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3.1 – FORMA DI STATO

3.1.4 – LIBERTÀ E DIRITTI IN CINA

La questione dei diritti e delle libertà assume un ruolo particolarmente delicato in tutto il mondo e, ancor più nello specifico, in Cina. Per la sua ampiezza e per l’importanza che questo argomento ricopre al giorno d’oggi, meriterebbe di essere trattato approfonditamente in un’opera a sé stante. Ci limitiamo dunque ad un breve cenno in merito alla questione dei diritti e delle libertà fondamentali nella Repubblica Popolare cinese, tema in cui è facilmente osservabile sia la commistione tra tradizione e modernità, che da sempre permea questo paese, sia le profonde

62 Rinella A., in Pegoraro L., Rinella A., Op. Cit., p. 39. 63 Ivi, p. 41.

64 L’art. 36 recita: “I cittadini della Repubblica popolare cinese godono della libertà di credo

religioso. Nessun organo dello Stato, organizzazione pubblica o individuo può costringere i cittadini a credere o non credere in, qualsiasi religione, né possono discriminare i cittadini che credono, o non credono in, qualsiasi religione. Lo Stato protegge le normali attività religiose. Nessuno può fare uso della religione per impegnarsi in attività che disturbano l'ordine pubblico, mettere in pericolo la salute dei cittadini o interferire con il sistema educativo dello Stato. Enti religiosi e dei culti non sono soggetti ad alcuna dominazione straniera”.

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differenze che lo separano dal mondo occidentale. L’importanza di questo capitolo è dato anche dal peso che la questione dei diritti ricopre nel processo di trasformazione dell’ordinamento statale cinese attraverso un percorso che sembrerebbe condurlo, sempre più velocemente, ad una sua occidentalizzazione.

La questione dei diritti e delle libertà in Cina è nota all’opinione pubblica internazionale che, da anni, mantiene in merito una posizione fortemente critica. Ma l’analisi del problema è più complessa di quanto non appaia, perché in questo paese la tradizione giuridica è radicata all’interno di un contesto storico e culturale decisamente differente da quello in cui sono nate le democrazie occidentali. La stessa visione dei diritti fondamentali è nettamente diversa da quella di matrice europea, tanto da poter individuare una sorta di “modello asiatico” ricco di particolarità. A ciò si aggiunga che, in Cina, la nascita dello Stato socialista ha contribuito: ad affermare una concezione di individuo legato alle finalità proprie di questa forma di stato; alla elencazione, accanto ai diritti, di corrispettivi doveri; e alla subordinazione dell’effettiva tutela dei diritti al raggiungimento degli interessi della collettività. In questa prospettiva, i diritti individuali non sono pensati come preesistenti allo Stato (e quindi assoluti), ma scaturiscono dalla legge, che ne riconosce la legittimità.

In Cina, ma più generalmente nell’intero continente asiatico, la questione dei diritti è considerata da un diverso punto di vista che ritiene gli interessi dei singoli subordinati al bene comune e che preferisce una risoluzione pacifica delle controversie. Come abbiamo visto nel primo capitolo65, grande influenza è stata esercitata, in questo senso, dal confucianesimo, il quale afferma una visione dell’ordine universale fondata su un insieme di relazioni sociali nella quale all’individuo è chiesto di conciliare la propria posizione con quella altrui e di adempiere ai propri doveri. Sebbene oggigiorno il tema dei diritti assuma una dimensione transazionale, che nemmeno i paesi asiatici possono ignorare, questo contesto culturale assume ancora molta importanza. Così, durante la Conferenza regionale asiatica del 1993, convocata in vista della Conferenza mondiale sui diritti umani tenutasi lo stesso anno, i paesi asiatici partecipanti elaborarono la

65 Si veda il paragrafo 1.2.

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Dichiarazione di Bangkok nella quale si affermavano i c.d. asian values, ovvero una visione della società in cui: maggiore attenzione è rivolta al bene comune della collettività; la famiglia è considerata la pietra angolare della società stessa; la ricerca del consenso è preferita alla controversia; disciplina e ordine sociale sono alla base dell’ordine universale; grande rispetto viene riservato ad anziani e bambini; il governo ha un ruolo decisivo nello sviluppo economico del paese.

A questo aspetto culturale tradizionale si aggiunga che, in Cina, è esistita per secoli un’economia basata prevalentemente su rapporti feudali e che ha configurato una rete di rapporti sociali basati su criteri gerarchici e, quindi, in netta contraddizione con il principio di eguaglianza. Inoltre, dirigenti del Partito e intellettuali, sono ancora convinti che la popolazione cinese sia attualmente impreparata a esercitare coscienziosamente i diritti civili e politici. Solo quando lo sviluppo economico avrà formato una società materialmente e culturalmente più evoluta, un pieno godimento dei diritti sarà possibile e sarà la società stessa e richiederlo. Infine, si noti che al momento la RPC manca di quegli strumenti giuridici, tipici degli ordinamenti occidentali, che garantiscono una reale fruizione dei diritti e delle libertà, tra cui: un’effettiva rigidità costituzionale; la previsione di riserve di legge e di giurisdizione; la facoltà di attivare strumenti di tutela in caso di una violazione dei propri diritti; la responsabilità dei pubblici funzionari per atti compiuti in violazione di diritti altrui; il sindacato di legittimità delle leggi. Da tutto ciò deriva che, per quanto strano possa sembrare all’osservatore occidentale, la coscienza dei propri diritti non fa parte del modo di pensare della popolazione cinese. In ogni caso, non si può negare che, almeno sul piano formale, la Cina ha compiuto notevoli passi avanti e la ricerca di una sempre maggiore integrazione nella comunità internazionale sta avendo importanti effetti anche sul riconoscimento dei diritti e delle libertà.

Con l’avvento del socialismo, i nuovi organi di governo hanno respinto la validità del modello asiatico, proponendo una tesi alternativa basata sulla priorità dello sviluppo economico e sociale e, dunque, sull’idea che il diritto ad una sopravvivenza dignitosa e allo sviluppo della propria condizione vadano garantiti

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sopra ogni altro diritto. In base a questa teoria tutti i diritti sono passibili di limitazioni qualora ciò si rivelasse necessario per lo sviluppo economico del paese. Ciò è reso possibile dal principio di non assolutezza dei diritti, tipico delle culture asiatiche, il quale implica che i diritti vengano garantiti solo se espressamente disciplinati.

Il primo riconoscimento di diritti e libertà all’interno di una carta costituzionale si ebbe nel 1949 con il Programma comune, ma fu solo con la Costituzione del 1954 che la Cina si è dotata, al capitolo III, di un dettagliato catalogo di diritti (e dei relativi doveri), spingendosi fino a dettare linee programmatiche per dare attuazione a tali previsioni. La rivoluzione culturale del 1966-1976 segnò, come è risaputo, un periodo buio della storia cinese, anche per quanto riguarda la tutela dei diritti. La Costituzione del 1975 eliminò ogni riconoscimento inserito nella precedente edizione, e diritti e libertà furono letteralmente calpestate. Con la Costituzione del 1978 essi tornarono a far parte del testo costituzionale, ma fu solo nel 1982 che la visione dei diritti fu stata profondamente rinnovata, nel quadro di una graduale evoluzione verso un approccio più occidentale al tema. Di particolare rilevanza è la collocazione del catalogo dei diritti nella prima parte della Costituzione66. Sebbene questo capovolgimento strutturale non abbia di per sé effetti pratici, è rappresentativo della volontà delle autorità politiche di dare sempre maggiore rilevanza alla questione. A conferma di ciò, si deve segnalare la copiosa produzione legislativa in merito di diritti dei cittadini che ha seguito l’entrata in vigore della Costituzione del 1982. Sono state infatti promulgati numerose leggi nazionali e locali, diversi regolamenti normativi per agevolare l’esercizio dei diritti riconosciuti, e la stessa Corte suprema ha spesso adottato interpretazioni giurisprudenziali estensive al fine di rafforzare la tutela di specifici diritti.

Con la revisione costituzionale del 2004 è stato modificato l’articolo 33 della Costituzione il quale ora prevede che “Lo Stato rispetta e protegge i diritti umani”. Si tratta di una revisione particolarmente importante da un punto di vista ideologico e

66 La lista dei diritti e dei doveri occupa il secondo capitolo, precedendo quello dedicato agli organi

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simbolico, in quanto pare escludere qualsiasi previsione di riserve o limiti. La stessa espressione “diritti umani” è del tutto nuova in quanto in precedenza ci si era sempre riferito ai “diritti dei cittadini”, una formulazione che escludeva decisamente l’universalità dei diritti. La revisione del 2004 si inserisce, comunque, in un quadro di apertura della RPC alla cooperazione internazionale iniziata a partire della seconda metà degli anni ’90 quando la Cina ha sottoscritto importanti trattati internazionali in materia di diritti umani. Ad oggi, questi sono 21 e tra loro troviamo la Convenzione contro la Tortura, entrata in vigore nel 1987, e la Convenzione per i diritti dell’infanzia del 1989. Gli effetti di questa nuova formulazione potrebbero essere importanti. Innanzitutto, l’introduzione di una concezione universalistica dei diritti umani sembra essere idonea a superare l’approccio asiatico che finora ha condizionato il modo di concepire la questione. In secondo luogo, l’articolo 33 si pone come una norma “aperta” e quindi capace di estendersi fino a comprendere situazioni giuridiche che non sono espressamente regolate dal testo costituzionale. Inoltre, la norma è formulata in senso assoluto, ovvero senza la previsione di alcuna riserva; ciò, insieme al nuovo ruolo di protettore affidato allo Stato, potrebbe implicare una serie di autolimitazioni in capo al potere statale.

La reale influenza che questa revisione avrà sull’effettivo godimento dei diritti e delle libertà da parte della popolazione cinese dipenderà dal concreto evolversi della vita politica e sociale del paese. Per una concreta effettività servirebbe, infatti, quel riconoscimento della Costituzione quale norma suprema e inviolabile che, come si è visto nel paragrafo precedente, in Cina è attualmente assente. Ciò non toglie che, benché al momento la Cina mantenga una concezione tipicamente socialista dei diritti, utilizzi formule vaghe e ambigue, e subordini il loro effettivo esercizio al compimento dei proprio doveri67, la revisione del 2004 e dell’articolo 33 giustifichi

crescenti speranze.

67 Mentre si afferma la relatività dei diritti, prevedendo alcune limitazioni al loro godimento, nessuna

deroga è prevista per i doveri contemplati in Costituzione dagli articoli 51-56, ai quali nessun cittadino può sottrarsi. La particolarità del caso cinese non risiede però nei doveri previsti, tipici di tutti gli ordinamenti costituzionali moderni, ma nel fatto che alcuni di essi siano esplicitamente richiamati come contrappeso dei diritti riconosciuti ai cittadini.

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