• Non ci sono risultati.

Linguaggio

Nel documento il destino dell'uomo (pagine 31-35)

2. Heidegger e la temporalità

2.7 Linguaggio

Nel rapportarsi pratico-progettuale del Dasein col mondo, il tema del linguaggio merita un’analisi particolareggiata. Lo studio di Heidegger sugli esistenziali e la sua inscrizione dell’ontologia nella temporalità portano con sé delle implicazioni anche in campo ermeneutico, che modificano il rapporto tra linguaggio e conoscenza. Questo rapporto viene intravisto dal filosofo di

Friburgo già in Essere e tempo, ma poi trova adeguato sviluppo nelle opere successive, quelle della cosiddetta “svolta”.

Come già si rilevava, le prese di distanza da Husserl sono già ben marcate con la rivisitazione del concetto di soggettività, la quale, pur mantenendo il carattere della trascendentalità tipico della visione fenomenologica, presenta nondimeno quel carattere di immanenza (fatticità) che consiste nel suo essere- nel-mondo. Questo secondo carattere mette in luce quella reciproca appartenenza tra il soggetto ed il suo mondo, la familiarità. Ogni rapporto si è fatto pratico ed ogni relazione è emotivamente orientata nel modo della Cura.

Allora, proprio perché il Dasein ha smesso i panni di quell’Io puro teoretico che ancora dominava il pensiero della prima fenomenologia, dal metodo fenomenologico stesso non ci si può più limitare ad una pura descrizione teoretica di ciò che si manifesta spontaneamente (metodo descrittivo della fenomenologia husserliana), ma bisognerà piuttosto ridiscutere lo stesso rapporto epistemologico tra Dasein e mondo, dove la verità non venga più intesa come la registrazione teoretico-passiva di un universo di evidenze date, ma una apertura su un universo pratico-vitale. Una tale apertura implica che l’orizzonte di verità su cui tale apertura apre non venga assorbito passivamente, ma che lo stesso Dasein concorra attivamente alla sua “produzione”. Il carattere poietico dell’Esserci diviene fondamentale a tal punto da non lasciare a sé stessa nemmeno la verità, per cui se vi è un commercio attivo tra il Dasein e il suo mondo, allora la verità delle cose non può manifestarsi bell’e fatta. Il mondo delle essenze non ci si manifesta compiutamente nello sguardo puro di quell’Io asettico extramondano: a manifestarsi sono certo i fenomeni, ma nella loro natura semantica.

Quel residuo di tomismo che ancora sostanziava il rapporto teoretico della fenomenologia del maestro nella forma dell’adequatio intellectus et rei viene destituita dall’allievo e sostituita dalla forma dinamica dell’interpretazione. D’altra parte, questo esito pare segua necessariamente la logica del discorso, dal momento in cui vi sia fatto entrare quel carattere pratico-relazionale dell’Esserci e del mondo, il quale non poteva lasciare inesplorato nemmeno l’ambito del linguaggio, che seppur particolare, di quel rapporto costituisce una

specificazione. Pertanto Heidegger può affermare che «La fenomenologia

dell’Esserci è ermeneutica nel senso originario della parola, secondo il quale esso designa il compito dell’interpretazione»30. Ogni fenomeno deve essere interpretato. E ciò accade per la stessa natura dei fenomeni, in quanto ognuno di essi si presenta come un che di significante. La loro struttura è allora quella del rimando poiché sono manifestazioni di cose niente affatto chiuse in sé stesse, nella loro mutezza. Al contrario ogni fenomeno parla e dice qualcosa di ciò a cui rinvia. Quel dire è la stessa forma del rimandare, che appunto implica quella dualità della relazione tra ciò di cui il fenomeno dice e colui a cui viene detto (il

Dasein): si ripropone qui, in forma semantica la Zuhandenheit di tutte le cose.

La struttura del mondo è allora quella del rimando. Ed in questo rimandare il mondo è il senso stesso, anzi una pluralità infinita di sensi, poiché è l’apertura della possibilità di ogni significare per il Dasein. In quanto apertura di ogni possibile significare, il rapporto interpretativo in cui consiste l’Esserci porta il carattere dell’inesauribilità, poiché inesauribile è il rinvio delle cose oltre lo sguardo presente, essendo l’ente strutturalmente fondato sulla temporalità.

Quando si parlava della temporalità dell’Esserci si indicava quella capacità dell’essere-nel-mondo di travalicare la semplice presenza per dischiudersi una nuova possibilità futura nel modo del progetto. Il rilievo fondamentale a cui giunge Heidegger nella disamina sul linguaggio è che ogni progetto si fonda sulla significatività delle cose, in quanto ogni cosa si presenta come mezzo e come segno, mezzo e segno essendo il rimando stesso. Ma poiché la significatività delle cose non rimane nel silenzio, sospesa in aria ed inespressa, ma trova come luogo di manifestazione il linguaggio, allora ne viene che il linguaggio stesso – nella specifica forma del discorso (Rede), con la quale Heidegger intende le pratiche quotidiane incarnate nel linguaggio, e non un linguaggio inteso metafisicamente come stante in qualche luogo iperuranico, come un serbatoio da cui vengano attinti di volta in volta i significati – un tale

30 Ivi, p.53. In questo contesto si spiega agilmente l’importanza data da Heidegger al linguaggio e alla scelta di parole nuove, che permette di illuminare significati nuovi ed inesplorati.

linguaggio è allora un altro esistenziale, una modalità originaria del Dasein, il senso in cui entriamo in contatto con le cose del mondo, in forma pratico- interpretativa, nel modo dell’interpellare e del discutere, e non più in quello del vedere.

Se una tale ermeneutica è possibile come rapporto originario del soggetto col mondo è grazie a ciò, che già precedentemente era stato colto, ma che qui si ripropone nella sua versione ampliata: la Gemeinsamkeit, il rapporto di familiarità del sé con le cose, condizione irrinunciabile affinché possa darsi qualsiasi tipo di rapporto, non solo pratico-esistenziale, di cui quello ermeneutico-interpretativo è una specificazione privilegiata. La comunanza tra soggetto conoscente e oggetto precede ogni conoscenza nel senso che nessun processo di interpretazione sarebbe possibile senza una pre-comprensione, ovvero una anticipazione di tale oggetto nel soggetto. Quello che prima valeva generalmente per il Dasein in relazione agli altri nella forma del Mitsein, viene ora fatto valere in campo ermeneutico per cui, se un’anticipazione di ciò che si viene a conoscere non abita già il soggetto conoscente, il divario tra i due termini che costituisce la conoscenza stessa diviene incolmabile e l’oggetto rimane nella sua alterità irriducibile.31

Ultima conseguenza, che poi darà avvio agli studi gadameriani sul circolo ermeneutico, è che se ogni conoscenza è scaturita a partire da qualcosa di dato, cioè qualcosa di cui il soggetto già dispone, e di cui possiede già una forma di conoscenza; se, dunque, ogni nuova forma di conoscenza muove da una pre- conoscenza, allora il processo conoscitivo non contempla un punto zero da cui prendere le mosse, ma si struttura in un movimento circolare dove nessuna conoscenza si presenta come definitiva ma si presta ad infinite reinterpretazioni, per cui ogni comprensione è guidata da una pre-comprensione, la quale si offre

31 Heidegger tripartisce analiticamente la struttura ermeneutica della pre-comprensione nella Vorhabe, come pre-rapportarsi pratico con la cosa; nella Vorsicht, come pre-rapportarsi teoretico; e nella Vorgriff, una pre-costituzione categoriale dell’oggetto. Questa struttura costituisce i “pre-” di ogni oggetto nella coscienza, ed è ciò che anticipa ogni conoscenza ed ogni rapporto pratico-interpretativo, essendone la condizione. (Cfr. Heidegger M., Essere e tempo, cit.).

come punto di discussione e ricomprensione ad ogni nuova comprensione. La verità è un infinito circolo ermeneutico.

Nel documento il destino dell'uomo (pagine 31-35)