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PECCATO ORIGINALE

Nel documento Dizionario filosofico (pagine 117-122)

È qui il preteso trionfo dei sociniani o unitari. Essi chiamano questo fondamento della religione cristiana il suo «peccato originale». È oltraggiare Dio - dicono - è accusarlo della più assurda barbarie, osar dire che egli creò tutte le generazioni degli uomini per tormentarle con supplizi eterni, con il pretesto che il loro primo padre mangiò un frutto in un giardino.

Tale sacrilega imputazione è tanto più imperdonabile, presso i cristiani, in quanto su questa invenzione del peccato originale non c'è una sola parola né nel Pentateuco, né nei Profeti, né nei Vangeli, sia apocrifi, sia canonici, né in nessuno di quegli scrittori che si chiamano «i primi Padri della Chiesa».

Non è neppure raccontato nel Genesi che Dio abbia condannato Adamo a morte per aver mangiato una mela. Dio gli disse, è vero: «Tu per certo morrai, il giorno che ne mangerai»; ma lo stesso libro fa vivere Adamo novecentotrent'anni dopo quella criminosa colazione. Gli animali, le piante, che non avevano mangiato quel frutto, morirono nel giorno prescritto dalla natura. L'uomo è nato per morire, come tutto il resto.

Infine, la punizione di Adamo non cadeva in nessun modo sotto la legge ebraica. Adamo non era ebreo più di quanto non fosse persiano o caldeo. I primi capitoli del Genesi (in qualsiasi tempo siano stati composti) furono considerati da tutti i dotti ebrei come un'allegoria ed anche come una favola molto pericolosa; e infatti fu proibito leggerla prima dell'età di venticinque anni.

In breve, gli ebrei non conobbero il peccato originale più che le cerimonie cinesi; e, sebbene i teologi riescano a trovare tutto quel che vogliono nella Scrittura, sia totidem verbis sia totidem litteris, possiamo essere sicuri che nessun teologo ragionevole vi troverà mai questo straordinario mistero.

Riconosciamo che fu sant'Agostino ad accreditare per primo questa incredibile idea, degna della testa calda e romanzesca di un africano dissoluto e pentito, manicheo e cristiano, tollerante e persecutore, che passò la vita a contraddire se stesso.

«Che orrore!» esclamano gli unitari rigidi, «il calunniare l'autore della natura fino ad imputargli continui miracoli per condannare in eterno uomini che egli fa nascere per così poco tempo! O egli ha creato la anime fin dall'eternità e, in questo caso, essendo infinitamente più antiche del peccato di Adamo, non hanno alcun rappor to con lui; o le anime vengono create ogni volta che un uomo giace con una donna, e in questo caso Dio sta continuamente a spiare tutti gli incontri amorosi dell'universo, per creare spiriti che renderà eternamente infelici; o Dio è lui stesso l'anima di tutti gli uomini, e in questo caso si danna da sé. Qual è la più orribile e la più folle di queste tre supposizioni? Non ce n'è una quarta: perché l'opinione che Dio attenda sei settimane per creare un'anima dannata in un feto, si unisce a quella che la crede creata nel momento della copulazione: che cosa importano sei settimane di più o di meno?»

Ho riferito il parere degli unitari; gli uomini sono giunti a un tal grado di superstizione, che, nel riferirlo, ho tremato.

(Questo articolo è del defunto signor Boulanger)

PERSECUZIONE

Non dirò certo che Diocleziano fu un persecutore, lui che protesse i cristiani per diciotto anni; e se, negli ultimi tempi del suo impero, non li salvò dai risentimenti di Galerio, in ciò non fu che un principe sedotto e trascinato dagli intrighi contro il suo buon carattere, come tanti altri.

Chi è un persecutore? È un uomo il cui orgoglio ferito e il cui furibondo fanatismo istigano il principe o i magistrati contro gente innocente, che non ha altra colpa che quella di non pensare come lui. «Impudente, tu adori un Dio, predichi la virtù e la pratichi; hai servito gli uomini e li hai consolati, hai protetto l'orfana, soccorso il povero, hai mutato i deserti, dove pochi schiavi trascinavano un'esistenza miserabile, in fertili campagne popolate da famiglie felici; ma ho scoperto che mi disprezzi, che non hai mai letto il mio libro di controversia; sai che sono un mascalzone, che ho falsificato la firma del tale e derubato il tal'altro, e potresti riferirlo a qualcuno: bisogna ch'io ti prevenga. Andrò dunque dal confessore del primo ministro, o dal podestà; dimostrerò loro, piegando il collo e storcendo la bocca, che tu hai un'opinione erronea sulle celle in cui furon rinchiusi i Settanta; che dieci anni fa parlasti con poco rispetto del cane di Tobia, sostenendo che era un can barbone, mentre io dimostrai che era un levriero; ti denuncerò come nemico di Dio e degli uomini.» Tale è il linguaggio del persecutore; e se dalla sua bocca non escono precisamente queste parole, esse sono incise nel suo cuore, con il bulino del fanatismo immerso nel miele dell'invidia.

Così il gesuita Le Tellier osò perseguitare il cardinale Noailles, così Jurieu perseguitò Bayle.

Quando in Francia cominciò la persecuzione dei protestanti, non furono né Francesco I, né Enrico II, né Francesco II a spiare quegli sventurati, ad armarsi contro di loro di un meditato furore e a consegnarli al rogo per esercitare su di essi le loro vendette. Francesco I era troppo occupato con la duchessa d'Étampes, Enrico II con la sua vecchia Diana, e Francesco II era ancora ragazzo. Chi dette inizio alle persecuzioni? I preti gelosi che armarono i pregiudizi dei magistrati e la politica dei ministri.

Se quei re non fossero stati ingannati, se avessero previsto che la persecuzione avrebbe prodotto cinquant'anni di guerre civili, e che metà della nazione sarebbe stata sterminata dall'altra, essi avrebbero spento con le loro lacrime i primi roghi che lasciarono accendere.

O Dio di misericordia! Se qualche uomo può somigliare a quell'essere malefico che, come ci vien dipinto, si dà da fare senza posa per distruggere le tue opere, non è appunto il persecutore?

PIETRO

In francese, Pierre; in spagnolo, Pedro; in latino, Petrus; in greco, $ÐÝôñï ò$; in ebraico, Cefa.

Perché i successori di Pietro hanno avuto tanto potere in Occidente e nessuno in Oriente? È come chiedere perché i vescovi di Wurzburg e di Salisburgo si sono attribuiti diritti sovrani in tempi d'anarchia, mentre i vescovi greci sono sempre rimasti sudditi. Il tempo, l'occasione, l'ambizione degli uni e la debolezza degli altri hanno fatto e faranno sempre tutto in questo mondo.

A quest'anarchia si è aggiunta l'opinione, e l'opinione è regina degli uomini. Non che in effetti essi abbiano opinioni ben precise; ma le parole ne tengono il luogo.

Si racconta nel Vangelo che Gesù dicesse a Pietro: «Ti darò le chiavi del regno dei Cieli» I partigiani del vescovo di Roma sostennero, verso l'XI secolo, che chi dà il più dà anche il meno; che i cieli circondano la terra, e che Pietro, avendo le chiavi del contenente, aveva anche le chiavi del contenuto. Se per cieli s'intendono tutte le stelle e tutti i pianeti, è evidente, secondo Thomasius, che le chiavi date a Simone figlio di Giona, soprannominato Pietro, erano buone per aprire tutto. Se s'intendono per cieli le nubi, l'atmosfera, l'etere, lo spazio in cui ruotano i pianeti, non ci sono fabbri, secondo Meursio, che possano fare una chiave per quelle porte.

Le chiavi in Palestina erano un perno di legno che veniva legato con una cinghia. Gesù disse a Simone: «Ciò che tu avrai legato in terra sarà legato in cielo» I teologi del papa ne hanno concluso che i papi avevano ricevuto il diritto di legare e sciogliere i popoli dal giuramento di fedeltà fatto ai loro re, e di disporre a loro piacimento di tutti i regni. Magnifica conclusione. Nel 1302, alla riunione degli stati generali di Francia, i comuni dicono nella loro petizione al re che «Bonifacio VIII era un c... il quale credeva che Dio legasse e imprigionasse in cielo ciò che Bonifacio legava sulla terra». Un famoso luterano tedesco (era, penso, Melantone), stentava a digerire che Gesù avesse detto a Simone figlio di Giona, Cefa o Cephas: «Sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia assemblea, la mia Chiesa.» Non poteva concepire che Dio si fosse abbassato a usare un simile gioco di parole, un'arguzia così d'effetto, e che la potenza del papa fosse fondata su una facezia.

Pietro ha fama di essere stato vescovo di Roma; ma è abbastanza noto che in quei tempi e per molto tempo dopo non ci furono vescovati. La società cristiana prese forma appena verso la fine del secondo secolo.

Può darsi che Pietro abbia fatto il viaggio a Roma; può darsi perfino che sia stato crocifisso a testa in giù, sebbene questo non fosse affatto nell'uso; ma non ne abbiamo alcuna prova Abbiamo una sua lettera, nella quale dice di trovarsi a Babilonia: certi giudiziosi canonici hanno preteso che per Babilonia si dovesse intendere Roma. Così, supposto che avesse datato la lettera da Roma, si sarebbe potuto concludere che essa era stata scritta a Babilonia. Si è andati avanti per molto tempo con questo genere di deduzioni, ed è in tal modo che il mondo è andato avanti.

Ci fu un giorno un sant'uomo cui fecero pagare a carissimo prezzo un beneficio a Roma, il che si chiama simonia; qualcuno gli domandò se credesse che Simon Pietro fosse stato laggiù; rispose: «Non mi risulta che Pietro ci sia stato, ma di Simone sono sicuro.»

Quanto alla persona di Pietro, bisogna riconoscere che Paolo non fu il solo ad essere scandalizzato dalla sua condotta; ci fu spesso chi gli tenne testa, a lui e ai suoi successori. Questo Paolo lo rimproverava aspramente di mangiare carni proibite, e cioè maiale, sanguinaccio, lepre, anguille, issione e grifone; Pietro si difendeva dicendo d'aver veduto, verso l'ora sesta, spalancarsi il cielo, e dai quattro angoli del cielo scendere una tovaglia piena d'anguille,

di quadrupedi e d'uccelli, e che la voce di un angelo aveva gridato: «Uccidete e mangiate.» Fu senza dubbio la stessa voce che gridò poi a tanti pontefici: «Uccidete e mangiate le midolla del popolo,» dice Wollaston.

Casaubon non poteva approvare la maniera in cui Pietro aveva trattato quel brav'uomo di Anania e sua moglie Safira. Con quale diritto, dice Casaubon, un ebreo schiavo dei romani ordinava o tollerava che tutti coloro che credevano in Gesù vendessero i loro beni e ne portassero il ricavato ai suoi piedi? Se qualche anabattista a Londra facesse deporre ai suoi piedi tutto il denaro dei suoi confratelli, non lo arresterebbero come un seduttore sedizioso, come un ladrone? Non sarebbe immancabilmente spedito a Tyburn? Non è orribile far morire Anania perché, venduto il suo fondo e portato a Pietro il denaro, s'era tenuto, senza dirlo, qualche scudo per sovvenire alle necessità sue e di sua moglie? Appena morto Anania, arriva sua moglie. Pietro, invece di avvertirla caritatevolmente che ha fatto morire suo marito d'apoplessia perché s'era tenuto qualche obolo, invece di dirle di badare a se stessa, la fa cadere nel tranello. Le chiede se il marito abbia dato tutto il suo denaro ai santi. La brava donna risponde di sì, e muore di colpo. Questa è dura.

Coringius si chiede perché Pietro, che ammazzava tanto tranquillamente quelli che gli avevano fatto l'elemosina, non era andato piuttosto ad ammazzare i dottori che avevano fatto morire Gesù Cristo, e che più di una volta avevano fatto frustare anche lui. O Pietro! fai morire due cristiani che ti han fatto l'elemosina, e lasci vivere quelli che hanno crocifisso il tuo Dio!

Evidentemente Coringius non si trovava in paese d'inquisizione quando faceva queste ardite domande. Erasmo notava, a proposito di Pietro, una cosa molto singolare: e cioè che il capo della religione cristiana cominciò il suo apostolato col rinnegare Gesù Cristo, e che il primo pontefice degli ebrei aveva cominciato il suo ministero col fare un vitello d'oro, e adorarlo.

Comunque, Pietro ci viene dipinto come un povero che catechizza i poveri. Somiglia a quei fondatori d'ordine che vivevano nell'indigenza, e i cui successori sono diventati dei gran signori.

Il papa, successore di Pietro, ora ha guadagnato, ora ha perduto; ma gli restano ancora circa cinquanta milioni d'uomini sulla terra sottomessi in vari punti alle sue leggi, oltre ai suoi sudditi diretti.

Darsi un padrone che vive a tre o quattrocento leghe di distanza; aspettare per pensare che quell'uomo abbia avuto l'aria di pensare; non osar giudicare in ultima istanza un processo tra propri concittadini se non per mezzo di commissari nominati da quello straniero; non osar prendere possesso dei campi e dei vigneti ottenuti dal proprio re senza pagare una grossa somma a quel padrone straniero; violare le leggi del proprio paese che proibiscono di sposare la propria nipote, e sposarla legittimamente dando a quel padrone straniero una somma ancora più grossa; non osar coltivare il proprio campo il giorno in cui quello straniero vuole che si celebri la memoria di uno sconosciuto che egli ha messo in cielo di propria privata autorità: ecco in parte che cosa sia ammettere un papa; sono queste le libertà della Chiesa gallicana.

Ci sono altri popoli ancor più duramente sottomessi. Abbiamo visto ai giorni nostri un sovrano chiedere al papa il permesso di far giudicare dal proprio regio tribunale certi gesuiti accusati di regicidio, non poter ottenere quel permesso, e non osare giudicarli.

È abbastanza noto come in passato i diritti dei papi andassero ben oltre i limiti leciti; erano ancor più sublimi degli dei dell'antichità; perché quegli dei avevan solo fama di disporre degli imperi, e i papi invece ne disponevano di fatto.

Sturbinus dice che si può perdonare a quelli che dubitano della divinità e dell'infallibilit à del papa, quando si riflette:

Che quaranta scismi hanno profanato la cattedra di san Pietro, e ventisette l'hanno insanguinata;

Che Stefano VII, figlio di un prete, disseppellì il corpo di papa Formoso, suo predecessore, e fece tagliare la testa a quel cadavere;

Che Sergio III, reo di vari omicidi, ebbe da Marozia un figlio che ereditò il papato; Che Giovanni X, amante di Teodora, fu strangolato nel suo letto;

Che Giovanni XI, figlio di Sergio III, fu noto soltanto per la sua dissolutezza; Che Giovanni XII fu assassinato in casa della sua amante;

Che Benedetto IX comperò e rivendette il pontificato;

Che Gregorio VII fu il responsabile di cinquecent'anni di guerre civili sostenute dai suoi successori;

Che infine, tra tanti papi ambiziosi, sanguinari e dissoluti, c'è stato un Alessandro VI il cui nome è pronunciato con altrettanto orrore che quelli dei Neroni e dei Caligola.

È una prova, si dice, della divinità del loro carattere, che questa sia riuscita a sussistere malgrado tanti delitti; ma, se i califfi avessero tenuto una condotta ancora più scellerata, sarebbero dunque stati ancora più divini. Così ragiona Dermius; ma i gesuiti gli hanno risposto.

PREGIUDIZI

Il pregiudizio è un'opinione senza giudizio. Così su tutta la terra si istillano nei bambini tutte le opinioni che si vuole prima che essi siano in grado di giudicare.

Ci sono pregiudizi universali, necessari, che sono la virtù stessa. In ogni paese s'insegna ai bambini a riconoscere un Dio remuneratore e vendicatore; ad amare, a rispettare il padre e la madre; a considerare il furto un crimine, la menzogna interessata un vizio, prima ancora che essi possano indovinare che cosa siano vizio e virtù.

Esistono dunque ottimi pregiudizi: sono quelli che il giudizio ratifica quando si ragiona.

Il sentimento non è un semplice pregiudizio, è qualcosa di molto più forte. Una madre non ama il proprio figlio perché le hanno detto che si deve amarlo: le è caro, per fortuna, suo malgrado. Non è per pregiudizio che correte in soccorso di un bambino ignoto che sta per cadere in un precipizio o per essere divorato da una belva.

Ma per pregiudizio rispetterete un uomo rivestito di certi abiti, che cammina e parla con gravità. I vostri genitori vi hanno detto che dovete inchinarvi di fronte a quell'uomo: lo rispettate prima di sapere se merita il vostro rispetto; crescete in età e in conoscenza, vi accorgete che quell'uomo è un ciarlatano impastato d'orgoglio, d'interesse e di artificio; disprezzate colui che avevate riverito, e il pregiudizio cede al giudizio. Avete creduto per pregiudizio alle favole con cui è stata cullata la vostra infanzia: vi hanno detto che i Titani hanno fatto guerra agli dei, e che Venere fu innamorata di Adone; a dodici anni prendete queste favole per verità, a venti le considerate ingegnose allegorie.

Esaminiamo in breve le diverse specie di pregiudizi, per mettere un po' d'ordine nei fatti nostri. Ci ritroveremo forse come coloro che, al tempo del sistema di Law, s'accorsero di aver fatto calcolo su ricchezze immaginarie.

Pregiudizi dei sensi'

Non è una cosa curiosa che i nostri occhi c'ingannino sempre, anche quando vediamo benissimo, mentre, al contrario, i nostri orecchi non c'ingannano mai? Se il nostro orecchio ben conformato ode: «Voi siete bella, vi amo,» è sicurissimo che non vi hanno detto: «Siete brutta, vi odio.» Ma voi vedete liscio uno specchio: mentre è dimostrato che vi ingannate: esso ha una superficie assai scabra. Voi vedete il sole come se avesse due piedi di diametro: è dimostrato invece che è un milione di volte più grande della terra.

Sembra che Dio vi abbia messo la verità negli orecchi, e l'errore negli occhi; ma studiate l'ottica, e vi accorgerete che Dio non vi ha ingannato, e che è impossibile che gli oggetti vi appaiano diversi da come li vedete nello stato presente delle cose.

Pregiudizi fisici

Il sole sorge, la luna anche, la terra è immobile: questi sono pregiudizi fisici naturali. Ma che i gamberi facciano bene al sangue, perché, quando sono cotti, son rossi come lui; che le anguille guariscano la paralisi, perché guizzano; che la luna influisca sulle nostre malattie, perché un giorno si notò che un malato aveva avuto un forte aumento di febbre durante il tramontar della luna: queste idee, e mille altre, sono errori di antichi ciarlatani, che giudicarono senza ragionare e che, essendosi ingannati, a loro volta ingannarono gli altri.

Pregiudizi storici

La maggior parte delle storie è stata creduta senza esame, e questa credenza è un pregiudizio. Fabio Pittore racconta che, molti secoli prima di lui, una vestale della città di Alba, andando a prender acqua con la sua brocca, fu violentata, che partorì Romolo e Remo, che questi furono nutriti da una lupa ecc. Il popolo romano credette a quella favola; non si curò di sapere se a quel tempo ci fossero vestali nel Lazio, se fosse verosimile che la figlia di un re uscisse dal suo convento con una brocca, se fosse probabile che una lupa allattasse due bambini invece di mangiarli. Il pregiudizio si radicò.

Un frate scrive che Clodoveo, trovandosi in grande pericolo alla battaglia di Tolbiac, fece voto di farsi cristiano se ne fosse scampato; ma è naturale che in tale occasione ci si rivolga a un dio straniero? Non è proprio in questi momenti che la religione nella quale si è nati agisce più intensamente? Qual è il cristiano che, in una battaglia contro i turchi, non si rivolgerà alla Madonna piuttosto che a Maometto? Si aggiunge che un colombo portò nel becco la santa ampolla per ungere Clodoveo, e che un angelo portò l'orifiamma per guidarlo. Il pregiudizio credette a tutte le storielle del genere. Chi conosce la natura umana sa bene che l'usurpatore Clodoveo, l'usurpatore Rollone o Rollo si fecero cristiani per governare più sicuramente dei cristiani, come gli usurpatori turchi si fecero musulmani per governare più sicuramente i musulmani.

Pregiudizi religiosi

Nel documento Dizionario filosofico (pagine 117-122)