Esaurito tale aspetto,l’esame può proseguire evidenziando le riflessioni della Corte sulla questione del valore da attribuire alle attività dibattimentali compiute prima che,per via dell’avvicendamento del presidente,mutasse la sua composizione iniziale.
Lo stimolo ad un chiarimento più dettagliato è offerto,oltre che dall’indubbia rilevanza processuale della scelta operata dalla Corte,anche dall’emanazione del recentissimo Decreto Legge 10.5.1996 n.250 contenente disposizioni in tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati e di incompatibilità.
Desta infatti particolare interesse,tra le norme dettate dal citato provvedimento legislativo,quella prevista dall’art.1,comma secondo,laddove si prevede che “gli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato anteriormente al provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione conservano efficacia.Resta comunque fermo quanto previsto dall’art. 511 del Codice di procedura penale e dalle altre disposizioni del medesimo codice in materia di utilizzabilità degli atti”.
Non vi è chi non colga l’affinità del tema su cui è intervenuto il legislatore con quello che ha formato oggetto dei provvedimenti emessi da questa Corte.
In entrambi i casi infatti il presupposto è costituito da una situazione per cui una fase del giudizio,nell’ambito della quale sono state già compiute attività processuali da parte del giudice inizialmente investito della responsabilità della conduzione,sia poi definita da un giudice diverso.
Ed in entrambi i casi la questione più rilevante,tra quelle direttamente conseguenti alla mutazione del giudice,consiste nell’individuare una corretta soluzione in merito all’uso dei risultati prodotti dalle attività precedenti tale evento.
Non occorre altro allora per giustificare l’interesse della Corte nei riguardi della materia oggetto del D.L. n.250.
Delimitato in tal modo il tema della riflessione,si riporteranno anche in questo caso,e per le medesime motivazioni utilizzate in precedenza,i passaggi più salienti dell’ordinanza dell’8.11.1995..
Affermava dunque la Corte che: “...deve considerarsi,anche alla stregua dei principi affermati dalla Corte Costituzionale,con pronuncia n.17 del 3.2.1994,che
l’attività probatoria espletata nella precedente fase dibattimentale innanzi a questo Giudice,in diversa composizione,è attività legittimamente compiuta in quanto raccolta nella pienezza del contraddittorio di tutte le parti e nel rituale rispetto delle regole che presidedono al suo svolgimento;...l’anzidetta attività probatoria è stata ritualmente trasfusa nei verbali di udienza,con annesse trascrizioni,che,a norma degli arrt. 480,comma secondo,e 515 C.P.P.,fanno parte integrante del fascicolo per il dibattimento,nella prospettazione dinamiica sottolineata dall’anzidetta pronuncia della Corte Costituzionale;...il riconoscimento della legittimità delle precedenti risultanze probatorie è peraltro reclamato dall’irrinunciabile rispetto dei canoni della non dispersione o conservazione dei mezzi di prova,della concentrazione del procedimento e della non usura delle fonti di prova già ritualmente attivate,con i quali va necessariamente contemperato il principio dell’oralità;...l’utilizzabilità delle anzidette emergenze è assicurata dallo strumento processuale della lettura ai sensi dell’art. 511,comma secondo;...il diritto delle parti di ottenere il nuovo esame delle persone già ascoltate resta subordinato,in applicazione analogica dell’art. 238,ultimo comma,ai criteri della non superfluità e rilevanza,nonchè dell’assoluta necessità della loro esclusione”.
Questi sono dunque i principi affermati dalla Corte ed in applicazione dei quali è stata assunta la decisione di riconoscere piena legittimità ed efficacia alle attività compiute prima del mutamento della composizione.
Resta adesso da vedere se questa visione abbia o meno trovato conferme nelle
La Corte ritiene che tali conferme ci siano state.
Il primo,e certo il più rilevante,tra i principi che hanno guidato il legislatore del 1996 è indubbiamente quello del riconoscimento dell’efficacia delle attività pregresse.
Non occorrono sul punto raffinate operazioni ermeneutiche giacchè tale conclusione si ricava dallo stesso tenore letterale dell’art. 1,comma secondo,già integralmente riportato in precedenza.
Un altro passaggio di rilievo del D.L. n.250 è quello costituito dal richiamo,in tema di utilizzabilità degli atti,ai meccanismi dettati dall’art. 511 e dalle altre disposizioni regolanti lo stesso oggetto .
Chi si limitasse ad uno sguardo superficiale sul punto potrebbe pervenire,sulla scorta tra l’altro delle disposizioni dell’art. 238,alla conclusione che il legislatore abbia inteso sancire il principio della necessità del consenso delle parti allorchè si tratti di disporre la lettura dei verbali di dichiarazioni senza che abbia luogo l’esame delle persone che quelle dichiarazioni hanno rese.
Un esame più attento porta invece ad individuare una differente soluzione.
Essa nasce dalla formulazione letterale dell’ultimo inciso dell’art. 511,comma secondo,C.P.P. allorchè viene detto “ a meno che l’esame non abbia luogo”.
La formula utilizzata,e soprattutto la sua differenza rispetto a quella che pure si sarebbe potuta astrattamente prevedere “ a meno che l’esame non possa aver luogo”
non può che comportare un ampliamento dei poteri discrezionali del giudice il quale può decidere di utilizzare i verbali di dichiarazioni non solo nei casi in cui risulti
impossibile far luogo all’esame ma anche quando l’esame stesso sia contrario ai criteri di ragionevolezza ed utilità processuale di cui si rinviene una traccia evidente negli articoli 190 bis,238 e 495 C.P.P.
E’ quindi del tutto evidente che il giudice che procede può prescindere dal consenso delle parti allorchè,a completamento dell’iter valutativo in ordine all’opportunità processuale di procedere all’esame del soggetto delle cui dichiarazioni si tratti,concluda negativamente alla stregua dei criteri prima evidenziati.
Laddove poi si ritenga che l’interpretazione offerta dalla Corte debba lasciare il passo ad argomentazioni di segno contrario con ciò reputandosi necessario il consenso delle parti,si può subito rilevare che quel consenso,nel processo in esame,c’è stato,sia pure soltanto a posteriori.
Non vi è stata infatti alcuna parte processuale che abbia chiesto la lettura effettiva di un qualsivoglia atto processuale.Così come nessuna delle parti ha rifiutato esplicitamente di avvalersi dei risultati probatori acquisiti nella fase precedente il mutamento della composizione della Corte,risultati che anzi sono stati utilizzati a piene mani.
Più in generale,allorchè la Corte,a chiusura dell’ordinaria fase dibattimentale ed in assenza di richieste di lettura ha provveduto ad indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione,nessuna della parti ha sollevato la benchè minima eccezione.
Infine,soltanto come annotazione di dettaglio a completamento delle considerazioni fin qui svolte,deve rilevarsi che l’ampiezza dell’attività istruttoria posta in essere da questo giudice nella sua nuova composizione,attività che ha comportato la ripetizione dell’audizione della quasi totalità dei collaboratori di giustizia e dei soggetti le cui dichiarazioni,a vario titolo,hanno assunto particolare rilievo nell’economia del processo,ha fatto sì che si sia comunque potuto contare su un materiale probatorio tale da comprendere in sè,autonomamente,tutti i temi processuali rilevanti ai fini della decisione.
CRITERI DI VALUTAZIONE DELL’APPORTO DEI