, n. 244 del 1972; idem, n.1532 del 1976; idem, n. 5295 del 1978; idem, 1903 del

1987; idem, n. 1340 del 1994; idem, n.123 del 2000; idem, n. 2435 del 2003; idem, n. 12627 del 2006;

Qualora, invece, la nullità configuri una ragione che favorisce la pretesa attorea, sia pure in termini diversi da quelli prospettati dalla domanda, essa non opera nel campo delle eccezioni ma s’iscrive nella zona delle difese dell’attore, della domanda che l’attore avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto. Ne discende che la rilevabilità d’ufficio è consentita quando essa si pone come ragione di rigetto della pretesa dell’attore e ciò si verifica quando l’attore invoca il riconoscimento o l’adempimento di un suo diritto nascente nel contratto. Di contro, quando l’attore intende escludere o eliminare gli effetti del contratto per ragioni diverse dalla nullità, quali l’annullamento, la rescissione o la risoluzione, ciò non si verifica (se così non fosse, si attribuirebbe all’attore un risultato superiore a quello rivendicato, in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato).

Secondo questo orientamento della Suprema Corte, pertanto, la regola della rilevabilità ex officio della nullità del contratto sancita dall’articolo 1421 del Codice civile sarebbe operante se ad essere proposta sia stata un’azione per l’esecuzione del negozio, non anche se si è in presenza di altre azioni (risoluzione, rescissione o annullamento).

Di recente, tuttavia, la predetta tesi giurisprudenziale è stata nuovamente sottoposta a revisione da parte di chi ha ritenuto che non vi sarebbero ostacoli alla rilevabilità d’ufficio della nullità e che anche le domande di risoluzione per inadempimento e di annullamento, al pari di domande di adempimento ed esecuzione, presupporrebbero la non nullità del contratto e costituirebbero uno strumento giuridico per eliminarne gli effetti. Collocando la nullità nell’ambito della domanda, infatti, il rilievo incidentale e d’ufficio della nullità del contratto di cui è stato chiesto l’annullamento, atterrebbe alla domanda di annullamento stessa e non eccederebbe il principio fissato dal citato articolo 112, in relazione al limite che la domanda di parte pone ai poteri del giudice324.

324 In questo senso si vedano: IRTI N., Risoluzione di contratto nullo, cit., p. 746; SACCO R., voce

Nullità e annullabilità, in Dig.disc.priv., vol. XII, 1995, p. 306, secondo cui il giudice dovrebbe rilevare

sempre la causa di nullità, non solo perché lo impone la legge, ma anche perché lo esige la logica (“se così non fosse, non si vedrebbe in che consista il compito del giudice, di qualificare d’ufficio le fattispecie che gli sono sottoposte”); BIANCA C. M., Diritto civile, vol. III, Milano, 1987, p. 590; CONSOLO C., La Cassazione prosegue nel suo dialogo con l’art. 1421 c.c. e trova la soluzione più

Sulla scia di queste osservazioni, anche la giurisprudenza della Cassazione è tornata sui suoi passi ed ha affermato che la nullità del contratto posto a base di una domanda giudiziale può essere rilevata d’ufficio non solo nel caso in cui la domanda proposta sia quella di esatto adempimento, ma anche nei casi in cui la domanda proposta sia costitutiva nei confronti dello stesso negozio (ossia una domanda di annullamento, o di rescissione, o di risoluzione per inadempimento)325.

Il contrasto giurisprudenziale e dottrinale in materia è, comunque, rimasto vivo poiché la posizione che esclude la rilevazione in un giudizio di annullamento (o di risoluzione) s’è rivelata criticabile oltre che per le ragioni sopra esposte, anche per le conseguenze che essa determina in tema di giudicato. La giurisprudenza ha, infatti, confuso due piani da tenere ben distinti: anziché restringere la formazione del giudicato ai casi in cui l’azione di nullità è proposta ed allargare il rilevamento incidentale d’ufficio della nullità a tutti i casi possibili, essa ha esteso la formazione del giudicato a tutti i casi in cui la nullità è rilevabile e poi ha ristretto l’area in cui la nullità è rilevabile ai casi in cui è proposta vuoi l’azione di nullità, vuoi l’azione di adempimento.

La tesi favorevole a riconoscere il carattere generale della rilevabilità d’ufficio della nullità non consente, parimenti, di ottenere risultati più appaganti, in quanto oscilla tra l’ammettere la rilevazione incidentale della nullità e il rifiutare che la rilevazione d’ufficio della nullità sia fatto diverso dalla declaratoria di nullità.

In tal modo la stessa Cassazione, che partendo dalla distinzione tra pregiudiziale in senso tecnico ed in senso logico326 aveva prima riconosciuto efficacia di giudicato

proporzionata (la nullità del contratto va sempre rilevata, ma non si forma “ad ogni effetto” il giudicato), in Corriere giuridico, 2006, p. 1418.

325 Così Cassazione Civile, Sezione III, n. 6170 del 22 marzo 2005, in Corriere giuridico, 2005, 962, con nota di MARICONDA V., La Cassazione rilegge l’art. 1421 c.c. e si corregge: è vera svolta?; pronuncia seguita poi da Cassazione Civile, Sez. III, n. 11356 del 16 maggio 2006, ma cfr. già, con specifico riferimento alla domanda di risoluzione del contratto, Cassazione Civile, n. 578 del 1970; Cassazione Civile, n.555 del 28 gennaio 1986, e, in relazione ad una domanda di annullamento, Cassazione Civile, n. 2858 del 2 aprile 1997.

326 Così la già citata Cassazione Civile, Sezione III, n. 6170 del 2005, nella quale si legge: “Premesso che

con la locuzione pregiudiziale in senso logico si indica il fatto costitutivo del diritto che si fa valere davanti al giudice (c.d. punto pregiudiziale) o, come si sostiene in dottrina, il rapporto giuridico dal quale nasce l’effetto dedotto in giudizio, è indubbio che, in base ad una tesi costantemente affermata

implicito all’accertata questione pregiudiziale di nullità del contratto, appena un anno dopo ha precisato in maniera più moderata sotto il profilo dei limiti oggettivi del giudicato327, che il giudicato non copre sia il dedotto sia il deducibile ed ha ritenuto che “l’accettazione tout court del principio secondo cui il giudicato

implicito va considerato esteso agli antecedenti che della pronunzia costituiscono la premessa o gli indefettibili presupposti logici, precludendo quindi il riesame non solo delle questioni pregiudiziali ex art. 34 c.p.c., ma anche dei cd. diritti pregiudiziali, può condurre a risultati eccessivi”328.

Ora, accedendo a quest’ultima tesi e trasponendola nel processo amministrativo si ottiene il risultato che il giudice amministrativo possa sempre rilevare incidentalmente la nullità dell’atto impugnato, realizzando de facto una sorta di disapplicazione del provvedimento amministrativo.

Questa soluzione rimane ammissibile solo se si accetta che la finalità del processo amministrativo sia quella di garantire la legittimità dell’azione amministrativa. In realtà, però, si è visto che la finalità per la quale la nostra Carta costituzionale ha confermato il preesistente sistema di giustizia amministrativa è quello di fornire tutela alle posizioni giuridiche di interesse legittimo e, in alcuni casi, anche di diritto soggettivo ad esse collegate329.

Se allora è impensabile che, a Costituzione invariata, si realizzi l’avvento di una sorta di processo amministrativo inquisitorio, nel quale esiste un pubblico ministero che garantisce il rispetto della giustizia là dove vi sia stata una violazione di legge nell’esercizio dell’azione amministrativa, è al contempo auspicabile che, non solo ai

dalla giurisprudenza di legittimità, l’efficacia del giudicato copre, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma anche l’accertamento che si presenta come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico della pronuncia medesima (c.d. giudicato implicito)”.

327 Così anche CONSOLO C., La Cassazione prosegue nel suo dialogo con l’art. 1421 c.c. e trova la

soluzione più proporzionata (la nullità del contratto va sempre rilevata, ma non si forma “ad ogni effetto” il giudicato), in Corriere giuridico, 2006, pp. 1418 e ss..

328 Così Cassazione Civile, Sezione III, n. 11356 del 16 maggio 2006, nella quale si legge anche che: “va

in ogni caso escluso che il giudicato possa intendersi riferito non già alle ragioni concretamente poste a base della domanda e divenute oggetto di discussione, bensì estese sempre e comunque con riferimento all’intero rapporto dedotto in giudizio”.

329 Sul punto deve intendersi qui richiamato quanto detto nel paragrafo 5 del capitolo I in merito all’originario dibattito sviluppatosi sulla natura e sulle finalità del processo amministrativo.

fini della tutela delle posizioni giuridiche soggettive ma anche ai fini del rispetto del principio della celerità dei processi e della concentrazione delle azioni giudiziarie, il giudice amministrativo possa rilevare nel contraddittorio del giudizio la nullità di un provvedimento di cui è stato chiesto l’annullamento. Ciò al fine di garantire, senza troppe astrazioni teoriche e fatto salvo il diritto di difesa dell’amministrazione (la quale potrebbe sempre dimostrare la legittimità del proprio provvedimento), sia il pieno diritto del ricorrente alla tutela delle proprie posizioni giuridiche che la speditezza dell’esercizio dell’azione giudiziaria.