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LETTERE, UOMINI DI LETTERE O LETTERATI

Nel documento Dizionario filosofico (pagine 96-99)

Nei tempi barbari, quando i franchi, i germani, i bretoni, i longobardi, i mozarabi spagnoli non sapevano né leggere né scrivere, furono istituite scuole, università, composte quasi tutte di ecclesiastici, i quali, non conoscendo che il loro gergo, lo insegnarono a coloro che vollero impararlo; le accademie vennero molto tempo dopo; esse hanno disprezzato le sciocchezze delle scuole, ma non sempre hanno osato levarsi contro di esse, perché ci sono sciocchezze che si rispettano, se sono collegate a cose rispettabili.

Gli uomini di lettere che hanno reso i maggiori servigi al piccolo numero d'esseri pensanti sparsi per il mondo sono i letterati isolati, i veri dotti chiusi nel loro studio, che non hanno né argomentato sui banchi delle università, né

detto le cose a metà nelle accademie; e costoro sono stati quasi tutti perseguitati. La nostra miserabile specie è fatta in modo tale che quelli che camminano sulle vie battute gettano sempre pietre contro quelli che insegnano vie nuove.

Montesquieu dice che gli sciti cavavano gli occhi ai loro schiavi perché, nel fare il burro, non si distraessero: così fa l'Inquisizione, e nei paesi dove questo mostro regna, quasi tutti sono ciechi. Da oltre cent'anni, in Inghilterra si hanno due occhi; i francesi cominciano adesso ad aprirne uno; ma talvolta si trovano degli uomini altolocati che non vogliono nemmeno permettere che si sia monocoli.

Questi poveri diavoli sono come il dottor Balanzone della commedia italiana, che non vuole essere servito che dal balordo Arlecchino, e teme di avere un valletto troppo furbo.

Scrivete odi in lode di monsignor Superbus Fadus, e madrigali per la sua amante; dedicate al suo portiere un libro di geografia, sarete ben ricevuto; illuminate gli uomini, e sarete schiacciato.

Descartes è obbligato a lasciare la sua patria, Gassendi è calunniato; Arnauld trascina i suoi giorni in esilio; ogni filosofo è trattato come i profeti presso gli ebrei.

Chi crederebbe che, nel XVIII secolo, un filosofo sia stato trascinato davanti ai tribunali secolari, e trattato da empio dai tribunali ecclesiastici per aver detto che gli uomini non potrebbero esercitare le arti se non avessero le mani? Non dispero di sapere ben presto che è stato condannato alle galere il primo che avrà avuto l'insolenza di dire che un uomo non penserebbe, se fosse senza testa: «Infatti,» gli dirà un cancelliere, «l'anima è puro spirito, la testa non è che materia; Dio può collocare l'anima nel calcagno altrettanto bene che nel cervello; e dunque vi denunzio come empio.»

La più grande sventura di un uomo di lettere non è forse d'essere oggetto della gelosia dei suoi confratelli, vittima degli intrighi, disprezzato dai potenti del mondo: è di essere giudicato dagli stupidi. Gli stupidi arrivano lontano, qualche volta, soprattutto quando il fanatismo si sposa alla stupidità, e la stupidità allo spirito di vendetta. Un'altra grande sventura per un uomo di lettere è, di solito, quella di non essere appoggiato da nessuno e da niente. Un borghese compera una piccola carica, ed eccolo sostenuto dai suoi confratelli; se è colpito da un'ingiustizia, trova subito chi lo difende. L'uomo di lettere non trova aiuti: assomiglia ai pesci volanti. Se si innalza un poco, gli uccelli lo divorano; se si immerge, lo divorano i pesci.

Ogni uomo pubblico paga il proprio tributo alla malignità, ma ne è ripagato con denaro e onori. L'uomo di lettere paga lo stesso tributo, senza ricevere niente; è sceso nell'arena per suo diletto, si è condannato da solo alle belve.

LIBERTÀ (DELLA)

A

Ecco una batteria di cannoni che ci assorda: avete la libertà di udirla o di non udirla? B

Senza dubbio, non posso fare a meno di udirla. A

Volete che quel cannone tronchi la vostra testa, quella di vostra moglie e di vostra figlia, che passeggiano al vostro fianco?

B

Che discorso mi fate? Io non posso, finché mi funziona il cervello, volere una cosa simile: ciò m'è impossibile. A

Bene, voi udite di necessità questo cannone, e di necessità non volete morire per una cannonata, voi e la vo stra famiglia, mentre passeggiate. Voi non avete né il potere di non udire né il potere di voler restare qui.

B

Questo è chiaro. A

Di conseguenza, avete fatto una trentina di passi per mettervi al riparo dal cannone e avete avuto il potere di camminare con me in questo breve spostamento?

B

Anche questo è chiarissimo. A

Al contrario, se foste stato paralitico non avreste potuto evitare di restare esposto a quella batteria; non avreste avuto il potere di essere dove adesso siete; avreste necessariamente sentito e ricevuto un colpo di cannone, e sareste necessariamente morto?

Niente di più vero. A

E in che consiste dunque la vostra libertà se non nel potere che la vostra persona ha esercitato, di fare quel che la vostra volontà esigeva per assoluta nece ssità?

B

Voi mi mettete in imbarazzo: la libertà non sarebbe altro che il potere di fare ciò che voglio? A

Rifletteteci, e vedete se la libertà può essere intesa in altro modo. B

In questo caso, il mio cane da caccia è libero quanto me; egli ha necessariamente la volontà di correre quando vede una lepre, e il potere di correre se non ha male alle zampe. Io non ho dunque niente al di sopra del mio cane: voi mi riducete allo stato delle bestie.

A

Ecco qua i miseri sofismi dei poveri sofisti che vi hanno istruito. Eccovi sconvolto di sapervi libero come il vostro cane. Ebbene, non assomigliate al vostro cane in mille cose? La fame, la sete, la veglia, il sonno, i cinque sensi, non li avete tutti e due tali e quali? Vorreste sentire gli odori altrimenti che con il naso? Perché volete avere una libertà diversa da quella che ha lui?

B

Ma io ho un'anima che ragiona molto, e il mio cane ragiona a malapena. Ha poco più che qualche idea elementare, mentre io ho mille idee metafisiche.

A

Ebbene, voi siete mille volte più libero di lui; ossia avete mille volte più di lui il potere di pensare, ma non siete libero in modo diverso da lui.

B

Cosa? Non sono libero di volere quel che voglio? A

Che intendete con ciò? B

Quel che intendono tutti. Non diciamo forse tutti i giorni: «le volontà sono libere»? A

Un proverbio non è un argomento: spiegatevi meglio. B

Intendo dire che sono libero di volere come mi piacerà. A

Col vostro permesso, questo non ha senso. Non vi rendete conto che è ridicolo dire «Io voglio volere»? Voi volete necessariamente, in conseguenza delle idee che vi sono balzate alla mente. Volete sposarvi, sì o no?

B

E se vi dicessi che non voglio né l'una cosa né l'altra? A

Rispondereste come quel tale che diceva: «Gli uni credono che il cardinal Mazzarino sia morto, gli altri che sia ancora vivo, e io non credo né l'una cosa né l'altra».

B

Va bene. Voglio sposarmi. A

B

Perché amo una ragazza bella, dolce, bene educata, abbastanza ricca, che canta benissimo, i cui genitori sono gente civile, e perché mi lusingo d'essere riamato da lei e molto ben visto dalla sua famiglia.

A

Giuste ragioni. Vedete che non potete volere senza ragione. Io vi dichiaro che siete libero di sposarvi: ossia, che avete il potere di firmare il contratto nuziale.

B

Come? Non posso volere senza ragione? Che ne sarebbe allora di quest'altro proverbio: «Sit pro ratione voluntas», la mia volontà è la mia ragione, voglio perché voglio?

A

Questo è assurdo, mio caro amico, ci sarebbe in voi un effetto senza causa. B

Come? Quando gioco a pari o dispari, ho forse una ragione di scegliere pari piuttosto che dispari? A

Sì, senza dubbio. B

E qual è questa ragione, se non vi spiace? A

È il fatto che alla vostra mente si è presentata l'idea del pari prima dell'idea opposta. Sarebbe buffo se ci fossero casi in cui voi volete perché c'è una causa di volere, e casi in cui invece volete senza causa. Quando vi volete sposare, ne sentite indubbiamente la ragione dominante; quando giocate a pari o dispari, non la sentite: e tuttavia bisogna bene che ce ne sia una.

B

Ma, ancora una volta, io dunque non sono libero? A

La vostra volontà non è libera, ma le vostre azioni lo sono. Voi siete libero di agire solo se avete il potere di agire. B

Ma tutti i libri che ho letto sulla libertà d'indifferenza?... A

Sono sciocchezze: la libertà d'indifferenza non esiste; è un modo di dire privo di senso, inventato da gente abbastanza scriteriata.

Nel documento Dizionario filosofico (pagine 96-99)