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6.5: LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO: LA TEORIA GENOVESE, LA TEORIA PISANA E IL METODO MILANESE

TABELLE DI MILANO E LE CORRENTI OPPOSTE

6.5: LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO: LA TEORIA GENOVESE, LA TEORIA PISANA E IL METODO MILANESE

Per la liquidazione del danno biologico il giudice gode di ampi poteri equitativi,che però non possono certo portare ad una quantificazione arbitraria: il giudice ha l’obbligo di fornire valide ragioni del procedimento logico che l’ha condotto ad optare verso un determinato risarcimento. Nella sua analisi il giudice, dunque, può ricorrere a diversi criteri, avvalorati dalla prassi, ma deve menzionarli esplicitamente nel suo giudizio120.

Pare necessario, ora, analizzare con più attenzione i criteri liquidativi utilizzabili per il danno alla salute.

Nel nostro ordinamento non esiste una disciplina uniforme rispetto al risarcimento del danno: si hanno pochi casi specifici normati da leggi statali (il risarcimento per danno da infortunio sul lavoro e da sinistro stradale), mentre i rimanenti casi sono ricondotti all’art 1226 c.c., il quale individua il criterio equitativo del giudice per la liquidazione del danno. Tale metodo conferisce al giudice piena autonomia, consentendogli di modellare la liquidazione sulla base del caso concreto e di determinare il quantum del risarcimento. Con questo approccio, però, non si garantisce uniformità di trattamento, anche a causa della mancanza di una guida interpretativa per il giudice; ne deriva che casi simili siano liquidati molto diversamente a seconda del parere del giudice Nonostante questi difetti, la Corte, in varie sentenze121, ha manifestato il proprio parere di ammissibilità per il

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Cass. Sez II 20 giugno 2000, n 8395, in Foro it. Rep. 2000

120Cass 8 aprile 2002, n 5012, in Resp. Civ. prev, 2002, 705 121

Cass, sez III, 20 aprile 2001, n 5910, in Nuova giur. Civ, 2002, I, 35; Cass. 28 novembre 1995, n.12301, Arch. Circolaz, 1996, 444

criterio equitativo, purché le decisioni prese dal giudice siano validamente motivate in sentenza.

Un criterio liquidativo diverso, introdotto a metà anni Settanta, è il criterio genovese, o criterio tabellare, che nacque con l’innovativa sentenza del 1974 del Tribunale di Genova122. All’interno di tale sentenza venne enunciato che, verificata una compromissione della capacità psicofisica dell’individuo, si debbano individuare due diverse conseguenze per la liquidazione:l’invalidità permanente e l’invalidità temporanea. Per la prima, il criterio genovese identificò un metodo univoco di quantificazione del risarcimento spettante, ottenuto come il prodotto tra un parametro fisso, desunto dalla gravità dell’invalidità permanente subita in un anno, e un coefficiente di capitalizzazione, variabile in base all’età della vittima ed espressione della relativa aspettativa di vita. Si tratta, dunque, di un criterio liquidativo congruo, attraverso cui calcolare il valore della liquidazione in maniera proporzionale all’intensità del danno subito e alla prospettiva di vita del lesionato. Il parametro fisso veniva ricavato dal reddito medio nazionale dell’anno 1973, mentre il coefficiente di capitalizzazione era dedotto dalle tavole di mortalità dell’ISTAT relative al biennio 1960-62. Il pregio di tale criterio liquidativo fu, senza dubbio, quello di fornire una base uniforme al risarcimento del danno, a discapito della personalizzazione dello stesso: questo criterio, infatti, risulta estremamente rigido, e si viene a perdere il consolidato principio medico-legale di non proporzionalità diretta tra invalidità e danno (al raddoppiare dell’invalidità si hanno sofferenze più che doppie). A causa questa rigidità, ma anche in virtù del fatto che divenne incongruente con i nuovi sviluppi concettuali del danno biologico, il giudice di legittimità ritenne quindi che il criterio genovese dovesse essere abbandonato.

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Tra i sistemi tradizionali, un altro criterio che ha riscosso notevole favore è stato il criterio pisano, o del punto elastico. La giurisprudenza pisana, nel corso dei primi anni ’80, cercò un nuovo criterio di liquidazione del danno alla salute che rispondesse alle relative esigenze e ovviasse agli inconvenienti riscontrati nel criterio genovese. Partendo dal presupposto che l’invalidità permanente si misurava in punti percentuali, si identificò un valore monetario al singolo punto d’invalidità, in modo che il risarcimento del danno,per l’invalidità permanente, fosse ottenuto moltiplicando il valore di un singolo punto per il numero di punti d’invalidità attribuiti, per l’invalidità temporanea, invece, moltiplicando il numero dei giorni di invalidità per il valore attribuito al singolo giorno. Questo sistema garantiva una giusta personalizzazione del danno, permettendo al giudice di modificare il valore del punto sino a raddoppiarlo o dimezzarlo, rendendo il risarcimento il più aderente possibile al caso concreto123. Dopo attente analisi, condotte sui precedenti dottrinali riguardanti micro-lesioni e lesioni con tassi di invalidità inferiori al 10%, si giunse, a fine anni ‘80, a determinare il valore del punto medio, vero nodo centrale dell’intero sistema liquidatorio, con un valore compreso tra il milione e il milione e mezzo di Lire124.

Il metodo pisano appena esposto ha conosciuto nel tempo un ampio apprezzamento da parte dei giudici di merito e della Corte di Cassazione125, la quale ritenne il metodo del tutto condivisibile, a condizione che il valore del punto d’invalidità fosse realmente calcolato sulla media dei precedenti giudiziari e che le scelte a discrezione del giudice fossero sempre accompagnate da valide motivazioni. Tuttavia, il più grande pregio di tale elaborazione, ossia la sua flessibilità, fu anche il motivo del suo abbandono: l’aumento o la diminuzione sino al 50% del valore del punto di invalidità lasciava

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Trib. Pisa 19 maggio 1982, in Giur. It, 1984, I, 2

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ANTONIO NANNIPIERI, La liquidazione del danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, M.BARGAGNA- F.D. BUSNELLI, 2001, Milano

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Cass 22 maggio 1998, n 5134, in Foro it. Rep, 1998, Danni Civili, 238; Cass 25 agosto 1997, n. 7977 in Foro it. Rep ,1997, Danni Civili, 223; Cass, 2 luglio 1997, n. 5949, in Foro it. Rep, 1997, Danni Civili, 220.

al giudice una libertà non sempre utilizzata in maniera corretta; furono frequenti le situazioni in cui si arrivò a risultati iniqui. Proprio per questa incertezza applicativa e la possibile difformità d’uso, questo criterio liquidativo è caduto in disuso.

L’ultimo metodo liquidativo che merita un’attenta analisi è il metodo milanese126, o metodo del punto variabile. Tale sistema include come parametri per il calcolo del risarcimento il grado d’invalidità permanente, il valore del punto di invalidità e l’età della vittima. La portata innovativa di questo criterio è che il valore del punto d’invalidità non è fisso, ma variabile in funzione del grado d’invalidità permanente: più il grado d’invalidità è alto maggiore risulta il valore del singolo punto. Il risarcimento, quindi, è ottenuto moltiplicando il grado di invalidità per il valore del punto dell’invalidità (variabile in funzione dell’invalidità), ridotto in base all’età del danneggiato al momento dell’evento lesivo. Il metodo milanese è un metodo che utilizza le “Tabelle”. Queste nacquero con l’intento di facilitare le disposizioni giudiziarie, e contengono al proprio interno sia la variabile del valore monetario del punto medio sia il riduttore in funzione dell’età della vittima. Il valore iniziale del punto medio venne dedotto dalla media dei precedenti giudiziari; la crescita del valore, invece, venne desunta dal principio medico-legale della crescita geometrica della sofferenza patita (al raddoppiare dell’invalidità si hanno sofferenze più che doppie). Si ottenne, quindi, un punto d’invalidità con crescita geometrica rispetto al grado d’invalidità e inversamente proporzionale all’età della vittima (maggiore l’età della vittima, minore il valore del punto d’invalidità). Si tratta in sostanza di una funzione matematica, che rappresenta la liquidazione del danno biologico; è tramite la rappresentazione di tale funzione che si creano le tabelle. Stabilito il valore del punto iniziale, la funzione di crescita e l’entità del demoltiplicatore si

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ottiene la tabella da usare per la liquidazione del danno da lesione della salute127.

La consultazione delle tabelle apporta molteplici benefici, tra cui vale sicuramente la pena menzionare l’uniformità generale di trattamento, e la conoscenza, seppur sommaria, che offre alle parti riguardo a ciò che possono ottenere dalla liquidazione. La Corte di Cassazione, pur approvandone l’uso, ha indicato alcuni accorgimenti da adottare sull’uso delle tabelle; in particolare ha sottolineato che, nonostante l’applicazione della tabella, rimane ancora valida e necessaria la personalizzazione al caso concreto da parte del giudice, con obbligo di motivazione, al fine di evitare una mera traduzione in termini monetari del punteggio di invalidità prospettato dal c.t.u.128. I pregi del metodo milanese risultano lampanti: le tabelle sono di facile consultazione,garantiscono una discreta certezza dei risultati e chiarezza dei contenuti, inoltre,conducono a un’uniformità di trattamento da tempo ricercata. Si è assistito nel tempo, così, ad un’evoluzione del sistema liquidatorio in tutta Italia: da un sistema difforme, in cui lesioni simili venivano liquidate in modo diseguale a seconda dell’ufficio giudiziario preso in considerazione, ad un sistema generalmente uniforme, in cui su lesioni uguali,giudicate da uffici giudiziari diversi, portano a liquidazioni pressoché uguali.