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La nientità dell’ente: nichilismo

Nel documento il destino dell'uomo (pagine 77-80)

4. Severino e l’eterno esser sé dell’essente

4.3 La nientità dell’ente: nichilismo

In Ritornare a Parmenide71 viene chiarito il senso in cui all’eleate possa essere riconosciuta la paternità del pensiero ontologico. Egli è colui che ha pensato per la prima volta l’essere nella sua massima opposizione al niente. «L’essere è e non può non essere»72: la legge del tutto si condensa in questo laconico enunciato. Con questa semplice considerazione si pensa l’essere in tutta la sua pienezza e lo si contrappone al nihil absolutum. In questa opposizione l’essere rivela il suo volto ingenerabile, incorruttibile, immutabile, eterno.

Tuttavia, se quelli summenzionati sono per necessità i predicati che convengono a ciò che è, tale necessità sembra tradita dagli enti mondani, che al contrario si presentano in balia della corruzione e del divenire. Lontano dal mettere in discussione quella che pare manifestarsi come un evidenza incontestabile – la pluralità ed il mutamento delle cose del mondo – Parmenide si trova costretto a relegare le cose del mondo nella dimensione del nulla: il mondo è l’illusione e la follia che nasce dalla mente degli uomini a due teste73

71 Cfr. Severino E., Essenza del nichilismo, pp.19-61. 72

Parmenide, Poema sulla natura, fr.2, tr. it. G. Reale, ed. Bompiani, Milano 2006, testo greco di riferimento Diels-Kranz, p.45.

73 Ivi, Fr. 6

Quindi, dopo aver portato alla luce in tutto il suo splendore il principio dell’eternità dell’essere, Parmenide sarebbe precipitato nell’abisso più profondo portando seco il mondo e tutte le sue determinazioni. La nientità del mondo però non appartiene al linguaggio della verità. Il “parricidio” che commette Platone ai danni del filosofo di Elea sarebbe dunque un atto del tutto legittimo, non fosse che il modo in cui tale atto viene compiuto si rivela tanto geniale quanto fatale. Resosi conto della forza del lògos parmenideo, Platone intende preservarne la coerenza ristabilendo un senso per cui, non solo l’essere in quanto tale, ma ogni ente, l’intero mondo delle differenze, in qualche modo sia. Ciò che si escogita nel Sofista74 è una nuova forma di partecipazione all’essere, una relazione più debole. Egli, introducendo la distinzione tra due tipi di non essere, enantìon e eteròn – ciò che è contrario dell’essere e ciò che è altro dall’essere – permette la possibilità di predicare di un qualsiasi ente la non essenza senza inciampare nella contraddizione derivante dalla negazione dell’essere tout court. In altri termini, predico l’essere ed il non essere in relazione all’ente, ovvero solamente per quel tanto che l’ente si distingue dall’essere. Questa mossa inaugura il nuovo senso in cui l’ente viene pensato in tutta la storia successiva: l’ente è ciò che “partecipa” dell’essere. Sulla base di questa nuova distinzione è ora possibile definire l’ente come «ciò che oscilla» tra l’essere e il nulla – l’espressione greca che Platone utilizza è

epamphoterìzein – poiché, così come l’esperienza sembra attestare in modo

evidente, l’ente non sempre è, ma qualche volta è nulla. Per cui facendo capo alla sua formula dell’incontrovertibile il «padre venerando e terribile» si trovò costretto a relegare definitivamente i fenomeni nel nulla a causa della sua incapacità di pensare l’ente nella sua alterità, ovvero come oscillazione tra l’essere e il nulla.

Proprio in questa oscillazione si nasconde, secondo Severino, l’errore fatale su cui poggia l’intero pensiero occidentale: la dimenticanza dell’autentico senso dell’essere. Anziché garantire gli enti nella loro appartenenza all’essere il tentativo di correzione della fallacia parmenidea ha condotto ad un esito ancor

74 Cfr. Platone, Sofista, tr. it. F. Fronterotta, Bur, Milano 2007.

peggiore. Infatti senza avvedersene l’ontologia platonica fondata sul concetto di alterità porta all’oblio l’autentica opposizione tra essere e nulla, la vera grande conquista del maestro eleate. In questo modo svincolando l’ente dall’eterna presa dell’essere Platone ne permettere la libera oscillazione e la conseguente possibilità dell’annientamento.

È necessario che l’essere sia quando è, e che l’essere non sia quando non è; tuttavia non è necessario che tutto l’essere non sia né che tutto il non essere non sia; non è infatti la stessa cosa che tutto ciò che è sia necessariamente, quando è, e l’essere senz’altro di necessità. La stessa cosa si dica del non essere.75

In queste parole di Aristotele il senso dell’essere si è già definitivamente dileguato. Pensare che l’essere non sia quando non è, significa pensare un tempo in cui l’essere non è, in cui cioè l’essere è identico al nulla: il lògos parmenideo si fa vano ed equivoco. Dopo l’epamphoterizein platonica, è possibile per Aristotele pensare un tempo in cui il positivo è uguale al negativo. Ma un tempo siffatto è la contraddizione e su tale contraddizione si fonda, senza avvedersene, lo stesso principio di non contraddizione formulato dallo stagirita.76

Parmenide volge lo sguardo al sentiero del Giorno, quello dell’incontradditorietà dell’essere e dell’impossibilità del nulla. Egli però rimane abbagliato da quella luce e si dimostra incapace di pensare le differenze, costringendo gli enti nell’oblio del nulla. Platone nel tentativo di metterli in

75

E. Severino, Essenza del nichilismo, cit., p.21. Il brano in lingua originale presente nel testo è tratto

da Aristotele, Liber de Interpretazione, 19a 23-27.

76 L’elenchos, così lo battezza Aristotele nel libro IV della Metafisica , è il meccanismo di cui si serve la verità dell’essere per mostrare la sua autentica opposizione al nulla. Tale principio è trattato esplicitamente per la prima volta proprio da Aristotele, sulla scorta dell’insegnamento ricevuto dal maestro eleate. È interessante come per Severino il principio di non contraddizione così com’è formulato dallo Stagirita non abbia la stessa potenza logica dell’opposizione originaria portata in luce da Parmenide e non riesca pertanto a scrollarsi di dosso la negazione tout court, ma solo la negazione di una individuazione dell’opposizione universale («la negazione della determinazione è anch’essa una determinazione e quindi è autonegazione»). Il principio nella formulazione aristotelica agisce con successo soltanto a portata limitata, e non universale. Affinché il principio di non contraddizione si possa considerare “universale” è necessario pertanto che la negazione metta fuori gioco tutte insieme le possibili negazioni dell’incontraddittorietà dell’essere. Vi è perciò una seconda formulazione più generale e ampia per cui «la negazione dell’opposizione è opposizione e quindi è negazione di sé». Analogamente alla strutturazione dell’immediato originario che abbiamo rilevato nei capitoli precedenti, anche il procedimento elenctico si mostra nella relazione originaria di due momenti: l’individuazione universale e l’opposizione universale. (Cfr. Severino E., Ritornare a Parmenide in Essenza del

nichilismo, cit., pp.19-61).

salvo inaugura una nuova ontologia che pensa gli enti del mondo come un medio che oscilla tra l’essere e il niente. L’intero pensiero occidentale radica il senso dell’ente nell’epamphoterìzein platonica considerandola un’evidenza incontestabile.

Nel documento il destino dell'uomo (pagine 77-80)