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Limiti al potere: l’impiego della forza fisica e l’uso dei mezzi di coercizione

In ossequio al principio costituzionale, che impone di sanzionare ogni violenza fisica e morale sulle persone private della libertà personale , la legge vieta l’impiego della forza fisica per fini 33

disciplinari, vale a dire per scopi esclusivamente punitivi, e ne autorizza l’uso soltanto quando ricorrono particolari circostanze, disciplinate in modo tassativo dal legislatore. Il legislatore ha attribuito grande rilevanza a tale materia, al punto da prevedere all’interno dell’ordinamento penitenziario una norma chiara e dettagliata, volta a regolare l’uso della forza fisica e degli altri mezzi di coercizione, escludendo, quindi, la previsione di norme di esecuzione. La disciplina della materia è stata necessaria, poiché il

Art. 13 della nostra Carta Fondamentale. 33

La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

ricorso a tale strumenti, pur non rappresentando una regola, deve ritenersi inevitabile specialmente nell’ambiente carcerario in cui le difficoltà dei rapporti fra la popolazione detenuta e il personale penitenziario possono creare situazioni di emergenza e di tensioni in cui gli individui potrebbero perdere il controllo del proprio comportamento. Ma i mezzi di coazione fisica incidono in maniera rilevante sulla persona del detenuto, talvolta fino addirittura a metterne a rischio la salute, di conseguenza il loro uso va circondato di effettive cautele. Il legislatore del 1975 ha predisposto delle cautele non solo, come ho già detto, disciplinando la materia quasi integralmente con legge, bensì cercando di delimitare al massimo la discrezionalità dei soggetti autorizzati a farne uso, per evitarne degli abusi . L’art. 41 dell’ord. penit. regola tale materia, stabilendo con 34

il termine <<personale>> i soggetti autorizzati ad impiegarli, riferendosi esclusivamente alla polizia penitenziaria, e non agli altri operatori penitenziari: se così non fosse, i confini applicativi della disposizione citata diventerebbero indeterminati in contrasto con la

La Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà 34

fondamentali della tortura (Firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 8489). All’ art. 3 disciplina la proibizione della tortura <<Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.>>

Ricordiamo una recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea, avendo quest’ultima ritenuto che l’uso della forza fisica effettuato nel carcere di Sassari, in data 3 aprile 2000, nei confronti di un gruppo di detenuti ivi ristretti ha integrato una violazione dell’art. 3 Conv. eur. dir. uomo, v. C. eur.. 1-07-2014, Saba c. Italia.

sua natura derogatoria. La regola generale è che l’uso della forza fisica non è consentito nei confronti dei detenuti e internati se non in casi eccezionali. Infatti, il presupposto di carattere generale e inderogabile per poter ricorrere a questa forma di coercizione è l’elemento dell’indispensabilità: questo significa che essa deve risultare come unico mezzo capace di fronteggiare le straordinarie situazioni in atto. L’impiego della forza fisica si giustifica soltanto per evitare un pericolo grave ed attuale per la sicurezza o l’ordine, siamo in presenza di un criterio di necessità. Gli operatori penitenziari, dunque, dovranno valutare attentamente la possibilità di ricorrere a metodi alternativi e meno cruenti, dovendo impiegare la forza fisica quando questa sia l’unica idonea a prevenire o impedire i pericoli tipizzati. In più tale intervento deve rispettare il criterio di proporzionalità dei beni in conflitto, ossia la quantità della misura di forza impiegata deve essere quella minima necessaria a mantenere l’ordine e la sicurezza all’interno dell’istituto di pena . Gli eventi 35

che autorizzano l’impiego della forza fisica sono espressamente elencati: commissione o anche una minaccia di atti di violenza dei detenuti; tentativo di evasione in atto o comunque gia iniziato ; 36

resistenza, anche passiva, degli ordini impartiti. In merito a

Art. 64 reg. penit. eur. 35

La disposizione in esame legittima il ricorso all’impiego della fora fisica solo al 36

fine di impedire tentativi di fuga, ma nessuna coercizione può essere esercitata per prevenirli.

quest’ultima situazione, sono state mosse delle critiche, si osserva come la stessa rischi di rendere l’uso della violenza e della coercizione fisica ancora più un potere discrezionale, con l’aggravante che il titolale di tale potere discrezionale finisce per essere solo la polizia penitenziaria. Questa critica trova fondamento nel II comma dell’articolo in esame, il quale stabilisce che il personale, immediatamente dopo l’uso della forza fisica, ha solo l’obbligo di informativa al direttore e non si prevede, almeno là dove è possibile, un sindacato preventivo dello stesso (il direttore è l’organo meno coinvolto rispetto alla polizia penitenziaria nei conflitti nascenti in carcere), qualunque sia stato il motivo che abbia determinato l’uso del mezzo coercitivo . Il direttore, informato 37

dell’utilizzo della forza fisica nei confronti del detenuto o internato, deve disporre senza indugio accertamenti sanitari e svolgere ulteriori indagini sull’accaduto. Questa disposizione ha come primo scopo quella di garantire le eventuali cure mediche che si dovessero rendere necessarie, e anche ad evitare nel caso di denuncia e accertamenti tardivi, l’impossibilità di ricostruire i fatti con precisione, da questo deriva spesso il sospetto di soprusi da parte della polizia

In realtà, maggiore garanzie verso un impiego eccezionale della forza fisica o di 37

altri mezzi di coercizione, potrebbero derivare da una sottoesposizione di tali strumenti al controllo diretto del magistrato di sorveglianza (cfr. LOI- MAZZACUVA, op.cit., pag. 91).

penitenziaria . Il legislatore non esclude la possibilità di fare uso di 38

altri mezzi diversi della forza fisica. Il comma III dell’art. in esame, introduce, incomprensibilmente, una deroga al principio di legalità, demandando al regolamento la previsione di altri strumenti di coercizione fisica. Il regolamento del 1976, adempiendo rigorosamente al mandato legislativo, aveva disciplinato soltanto uno di questi mezzi coercitivi (le fasce di contenzione ai polsi e alle caviglie) e lo aveva circondato di garanzie. Il nuovo regolamento di esecuzione ha eliminato la possibilità di ricorrere all’utilizzo del “letto di contenzione” , quest’ultimo comportava gravi conseguenze 39

nei confronti del soggetto destinatario di tale strumento, precisando, però, che l’utilizzo della coercizione fisica, nei casi consentiti, può avvenire soltanto sotto il controllo sanitario per le medesime finalità previste dalla norma in esame, e con l’uso degli strumenti utilizzati presso le istituzioni ospedaliere pubbliche . Con il richiamo previsto 40

nella norma regolamentare si è voluto, comunque, assicurare che oltre ai controlli propri del sistema penitenziario, hanno valore, in questo settore, anche quelli che indirettamente provengono dalla scienza e “dalle metodologie mediche vigenti dall’esterno” . Tra i 41

ALESSANDRI-CATELANI, Il codice penitenziario, Roma, 1992, pag.133. 38

Un tavolaccio su cui il condannato veniva legato tramite cinghie ed esposto nudo 39

per un periodo variabile a discrezione del comandante. Art. 82 reg. esec.

40

BRUNETTI-ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2005, pag. 403. 41

mezzi impiegati, diretti al contenimento della persona, potrebbero rientrare le “fasce di contenzione”, per le stesse finalità e con le stesse modalità d’uso utilizzate all’interno delle strutture psichiatriche pubbliche, impiegandoli nei limiti di tempo strettamente necessario per consentire l’intervento trattamentale farmacologico. L’utilizzo degli strumenti di contenzione fisica, quale mezzo volto ad immobilizzare il detenuto, è permesso solo << al fine di evitare danni a persone e a cose o di garantire la incolumità dello stesso soggetto>> , e comunque non può mai essere finalizzata a 42

perseguire scopi puramente disciplinari. Ipotizzato che venga ancora permesso l’utilizzo di mezzi volti ad immobilizzare il detenuto per brevi periodi di tempo, è evidente che per questi vale categoricamente il divieto di impiego non solo ai fini disciplinari, ma bensì per finalità differenti da quelle previste all’interno delle istituzioni ospedaliere pubbliche. Quest’ultima disposizione sembrerebbe inibire il ricorso a strumenti di contenimento al fine di procedere all’alimentazione coatta, benché volta a tutelare la salute del detenuto, nemmeno nel caso in cui la salute poterebbe risultare compromessa da un prolungato digiuno, a seguito di sciopero della fame . Se circondato da numerose cautele è l’impiego della forza, 43

Art. 41, comma III, ord. esec. 42

cfr. in tal senso il Tribunale di sorveglianza di Milano 9-7-1989, FISSALO, Rass. 43

addirittura eccezionale è qualificata l’ipotesi in cui il direttore può ordinare agli agenti in servizio di portare armi bianche o da sparo all’interno dell’istituto. L’art. 41, comma IV, ord. penit., difatti, previsto il divieto generale di introdurre armi all’interno degli istituti di pena, dispone una deroga al ricorrere di due presupposti: la sussistenza di un caso eccezionale e l’ordine del direttore 44

dell’istituto, al quale è rimessa la valutazione della presenza dell’eccezionalità del caso e della necessità di consentire agli agenti, in servizio nell’interno degli istituti, di portare armi. Emesso l’ordine di portare l’arma all’interno della sezione detentiva, l’agente potrà farne un uso legittimo negli stessi casi in cui l’impiego è consentito al pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 53 c.p.. Il regolamento 45

mantiene in silenzio sull’uso delle armi ad opera della polizia penitenziaria, ma dall'assenza di un’apposita disciplina legislativa, bisogna concludere che, non viene prevista nessuna scriminante in favore dell’appartenente alla polizia penitenziaria che per evitare

Si potrebbe pensare, ad esempio, ad una rivolta in atto e particolarmente 44

afferrata, in grado di coinvolgere diversi detenuti, o comunque, a comportamenti talmente gravi, da poter mettere in pericolo l’incolumità fisica degli agenti e degli altri detenuti.

Art. 53 c. p. Uso legittimo delle armi. Ferme le disposizioni contenute nei due 45

articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza. La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica.

l’evasione dall’istituto ricorra, appunto, all’uso delle ami, al di fuori dell’ipotesi dell’art. 53 c.p . Può succedere che, all’interno 46

dell’istituto, si verifichino disordini collettivi, accompagnati da atti di violenza o tali da far temere la possibile degenerazione in manifestazioni di violenza, con la conseguenza che l’amministrazione penitenziaria non sia nelle condizioni di intervenire efficacemente per ristabilire l’ordine e la sicurezza (ad esempio per insufficienza di organico). In tal caso, il direttore dell’istituto può chiedere al prefetto l’intervento della polizia di Stato e delle altre forze armate (carabinieri e guardia di finanza), informando immediatamente il Magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria . 47

Alcuni, per colmare l’attuale vuoto, propongono di estendere l’applicabilità 46

dell’istituto previsto dall’art. 53 c.p. , anche all’ipotesi di mera fuga,ossia di mera resistenza passiva, sempre che ricorrano la necessità di intervenire, la impossibilità di disporre di altri, efficaci e proporzionati strumenti impeditivi del fatto delittuoso, nonché il requisito della proporzione tra il bene leso e il dovere di adempiere ( CANEPA-MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2010, pag. 998).

Art. 93 reg. esec. 47