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Il procedimento disciplinare nei confronti dei detenuti e degli internati

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

CAPITOLO PRIMO

Il potere disciplinare

1.1. Cenni storici 1.2. La riforma del 1975

1.3. Regole penitenziarie europee 1.4. I doveri d’informazione

1.5. Il regime disciplinare: finalità 1.6. Ricompense

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CAPITOLO SECONDO

La disciplina

2.1. Gli illeciti disciplinari

PARTE PRIMA: Il procedimento 2.2. Principi generali

2.2.1. La constatazione 2.2.2. La contestazione 2.2.3. Le indagini

2.2.4. Il giudizio

2.3. La determinazione e deliberazione delle sanzioni 2.3.1. L’esecuzione, sospensione e condono

2.3.2. L’autorità competente a deliberare 2.4. Misure cautelari

PARTE SECONDA: Le sanzioni 2.5. Sanzioni disciplinari 2.6. L’isolamento in generale 2.6.1. L’isolamento disciplinare

2.7. Conseguenze derivanti dall’irrogazione di una sanzione

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2.8. Altri interventi a contenuto disciplinare 2.8.1. L’esclusione dai corsi d’istruzione 2.8.2. L’esclusione dalle attività lavorative

CAPITOLO TERZO

Il reclamo al magistrato di sorveglianza

3.1. Il reclamo nell’ambito disciplinare 3.1.1. La disciplina originaria

3.1.2 Procedura di reclamo dopo la Legge Gozzini 3.1.3. La normativa vigente

3.2. Il “nuovo” reclamo giurisdizionale 3.2.1. Il contesto

3.2.2. Il procedimento: la fase introduttiva 3.2.3. Fase istruttoria

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3.2.5. Le impugnazioni

3.2.6. L’effettività del provvedimento e il giudizio di ottemperanza

Appendice

Conclusioni

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Introduzione

Molto spesso la dottrina si impegna ad esaminare argomenti inerenti a trattamenti disumani nei confronti di alcune categorie di detenuti, (relativi ad esempio al c.d. regime del “carcere duro” o alla pena del c.d. ergastolo ostativo), ma assai raramente viene affrontata la questione riguardante il regime disciplinare applicato all’interno delle carceri. L’art. 1, comma III, ord. penit., prevede che all’interno degli istituti di pena devono essere mantenuti l’ordine e la sicurezza, ma per raggiungere tali scopi <<non si possono adottare restrizioni non giustificabili dalle esigenze predette nei confronti dei detenuti>>. Con questa previsione si pongono le premesse per l’adozione di una serie di misure restrittive applicate come sanzioni disciplinari. Ciò che porta ad affrontale tale tematica è il delicato problema dell’irrogazione di tali sanzioni. L’irrogazione delle stesse non avviene esclusivamente per mantenere l’ordine e la sicurezza, ma l’utilizzo che ne viene fatto va al di là delle prescrizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento. In particolare modo si esaminerà la sanzione più grave: il c.d. isolamento disciplinare, il quale determina un’ulteriore restrizione della libertà personale. Verranno affrontate le differenze intercorrenti fra il regime disciplinare previsto dal regolamento del 1931 e quello attuale

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previsto dalla riforma del 1975. Verrà ripercorsa l’evoluzione che dal primo regime disciplinare - il quale prevedeva delle rigide punizioni che si spingevano fino ad infliggere il trattamento a pane ed acqua ed il c.d. “pancaccio” con una sola coperta, le quali mortificavano la dignità umana ed avvilivano il detenuto o internato - ha portato alla nascita del nuovo regime disciplinare. Questo ha acquisito, all’interno del nostro sistema penitenziario, la natura di mezzo aggiuntivo di controllo di quei processi di modificazione degli atteggiamenti a cui il trattamento rieducativo tende. Alla vecchia disciplina incentrata su una struttura autoritaria si sostituisce una normativa informata al rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona. Ciononostante, tale regime si riconferma come il mezzo di gestione della comunità carceraria. Si ripercorreranno le finalità che il legislatore penitenziario si è prefissato di raggiungere, imperniando il regime anche sul tradizionale binomio ricompense-punizioni. Le ricompense, infatti, costituiscono l’altra faccia del regime disciplinare. Nella seconda parte si analizzeranno i profili inerenti al provvedimento disciplinare, con attenzione alle seguenti fasi: fase della constatazione, fase della contestazione, fase delle indagini e per concludere la fase del giudizio, a cui si giunge quando il direttore ritenga che, a seguito dell’infrazione, si debba procedere con una delle sanzioni elencate nell’art. 39 ord. penit. In seguito

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verranno ripercorsi le conseguenze nascenti dall’irrogazione delle sanzioni. Per poi passare in ultima analisi al reclamo davanti al magistrato di sorveglianza. Infatti avverso il provvedimento disciplinare che infligge una sanzione, il detenuto che abbia subito una lesione di un diritto fondamentale può proporre reclamo al magistrato di sorveglianza, in base alla normativa prevista dall’art. 69, comma VI, ord. penit, la quale ha subito una forte innovazione tramite la legge n. 10/2014. Non solo tramite l’introduzione del “nuovo” reclamo giurisdizionale previsto dall’art. 35 bis ord. penit., ma anche stabilendo che, nei casi di cui all’art. 39, comma I, nn. 4 e 5, la cognizione del magistrato di sorveglianza si estende anche al merito dei provvedimenti adottati dall’amministrazione penitenziaria, e non è circoscritta al solo sindacato di legittimità.

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Capitolo primo

Il potere disciplinare

1.1. Cenni storici

L'alveo dell'elaborazione della teoria del potere disciplinare, del rapporto disciplinare e del relativo procedimento è il processo amministrativo.

Il Regolamento Rocco del 1931 dedicava un intero capitolo all'indicazione di comportamenti che potevano essere puniti con sanzioni disciplinari, prevedendo sia il modo di accertamento dei comportamenti sanzionabili che l'applicazione delle punizioni o delle ricompense. Era previsto, in particolare, un sistema disciplinare dualistico che doveva servire da motivazione positiva oltre che negativa per il detenuto.

Una buona parte degli articoli dedicati al sistema disciplinare, prevedevano una descrizione minuziosa delle condotte punibili. Quindi, il Regolamento era ispirato ad un rigido rispetto del principio di tassatività, ma una deroga a tale principio si poteva trovare nell'art. 167 che prevedeva la punibilità di condotte; non espressamente previste dal regolamento, basandosi sull'indole e la gravità del fatto. Per quanto riguarda il contenuto delle sanzioni, poi,

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si poteva notare che miravano a tutelare la disciplina al lavoro, allo studio e alla religione. Veniva punita la mancata presenza al lavoro o alla scuola, oppure il contegno irriverente durante le funzioni di culto. In genere la sanzione consisteva nell'isolamento del detenuto, impedendogli l'uso della corrispondenza o negandogli le visite dei familiari. Inoltre, al detenuto che subiva la sanzione disciplinare, oltre ad essere sottoposto ad isolamento, veniva negata la possibilità di presentare reclami collettivi. Molte delle sanzioni disciplinari previste dal regolamento del '31 consistevano in pene corporali. Rispetto a questo regolamento, le sanzioni appaiono più corrispondenti al senso di umanità che deve caratterizzare l’esecuzione penitenziaria. Il loro carattere è più pedagogico che repressivo. D’altra parte, le rigide sanzioni previste dal precedente regolamento, che giungevano fino ad infliggere il trattamento a pane ed acqua e il “pancaccio” con una sola coperta, mentre mortificavano la dignità umana e avvilivano il detenuto o internato, non rispondevano alle finalità cui erano effettivamente dirette, ossia quelle di controllare totalmente la condotta dell’individuo, visto che le stesse erano, comunque, di durata limitata.

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1.2. La riforma del 1975

Le numerose innovazione apportate al Regolamento penitenziario del 1931 nonostante siano ritenute rilevanti sotto il profilo dell’attuazione dei principi espressi nella Carta Costituzionale in materia di diritti fondamentali, queste non hanno riguardato, in misura significativa, la struttura del sistema disciplinare. Quest’ultimo è attuato in modo da <<stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo>> ed è strutturato in maniera adeguata <<alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti>> . Il regime disciplinare ha acquisito, nell’attuale sistema 1

penitenziario, una dimensione che gli conferisce la natura di mezzo aggiuntivo di controllo di quei processi di modificazione degli atteggiamenti a cui il trattamento rieducativo tende. Quindi, mentre il precedente regolamento aveva dato al potere disciplinare per lo più un indirizzo finalistico repressivo e di equilibrio istituzionale (tenendo in considerazione il contesto storico e culturale in cui tale normativa veniva ad esistenza) quello attuale sceglie di focalizzarlo sull’individuo, svincolando il potere stesso da valutazioni emotive e discrezionali. Alla struttura autoritaria del precedente regolamento si è sostituita una normativa informata al rispetto della dignità e dei diritti inalienabili della persona. Oggi si evince l’idea che la

Art. 36 della legge n. 354 del 1975. 1

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disciplina all’interno delle carceri debba essere spogliata dalle sue caratteristiche esteriori e superficiali, punitive e limitative, per indossare quelle di un ordine armonioso nella regolamentazione della vita penitenziaria, dove la persona umana si esprima e si realizzi una interazione con la realtà sia interna che esterna. L’attuazione della disciplina deve, quindi, comportare e garantire al detenuto la libertà di agire, di conoscersi e di realizzarsi senza interferire nella sfera altrui. Negli istituti penitenziari la disciplina e l’ordine devono essere garantiti non solo per motivi di sicurezza, ma anche nell’interesse degli obiettivi di trattamento . Sicurezza e trattamento non sono 2

anime conflittuali ed incomponibili, ma sono aspetti correlati e complementari che si rafforzano a vicenda. Il soggetto detenuto, pur essendo limitato nel suo diritto di locomozione, conserva, per altri aspetti, intatta la propria sfera giuridica che può subire ulteriori compressioni esclusivamente nel rispetto di alcune garanzie . Vanno 3

ricordate, in tal senso, le garanzie che la riforma del 1975 ha cercato di introdurre all'interno di detto regime: nell'intento di affermare il principio di legalità rimanda al regolamento di esecuzione per

Concezione rinvenibile anche nell’ art. 33 delle Regole penitenziarie europee ed 2

all’art. 2, comma I, reg. esec.; Racc. C.M.C.E 12 febbraio 1987 in Convenzioni internazionali §5.

In tal senso, il legislatore ha, previsto all’art. 3, comma II, d.lgs. 30.10.1992, n.499 3

che si puniscano disciplinarmente gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che si rendano responsabili di abusi di autorità con i detenuti, di motteggi e ingiurie rivolti a questi ultimi o di emanazione di un ordine non attinente al servizio o alla disciplina o eccedenti i compiti di istituto.

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elencare le ipotesi comportamentali che sostanziano gli illeciti disciplinari ; la prevalenza del principio di collegialità su quello 4

monocratico ; le garanzie formali previste dall’art. 81 del 5

regolamento esecutivo, come la necessità che nessuna sanzione possa essere inflitta se non con un provvedimento motivato, la contestazione dell’addebito, il diritto di difesa, la contestualità temporale tra udienza e decisione; ed in ultimo, la censurabilità dell’esercizio di tale potere da parte del magistrato di sorveglianza.

1.3. Regole penitenziarie europee

Le regole penitenziarie europee sono disciplinate nell’allegato alla raccomandazione R(2006)2 approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio agli stati membri e costituiscono la nuova versione delle Regole minime per il trattamento dei detenuti . Il Consiglio d’Europa 6

ha adottato le Regole penitenziarie europee, in risposta ai profondi mutamenti nel bisogno di sicurezza, nella diffusione di misure alternative alla detenzione, nelle occasioni di comparazione dei

Art. 38 ord. penit.. prevede che i detenuti non possono essere puniti se non per un 4

fatto che sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento e art. 77 reg. esec.

Art. 40 ord. penit. 5

Le Regole minime europee hanno a loro volta inciso profondamente sulla riforma 6

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sistemi penitenziari, nel tasso di carcerazione e del conseguente sovraffollamento delle carceri, nella tipologia della criminalità. Queste regole rappresentano degli standard minimi che seppure indicati da disposizioni prive di status vincolante, impongono un obbligo morale e politico di adeguamento agli Stati del Consiglio d’Europa. Esse rappresentano il livello minimo delle condizioni che dovrebbero costituire l’obiettivo degli Stati europei. In tale corpo normativo si è molto insistito sulla nozione di dignità umana, sulla volontà dell’amministrazione penitenziaria di intraprendere un trattamento positivo ed umano, sulla creazione di un approccio moderno alla gestione dell’amministrazione e sull’importanza del personale. L’attuale versione delle Regole penitenziarie europee consta di nove parti e riguarda le condizioni di detenzione, l’organizzazione degli istituti penitenziari, nonché il personale penitenziario. Ai fini della materia in esame risulta coerente

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esaminare la parte IV la quale si sofferma sulle condizioni 7

necessarie da applicare per mantenere l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari. Occorrono delle procedure chiare per gestire quegli eventi che potrebbero in qualche modo minare la sicurezza e l’ordine interno. Quindi specifiche disposizioni del testo si riferiscono alla disciplina e alle relative punizioni da

Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee

Disciplina e sanzioni

56. 1. Le procedure disciplinari devono essere dei meccanismi di ultimo impiego. 2. Per quanto possibile, le autorità penitenziarie devono ricorrere a dei meccanismi di riparazione e di mediazione per risolvere le vertenze con i detenuti e le dispute fra questi ultimi.

57. 1. Solo un comportamento suscettibile di costituire una minaccia per la sicurezza e l’ordine interno può essere definito come un’ infrazione disciplinare. 2. Il diritto interno deve determinare: a. gli atti o le omissioni dei detenuti che costituiscono un’infrazione disciplinare ; b. le procedure da seguire in materia disciplinare; c. il tipo e la durata delle sanzioni disciplinari che possono essere inflitte ; d. l’autorità competente per infliggere tali sanzioni ;e e. l’autorità cui si può ricorrere e la procedura di appello.

58. Ogni presunta infrazione alle regole disciplinari da parte di un detenuto deve essere immediatamente riferita all’autorità competente, che svolgerà indagini in merito senza indugio.

59. I detenuti accusati di un’infrazione disciplinare devono: a. essere prontamente informati, in dettaglio e in una lingua che comprendono, in merito alla natura delle accuse rivolte contro di loro; b. avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della loro difesa; c. avere il permesso di difendersi da soli o per mezzo di un assistente legale qualora ciò sia necessario nell’interesse della giustizia; d. avere il permesso di ottenere la presenza di testimoni e di interrogarli o farli interrogare; e. avere l’assistenza gratuita di un interprete qualora non comprendano o non parlino la lingua usata nel procedimento.

60. 1. Qualunque sanzione inflitta dopo il giudizio di colpevolezza di un’infrazione disciplinare deve essere conforme alla legge. 2. La severità dell’infrazione deve essere proporzionale alla gravità dell’infrazione. 3. Le sanzioni collettive, le pene corporali, il collocamento in una camera senza luce così come ogni altra forma di punizione inumana o degradante devono essere vietate . 4. La sanzione non può consistere in una proibizione assoluta dei contatti con la famiglia. 5. L’isolamento come sanzione disciplinare può essere imposto solo in casi eccezionali e per un periodo determinato di tempo, il più breve possibile. 6. I mezzi di contenzione non devono mai essere utilizzati come sanzioni. 61. Ogni detenuto ritenuto colpevole di un’infrazione disciplinare deve essere in grado di fare appello ad un’autorità competente superiore e indipendente.

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applicare. Le infrazioni disciplinari devono essere definite con precisione e le procedure regolamentate, nel rispetto dei principi di giustizia e di equità. Ciò comporta l’esistenza di un regolamento dallo status giuridicamente e chiaramente definito, che elenchi con precisione gli atti o le omissioni che costituiscono un’ infrazione disciplinare e che possono dar luogo ad una formale azione disciplinare. Ogni denuncia di violazione delle regole di disciplina da parte di un detenuto deve essere segnalata immediatamente all’autorità competente che deve esaminare i fatti contestati nel più breve tempo possibile. Ogni detenuto accusato nel quadro di una procedura disciplinare ha il diritto di conoscere preventivamente il dettaglio delle accuse che gli sono mosse e di disporre di un periodo sufficiente per preparare la sua difesa. Le sanzioni possono comprendere un ammonimento formale scritto, l’esclusione dal lavoro, la trattenuta sui salari (versati in contropartita al lavoro svolto in istituto), la limitazione alla partecipazione ad attività ricreative, la limitazione dell’uso di certi oggetti personali, la limitazione degli spostamenti all’interno dell’istituto. L’isolamento cellulare, indicato alla Regola 60.5 rinvia a tutte le forme di allontanamento di un detenuto dalla popolazione penitenziaria collocandolo da solo in una cella o in un locale adibito a tale scopo. L’isolamento cellulare non è una sanzione appropriata, tranne in casi molto eccezionali. Il ricorso

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a mezzi di contenzione può avere il solo fine di garantire la sicurezza o prevenire danni alle persone, ma non possono essere impiegati come sanzioni. Il detenuto riconosciuto colpevole di aver compiuto un’infrazione ha il diritto di inoltrare ricorso ad un’autorità indipendente. Le regole disciplinari dovrebbero precisare qual è l’autorità, come preparare e depositare il ricorso. Dovrebbero inoltre garantire una conclusione rapida della procedura di appello. Nessun detenuto può essere punito due volte per la stessa infrazione . Questa 8

regola va interpretata alla luce degli impegni internazionali degli Stati membri, in particolare degli obblighi assunti nel quadro della messa in atto dei trattati internazionali che contengono le disposizioni sul principio del “ne bis in idem”.

Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle 8

Regole penitenziarie europee

63. Un detenuto non dovrà mai essere giudicato o punito due volte per la stessa azione o comportamento.

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1.4. I doveri d’informazione

Il capo IV, rubricato <<Regime penitenziario>> , del titolo I della 9

legge 354 del 1975, si compone di un complesso di norme, che dettano i principi di gestione di un istituto di pena e stabiliscono le regole di condotta dei detenuti e degli internati, indispensabili per il mantenimento dell’ordine e della disciplina, quest’ultimi garantiscono la sicurezza “che costituisce la condizione per la realizzazione della finalità del trattamento” ( art 2, comma , D.P.R 30 giugno 2000).

Queste norme individuano il concetto di <<regime penitenziario>> quale sottocategoria del trattamento ordinario. I destinatari del regime penitenziario sono tutti i detenuti, compresi quindi i soggetti in custodia cautelare. Al regime penitenziario afferiscono le disposizioni che stabiliscono regole di condotta ritenute necessarie per il perseguimento delle finalità del trattamento indicate nell’art 1. ord. penit., in quanto dirette a soddisfare le primarie esigenze di ordinato e disciplinato svolgimento della vita carceraria. 10

Il capo IV del titolo 1 della legge n. 354 del 1975 introduce il concetto di 9

<<regime penitenziario>>, da intendersi come sottocategoria del <<trattamento ordinario>>; con quest’ultima espressione si intende il trattamento, riservato a tutti i detenuti, cui si riferisce il comma I, dell’art 13 ord. penti., il quale stabilisce che deve rispondere <<ai bisogni della personalità di ciascun soggetto>>.

Di GENNARO -BREDA-LA GRECA , Ordinamento penitenziario e misure alternative 10

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Poiché l’ordine e la disciplina si conseguono con l’imporre limitazione al comportamento dei detenuti, l’ambito del regime penitenziario si costituisce essenzialmente di norme che sacrificano i diritti della persona, ad opera di un’attività caratterizzata da un marcato dominio dell’autorità amministrativa.

L’art. 32 ord. penit. pone l’ obbligo a carico dell’amministrazione penitenziaria di informare i detenuti e gli internati, al momento dell’ingresso in istituto, dei loro diritti e dei loro doveri, della disciplina e del trattamento. Viene previsto il deposito, in luogo accessibile agli interessati, del testo di legge, del regolamento di esecuzione e del regolamento interno, nonché di ogni altra disposizione attinente ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al trattamento. Per garantire una maggiore consapevolezza delle regole che conformano la vita nel contesto carcerario e al fine di garantire l’effettivo esercizio dei loro diritti, l’informativa è stata sostituita dalla <<Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti>> . Tale 11

documento contiene una chiara esplicazione del regime al quale il detenuto e l’internato sono sottoposti; si tratta di uno strumento introdotto per aumentare la conoscenza delle regole che governano il sistema penitenziario. La Carta dei diritti e dei doveri, tradotta nelle lingue più diffuse tra i detenuti e gli internati stranieri, va consegnata

Introdotta al II comma dell’art. 69 reg. esec. dal d.p.r 5 giugno 2012 n. 136, i cui 11

contenuti sono analiticamente stabiliti dal decreto del ministro della giustizia del 5 giugno 2012.

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all’interessato al momento dell’ingresso in carcere. Per rendere effettivo il compito di fornire al detenuto le informazioni di cui all’art. 32, comma I, ord. penit., e consegnargli la Carta dei diritti e dei doveri, il direttore, o un operatore penitenziario da lui designato, è tenuto a svolgere un colloquio con il soggetto all’atto del suo ingresso in istituto. Sempre al fine di permettere al detenuto il 12

r i s p e t t o d e l l e r e g o l e d i v i t a d e l l ’ i s t i t u t o i n c o m b e sull’amministrazione, anche il dovere di chiarire, nel caso richiesta, le ragioni delle medesime regole. 13

1.5. IL regime disciplinare: finalità

Il regime disciplinare è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo. Esso è adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti (art. 36 ord. penit.). Tale 14

regime costituisce lo strumento per garantire l’ordinato svolgersi della vita dell’istituto di pena, inoltre è imperniato sul tradizionale binomio ricompense-punizioni. Si riconferma come il tradizionale 15

mezzo di gestione della comunità carceraria . In particolare modo, lo

Art. 23, comma V, reg. esec. 12

Art. 69, IV comma, reg. esce. 13

Art. 36 ord. penit. 14

Per stimolare i detenuti, ad assumere un atteggiamento critico nei confronti di se 15

stessi e di acquistare consapevolezza del proprio stato e delle proprie responsabilità, l’ordinamento ha previsto delle ricompense, quest’ultime costituiscono dei riconoscimenti a coloro che si distinguono per determinate condotte positive. Art. 37 ord. penit.

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strumento disciplinare <<va incontro all’esigenza di reprimere una pericolosità penitenziaria che si è già espressa e persegue, a sua volta, l’obiettivo di scoraggiare ulteriori turbative della pax

interna>> . L’art. 1, comma III, ord. penit. prevede che all’interno 16

degli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina, e successivamente quando afferma, che nei confronti dei detenuti non possono essere adottate delle restrizioni non giustificabili con le esigenze predette, salvo, nei confronti degli imputati, quelle necessarie ai fini giudiziari, pone le basi per poter prevedere una serie di restrizioni nei confronti dei detenuti. Ed è in questa prospettiva che si colloca il regime disciplinare. Tuttavia, il regime disciplinare svolge anche un ruolo differente e più articolato. Dall’art. 36 dell’ord. penit. si evince che <<il senso di responsabilità>> e la capacità di <<autocontrollo>> rappresentato il fondamento del regime disciplinare, di conseguenza si vuole sottolineare che tale regime deve concorrere all’opera di trattamento, ossia si configura come un mezzo aggiuntivo di controllo << di quei processi di modificazione degli atteggiamenti a cui il trattamento rieducativo tende >> . Il regime disciplinare deve concorrere 17

all’opera di trattamento, affinché lo stesso non debba essere visto in

DELLA CASA, Ordinamento penitenziario, Enc.. D. Ann.,t. II, pag. 211. 16

BRUNETTI-ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2004, pag. 271; 17

nello stesso senso SCOMPARIN, in NEPPI MODONA-PETRINI-SCOMPARIN, pag. 254.

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funzione repressiva, ma come stimolo per i detenuti e gli internati ad assumere un atteggiamento critico nei confronti del loro comportamento. Tale obiettivo risulta non facilmente raggiungibile, visto che continua ad essere considerato dai detenuti come uno strumento esclusivamente repressivo ed afflittivo. E’ fondamentale che il detenuto acquisti la consapevolezza delle proprie responsabilità e il rispetto degli altri. Tale regime ha innanzitutto carattere pedagogico; l’applicazione di una sanzione disciplinare deve assumere un carattere educativo, si esclude il carattere repressivo della stessa.

Il detenuto non è semplicemente un soggetto da custodire, ma una persona che, errando, ha dato prova di non possedere un adeguato senso di responsabilità e di autocontrollo. Si evince dalla norma l’impegno programmatico a far assumere alle sanzioni e alle ricompense la funzione di stimolare nel detenuto non un rispetto passivo delle regole imposte dal regime penitenziario, bensì un atteggiamento critico nei confronti della propria condotta; lo sviluppo di un atteggiamento autocritico del detenuto è indice di una progressione verso il reinserimento sociale: scopo dichiarato della pena detentiva. Il sistema normativo si muove in un’ottica trattamentale, che privilegia la tendenza rieducativa della pena, per cui anche il regime disciplinare deve contribuire a sollecitare (e non

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ad imporre) una modificazione della personalità del condannato o dell’internato “in senso eticamente valido e socialmente congruo’’ . 18

Si prospetta un utilizzo dei risultati del regime disciplinare, annotati nella cartella personale del detenuto , nella valutazione complessiva 19

dei comportamenti dei detenuti e dei loro progressi registrati in sede di trattamento rieducativo. Tale valutazione risulta particolarmente rilevante ai fini della concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione.

In conclusione, il regime disciplinare sembrerebbe porsi , oltre che come mezzo per garantire l’ordinato svolgersi della vita dell’istituto, << come uno dei banchi di prova cui ricorre per verificare il fine rieducativo>>. Sennonché tale finalità, non solo non viene 20

CANEPA-MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2010 : op. cit. pag. 110. 18

Art. 26 reg. esec. 19

1. Per ogni detenuto o internato e' istituita una cartella personale, la cui compilazione inizia all'atto dell'ingresso in istituto dalla liberta'. La cartella segue il soggetto in caso di trasferimento e resta custodita nell'archivio dell'istituto da cui il detenuto o l'internato e' dimesso. Di tale custodia e' data tempestiva notizia al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

2. L'intestazione della cartella personale e' corredata dei dati anagrafici, delle impronte digitali, della fotografia e di ogni altro elemento necessario per la precisa identificazione della persona.

3. Nella cartella personale, oltre quanto stabilito dall’articolo 94 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono inseriti i dati e le indicazioni previsti dal quarto comma dell'articolo 13 della legge, con specifica menzione delle ricompense, delle sanzioni disciplinari e delle infrazioni che le hanno determinate, nonche’ della eventuale sospensione, condono ed estinzione delle sanzioni stesse, delle istanze e dei provvedimenti di cui al capo VI del titolo I della legge, della sottoposizione al regime di sorveglianza particolare e del reclamo eventualmente proposto, nonche' di ogni altro dato richiesto da disposizioni ministeriali.

FERRAIOLI, in GREVI, GIOSTRA, DELLA CASA, Ordinamento penitenziario 20

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rispettata nella previsione delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari (come vedremo in seguito), ma risulta smentita dalla circostanza che il regime disciplinare viene applicato anche nei confronti di soggetti in custodia cautelare, rispetto ai quali <<almeno stando alle premesse poste in tema di presunzione di non colpevolezza, non ha ragione di prospettarsi alcun legame con le finalità del trattamento rieducativo>> . 21

La seconda parte della fattispecie in esame stabilisce che il regime disciplinare deve essere strutturato in maniera adeguata <<alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti>>, fissando due obiettivi: quello primario di salvaguardare il rispetto della dignità della persona e quello secondario ribadendo la strumentalità delle sanzioni disciplinari alla finalità della rieducazione. 22

Si tratta di una disposizione, a carattere generale, che trova maggiori articolazioni in altre parti della legge e del regolamento di esecuzione. Infatti, particolarmente dettagliata è la disciplina dell’isolamento, non solo durante l’esclusione dell’attività in

PRESUTTI, Profili premiali dell’ordinamento penitenziario, Milano,1986, pag. 26. 21

Linee guida in materia di regime disciplinare vengono dettati anche dalla 22

Raccomandazione R(2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle Regole penitenziari europee, adottata dal Consiglio dei Ministri, l’11 gennaio 2006, nell’ art. 56. <<Le procedure disciplinari devono essere dei meccanismi di ultimo impiego. Per quanto possibile, le autorità penitenziarie devono ricorrere a dei meccanismi di riparazione e di mediazione per risolvere le vertenze con i detenuti e le dispute fra questi ultimi>>.

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comune , ma anche in merito a quello attuato in via cautelare . 23 24

Inoltre, controlli medico-sanitari vengono previsti nel caso di impiego della forza fisica e uso di mezzi di coercizione . 25

Particolarmente significativa sotto questo profilo è anche la disposizione riservata agli infermi e ai seminfermi di mente, secondo sui <<le sanzioni disciplinari si applicano solo quando, a giudizio del sanitario, esista la sufficiente capacità naturale che consenta loro coscienza dell’infrazione commessa ed adeguata percezione della sanzione conseguente>>. 26

1.6. Le ricompense

Le ricompense costituiscono una delle due parti del regime disciplinare, quindi, anche queste sono finalizzate al recupero del senso di responsabilità che il detenuto deve dimostrare di aver raggiunto nella sua condotta personale e nelle varie attività organizzate all’interno degli stessi istituti. La tipologia delle varie ricompense dimostra la filosofia trattamentale del regime disciplinare. Esse mirano ad ottenere, non un adattamento passivo alle regole comportamentali previste dall’istituzione carceraria, bensì

Art. 39, comma II, ord. penit e Art. 80, comma III, reg. esec. 23

Art. 78, comma II, reg. esec. 24

Art. 41,comma II e III, ord. penit. e Art. 82,comma I, reg. esec. 25

Art. 20, comma VII, reg. esec. 26

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una partecipazione attiva alla vita comunitaria. Le ricompense si configurano, almeno dal punto di vista formale, come mezzi del trattamento rieducativo , anche se non si legano direttamente al 27

c.d. trattamento progressivo. Infatti, la concessione di una ricompensa non comporta una modifica tout court dello status dei detenuti . La premialità è quindi intesa in chiave rieducativa e non 28

come semplice strumento di governo della vita penitenziaria, questo si evince dalla descrizione delle condotte dalle quali possono scaturire le ricompense. L’art. 37, comma II, dell’ord. penit. rimanda al regolamento l’individuazione delle ricompense e degli organi competenti a concederle. L’art. 76 del regolamento esecutivo va oltre

In tal senso: a quarant’anni dell’entrata in vigore della legge sull’ordinamento 27

penitenziario (l.26 luglio 1975 n. 354), si può sostenere che l’art.1 continui a rappresentare la norma più emblematica della svolta ideologica operata dal legislatore del 1975 rispetto al precedente modo di intendere la posizione del detenuto all’interno dell’ambito carcerario.

Art. l. n. 354/19751.  Trattamento e rieducazione.

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona.  Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.  Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.  I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome. Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.  Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.

cfr. DI GENNARO-BREDA-LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure 28

alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 196; secondo BRUNETTI-ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2004, pag. 396, <<contribuiscono alla progressiva socializzazione dei detenuti, culminano nella proposta di concessione delle misure alternative alla detenzione >>.

(26)

il mandato legislativo, infatti, a differenza del regolamento carcerario del 1931, non solo individua le ricompense, ma tipizza anche le condotte meritevoli di ricompensa. Il principio di legalità sostanziale e processuale non è stato applicato, secondo alcuni, perché le ricompense non possono comportare la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo . Inoltre, l’articolo in esame non si 29

accontenta della passiva conformità della condotta penitenziaria alle regole di disciplina richiedendo sempre un particolare impegno, una particolare disponibilità, un comportamento responsabile e degli atti meritevoli. Viene premiato, infatti, il detenuto che mostra una particolare collaborazione fattiva nelle attività trattamentali o risocializzanti. L’art. 76, comma I, del regolamento esecutivo, infatti, stabilisce che le ricompense sono concesse ai detenuti e agli internati che si sono distinti:

a) particolare impegno nello svolgimento del lavoro; b) particolare impegno e profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale;

c) attiva collaborazione nell'organizzazione e nello svolgimento delle attività culturali, ricreative e sportive;

DI GENNARO-BREDA-LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative 29

alla detenzione, Milano, 1997, pag. 196; NAPOLI, Il regime penitenziario, Milano, 2012, pag. 193. In tal senso, altri, però, denunciano l’insufficienza, o perfino la mancanza, di garanzie legislative, poiché affermano che le ricompense, differentemente dalla sanzioni, essendo finalizzate a realizzare il fine rieducativo della pena, incidano sulle condizioni di vita del detenuto, fino a interferire nella sfera della libertà individuale. cfr. PRESUNTI, Profili premiali dell’ordinamento penitenziario, Milano, 1986, pag. 26.

(27)

d) particolare sensibilità e disponibilità nell'offrire aiuto ad altri detenuti o internati, per sostenerli moralmente nei momenti di difficoltà di fronte a loro problemi personali;

e) responsabile comportamento in situazioni di turbamento della vita dell'istituto, diretto a favorire atteggiamenti collettivi di

ragionevolezza;

f) atti meritori di valore civile.

Per i comportamenti descritti possono essere concesse le ricompense previste dal II comma dello stesso articolo. Esse risultano graduate nelle forme dell’encomio (lett. a); della proposta per la concessione dei benefici dell’affidamento in prova, della detenzione domiciliare, della semilibertà, delle licenze, della liberazione anticipata e della remissione del debito (lett. b) ; e per ultimo, della proposta di 30

grazia, di liberazione condizionale e di revoca anticipata della misura di sicurezza (lett. c). Gli imputati possono beneficiare solo dell’encomio dal momento che le altre ricompense sono applicabili esclusivamente a coloro che scontano una sentenza di condanna definitiva. In ordine alle autorità competenti, il regolamento attribuisce al direttore (organo monocratico) il potere di concedere l’encomio, mentre al consiglio di disciplina (organo collegiale) il potere di concedere tutte le altre ricompense. Sebbene dalla disposizione possa sembrare che il direttore sia titolare di un potere

Rispetto al regolamento carcerario del periodo fascista, assume una grande 30

importanza innovativa la proposta di concessione dei vari benefici penitenziari previsti alla lett. b, alla quale si aggiunge la proposta di liberazione condizionale ( sebbene essa nella progressione remunerativa si posizioni ad un livello superiore), incidendo sui risultati del trattamento rieducativo in maniera rilevante.

(28)

insignificante, in realtà non è assolutamente così. Questo perché non solo il direttore è un membro del consiglio di disciplina, ma soprattutto perché la concessione delle ricompense può avvenire soltanto dietro sua iniziativa (aspetto essenziale e determinate per dare avvio al procedimento). Quindi il procedimento per la concessione del beneficio prende avvio per iniziativa del direttore, che accerta la sussistenza di condotte dei detenuti e degli internati riconducibili ad una delle ipotesi previste dall’art. 76 reg. esec, ha la possibilità di:

a) concedere l’encomio, provvedendo automaticamente, ovvero di b) convocare il consiglio di disciplina, per vagliare l’ipotesi di

proporre la concessione delle altri benefici, previsti al II comma, lett. b) e c) dell’art. in esame. Il consiglio di disciplina, valutata la ricorrenza dei presupposti di legge (richiesti per l’acceso alle misure alternative o agli altri benefici), decide dopo aver acquisito il parere, non vincolante del gruppo di osservazione, in modo da poter ottenere un quadro completo della personalità dell’interessato.

Da tale disciplina risulta un <<meccanismo>> applicativo totalmente devoluto all’amministrazione penitenziaria, dal quale è estromessa ogni forma partecipativa dell’interessato e al quale è estraneo ogni controllo da parte dell’organo giurisdizionale. Una simile procedura

(29)

tipicamente amministrativa, che prevede una tendenziale automaticità dell’assegnazione, non può assicurare un utilizzo delle ricompense a fini risocializzativi, non evita atteggiamenti paternalistici dell’amministrazione, non garantisce, cioè <<l’imparzialità del conferimento e l’obiettività del giudizio di valore, in ordine ai comportamenti richiesti per la concessione delle stesse>> . Inoltre, poi, l’assenza di una qualsiasi indicazione 31

riguardo la corrispondenza tra ricompense e condotte meritevoli, comporta un potere discrezionale senza limite in capo all’amministrazione penitenziaria, se non quello poco significativo e debole, previsto al IV comma della fattispecie in esame, secondo cui la valutazione del consiglio di disciplina (e del direttore), ai fini della scelta del tipo e della ricompensa da concedere, non si basi esclusivamente su sporadici episodi comportamentali di segno positivo, ma si estenda al complessivo comportamento ovvero alla condotta abituale tenuta, dal soggetto, nel periodo di espiazione della pena. Qualora la ricompensa dell’encomio sia concessa ad un indagato o ad un imputato, di tale circostanza è data notizia all’autorità che procede . Si tratta, difatti, di comportamenti del 32

soggetto, susseguenti al reato, che possono essere tenuti in

FERRAIOLI, in GREVI, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 31

1981, pag. 238.

Art. 76, comma V, del reg. esec. 32

(30)

considerazione, ai fini della commisurazione della pena (art.133 c.p.).

1.7. Limiti al potere: l’impiego della forza fisica e

l’uso dei mezzi di coercizione

In ossequio al principio costituzionale, che impone di sanzionare ogni violenza fisica e morale sulle persone private della libertà personale , la legge vieta l’impiego della forza fisica per fini 33

disciplinari, vale a dire per scopi esclusivamente punitivi, e ne autorizza l’uso soltanto quando ricorrono particolari circostanze, disciplinate in modo tassativo dal legislatore. Il legislatore ha attribuito grande rilevanza a tale materia, al punto da prevedere all’interno dell’ordinamento penitenziario una norma chiara e dettagliata, volta a regolare l’uso della forza fisica e degli altri mezzi di coercizione, escludendo, quindi, la previsione di norme di esecuzione. La disciplina della materia è stata necessaria, poiché il

Art. 13 della nostra Carta Fondamentale. 33

La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

(31)

ricorso a tale strumenti, pur non rappresentando una regola, deve ritenersi inevitabile specialmente nell’ambiente carcerario in cui le difficoltà dei rapporti fra la popolazione detenuta e il personale penitenziario possono creare situazioni di emergenza e di tensioni in cui gli individui potrebbero perdere il controllo del proprio comportamento. Ma i mezzi di coazione fisica incidono in maniera rilevante sulla persona del detenuto, talvolta fino addirittura a metterne a rischio la salute, di conseguenza il loro uso va circondato di effettive cautele. Il legislatore del 1975 ha predisposto delle cautele non solo, come ho già detto, disciplinando la materia quasi integralmente con legge, bensì cercando di delimitare al massimo la discrezionalità dei soggetti autorizzati a farne uso, per evitarne degli abusi . L’art. 41 dell’ord. penit. regola tale materia, stabilendo con 34

il termine <<personale>> i soggetti autorizzati ad impiegarli, riferendosi esclusivamente alla polizia penitenziaria, e non agli altri operatori penitenziari: se così non fosse, i confini applicativi della disposizione citata diventerebbero indeterminati in contrasto con la

La Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà 34

fondamentali della tortura (Firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 8489). All’ art. 3 disciplina la proibizione della tortura <<Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.>>

Ricordiamo una recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea, avendo quest’ultima ritenuto che l’uso della forza fisica effettuato nel carcere di Sassari, in data 3 aprile 2000, nei confronti di un gruppo di detenuti ivi ristretti ha integrato una violazione dell’art. 3 Conv. eur. dir. uomo, v. C. eur.. 1-07-2014, Saba c. Italia.

(32)

sua natura derogatoria. La regola generale è che l’uso della forza fisica non è consentito nei confronti dei detenuti e internati se non in casi eccezionali. Infatti, il presupposto di carattere generale e inderogabile per poter ricorrere a questa forma di coercizione è l’elemento dell’indispensabilità: questo significa che essa deve risultare come unico mezzo capace di fronteggiare le straordinarie situazioni in atto. L’impiego della forza fisica si giustifica soltanto per evitare un pericolo grave ed attuale per la sicurezza o l’ordine, siamo in presenza di un criterio di necessità. Gli operatori penitenziari, dunque, dovranno valutare attentamente la possibilità di ricorrere a metodi alternativi e meno cruenti, dovendo impiegare la forza fisica quando questa sia l’unica idonea a prevenire o impedire i pericoli tipizzati. In più tale intervento deve rispettare il criterio di proporzionalità dei beni in conflitto, ossia la quantità della misura di forza impiegata deve essere quella minima necessaria a mantenere l’ordine e la sicurezza all’interno dell’istituto di pena . Gli eventi 35

che autorizzano l’impiego della forza fisica sono espressamente elencati: commissione o anche una minaccia di atti di violenza dei detenuti; tentativo di evasione in atto o comunque gia iniziato ; 36

resistenza, anche passiva, degli ordini impartiti. In merito a

Art. 64 reg. penit. eur. 35

La disposizione in esame legittima il ricorso all’impiego della fora fisica solo al 36

fine di impedire tentativi di fuga, ma nessuna coercizione può essere esercitata per prevenirli.

(33)

quest’ultima situazione, sono state mosse delle critiche, si osserva come la stessa rischi di rendere l’uso della violenza e della coercizione fisica ancora più un potere discrezionale, con l’aggravante che il titolale di tale potere discrezionale finisce per essere solo la polizia penitenziaria. Questa critica trova fondamento nel II comma dell’articolo in esame, il quale stabilisce che il personale, immediatamente dopo l’uso della forza fisica, ha solo l’obbligo di informativa al direttore e non si prevede, almeno là dove è possibile, un sindacato preventivo dello stesso (il direttore è l’organo meno coinvolto rispetto alla polizia penitenziaria nei conflitti nascenti in carcere), qualunque sia stato il motivo che abbia determinato l’uso del mezzo coercitivo . Il direttore, informato 37

dell’utilizzo della forza fisica nei confronti del detenuto o internato, deve disporre senza indugio accertamenti sanitari e svolgere ulteriori indagini sull’accaduto. Questa disposizione ha come primo scopo quella di garantire le eventuali cure mediche che si dovessero rendere necessarie, e anche ad evitare nel caso di denuncia e accertamenti tardivi, l’impossibilità di ricostruire i fatti con precisione, da questo deriva spesso il sospetto di soprusi da parte della polizia

In realtà, maggiore garanzie verso un impiego eccezionale della forza fisica o di 37

altri mezzi di coercizione, potrebbero derivare da una sottoesposizione di tali strumenti al controllo diretto del magistrato di sorveglianza (cfr. LOI-MAZZACUVA, op.cit., pag. 91).

(34)

penitenziaria . Il legislatore non esclude la possibilità di fare uso di 38

altri mezzi diversi della forza fisica. Il comma III dell’art. in esame, introduce, incomprensibilmente, una deroga al principio di legalità, demandando al regolamento la previsione di altri strumenti di coercizione fisica. Il regolamento del 1976, adempiendo rigorosamente al mandato legislativo, aveva disciplinato soltanto uno di questi mezzi coercitivi (le fasce di contenzione ai polsi e alle caviglie) e lo aveva circondato di garanzie. Il nuovo regolamento di esecuzione ha eliminato la possibilità di ricorrere all’utilizzo del “letto di contenzione” , quest’ultimo comportava gravi conseguenze 39

nei confronti del soggetto destinatario di tale strumento, precisando, però, che l’utilizzo della coercizione fisica, nei casi consentiti, può avvenire soltanto sotto il controllo sanitario per le medesime finalità previste dalla norma in esame, e con l’uso degli strumenti utilizzati presso le istituzioni ospedaliere pubbliche . Con il richiamo previsto 40

nella norma regolamentare si è voluto, comunque, assicurare che oltre ai controlli propri del sistema penitenziario, hanno valore, in questo settore, anche quelli che indirettamente provengono dalla scienza e “dalle metodologie mediche vigenti dall’esterno” . Tra i 41

ALESSANDRI-CATELANI, Il codice penitenziario, Roma, 1992, pag.133. 38

Un tavolaccio su cui il condannato veniva legato tramite cinghie ed esposto nudo 39

per un periodo variabile a discrezione del comandante. Art. 82 reg. esec.

40

BRUNETTI-ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2005, pag. 403. 41

(35)

mezzi impiegati, diretti al contenimento della persona, potrebbero rientrare le “fasce di contenzione”, per le stesse finalità e con le stesse modalità d’uso utilizzate all’interno delle strutture psichiatriche pubbliche, impiegandoli nei limiti di tempo strettamente necessario per consentire l’intervento trattamentale farmacologico. L’utilizzo degli strumenti di contenzione fisica, quale mezzo volto ad immobilizzare il detenuto, è permesso solo << al fine di evitare danni a persone e a cose o di garantire la incolumità dello stesso soggetto>> , e comunque non può mai essere finalizzata a 42

perseguire scopi puramente disciplinari. Ipotizzato che venga ancora permesso l’utilizzo di mezzi volti ad immobilizzare il detenuto per brevi periodi di tempo, è evidente che per questi vale categoricamente il divieto di impiego non solo ai fini disciplinari, ma bensì per finalità differenti da quelle previste all’interno delle istituzioni ospedaliere pubbliche. Quest’ultima disposizione sembrerebbe inibire il ricorso a strumenti di contenimento al fine di procedere all’alimentazione coatta, benché volta a tutelare la salute del detenuto, nemmeno nel caso in cui la salute poterebbe risultare compromessa da un prolungato digiuno, a seguito di sciopero della fame . Se circondato da numerose cautele è l’impiego della forza, 43

Art. 41, comma III, ord. esec. 42

cfr. in tal senso il Tribunale di sorveglianza di Milano 9-7-1989, FISSALO, Rass. 43

(36)

addirittura eccezionale è qualificata l’ipotesi in cui il direttore può ordinare agli agenti in servizio di portare armi bianche o da sparo all’interno dell’istituto. L’art. 41, comma IV, ord. penit., difatti, previsto il divieto generale di introdurre armi all’interno degli istituti di pena, dispone una deroga al ricorrere di due presupposti: la sussistenza di un caso eccezionale e l’ordine del direttore 44

dell’istituto, al quale è rimessa la valutazione della presenza dell’eccezionalità del caso e della necessità di consentire agli agenti, in servizio nell’interno degli istituti, di portare armi. Emesso l’ordine di portare l’arma all’interno della sezione detentiva, l’agente potrà farne un uso legittimo negli stessi casi in cui l’impiego è consentito al pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 53 c.p.. Il regolamento 45

mantiene in silenzio sull’uso delle armi ad opera della polizia penitenziaria, ma dall'assenza di un’apposita disciplina legislativa, bisogna concludere che, non viene prevista nessuna scriminante in favore dell’appartenente alla polizia penitenziaria che per evitare

Si potrebbe pensare, ad esempio, ad una rivolta in atto e particolarmente 44

afferrata, in grado di coinvolgere diversi detenuti, o comunque, a comportamenti talmente gravi, da poter mettere in pericolo l’incolumità fisica degli agenti e degli altri detenuti.

Art. 53 c. p. Uso legittimo delle armi. Ferme le disposizioni contenute nei due 45

articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza. La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica.

(37)

l’evasione dall’istituto ricorra, appunto, all’uso delle ami, al di fuori dell’ipotesi dell’art. 53 c.p . Può succedere che, all’interno 46

dell’istituto, si verifichino disordini collettivi, accompagnati da atti di violenza o tali da far temere la possibile degenerazione in manifestazioni di violenza, con la conseguenza che l’amministrazione penitenziaria non sia nelle condizioni di intervenire efficacemente per ristabilire l’ordine e la sicurezza (ad esempio per insufficienza di organico). In tal caso, il direttore dell’istituto può chiedere al prefetto l’intervento della polizia di Stato e delle altre forze armate (carabinieri e guardia di finanza), informando immediatamente il Magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria . 47

Alcuni, per colmare l’attuale vuoto, propongono di estendere l’applicabilità 46

dell’istituto previsto dall’art. 53 c.p. , anche all’ipotesi di mera fuga,ossia di mera resistenza passiva, sempre che ricorrano la necessità di intervenire, la impossibilità di disporre di altri, efficaci e proporzionati strumenti impeditivi del fatto delittuoso, nonché il requisito della proporzione tra il bene leso e il dovere di adempiere ( CANEPA-MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2010, pag. 998).

Art. 93 reg. esec. 47

(38)

Capitolo secondo

La disciplina

2.1. Gli illeciti disciplinari

A tutela dei diritti dei detenuti e degli internati e per scongiurare possibili decisioni arbitrarie del potere amministrativo, nell’ambito del regime disciplinare, vengono previsti i principi di legalità e di tassatività dei fatti costituenti infrazioni. I detenuti e gli internati, difatti, <<non possono essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento>>.

Ma ambedue i principi risultano depotenziati nella loro portata garantistica. Il rinvio al regolamento di esecuzione quale sede di individuazione dei fatti espressamente previsti come infrazioni, comporta che il principio di legalità si risolva in riserva di regolamento, anziché di legge, con tutte le minori garanzie che discendono da tale fonte secondaria. Potremmo pensare, ad esempio,

(39)

alla possibilità di ampliare il numero delle fattispecie, benché per sua natura clausus, tramite qualsiasi esercizio di potestà regolamentare. 48

Si configura come illecito disciplinare, qualsiasi azione, dolosa o colposa, contraria ai doveri ed alle prescrizione imposte ai detenuti e agli internati. Sono elementi costitutivi dell’illecito disciplinare, al pari dell’illecito penale, i seguenti:

1) fatto tipico, dato dalla corrispondenza del fatto storico al modello contenuto nella fattispecie; l’azione può consistere in un atto positivo o in un atto negativo ovvero in una semplice omissione (quando il detenuto avrebbe avuto il dovere agire );

2) l’antigiuridicità: il comportamento viene definito antigiuridico, allorché viola una legge, un regolamento, un ordine di servizio. Antigiuridico è anche il comportamento che sia contrario ad un dovere o a norme di correttezza. Le cause di giustificazione che fanno venir meno la responsabilità penale escludono altresì la responsabilità disciplinare;

3) colpevolezza: la responsabilità disciplinare presuppone la volontà e la coscienza dell’autore dell’infrazione; ai fini della punibilità di

cfr. BELLOMIA, Ordinamento penitenziario, Enc. D., pag. 123; in termini analoghi 48

FERRAIOLI, in GREVI 1981, pag. 232; nonché LOI-MAZZACUVA, in BRICIOLA , Il carcere <<riformato>>, Bologna, 1977, pag. 96.

Nello stesso senso anche GREVI, in GREVI, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981, pag. 31, il quale, tuttavia, sottolinea che tale caduta garantistica è presente anche nell’art. 29 reg. min.eu. Pure il più recente art. 52, II comma, reg. penit. eur., sfruttando il riferimento anche ai <<regolamenti>> contenuto nell’art. 35 reg. penti. eur. 1987, si accontenta di affermare che le infrazioni disciplinari debbono essere determinate dal diritto interno.

(40)

certi illeciti, si può prescindere dell’accertamento della colpa e del dolo. L’elemento psicologico per le infrazioni disciplinari presenta una forte analogia con l’elemento psicologico per le contravvenzioni, mentre l’elemento del dolo o della colpa va influire ai fini della graduazione della sanzione.

Nel dettaglio le singole infrazioni sono previste dall’art 77, comma I, reg. esec. e possono essere suddivise in due gruppi.

Nel primo gruppo (previsti nei numeri da 1 a 8) rientrano quelle considerate di minore gravità e, di conseguenza, non può essere applicata la sanzione più afflittiva, ossia quella dell’esclusione delle attività in comune, salvo che le infrazioni non siano state commesse nel termine di tre mesi dalla commissione di una precedente infrazione della stessa natura. In altri termini, il divieto dell’applicazione tra le più gravi delle sanzioni disciplinari viene meno nelle ipotesi di recidiva infratrimestrale e specifica. 49

Rientrano, in questo primo gruppo:

1) negligenza nella pulizia e nell'ordine della persona o della camera;

2) abbandono ingiustificato del posto assegnato; 3) volontario inadempimento di obblighi lavorativi;

4) atteggiamenti e comportamenti molesti nei confronti della comunità;

Art 77, comma III, reg. esec. 49

(41)

5) giochi o altre attività non consentite dal regolamento interno;

6) simulazione di malattia;

7) traffico di beni di cui e' consentito il possesso;

8) possesso o traffico di oggetti non consentiti o di denaro;

Nel secondo gruppo, rientrano le infrazioni più gravi, punibili con la più grave delle sanzioni disciplinari (l’esclusione dalle attività in comune). Vi rientrano:

9) comunicazioni fraudolente con l'esterno o all'interno, nei casi indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma dell'articolo 33 della legge;

10) atti osceni o contrari alla pubblica decenza;

11) intimidazione di compagni o sopraffazioni nei confronti dei medesimi;

12) falsificazione di documenti provenienti dall'amministrazione affidati alla custodia del detenuto o dell'internato;

13) appropriazione o danneggiamento di beni dell'amministrazione; 14) possesso o traffico di strumenti atti ad offendere;

15) atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell'istituto per ragioni del loro ufficio o per visita;

16) inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo nell'esecuzione di essi;

17) ritardi ingiustificati nel rientro previsti dagli articoli 30, 30-ter, 51, 52 e 53 della legge;

(42)

18) partecipazione a disordini o a sommosse; 19) promozione di disordini o di sommosse; 20) evasione;

21) fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori.

Per via della genericità di contorni e dell’ampiezza delle suddette infrazioni anche la garanzia della tipizzazione risulta pregiudicata, dal momento che ad ogni fattispecie possono attribuirsi innumerevoli condotte. Tale fattispecie viene annoverata tra quelle che maggiormente accusano di possedere un difetto di determinatezza, anche a seguito dei modesti ritocchi operati dall’odierno reg. esec. Il numero dei comportamenti vietati è diminuito rispetto al regolamento carcerario del 1931 (passando da un numero iniziale di 47 a 22 nel regolamento del 1976, e a 21 in quello attuale, che ha abolito l’arcaica infrazione consistente in <<schiamazzi e linguaggio blasfemo>>), ma questo solo in maniera astratta, visto che le singole infrazioni sono sanzionabili anche nell’ipotesi del tentativo. Assumeranno, pertanto, anche gli atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere uno dei fatti elencati nel comma I, dell' art. 77, reg. esec.

La previsione del tentativo viene criticata, non solo perché di fatto va a raddoppiare il numero dei comportamenti punibili, ma soprattutto

(43)

perché rende più sottile la linea di demarcazione tra lecito ed illecito . Inoltre non possono sottovalutarsi le difficoltà 50

interpretative create da tale disposizione. Infatti, risulta alquanto difficile ipotizzare, ad esempio, il tentativo di <<negligenza>> nella pulizia personale o di <<atteggiamento molesto>> nell’esecuzione di ordine o prescrizione . 51

Queste infrazioni disciplinari costituendo tutte condotte che turbano l’ordine interno dell’istituzione carceraria, sono indicative dello stato di sofferenza del detenuto derivante dalla segregazione. La loro scarsa significatività “sul piano della rispondenza alle offerte di trattamento” rappresenta una conferma che le punizioni a differenza delle ricompense, “svolgono un ruolo strumentale alle esigenze del carcere, solo ad esse inerendo la funzione di orientare, allineandoli ai bisogni di stabilità dell’istituzione, i comportamenti del detenuto” . 52

L’art. 77, comma I, reg. esec., fra l’elenco delle infrazioni annovera anche fatti costituenti reato, ad esempio <<atti osceni o contrari alla pubblica decenza>> (n.10), falsificazione di documenti provenienti dall’amministrazione >> (n.12), <<possesso o traffico di strumenti

In tal senso FASSONE, La pena detentiva in Italia dall’ 800 alla riforma penitenziaria, 50

Bologna, 1982, pag. 177 ed anche LOI-MAZZACUVA, op.cit, pag. 96; BRUNETTI-ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2004, pag. 275, secondo i quali ulteriore fattore di indeterminatezza deriva dalla difficoltà di stabilire quando l’atto sia idoneo ed univoco ex art. 56 c.p.

BORSINI, Leg. giust., 1988, pag. 120; contra NAPOLI, Il regime penitenziario, 51

Milano, 2012, pag. 291, il quale ritiene tuttavia esclusa la configurabilità del tentativo nell’ambito delle infrazioni meno gravi.

PRESUTTI, Profili premiali dell’ordinamento penitenziario, Milano, 1986, pag. 27. 52

(44)

atti ad offendere>> (n.14), <<evasione>> (n.20), e più in generale <<fatti previsti dalle legge come reato, commessi in danno di compagni, operatori penitenziari o visitatori>>, e più in generale <<fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, operatori penitenziari o visitatori>> (art.21).

Di conseguenza, non viene sottoposto a sanzione disciplinare ogni illecito penale commesso dal detenuto, ma solo quelli che comportano un pregiudizio al normale svolgimento della vita carceraria. Per tale motivo, non vengono sanzionati disciplinarmente quei comportamenti dei detenuti e internati configurabili come reati, anche gravi, che sono portati a manifestare i propri effetti fuori dalle mura del carcere o che sono posti in essere <<ai danni di persone esterne all’organizzazione penitenziaria, ancorché l’azione sia iniziata all’interno dell’istituto di prevenzione o di pena>> . 53

L’ art. 79 del reg. esec. attribuisce al consiglio di disciplina la facoltà di sospendere il giudizio disciplinare <<allorché, per lo stesso fatto, vi è informativa di reato all’autorità giudiziaria>>. Tale fattispecie sembra non avere una rilevanza determinante nell’ambito dei rapporti tra i provvedimenti disciplinari e il procedimento penale, regolati dall’art. 331 c.p.p. In base a tale fattispecie, quando l’autorità competente per il giudizio disciplinare ravvisa nel fatto oggetto del

BORSINI, Leg. giust., 1988, pag. 121. 53

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suo esame, gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, deve farne denuncia per iscritto, e a trasmetterla, senza ritardo, al pubblico ministero, ovvero ad un ufficiale di polizia giudiziaria . 54

L’influenza sulla decisione disciplinare della sentenza di non luogo a procedere o della richiesta di rinvio a giudizio è evidente, se non fosse per l’improbabilità di ottenere un qualsiasi provvedimento dell’autorità giudiziaria anticipato rispetto alla chiusura del procedimento disciplinare. Tuttavia, l’art. 79 del reg. esec. ha assunto un valore, riscontrabile nell’obbligo del direttore di denunciare tutti i reati commessi dai detenuti, anche quelli di modesta entità, e la facoltà di sospendere il procedimento disciplinare continua ad essere fondamentale, al fine di non rendere vano il contenuto dell’art 653 c.p.p., il quale permette che all’interno del procedimento disciplinare esercitino efficacia di giudicato, limitatamente agli accertamenti indicati dalla stessa norma, le sentenze di condanna e assoluzione emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato.

Nel caso in cui il consiglio di disciplina decida di procedere con la sospensione del procedimento disciplinare, consegue il dovere della direzione penitenziaria di informarsi periodicamente sull’esito del procedimento penale, che può anche concludersi nella fase predibattimentale, e l’obbligo del consiglio di disciplina di procedere

Art. 331, comma I e II, c.p.p. 54

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