• Non ci sono risultati.

Lelli e Masotti, Tommaso Le Pera e Graziano Arici Fotografi di scena a Milano,

Sezione prima Documento

1. Il valore del documento fotografico per la scena teatrale e performativa

1.3 Il panorama italiano Prolegòmen

1.3.1 I fotografi del teatro istituzionale contemporaneo

1.3.1.1 Lelli e Masotti, Tommaso Le Pera e Graziano Arici Fotografi di scena a Milano,

Roma e Venezia

Silvia Lelli e Roberto Masotti, coppia inossidabile nel lavoro e nella vita, operano in ambito teatrale fin dai primi anni Settanta e creano il loro sodalizio a partire dal 1979, anno in cui iniziano una ventennale collaborazione con il Teatro La Scala di Milano220.

Fotografi di scena competenti in campo lirico, nel balletto, ma anche nell’ambito concertistico, hanno lungamente collaborato con diversi 219 Il principio dei vasi comunicanti. Intervista a Silvia Lelli e Roberto Masotti

riportata in questa tesi, p. 221.

220 Per un quadro esaustivo del percorso fotografico di Lelli e Masotti si vedano, tra

gli altri, La scala nel mondo. Fotografie di Silvia Lelli e Roberto Masotti, Edizione del Teatro alla Scala, Milano 1982; La forma dinamica dell’opera lirica: regie del Teatro alla Scala 1947-1984, Banco Iarano, Como 1984; Teatro alla Scala. Magie della scena, Massimo Baldini Editore, 1985; Dossena A., (a cura di), Luca Ronconi. Inventare l’opera. L’Orfeo, Il viaggio a Reims, Aida: tre opere d’occasione alla Scala, Ubulibri, Milano 1986; Foletto A. (a cura di), Il coro del Teatro alla Scala, Banco Iarano, Milano 1988.

teatri e Festival italiani e internazionali come il Teatro dell’Opera di Roma, il Ravenna Festival o il Festival di Salisburgo, ma anche con singoli autori che li hanno fortemente voluti per seguire particolari periodi delle loro carriere. E’ il caso di Keith Jarrett e i suoi concerti, che Masotti fotografa dal 1969, o del maestro Riccardo Muti, che dal 1978 viene immortalato dalla Lelli dentro e fuori i teatri di tutto il mondo221.

Forti della loro incomparabile flessibilità creativa, i due fotografi si muovono agevolmente tra le varie fisionomie della scena, esplorando un più ampio raggio d’azione che non contempla la sola prosa222, ma

abbraccia piuttosto il multiforme campo delle Performing arts. L’approccio alla fotografia esercitato da Lelli e Masotti appare spesso eclettico e formalmente diverso nei vari periodi, non solo per le differenze stilistiche - per quanto minime - tra i due, ma soprattutto per la capacità di entrambi di sperimentare tecniche e adattarsi alle varie situazioni teatrali.

La firma Lelli e Masotti implica, tuttavia, un criterio di visione stereofonica, elaborata nel tempo e fermamente rivendicata, come rimarca la Lelli:

Nessuna immagine del Teatro alla Scala è firmata dall’uno e dall’altro. Si tratta sempre di un lavoro comune. […] In realtà non abbiamo mai programmato nulla, entrambi abbiamo sempre elaborato con il bianco e nero e con il colore. […] Le fotografie, prese da punti di vista distinti, erano sempre diverse e complementari. […] Il nostro rapporto si basa anche sull’affinità, sul gusto. Abbiamo sempre avuto un approccio 221 Nel 1996 l’editore Leonardo Arte ha pubblicato un volume di fotografie di Silvia

Lelli dedicato a Riccardo Muti e alla sua attività al Teatro La Scala, dal 1986 al 1996. Le fotografie riprendono il maestro da vari punti di vista, sia in fase di prova che durante i concerti, evidenziando tutto il sentimento, l’impeto e la mimica del suo impegno professionale. Cfr. Vergani G., (a cura di), Riccardo Muti dieci anni alla Scala, Leonardo Arte, Firenze 1996. Nel 2001 inoltre, le Edizioni del Teatro alla Scala intitolano al maestro Muti un ulteriore volume, molto articolato e patinato, in cui appaiono le fotografie di Lelli e Masotti insieme a quelle di Erio Piccagliani, Luciano Romano, Andrea Tamoni e Graziella Vigo, Cfr. Triola A., (a cura di), Riccardo Muti alla Scala, Edizioni del Teatro alla Scala, Rizzoli, Milano 2001.

222 Cfr. Il principio dei vasi comunicanti. Intervista a Silvia Lelli e Roberto Masotti, Op.

simile, semplice, nei confronti delle cose, che è stato perfezionato dai molti anni alla Scala. Il Teatro ci ha lasciato liberi di agire secondo il nostro stile223.

Se talvolta appare arduo individuare un principio di riconoscibilità generale, a causa dell’ininterrotto saggiare le occasioni offerte dalle contingenze, la versatilità diviene tuttavia un’opportunità nel passaggio tra i vari generi.“[…] Nel rispetto di ciò che sta avvenendo nei confronti degli artisti e del pubblico, […] si può essere sufficientemente elastici per passare da uno spettacolo all’altro senza problemi” dichiara Silvia Lelli, e aggiunge “quando eravamo alla Scala questo principio […] ha avuto il potere di arricchire e rendere più attuale il modo di fotografare la lirica”224. La sinesi di stili si nutre di una ricerca visiva continua ed

inarrestabile, che spazia tra i vari modi e generi fotografici: il colore e il bianco e nero si alternano in un incessante andirivieni, mentre la visione aperta, che svela inedite relazioni con il contesto, si avvicenda ad accostamenti di taglio formalista.

Negli anni della Scala, le possibilità concesse dal teatro hanno permesso ai due fotografi di attraversare gli spazi della rappresentazione in varie forme, dal punto di ripresa centralizzato e oggettivo, fino all’approccio ravvicinato, realizzato con potenti teleobiettivi225 ma anche in alcuni

casi scattando ‘sotto palco’ con focali corte.

Durante la stagione 1984/1985, la coppia realizza tre reportage dedicati alle messe in scena di Luca Ronconi alla Scala, pubblicati l’anno

223 Madesani A., (a cura di) La Vertigine del Teatro. Fotografie di Silvia Lelli e Roberto

Masotti, Nomos Edizioni, Busto Arsizio (VA) 2010, p. 15.

224 Il principio dei vasi comunicanti. Intervista a Silvia Lelli e Roberto Masotti, in

questa tesi a p. 217.

225 Come indicano i due autori, le molte possibilità offerte da un’attrezzatura

diversificata, hanno ricoperto un ruolo importante: le ottiche fisse grandangolari 21 mm e i teleobiettivi fino a 350 mm, piuttosto che la postazione fissa su cavalletto con un obiettivo 35 mm, fino alla Leica a telemetro, il formato panoramico e persino il medio formato 6x6, hanno consentito di estendere il linguaggio fino a inglobarne tutta la grammatica visiva. Cfr. Madesani A., (a cura di) La Vertigine del Teatro. Fotografie di Silvia Lelli e Roberto Masotti, Op. cit., p. 15.

successivo in un libro a lui consacrato226. L’impianto visivo di queste

serie di fotografie è estremamente variegato: si passa da fotografie ‘classiche’ che prevedono una visione d’insieme, illustrata da diversi punti di vista, che comprendono persino lo scatto da fondo palco verso la sala[fig. 22], a primi piani di cantanti ripresi durante gli assoli o in coro, fino a scene che comprendono il pubblico, sia dentro che all’esterno del teatro [fig. 23].

L’impressione è che i fotografi abbiano ben usufruito della facoltà di muoversi liberamente durante gli spettacoli, riuscendo così a costruire una narrazione molto ricca ed esaustiva, che costituisce una grande risorsa e una fonte di riferimento sul piano storico-critico227.

Un criterio di identificazione per una presunta organicità stilistica, laddove si ritenesse necessario reperirlo, è forse rintracciabile nella restituzione coerente di interi percorsi visivi relativi alla costruzione degli spettacoli, che si dipanano lungo una narrazione attendibile e compiuta.

I due fotografi hanno spesso potuto frequentare le produzioni del Teatro fin dal principio, guadagnando così la possibilità di assistere all’elaborazione degli spettacoli da una prospettiva registica e attoriale

[fig. 24]. L’entrare in sintonia con tutte le fasi dell’edificazione scenica ha permesso loro, nel corso del tempo, di conquistare posizioni sempre più privilegiate e uniche, da cui risultano punti di vista inediti e talvolta sorprendenti228. Di fronte ad una scena formalmente compiuta a livello

226 Cfr. Dossena A., (a cura di), Luca Ronconi. Inventare l’opera. L’Orfeo, Il viaggio a

Reims, Aida: tre opere d’occasione alla Scala, Op. cit.

227 Nonostante i rapporti tra Ronconi e la fotografia fossero positivi e produttivi -

come Lelli e Masotti raccontano nell’intervista - il regista sembra non confidare molto nella facoltà della fotografia di conservare la memoria della scena e anzi sembra propendere verso un’idea generale di irriproducibilità del teatro. Nel medesimo libro infatti, pur non riferendosi direttamente alla fotografia, né a quella di Lelli e Masotti in particolare, Ronconi dichiara comunque: “[…] la rappresentazione non ha la possibilità di essere “notata”, fermata su carta, o nelle immagini. Risiede nella memoria di chi l’ha vista, ma non in qualcosa che può essere ripreso, riaperto e ripercorso”, Ivi, p. 27. 228 Silvia Lelli racconta di avere potuto scattare da postazioni insolite, ad esempio

sotto al palco, dentro al golfo mistico, al centro delle percussioni dell’Orchestra Cherubini, mentre Roberto Masotti riporta l’aneddoto relativo al suo scatto più audace, realizzato dal palcoscenico stesso, durante il debutto del Falstaff di Strehler.

di composizione spaziale e illuminazione, e quindi di per sé già altamente fotogenica, si pone per Lelli e Masotti - come per tutti i fotografi che operano in teatro - la questione dell’interpretazione soggettiva.

La parte tecnico-documentativa deve fare il proprio dovere per rappresentare al meglio la scena completa, risolvendo il più possibile i problemi di equilibrio tra parti in luce e in ombra, profondità di campo, correttezza delle posizioni in corrispondenza con i momenti topici della messa in scena. Andando a ritagliare scene più concentrate, come dettagli, è necessario usare maggiore libertà. Quella che ti consente di respirare con lo spettacolo, con le sue dinamiche e significati, senza tralasciare gli stimoli sollecitati da una propria visione229.

Roberto Masotti descrive così il suo rapporto con la scena, sottolineando quanto sia necessario, per il fotografo, sentirsi in sintonia con l’evento che sta accadendo senza perdere mai quello stupore infantile, che lascia margine di modifica e improvvisazione fotografica, secondo il caso.

Aggiunge Silvia Lelli, proseguendo il discorso:

[…] certi spettacoli perfetti vanno solo seguiti ‘oggettivamente’ cercando di restituire la perfezione nelle fotografie ma anche lasciandosi andare al proprio sguardo che, a partire da quella bellezza, risulta ancor più teso e creativo230,

come a dire che non esiste una precisa regola, tutto sta nella capacità del fotografo di rispettare il lavoro creativo altrui, ma senza ricusare la propria portata interpretativa.

Lelli sottolinea inoltre che la ricerca deve tendere verso una unione di tratti espressivi diversi ma sovrapponibili, come “lo spirito del Cfr. Il principio dei vasi comunicanti. Intervista a Silvia Lelli e Roberto Masotti, Op cit. 229 Ivi, p. 221.

reportage fotografico […] e le rigidità della fotografia di scena classica o tradizionale”231, in modo da evitare l’artificio della posa solenne, che

irrigidisce tutta la struttura visiva. In pratica, senza cedere alle aspettative degli stilemi convenzionali, la fotografia deve poter spaziare tra stili, linguaggi e forme diverse con agilità e duttilità, allineandosi con l’arte scenica.

In aggiunta alle numerose collaborazioni decennali con riviste specializzate di teatro e musica come Gong, Scenario, Musica Viva - solo per citarne alcune nel panorama sterminato di pubblicazioni a mezzo stampa - i due fotografi hanno realizzato numerosi libri fotografici, composti a partire da iniziative personali o su commissione232.

Nel 2010 esce un singolare libro intitolato La vertigine del teatro, nel quale sono riunite 120 fotografie originali scattate nei teatri storici di tutta Italia nel corso di vent’anni di attività dei due fotografi. Tra l’Olimpico di Vicenza e il San Carlo di Napoli, La Fenice di Venezia e il Teatro Massimo di Palermo, l’Alighieri di Ravenna e la stessa Scala di Milano - ma anche in teatri minori come il Farnese di Parma o il piccolo teatro di Busseto dove esordì Giuseppe Verdi - questo viaggio tra le architetture e gli spazi del teatro costituisce una sorta di topografia ‘emozionale’ nei luoghi della cultura italiana dello spettacolo. Non si tratta infatti di un compendio storico, né del consueto libro di fotografie di architettura, quanto piuttosto di un tentativo di evocare impressioni di meraviglia e mistero, attraverso visioni e suggestioni spesso distanti dallo sguardo usuale dello spettatore.

Le fotografie si concentrano frequentemente sull’insolito magnetismo evocato dal teatro vuoto[fig. 25], talvolta ripreso con un’ottica grandangolare dal lato del palcoscenico o dai palchetti; sui dettagli ravvicinati degli arredi, “dove la raffinatezza convive alla polvere,

231 Ivi, p . 219.

232 Per una rassegna completa sul quadro bibliografico dedicato a Lelli e Masotti si

oggetti artigianali di pregio a posticce impressioni di ricchezza”233; o

ancora su di un pubblico assorto, attento e partecipe che esiste, comunque, fuori dalla rappresentazione stessa [fig. 26].

La scelta di non includere tipiche fotografie di scena, né particolari spettacoli o addetti ai lavori, mette in luce simbolicamente tutte le parti di un teatro-macchina, che funziona grazie alla natura di tanti elementi stratificati, diversi ma necessari l’uno all’altro. La sensazione di uno sguardo integrale e incondizionato, per quanto sentimentale234, del

teatro è resa attraverso l’alternanza di

[…] immagini spettacolari per esiti estetici e tecnici […] a visioni intimiste, quasi rubate, che ricreano tra luci e ombre atmosfere segrete, pause, attese; immagini che mostrano tutta la grandiosità dei volumi architettonici e l’illusione degli spazi scenici, si affiancano a scorci impossibili che svelano magie di meccanismi nascosti e grandezze vertiginose235.

Non più solo pubblico e classica rappresentazione scenica dunque, ma anche spazi disabitati di soffitte ignote e camerini privati, prove in corso e backstage segreti e inesplorati, graticci attrezzati, e poi lampadari luccicanti, velluti e stucchi, e facciate esterne che si relazionano con le piazze e le città. Il tutto ripreso spesso in una particolare condizione di pausa, di quieta sospensione che evoca echi di presenze e applausi ma che, nel suo silenzio pacifico, evidenzia l’aspetto intimistico e profondo del teatro.

Il problema del rumore, o meglio la valenza sonora che caratterizza l’ontologia della scena, è apparentemente molto sentito dai due fotografi, che nel riferire della loro poetica usano tautologicamente 233 Agostini E., La vertigine del teatro, 2013, http://drammaturgia.fupress.net/

recensioni/recensione2.php.

234 “Quando si vive il teatro per molto tempo, lo si sente come casa propria”,

dichiarano i due fotografi, “quando è vuoto si percepisce un’intimità straordinaria”. cit. in Madesani A., (a cura di) La Vertigine del Teatro. Fotografie di Silvia Lelli e Roberto Masotti, Op. cit., p. 18.

termini come “teatro abitato”, “brusìo”, “tonfo”, “richiami sonori”236,

come a voler incorporare nella fotografia ciò che le è negato, per sua stessa natura: il suono, come condizione imprescindibile del teatro quindi, soprattutto se si tratta di teatro musicale, e come elemento che la fotografia deve in qualche modo celebrare, attraverso l’immagine, dandogli una forma iconica.

L’immagine fotografica che non può acquisire il suono, né il movimento, cosa restituisce allora del teatro? “Noi ascoltiamo, osserviamo, fotografiamo e basta”, è la risposta dei due fotografi.

Considerato il depositario della memoria visiva del teatro italiano, Tommaso Le Pera si presenta come il fotografo di scena per eccellenza. In oltre quarantacinque anni di attività, ha composto il più ingente archivio europeo di immagini teatrali, raccogliendo più di 4000 fotografie da lui stesso scattate. Classe 1942, calabrese di nascita, inizia la sua carriera di fotografo nella Roma degli anni Sessanta, prima sui set cinematografici dei western all’italiana e poi tra le celebrate rappresentazioni teatrali avanguardistiche delle cantine romane237.

Il suo primo approccio alla fotografia di teatro è totalmente istintivo e privo di metodo, ma non per questo meno efficace sul piano dello stile. In questo primo periodo fotografa le scene abusivamente, senza autorizzazioni né beneplaciti da parte di registi e attori, attraverso scatti rapidi e istantanei, rubati durante lo svolgimento dell’azione, 236 Non solo nello scritto introduttivo che introduce il volume curato dalla Madesani,

ma anche durante il video promozionale per il web, si legge un breve testo in cui si evidenzia questo aspetto legato alla sonorità: “Nei teatri raccogliendo visioni, dettagli, illuminazioni, rispondendo a richiami sonori e musicali, sfruttando ogni occasione per percepirne l’intera vibrazione: Un teatro è abitato o vuoto, assorto in se stesso, in denso silenzio o invaso da brusii…Un rumore passa e risuona sulla scena, la attraversa, si fissa, vaga. In scena qualcosa continua ad apparire e scomparire, oscillare: buio-luce, buio-luce; qualche tonfo sordo, il ritmo di passi sul palcoscenico, altri in galleria”, https://www.youtube.com/watch?v=vMCaP3xytjQ.

237 Come asserisce lo stesso Le Pera, in quegli anni il nascente teatro d’avanguardia

era molto interessante dal punto di vista visivo, e anche se intriso di contenuti politici era ricco di potenzialità espressive e trasmetteva la grande forza della rivoluzione culturale. Tra i numerosi spettacoli fotografati da Le Pera all’inizio del suo percorso fotografico teatrale, si ricordano quelli di Memè Perlini, Nanni, Ricci, Vasilicò e Quartucci.

approfittando dei momenti di risate o applausi per coprire il rumore dell’otturatore.

Le Pera narra di questo periodo economicamente difficile, ma espressivamente stimolante, come di una fase decisiva della sua carriera, utile a definire i suoi obiettivi e affinare i criteri di ripresa sul piano tecnico. La sterzata professionale avviene in un preciso momento: dopo avere fotografato, sempre clandestinamente, alcune scene di Come

finì Don Ferdinando Ruoppolo di Peppino De Filippo, Le Pera spedisce le

stampe al regista, con allegato un recapito telefonico.

La chiamata arriva subito dopo e il fotografo viene invitato da De Filippo in persona, entusiasta delle sue immagini, ad entrare ufficialmente al Teatro delle Arti di Roma per terminare il lavoro iniziato. Da quel momento l’attività fotografica di Le Pera diventa un mestiere retribuito, cui il fotografo si dedica imparzialmente, senza mai disattendere la sua scelta238.

Secondo quanto lui stesso afferma in varie occasioni, fino ad allora le immagini teatrali venivano scattate massimamente durante le prove, e soprattutto la scena veniva fermata, immobilizzata in una posa, per poter permettere al fotografo di ottenere un risultato predefinito. In questo modo si dissipava la naturalezza e la spontaneità del gesto ma soprattutto l’espressione del volto dell’attore, quel “momento impalpabile in cui il volto diventa maschera”239.

L’approccio di Le Pera invece, funziona intenzionalmente al contrario: rubare una fotografia estrapolando un preciso istante dal flusso dell’azione, equivale a fabbricare un documento reale, franco, che “salva 238 Secondo Oliviero Ponte di Pino, Le Pera costituirebbe un’eccezione nel panorama

italiano in quanto risulta l’unico operatore rimasto sempre fedele alla professione di fotografo di scena, a differenza di molti altri suoi colleghi che hanno dedicato al teatro solo una parte della loro attività e ricerca. In realtà, pur essendo di fatto il primo, Le Pera non rappresenta un’anomalia: qualche anno più tardi infatti, il ristretto gruppo di professionisti esclusivisti della fotografia di scena si arricchisce di altri importanti fotografi come Lelli e Masotti e Maurizio Buscarino, solo per citare i più noti. Ponte di Pino O., Il volto e la maschera nelle fotografie di Tommaso Le Pera. Il volume fotografico d e d i c a t o a l l e m e s s i n s c e n e p i r a n d e l l i a n e , a t e a t r o 6 2 . 5 0 , http://www.trax.it/olivieropdp/mostranew.asp?num=62&ord=50.

la memoria dello spettacolo”, senza alterare le disposizioni spaziali, registiche, drammaturgiche, in pratica senza “sovrapporsi alla cifra del regista dello spettacolo […] snaturandolo per narcisismi personali”240.

Assoggettato alla necessità di documentare, nel rispetto totale dell’evento scenico, lo stile leperiano si adegua ad un modello di lettura del reale che avvalora le qualità precipue della fotografia, tendendo alla pura cronaca, alla rappresentazione autentica e alla registrazione acritica.

Il linguaggio del fotografo è di fatto caratterizzato da uno stile classico, rigoroso, quasi cartesiano, finalizzato ad una resa incondizionata dello spettacolo, che prima di tutto deve risultare leggibile e verosimile. Ogni immagine è scrupolosamente composta, equilibrata, esatta, laddove l’estrema pulizia del gesto, nonché l’evidenza dell’espressione del volto attoriale, sono restituite con grande diligenza e cura. La superficie ipernitida resa da un sapiente approccio tecnico, rende ogni fotografia manieristicamente ricercata, “ripulita da ogni margine di ambiguità percettiva”241.

Nonostante le sue fotografie risultino talvolta fredde e inerti, a causa dell’estrema rigidezza stilistica ma anche in virtù della distanza fisica da cui esegue gli scatti con il teleobiettivo[fig. 27], il suo lavoro è sempre molto apprezzato non solo dalla stampa ma anche dagli attori stessi, che amano il suo modo sobrio e sistematico di indagare nell’animo del personaggio.

L’enorme archivio fotografico di Le Pera sta gradualmente rivelando i suoi tesori grazie ad un recente progetto denominato La memoria del

Teatro, che ambiziosamente vuole pubblicare un’antologia di tutta la

sua produzione dedicata ai grandi drammaturghi internazionali, con

240 Scaparro M., La memoria del teatro, in Il teatro nelle fotografie di Tommaso Le

pera: Goldoni, collana La memoria del teatro, Bevivino Editore, Assisi (PG) 2009, p. 23. 241 Ponte di Pino O., Il volto e la maschera nelle fotografie di Tommaso Le Pera. Il