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Il problema della quantificazione del danno non patrimoniale

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza Laurea Magistrale

IL PROBLEMA DELLA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NON

PATRIMONIALE

Il Candidato

Il Relatore

Giannini Elissa

Emanuela Navarretta

(2)

A Tutti i miei Nonni,

(3)

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1

L’EVOLUZIONE

DEL

DANNO

NON

PATRIMONIALE NELLA RESPONSABILITA’

CIVILE

PARAGRAFO PRIMO: IL DANNO NON PATRIMONIALE NEL SISTEMA TRADIZIONALE DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE

PARAGRAFO SECONDO: IL DANNO NON PATRIMONIALE NEL SISTEMA MODERNO DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE

2.1: Il danno non patrimoniale come danno morale soggettivo: il danno evento e i limiti

della teoria

2.2: La concezione economica del danno biologico

2.3.: Autonomia del danno biologico: le sentenze del Tribunale di Genova e di Pisa 2.4: L’intervento della Corte Costituzionale 184/1986

2.5: Il danno esistenziale e i nuovi diritti

PARAGRAFO TERZO: IL DANNO NON PATRIMONIALE NELL’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL’ART. 2059 C.C. 3.1.: Le pronunce della Cassazione del 2003

(4)

3.2.: Le Sezioni Unite del 2008: l’approccio monista alla categoria del danno non

patrimoniale e il richiamo ai diritti inviolabili dell’uomo

PARAGRAFO QUARTO: I DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO: LA “RISERVA DI LEGGE DELL’ART. 2059 C.C.

4.1. I diritti inviolabili come elenco dinamico 4.2.: Il principio di tolleranza

PARAGRAFO QUINTO: IL RAPPORTO TRA LE COMPONENTI DEL DANNO NON PATRIMONIALE

5.1.: Il danno biologico e il danno esistenziale 5.2.: Il danno biologico e il danno morale 5.3.: Il danno morale e il danno esistenziale

CAPITOLO 2

LA QUANTIFICAZIONE E LA LIQUIDAZIONE DEL

DANNO NON PATRIMONIALE

PARAGRAFO PRIMO: UNITARIETA’ E ARTICOLAZIONE CONTENUTISTICA DEL DANNO NON PATRIMONIALE

PARAGRAFO SECONDO: I PRINCIPI CHE COORDINANO LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE

2.1: La valutazione equitativa del giudice 2.2: Il principio dell’integrale risarcimento

PARAGRAFO TERZO: LA LIQUIDAZIONE DELLA COMPONENTE MORALE E ESISTENZIALE. LE TABELLE DI MILANO E LE CORRENTI OPPOSTE

3.1.: Le fasi applicative delle tabelle

(5)

3.3.: La vocazione nazionale delle Tabelle di Milano e la posizione della Terza Sezione

della Cassazione

PARAGRAFO QUARTO: LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE NEI SUOI PROFILI PROCESSUALI

4.1. Allegazione del danno non patrimoniale 4.2.: La prova del danno

PARAGRAFO QUINTO: IL RAPPORTO TRA LA QUANTIFICAZIONE E LA FUNZIONE DEL RISARCIMENTO

5.1.: Funzione risarcitoria

5.2.: La funzione sanzionatoria-punitiva 5.3.: La funzione satisfattiva

5.4: La funzione solidaristica

PARAGRAFO SESTO: LA QUANTIFICAZIONE DELLA COMPONENTE BIOLOGICA DEL DANNO NON PATRIMONIALE

6.1.: Concetti base

6.2.: Il limite reddituale e le finzioni giuridiche 6.3.: Il contenuto del danno biologico

6.4: La quantificazione del danno biologico- la consulenza medico legale

6.5: La liquidazione del danno biologico: la teoria genovese, la teoria pisana e il metodo

milanese

(6)

CAPITOLO 3:

IL CASO DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE

NELLA FAMIGLIA

PARAGRAFO PRIMO: IL DANNO DA MORTE DEL CONGIUNTO E L’ELABORAZIONE DEL DANNO DA PERDITA PARENTALE

1.1) Il danno da morte Iure Hereditario:

1.1.a) La natura del danno da morte Iure ereditario

1.1.b) Altri elementi della categoria: i soggetti cui spetta il risarcimento e i criteri di liquidazione

1.2) Il danno da morte Iure Proprio: il danno da perdita del rapporto parentale

1.2.a) La legittimazione ad agire iure proprio

1.2.b) I criteri liquidativi

PARAGRAFO SECONDO: L’ILLECITO ENDOFAMILIARE. L’ELABORAZIONE, LA NATURA E I CRITRI IDENTIFICATIVI

2.1: Illecito endofamiliare tra diritto di famiglia e responsabilità civile. L’istituto della

tollerabilità

2.2: L’individuazione del danno endofamiliare: i doveri coniugali e il rapporto genitoriale PARAGRAFO TERZO: LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO INTRAFAMILIARE ALLA LUCE

DELL’ ESPERIENZA DEL DANNO DA PERDITA PARENTALE 3.1.: L’adattamento delle tabelle del danno da perdita parentale al danno da illecito

intrafamiliare

3.2.: Le perplessità derivanti dall’applicazione delle tabelle del danno da perdita

parentale: il mancato studio del precedente e la componente psicologica

3.3.: Il carattere emendabile del rapporto leso: considerazione alla base di un corretto

risarcimento del danno da illecito endofamiliare

(7)
(8)

INTRODUZIONE

All’interno del mio elaborato ho cercato di sviluppare il tema della quantificazione del danno non patrimoniale, i problemi che la stessa può provocare e le possibili soluzioni che l’ordinamento ha prodotto per porvi rimedio.

Le problematiche sorgono principalmente a causa del fatto che il pregiudizio subito non interessa direttamente il patrimonio del danneggiato, come accade per il danno patrimoniale, per cui risulta complesso per il giudice eseguire una valutazione economica precisa. Tale limite si pone in contrasto con il principio di certezza del diritto, principio cardine del nostro ordinamento, e crea disparità di trattamento in situazioni analoghe, portando a liquidare casi simili in modo diverso. Per questa ragione sono state elaborate le Tabelle come mezzo di ausilio per il giudice nella liquidazione del danno non patrimoniale. Questi documenti rispondono a quell’esigenza di uniformità dei criteri di liquidazione che, insieme alla personalizzazione del danno, costituiscono il pilastro su cui si fonda l’intero sistema risarcitorio del danno alla persona.

Ma tale strumento, se da un lato apporta chiarezza e semplifica il procedimento di quantificazione, dall’altro ha trovato difficoltà di inserimento e riscontri negativi in parte della giurisprudenza, a causa del rapporto sviluppatosi con il concetto di danno non patrimoniale stesso e le voci che lo compongono. La quantificazione del danno vive in stretto contatto con il contenuto del danno non patrimoniale, che si è evoluto nel corso del tempo; se inizialmente le Tabelle, create in riferimento ad una concezione di danno non patrimoniale identificata col danno biologico ( un danno in cui la quantificazione risulta più semplice grazie alla valutazione

(9)

dell’entità dei postumi facilmente classificabile ), venivano facilmente applicate, in un secondo momento, in virtù dell’approccio monista alla categoria del danno delineato dalla Corte nel 2008, si sono sviluppati rischi di duplicazioni risarcitorie o di non integralità del risarcimento. E’ stata infatti la centralità conferita dall’ordinamento al danno biologico nella quantificazione del danno non patrimoniale a far acquisire notorietà allo strumento tabellare, quindi con l’avanzare della concezione unitaria del danno non patrimoniale si sviluppa l’idea secondo cui le tabelle potevano creare duplicazioni risarcitorie o non integrali, conducendo per questo ad una liquidazione impropria.

In ogni caso la mancanza di un elemento di valutazione accertabile, il relazionarsi delle componenti che costituiscono la categoria stessa e la personalizzazione della lesione rapportate alla valutazione equitativa del giudice fanno si che la quantificazione del danno non patrimoniale risulti un’operazione estremamente complicata che trova un “solido” appiglio nel metodo tabellare che per tale motivo viene applicato a diverse fattispecie lesive dei diritti inviolabili della persona. È il caso delle tabelle elaborate per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, danno che si trova a comprendere un’ampia casistica; esempio di tale apertura applicativa è l’utilizzo di queste tabelle per la quantificazione del danno da illecito endofamiliare.

Nello specifico, analizzando il caso dell’illecito endofamiliare e l’applicazione ad esso delle tabelle inerenti la quantificazione del danno da perdita parentale, viene alla luce quanto , nonostante il metodo tabellare risulta essere sicuramente valido per coadiuvare l’opera liquidatoria del giudice, lo stesso si rivela limitante se non formato in conformità all’illecito specifico tramite lo studio dei precedenti del caso e accompagnato, nelle motivazioni, dalla spiegazione del giudice che ne ha determinato l’applicazione stessa.

(10)

È per questo che concludo riscontrando, senza dubbio, l’utilità che il metodo tabellare apporta alla quantificazione del danno non patrimoniale, poiché esse producono chiarezza e uniformità di trattamento, ma auspicando l’elaborazione di tabelle specifiche in relazione agli illeciti presi in considerazione e alle peculiarità contenutistiche che essi presentano e che incidono nella liquidazione dello stesso, vedi ad esempio il fattore psicologico e il carattere emendabile presenti nell’illecito intrafamiliare.

(11)

CAPITOLO PRIMO:

L’EVOLUZIONE DEL DANNO

NON PATRIMONIALE NELLA

RESPONSABILITA’ CIVILE

PARAGRAFO 1: IL DANNO NON PATRIMONIALE NEL

SISTEMA TRADIZIONALE DELLA RESPONSABILITA’

CIVILE

Al fine di condurre una corretta e approfondita indagine sui problemi inerenti la quantificazione del danno non patrimoniale, risulta fondamentale muovere dall’analisi dell’art. 2059 c.c. e, in particolare, dal contenuto che tale voce di danno ha acquisito a seguito di un lungo e tortuoso percorso interpretativo, reso necessario dall’ampiezza della formulazione normativa e dall’esigenza di un coordinamento sistematico con l’art. 2043 c.c.

Nel sistema italiano tradizionale della responsabilità civile il risarcimento del danno patrimoniale ha sempre avuto un ruolo centrale. Disciplinato dall’art 2043 del codice civile, esso viene inteso come il danno derivante dalla lesione di interessi patrimoniali a causa del comportamento inadempiente o del fatto illecito di un terzo. Tale pregiudizio è incidente direttamente sul patrimonio, dunque può essere oggetto di una valutazione economica precisa. In tale contesto l’analisi del giudice è focalizzata sulla causalità, ossia sul rapporto di causa ed effetto tra l’evento illecito ed il danno da esso arrecato; in tal senso s’intende affermare che il fatto doloso o colposo deve

(12)

risultare come la causa cagionante il danno, che viene qualificato come ingiusto, e cioè lesivo di un interesse giuridicamente rilevante. Verificata la causalità è possibile identificare e quantificare i danni derivanti dal comportamento illecito; questa precisa quantificazione economica è poi risarcibile con una liquidazione a favore della parte lesa. Il metodo liquidativo del danno patrimoniale è stato considerato come modello di riferimento per la quantificazione dell’altra categoria di danno risarcibile, ovvero il danno non patrimoniale. La criticità riscontrata nel corso degli anni derivante da questo orientamento è stata la difficoltà della prova dell’elemento soggettivo: il danneggiato aveva diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali esclusivamente a seguito della prova del dolo e della colpa del danneggiante senza possibilità di presunzioni. Tale impostazione ha creato delle questioni giuridiche di difficile risoluzione, con forzature interpretative discutibili, a posteriori spesso ritenute inappropriate se non del tutto inverosimili.

In tempi recenti la giurisprudenza ha deciso di recepire il dibattito dottrinario sviluppatosi nel tempo intorno alla questione, e ciò ha condotto ad una rivalutazione del danno non patrimoniale. In tale rimodulazione sono state introdotte nuove categorie di danno che hanno ampliato la tutela della persona nella responsabilità civile. Si è ottenuta la riformulazione della definizione di danno non

patrimoniale, adesso identificato come la conseguenza

pregiudizievole derivante dalla lesione di valori inerenti la persona che non hanno una rilevanza economica, e che quindi non sono suscettibili di una diretta traduzione in denaro1.

Il danno non patrimoniale, quindi, si riferisce a danni e lesioni che non possono avere una precisa valutazione pecuniaria, effettuata sulla base di obbiettivi criteri di mercato, in quanto sono riferiti a perdite non prettamente materiali.

1

BRECCIA, BRUSCAGLIA, BUSNELLI, GIARDINA, GIUSTI, LOI, NAVARRETTA, PALADINI, POLETTI, ZANA; Diritto Privato,

(13)

Per molto tempo, nell’esperienza giuridica italiana, il danno non patrimoniale è stato inteso come sinonimo di danno morale, dolore, sofferenza che l’offesa scaturita dal reato, stante il collegamento con l’art. 185 c.p., provocava nel soggetto danneggiato. Si tratta del cosiddetto danno morale soggettivo, il quale principalmente viene ad identificarsi con i patemi d’animo. Il concetto di danno non patrimoniale coincidente con il danno morale soggettivo escludeva le ipotesi in cui non è configurabile il patema d’animo; si pensi infatti al concetto di danno morale in relazione alle persone giuridiche e agli enti collettivi, essi essendo “non persone” e non avendo per questo una coscienza interiore, una personalità, non possono subire sensi di turbamento, oppure al neonato o alla persona in coma che allo stesso modo, essendo privi di conoscenza o di cognizione morale, non sono capaci di percepire un’afflizione d’animo.

Nel proseguo di questo testo, cercherò di analizzare e definire con precisione come l’ordinamento italiano quantifichi il danno non patrimoniale. A tal fine saranno introdotte le norme che ne definiscono il contenuto, la loro evoluzione interpretativa nel corso degli anni e la situazione consolidata ai giorni d’oggi.

La prima norma che tratta l’argomento in questione è l’articolo 2059 del codice civile: al suo interno si trova, infatti, esplicito il riferimento ai danni non patrimoniali e al loro risarcimento. Tuttavia quest’articolo non definisce quale debba essere il metodo di risarcimento e liquidazione, generando così problemi legati alla quantificazione.

L’articolo 2059 c.c. prevede che il danno non patrimoniale debba essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge; tale previsione, almeno fino ad epoca recente, è stata posta in relazione con il comma 2 dell’articolo 185 del codice penale.

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Nella dottrina si sviluppa la concezione di danno non patrimoniale come “diminuzione subita dalla parte lesa” quale “danno biologico”, “morale soggettivo” o una lesione di un interesse costituzionalmente protetto, pertanto un’accezione restrittiva dell’articolo 2059 c.c., che comporta una limitata risarcibilità del danno, si scontra con un’ampia accezione di danno non patrimoniale.

PARAGRAFO 2: IL DANNO NON PATRIMONIALE NEL

SISTEMA MODERNO DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE.

2.1: IL DANNO NON PATRIMONIALE COME DANNO MORALE SOGGETTIVO: IL DANNO EVENTO E I LIMITI DELLA TEORIA.

Come anticipato, dunque, la concezione originaria del danno non patrimoniale si limita al solo danno morale, il quale si identifica con i pregiudizi aventi carattere morale, quali la sofferenza interiore, il dolore intrinseco etc. Questa interpretazione fornisce al danno non patrimoniale, dunque, una funzione prettamente sanzionatoria: chi subisce un pregiudizio determinato dalla legge, deve dimostrare la presenza di fenomeni afferenti alla sua sfera privata e interiore, emotiva e psicologica. Ovviamente, la difficoltà di prova di tali fenomeni è elevata, come lo è la dimostrazione della causalità, ossia il collegamento tra l’insorgenza delle ripercussioni di carattere emotivo e il fatto illecito.

Al fine di ovviare a queste difficoltà, il danno morale è stato ridefinito da alcuni interpreti come danno evento, ossia come lesione dell’interesse in sé, in cui viene sovrapposto il profilo dell’ingiustizia e quello della risarcibilità. In tale prospettiva, al fine di ottenere il risarcimento del danno morale, si ritiene sufficiente provare l’avvenuta lesione, risarcibile in sé, senza la necessità di prova delle conseguenze sul danneggiato. In altre parole, il danno morale è

(15)

risarcito perché si ritiene che la produzione di una lesione generi in maniera automatica una sofferenza morale.

La tesi ha tuttavia dei notevoli limiti: pur risultando corretto affermare che una lesione genera un turbamento emotivo, non risulta altrettanto corretto ritenere tale assunzione come criterio generale. Vi sono, infatti, fattispecie illecite che non generano conseguenze emotive palesi, secondo un concetto di normalità sociale. Da tale limite si giunge quindi a ridefinire il danno morale come la sofferenza prodotta dall’illecito piuttosto che come la lesione derivante dallo stesso2.

Questa interpretazione tradizionale, sorta in relazione alla riserva di legge rinvenibile nell’art 2059 c.c., che assimila e limita il danno non patrimoniale al danno morale, produce due evidenti problemi:

-tutte le conseguenze non patrimoniali derivanti dall’illecito che non rientrino nella categoria del danno morale soggettivo non vengono prese in considerazione

-la risarcibilità delle conseguenze non patrimoniali dell’illecito è limitata solo al reato, e a rare ed eventuali previsioni normative ulteriori

2

PAOLO CENDON; Il diritto privato nella giurisprudenza- La prova e il quantum nel risarcimento del danno non

(16)

2.2: LA CONCEZIONE ECONOMICA DEL DANNO BIOLOGICO

E’ con il danno biologico che, comunque, viene effettuata un incidente rielaborazione dell’attuale disciplina della quantificazione del danno non patrimoniale.

In virtù della centralità del danno patrimoniale nel sistema civile, il danno alla salute veniva considerato nei suoi risvolti economici, quali le spese di cura, la diminuzione della capacità lavorativa e il danno derivante dall’impossibilità di svolgere la propria attività lavorativa . La determinazione del quantum debeatur, si effettua in via equitativa ai sensi dell’art 2056 cc, mediante l’applicazione del criterio del reddito lavorativo annuo del danneggiato moltiplicato sia per il coefficiente di capitalizzazione riguardante l’età, sia per la percentuale di invalidità permanente prodotta, sia per la percentuale relativa alla durata della vita. Si cerca poi di sanare le diversità di trattamento così generate tramite delle vere e proprie finzioni giuridiche, quali i concetti di capacità lavorativa generica, di danno esistenziale, di danno estetico etc. Viene dunque applicato un criterio economico, forzando le situazioni in cui non è possibile riscontrare tale criterio.

Tuttavia è evidente che il sistema si presenta come illogico, perché non assicura a ogni danneggiato un’equa riparazione del pregiudizio subito. Si percepisce per cui la necessità di modificare questa tecnica di monetizzazione; lo scopo è quello di attribuire un valore alle perdite inerenti la persona, indipendentemente dalla sua capacità produttiva, anche per non privare, o rendere forzato il risarcimento per quei soggetti che, all’epoca dell’evento dannoso, non producevano reddito o non erano in grado di produrlo. Tali sforzi traggono origine dal nuovo ruolo di fulcro assunto dai concetti costituzionali di centralità della persona, di riparazione a favore della

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vittima piuttosto che di punizione dell’autore del reato; si tratta di un percorso che si è sviluppato all’insegna della valorizzazione dei principi costituzionali e della rilevanza attribuita ai fondamentali valori della persona umana: l’uomo concepito come individuo da tutelare nell’esplicazione del suo essere, della sua personalità; questo in virtù anche del ruolo sempre più centrale assunto dalla Costituzione nel nostro ordinamento3.

Con il passare degli anni la concezione di danno non patrimoniale ha quindi subito un’evoluzione, principalmente figlia della maturazione dell’intero sistema normativo. Tale evoluzione interpretativa ha avuto una forte spinta propulsiva generata dall’esigenza di riparare le conseguenze della lesione dell’integrità psicofisica diverse da quelle originariamente intese, ossia il pregiudizio della capacità lavorativa e della sofferenza. Tali conseguenze sono afferite nella definizione di danno biologico.

Si è venuta così ad estendere la nozione di danno non patrimoniale oltre l’ipotesi di mero danno morale-soggettivo, comprendendovi al suo interno ogni pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, ovvero un insieme di situazioni caratterizzate dalla non patrimonialità dell’interesse leso. Nel concetto di danno non patrimoniale si includono anche ipotesi di danno alla persona non limitate al danno morale, e si colloca il tutto, in maniera sistematica, all’interno di una norma che faccia riferimento ai danni non patrimoniali e ne preveda l’integralità della riparazione, in ragione del carattere d’inviolabilità del diritto leso4.

3 Ibidem, pp 303

4

DOMENICO BELLANTONI; Lesione dei diritti della persona. Tutela penale-tutela civile e risarcimento del danno; 2000, Milano, pp 295-297

(18)

2.3: L’AUTONOMIA DEL DANNO BIOLOGICO: LE SENTENZE DEI TRIBUNALI DI GENOVA E PISA

Il lungo percorso evolutivo prende avvio con una sentenza del Tribunale di Genova5: questa sentenza identifica e delimita il danno biologico con la lesione dell’integrità fisica. Partendo da questo presupposto i giudici genovesi trovano nell’articolo 32 della Costituzione il fondamento della tutela del danno così definito, correlandolo con l’art 2043 c.c. Sono ricondotti a questo articolo del Codice Civile sia i danni patrimoniali che quelli extra-patrimoniali, ossia i pregiudizi non patrimoniali diversi dal danno morale soggettivo.

Per giungere a tale conclusione, il Tribunale di Genova prende in considerazione quelli che sono i criteri tradizionali atti a risarcire il danno alla salute, e ne dimostra l’inadeguatezza concettuale oltre che pratica:

• la capacità lavorativa generica6, utilizzata fino a quel momento per poter utilizzare il criterio del reddito anche in assenza di un reddito reale, è un concetto astratto e contraddittorio;

• la capacità lavorativa specifica7, per quanto reale, utilizza un

parametro eccessivamente rigido e applicabile

esclusivamente in maniera meccanica, il che produce gravi iniquità di trattamento;

• il danno alla vita di relazione 8, infine pare una mera finzione introdotta ad hoc.

Tali criteri di valutazione e liquidazione del danno alla salute, dunque, vengono giudicati dal Tribunale di Genova illogici e privi di un

5

Tribunale di Genova, sent. 25 Maggio 1974, in Giu. It. Rep., 1975

6

Definita come capacità dell’uomo medio a esercitare un mestiere

7 Ovvero il lavoro svolto dal danneggiato del reato 8

Definito come menomazione della capacità di concorrenza dell’individuo, rispetto agli altri soggetti, nei rapporti sociali ed economici

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fondamento razionale, possibili fonti di sentenze inique e, soprattutto, non in grado di riconoscere all’uomo il diritto di risarcimento circa le offese alla salute all’integrità psico-fisica. Il diritto alla salute risulta costituzionalmente riconosciuto, ma fino a quel momento, svolge una tutela fine solo ad un mero risarcimento economico.

Il Tribunale di Genova fonda, quindi, un nuovo impianto teorico che sostituisce quello tradizionale, eseguendo una vera e propria rielaborazione dell’intero sistema; in questo contesto venne dunque rivalutato anche il contenuto dell’art 2043 c.c., al cui interno viene ricondotta la risarcibilità dei danni ingiusti9. Contemporaneamente, si modifica anche l’interpretazione dell’art 2059 c.c.: considerato fino ad allora la norma grazie alla quale risarcire tutti i danni non patrimoniali, assume da quel momento l’accezione di norma con cui risarcire i soli danni morali. Ciò perché, secondo la teoria genovese, l’accezione “danni non patrimoniali”, utilizzata dal legislatore nel nostro ordinamento in altre tre circostanze10, è pacificamente interpretata dalla dottrina e dalla giurisprudenza come sinonimo di danno morale, quindi non si vede alcun motivo per cui tale interpretazione non possa essere utilizzata anche per l’art. 2059 c.c. In conclusione secondo questo nuovo impianto interpretativo, si ha, da un lato, l’art. 2043 c.c., il quale si occupa del risarcimento dei danni ingiusti, e, dall’altro lato, l’art. 2059 c.c., che invece si occupa dei soli danni morali.11

L’innovativa pronuncia genovese, ha sicuramente dei riflessi sul modo di pensare dei giudici nazionali, al punto che anche la giurisprudenza pisana prende posizione riguardo la materia. Il Tribunale di Pisa12, prendendo spunto dalla teoria genovese giunge a

teorizzare la piena risarcibilità del danno alla salute, sulla base della

9

Per danno ingiusto si considera la lesione di un interesse giuridicamente protetto

10 Art. 89 cpc, art 185 cpc, art 598 cpc 11

ROSSETTI, Il danno alla salute, Milano, 2009,

12

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diretta applicazione dell’art. 32 cost. negando però che esso sia configurabile come danno non patrimoniale. Quindi fermo restando la non applicabilità dell’art. 2059 c.c., poiché il danno alla salute si lega “alle modificazioni peggiorative del modo di essere della persona”, le sue conseguenze si prestano ad essere valutate in termini economici e con criteri oggettivi, e trovano adeguata sistemazione nell’art. 2043 c.c., connotato solo dal requisito dell’ingiustizia.

L’orientamento evolutivo, sviluppato dalla giurisprudenza di merito, viene recepito dalla Corte di Cassazione che fornisce una nuova interpretazione di danno biologico, attraverso l’affermazione “La lesione dell'integrità fisica costituisce di per sé danno risarcibile” 13. La Cassazione14 afferma che il bene della salute costituisce oggetto di un autonomo diritto primario ed assoluto, e dunque il risarcimento conseguente ad una sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono sull'attitudine a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere anche il cosiddetto danno biologico. Il danno alla salute integra quindi un danno ingiusto da considerarsi danno patrimoniale indiretto, risarcibile ex art. 2043 c.c. e indipendente dalla capacità del soggetto leso di produrre reddito.

13

Cass, sent 6 giugno 1981, n 3675, in Foro It., I, 1884

14

(21)

2.4.: L’INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE 184/1986

A seguito di queste innovazioni interpretative la Corte

Costituzionale15 ridefinisce il sistema risarcitorio inerente il danno morale soggettivo e il danno biologico. Con tale sentenza la Corte nega che l’art. 2059 c.c. sia incostituzionale in riferimento agli artt. 2, 24 e 32 della Cost. poiché ritiene che tale articolo si riferisca al risarcimento dei soli danni morali. In questa prospettiva quindi il risarcimento è condizionato dalla presenza di un illecito civile che costituisce un reato nei casi in cui si consideri il danno morale; in tali evenienze, allora, è risarcibile il turbamento ed il dolore interiore che il reato ha procurato nel soggetto danneggiato. Nel ricollegare l’art. 2059 c.c. ai soli danni morali, la Corte recepisce anche l’orientamento promosso dalla giurisprudenza genovese e pisana, conducendo il danno alla salute nell’alveo dell’art. 2043 c.c.

Ripropone dunque il concetto secondo cui l’articolo 2043 c.c. risarcisce il danno ingiusto, ossia quello lesivo di un interesse personale tutelato dall’ordinamento, e riconduce in tale genus anche il danno biologico.

La Corte sottolinea che il bene giuridico della salute non può più essere visto come un bene unicamente impiegato per realizzare attività volte all’acquisizione e conservazione di beni patrimoniali, ma deve essere riferito all’integrità psicofisica del soggetto nel suo insieme.

Con l’ordinanza 293/199616, la Corte viene chiamata a giudicare della violazione degli artt. 24 e 32 della Cost. ad opera dell’art. 2059 c.c., che esclude la risarcibilità del danno morale al di fuori di accertate ipotesi di reato. Per il giudice costituzionale il danno morale, inteso

15

Corte Costituzionale sent. 14 Luglio 1986, nn. 184, in Foro.it, 1986, I, 2003

16

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come acuta sofferenza psichica, altro non è che una fattispecie del danno biologico, inteso come alterazione dello standard psicofisico del soggetto e causa di un peggioramento delle abitudini e delle condizioni di vita del soggetto leso.

Entrambe le figure di danno sono protette ex art. 32 Cost., con la conseguente inammissibilità di una limitazione della tutela giurisdizionale derivante dall’art. 2059 c.c. Questo è stato il primo passo verso una rivalutazione del concetto di danno biologico, che

vede la sua completa affermazione con l’elaborazione

dell’interpretazione estensiva dell’art. 2059 c.c. alla luce dell’art. 2 della Costituzione. La lesione al diritto alla salute non incide solo ed esclusivamente sull’attività lavorativa, ma anche su tutte le altre componenti dell’attività umana. Il pregiudizio alla persona viene ad identificarsi con il danno alla totale integrità dell’individuo, sia essa fisica o psichica17.

L’evoluzione giurisprudenziale, in materia di danno alla salute, ha portato poi all’enucleazione di un concetto di danno biologico in cui è stata progressivamente assorbita ogni altra voce di danno alla

persona. Il danno biologico assume un carattere di

onnicomprensività, in cui la differenziazione tra danno biologico, inteso come pregiudizio fisico in se, e danno alla salute, nell’accezione di danno psichico causato dal fatto lesivo, comporta delle ripercussioni sul modo di liquidare il danno. Una lesione permanente che incide solo sullo stato di salute della persona assume caratteri liquidativi uguali per tutti gli individui, definiti da parametri uguali e facilmente riconoscibili, predeterminati rispetto alle persone che li adottano; per il danno alla salute è invece necessaria una valutazione caso per caso, che unisca esigenze di concretezza nella valutazione delle conseguenze pregiudizievoli di

17

DOMENICO BELLANTONI; Lesione dei diritti della persona. Tutela penale-tutela civile e risarcimento del danno; 2000, Milano; pp 305

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tale evento sull’equilibrio psico-fisico del singolo danneggiato18,che variano a seconda del caso specifico.

Nonostante il danno biologico estenda le conseguenze dell’illecito oggetto di risarcimento del danno, permane su di esso un vivo dibattito dottrinale: si ritiene che la stessa categoria di danno biologico escluda dalla risarcibilità altre ipotesi di pregiudizio alla persona, comunque ritenute meritevoli di tutela aquiliana19. Il sistema definito dalla Corte Costituzionale subisce, quindi, fin da subito, delle critiche da parte della dottrina, che segnala palesi limiti risarcitori derivanti dalla centralità attribuita al danno biologico all’interno dell’ordinamento. Si cerca di superare tali limiti conferendo al danno biologico la nozione di danno alla salute, in questo modo il danno viene a ricomprendere non solo il pregiudizio fisico in se per se considerato, ma anche tutte le ripercussioni che la lesione subita ha proiettato sulla vita danneggiato che si allontanano dalla mera valutazione dello stato di salute, per annoverare le conseguenze pregiudizievoli ricadute sull’equilibrio della vita del danneggiato . Da tale impostazione restano esclusi i danni inerenti la persona che non derivano da una lesione della salute psico-fisica, criterio fondante il risarcimento del danno alla salute stesso.

2.5.: IL DANNO ESISTENZIALE E I NUOVI DIRITTI.

È noto come, nella giurisprudenza, si sia nel tempo sviluppata la tendenza a leggere l’art. 2059 c.c. in una prospettiva costituzionale, che permetta di ampliare il contenuto del danno non patrimoniale al

18 BARGAGNA, BUSNELLI; La valutazione del danno alla salute. Profili giuridici, medico-legali ed assicurativi. Volume Unico, 2011, Milano

19

(24)

di là della sfera del danno morale. Tale operazione è avvenuta principalmente tramite l’elaborazione del danno esistenziale20. Si è cercato di delineare il danno esistenziale come species del danno biologico, ma ciò ha prodotto delle incongruenze significative. Questa concezione prende le fila dall’elaborazione che produce una doppia concezione di danno biologico; in questo senso si parla di danno biologico statico e dinamico, intendendo con il primo la diminuzione del bene primario dell’integrità psicofisica in se per se considerata, e con il secondo le manifestazioni quotidiane del bene salute che riguardano sia l’attività lavorativa che tutte le attività extra-lavorative e che pongono il soggetto in condizioni non solo di produrre utilità, ma anche di riceverla21. È in questo profilo dinamico del danno alla salute che si cerca inizialmente di far confluire l’accezione di danno esistenziale. In realtà una tale operazione, e cioè inglobare il danno esistenziale nel danno biologico e trattarlo come mero profilo di questo, comporta che il risarcimento del danno esistenziale spetti alla sola vittima della lesione del diritto alla salute: ma è stata proprio questa limitazione che ha spinto la dottrina ad elaborare il danno esistenziale stesso. D’altro canto, distinguendo il danno esistenziale dal danno biologico si rischia di unire tale pregiudizio al danno morale soggettivo, incappando così nei limiti dell’ art. 2059 c.c., e compromettendo ugualmente la sua generale risarcibilità22.

I vari problemi così delineati conducono ad una situazione di blocco teorico di fondo, tale per cui il riconoscimento della risarcibilità del danno esistenziale è stato rimesso all’interno di un quadro vago, fumoso e contraddittorio. Alcuni giudici, così, affermano che il danno esistenziale sia compreso nel danno biologico, altri insistono sul concetto che il danno esistenziale possa essere risarcito solo in

20 Concepito come ogni pregiudizio ( di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile )

provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno

21 DOMENICO BELLANTONI; Lesione dei diritti della persona. Tutela penale- tutela civile e risarcimento del danno;

2000, Milano, pp 305

22

(25)

presenza della lesione di diritti inviolabili della persona o valori tutelati dell’art. 2 Cost., altri ancora sostengono che il danno esistenziale costituisca una componente del danno non patrimoniale morale23.

Solo tramite le sentenze gemelle del 2003 si giunge ad una definitiva riorganizzazione del sistema aquilano. Le cinque sentenze2425 della Cassazione e la sentenza della Corte Costituzionale di quell’anno

accolgono la proposta di sottoporre l’art. 2059 c.c. a

un’interpretazione più coerente con il dettato costituzionale. L’articolo 2059 c.c. viene così allontanato dal concetto di illecito penale che lo poneva a stretto collegamento con l’art. 185 c.p.

Il danno aquilano viene dunque espanso attraverso un duplice processo: da un lato, garantendo la tutela di interessi la cui lesione, in precedenza, non era stata oggetto di risarcimento, e creando una loro categorizzazione (basti pensare alla propensione a risarcire la lesione del diritto all’identità personale, la lesione del diritto alla riservatezza, l’invenzione di nuovi diritti della personalità e la stessa prassi di risarcire tutti i diritti della personalità diversi dal diritto alla salute, catalogati come danni esistenziali); dall’altro ampliando la nozione di patrimonialità ed ammettendo la tutela della lesione di beni non misurabili con i criteri tipici del mercato e non riconducibili agli schemi della proprietà, del possesso o del rapporto obbligatorio (come ad esempio con il danno alla salute o con il danno da vacanza rovinata).26.

La novità introdotta dalle sentenze del 2003 non è tanto, quindi, quella di aver individuato un danno non patrimoniale diverso dal danno morale, quanto, piuttosto, l’aver ricondotto questo danno non

23

Ibidem, pp. 42

24

Corte Costituzionale, sent. 11 Luglio 2003, n 233, in Foro.it, 2003, I, 2201 ss

25 Cassazione, sent. 31 Maggio 2003, n.8828; Cassazione, sent. 31 maggio 2003, n. 8827; cassazione, sent. 12 maggio

2003, n 7281; cassazione, sent. 12 maggio 2003, n. 7283, in Foro.it, 2003, I, 2272 ss.

26

(26)

patrimoniale all’interno dell’art. 2059 c.c., dopo aver svincolato lo stesso dalla limitazione posta dall’art. 185 c.p.

La Corte precisa che, nel vigente assetto dell’ordinamento, dove la posizione di fonte di diritto primaria spetta alla Costituzione, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente la persona. Questa conclusione trova il suo fondamento nell’evoluzione della disciplina del danno non patrimoniale, da intendersi come danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Merita senz’altro una piccola nota di accenno anche l’intervento del legislatore che, seppur in esigua misura, ha esteso i casi determinati dalla legge di riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale al di fuori dell’ipotesi di reato a fronte della compromissione di valori personali. Possono essere citati al riguardo l’articolo 2 della legge 117/8827, l’articolo 29, comma 9, della legge 675/9628 , l’articolo 44, comma 7, del decreto legislativo 286/9829, l’articolo 2 della legge 89/200130.

27

Risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie

28 Impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali 29

Adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi

30

(27)

PARAGRAFO

3:

IL

DANNO

NON

PATRIMONIALE

NELL’INTERPRETAZIONE

COSTITUZIONALMENTE

ORIENTATA DELL’ART. 2059 C.C.

3.1: LE PRONUNCE DELLA CASSAZIONE DEL 2003

Come precedentemente detto, le sentenze del 2003 esplicano la spinta evolutiva del danno non patrimoniale e ne delineano un ampliamento. In tali sentenze la Cassazione rileva la distinzione tra danno morale soggettivo e danno non patrimoniale, definito come il danno determinato dalla lesione a un interesse inerente la persona, dal quale siano derivati pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. L’articolo 2059 c.c., ora allontanato dall’art. 185 c.p. rende possibile il risarcimento del danno non patrimoniale venuto configurandosi come una categoria distinta dal danno morale soggettivo, che rimane risarcibile. La Cassazione specifica poi che, ai fini del risarcimento, ciò che deve emergere è una lesione di un interesse inerente la persona, da cui conseguono pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. Tale richiamo è da riferirsi alla figura del danno esistenziale, ricondotto anch’esso nell’art. 2059 c.c. All’interno dell’articolo 2059 c.c è possibile comunque rilevare una riserva di legge che costituisce un limite alla risarcibilità del danno non patrimoniale: questo ammette la risarcibilità solo e soltanto qualora sia leso un interesse della persona costituzionalmente garantito. Si parla di riserva di legge perché, in questo caso, il richiamo alla Costituzione, oltre a garantire la forma minima di tutela in caso di lesione di diritti inviolabili della persona, configura la riparazione del danno non patrimoniale vincolandola ad un preciso caso determinato e definito dalla legge.

(28)

L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. ridefinisce anche i rapporti tra danno patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c., e danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c. Il danno patrimoniale si configura infatti come la conseguenza economica della lesione di un diritto patrimoniale e non; il danno non patrimoniale, invece, risulta la conseguenza, non valutabile economicamente, della lesione di un diritto non patrimoniale di rilievo costituzionale della persona. Questa rilettura costituzionale, negli anni successivi, ha fornito anche la possibilità di configurare un danno non patrimoniale a fronte di un fatto di natura economica, sempre con il vincolo dell’esistenza di una lesione di un interesse di rilievo costituzionale31

È bene precisare che l’articolo 2059 c.c., anche nella sua interpretazione costituzionale, non delinea una nuova e distinta figura di illecito, capace di generare un danno non patrimoniale; qualora si palesino tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, tale articolo consente anche la riparazione dei danni non patrimoniali, in aggiunta a quelli patrimoniali, nel caso di congiunta lesione di interessi di natura economica e non economica. Dunque rimane necessario l’accertamento della sussistenza degli elementi di cui si compone l’illecito civile extra-contrattuale, definito dall’articolo 2043 c.c.: si tratta di un danno che deve essere provato, anche mediante presunzioni, sulla base di elementi obbiettivi, della cui dimostrazione si fa carico il danneggiato, e che viene liquidato in base ad una valutazione equitativa da parte del giudice.

Dopo le sentenze del 2003, quindi, il sistema risarcitorio è stato suddiviso in due principali categorie:

• danno patrimoniale, risarcibile ex articolo 2043 c.c.: consiste nella lesione del patrimonio, economicamente valutabile e risarcibile attraverso un’analisi comparata del patrimonio

31

(29)

prima e dopo il fatto illecito e attraverso la capacità del soggetto di produrre reddito

• danno non patrimoniale, ex articolo 2059 c.c.: comprende tutti i danni di contenuto non patrimoniale contro la persona, al cui interno rientrano il danno morale soggettivo, il danno biologico e il danno esistenziale.

3.2.: LE SEZIONI UNITE NEL 2008: L’APPROCCIO MONISTA ALLA CATEGORIA DEL DANNO NON PATRIMONIALE E IL RICHIAMO AI DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO.

Tale ripartizione interna del danno non patrimoniale, unita alla valutazione equitativa cui viene sottoposto lo stesso nel procedimento liquidativo, ha comportato delle iniquità all’interno dell’ordinamento, riconducibili, principalmente, al rischio di duplicazioni risarcitorie. Il giudice, infatti, si deve confrontare con l’ampia categoria del danno non patrimoniale, le cui singole voci generano un risarcimento separato, da cui sorge il rischio di creare un significativo caos liquidativo. Per questo motivo la Terza Sezione della Corte di Cassazione, ha emesso un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, richiedendo un chiarimento definitivo in materia di risarcimento del danno non patrimoniale.

A tale ordinanza la Corte risponde con quattro sentenze32, con cui vengono messi a punto i concetti già espressi nelle sentenze del 2003.

Innanzitutto si riconduce ad unità la categoria del danno non patrimoniale: le varie voci di danno al suo interno vengono delineate non come autonomamente risarcibili, ma come semplici categorie

32

Cassazione, Sez. Un., 11 Novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Responsabilità Civile e Prev., 2009, I, 38

(30)

descrittive della più ampia e comprensiva categoria del danno non patrimoniale.

Per questo si suole precisare che, qualora il giudice si trovi a liquidare diverse voci di danno non patrimoniale, deve assicurare un giusto equilibrio tra le stesse ed evitare duplicazioni e sovrapposizioni risarcitorie: il danno non patrimoniale è uno , composto dalle voci di danno morale soggettivo, danno biologico e danno esistenziale, le quali però detengono una funzione meramente descrittiva.

La Corte, poi, si occupa dell’identificazione dei casi in cui i danni non patrimoniali sono risarcibili. A tal fine richiama i diritti inviolabili dell’uomo, stabilendo che solamente la lesione di tali diritti permette la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali. Viene così individuato un criterio selettivo più ristretto rispetto a quello indicato dalle sentenze del 2003, che parlano in maniera generica di diritti inerenti la persona costituzionalmente garantiti. Nel 2008, così, la Corte chiarisce definitivamente che “al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale”33

Con questa sentenza, non si afferma esplicitamente che l’articolo 2059 c.c. contenga una riserva di legge o una riserva penale, poiché la Costituzione non comprende una disposizione che conferisce al legislatore il monopolio nell’individuazione dei casi in cui possono risarcirsi i danni non patrimoniali, ma nemmeno lascia all’articolo 2059 c.c. la possibilità di collegarsi con qualsiasi disposizione costituzionale34 si voglia. Con tale specificazione, si deduce che sia possibile accedere al risarcimento ex art. 2059 qualora il danno subito sia ritenuto risarcibile dal legislatore, oppure quando la risarcibilità sia implicita perché derivante dalla protezione offerta ai

33 Cassazione, Sez. Un., 11 Novembre 2008, 26972 34

BALDUZZI-SORRENTINO, voce Riserva di legge, in Enc. Dir., XL, 1989, 1222 s; CRISAFULLI, Lezioni di diritto

(31)

diritti inviolabili della persona, così come individuati dall’articolo 2 Costituzione.

Si viene così a delineare definitivamente il nuovo assetto del sistema di risarcimento del danno non patrimoniale che vede, accanto al risarcimento previsto dal legislatore per determinate tipologie di reato, il risarcimento costituzionalmente orientato ex art. 2059 c.c., che trova il suo fondamento e anche il suo limite, nell’articolo 2 della Costituzione.35

PARAGRAFO 4: I DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO: LA

“RISERVA DI LEGGE” DELL’ART. 2059 C.C.

4.1.: I DIRITTI INVIOLABILI COME ELENCO DINAMICO

Appurato che l’interpretazione costituzionalmente orientata

dell’articolo 2059 c.c. sia basata sulla categoria dei diritti inviolabili, resta da vedere come questa categoria venga concretamente ad adattarsi alla realtà dei fatti.

I diritti inviolabili appaiono come i più idonei a descrivere il valore giuridico della persona, grazie al loro carattere dinamico, che analizzeremo a breve nel dettaglio, e alla presenza di valori, al loro interno, che riflettono sul terreno giuridico l’essenza stessa dell’essere umano. Tali valori garantiscono che qualunque fattispecie lesiva, qualora colpisca in maniera rilevante la persona, sia coperta senza dubbio dalla tutela costituzionale.

Così, ad esempio, possiamo affermare che la dignità umana svolge un ruolo protettivo fondamentale, poiché è usata come metro di giudizio per quelle situazioni in cui la piena facoltà normalmente

35

(32)

riconnessa alla condizione umana viene affievolita da condizioni di ordine psicofisico e ambientale.

Il carattere dell’inviolabilità, poi, non giustifica affatto, come sostenuto da alcuni critici di questo approccio, una differenziazione tra i diritti della persona, ma esprime il valore della persona stessa e l’esigenza di una tutela più rafforzata. Con il termine “selettività”, dunque, relativamente al carattere dell’inviolabilità di questi diritti, non si intende effettuare alcuna esclusione di un diritto della persona in favore di un altro, bensì si vuole determinare il grado di coinvolgimento dell’interesse personale di base, al fine di ottenere un parametro preciso e definito con cui distinguere ciò che merita tutela costituzionale da ciò che ne resta escluso.

La necessità di protezione dei valori alla base di questi diritti, e la mutevolezza del mondo in cui la legge si trova ad operare, comporta che l’enucleazione dei diritti inviolabili non possa ridursi ad un semplice elenco rigido e chiuso; questi diritti, definendo la persona nella sua integrità, devono adattarsi a tutti i pericoli, le lesioni, le aggressioni fisiche e psicologiche che potrebbero colpire l’uomo. Tuttavia, lasciare una totale apertura a tale categoria creerebbe un’incertezza del diritto, certamente indesiderata ed indesiderabile. La categoria dei diritti inviolabili dell’uomo, quindi, deve essere dotata della forza espansiva ispirata alla necessità costante di tutelare la persona da nuove aggressioni, ma, al contempo, rappresenta anche una sorta di contenitore in cui ogni nuovo diritto e ogni nuova estensione della tutela generano un’inevitabile compressione dei diritti già riconosciuti36

La categoria dei diritti inviolabili, allora non si presenta come un semplice elenco chiuso: questi possono evolvere, mutare e adattarsi ai cambiamenti della persona e della società del tempo, entro i limiti di un’interpretazione che, tramite una similitudine tra i nuovi diritti e quelli già noti in relazione ai valori fondamentali della categoria,

36

(33)

come la dignità umana, la libertà di espressione della personalità e l’uguaglianza, possa estrapolare i diritti meritevoli di una tutela propria di quelli inviolabili. È dunque tramite una lettura espansiva dei diritti fondamentali di base che si consegue il riconoscimento di nuovi diritti inviolabili: da ciò si evince la necessità storica di affermare il carattere evolutivo degli stessi.

L’affermazione della centralità dei diritti inviolabili in campo risarcitorio ha portato ad una sorta di scetticismo di parte della dottrina civilistica37, che ritiene tale nozione non in grado di garantire la piena tutela di tutti i diritti inerenti la persona. Tale critica, tale approccio scettico, tuttavia non ha alcun fondamento pratico, dal momento che anche i diritti di matrice più prettamente privatistica vengono oggi ascritti fra i diritti protetti dall’art. 2 Costituzione38, costituendo così un’analogia con quanto analizzato e fornendo una dimostrazione dell’efficacia di tale impostazione giuridica.

4.2.: IL CRITERIO DELLA TOLLERANZA

Ciò che risulta utile e necessario all’interprete, invece, è un metodo per selezionare ed applicare i diritti inviolabili, ai fini dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata necessaria ai sensi dell’art. 2059 c.c., in materia civile: questi non possono essere determinati in maniera astratta e generale, ma è fondamentale verificare il reale coinvolgimento dell’interesse considerato.

Nella responsabilità civile per danni non patrimoniali, dunque, coesistono la necessità di identificare una soglia di tolleranza civile e la necessità di accertare in concreto il coinvolgimento dell’interesse nel suo nucleo inviolabile.

37

SCALSI, Danno alla persona e ingiustizia, in Riv. Dir. Civ., 2007, 2, 147

38

(34)

Nel momento in cui si considera il rapporto tra una condotta offensiva e la tutela civilistica di un diritto inviolabile, ciò che rileva è che il coinvolgimento concreto del diritto inviolabile non generi un’offesa dell’interesse di minima rilevanza; si vuole evitare, con tale accezione, che si prendano in considerazione richieste pretestuose, generate da offese minime che turbano soltanto l’ipersensibilità degli individui coinvolti, ma non certo idonee a superare il limite della tollerabilità civile39. Si adotta quindi il criterio della tolleranza, secondo cui non è sufficiente che il danno si sia verificato e che la sua risarcibilità sia costituzionalmente orientata, ma è necessario che lo stesso assuma una consistenza tale da poter essere definito “serio”, in grado di giustificare l’intervento dell’attività del giudice.

Il criterio della tolleranza è stato recepito anche dalla Cassazione Sezioni Unite tramite la sentenza 26972 del 2008, che afferma: “ Per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona […] il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza”.

Con tale pronuncia si ha il coronamento del principio di tolleranza, inteso come parametro idoneo a garantire l’esclusione, all’interno

della risarcibilità non patrimoniale, di offese minime e

conseguentemente la facoltà, tramite questo, di rendere un giusto bilanciamento degli interessi tra danneggiato e danneggiante.

I requisiti minimi necessari per il risarcimento del danno non patrimoniale sono stati specificati l’anno successivo dalla III Sezione

Civile della Corte di Cassazione 40 , che ha individuato,

schematicamente, i seguenti parametri come limiti al risarcimento del danno non patrimoniale:

39

NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, 1996, Torino, pp. 376 ss.

40

(35)

• ingiustizia costituzionalmente qualificata;

• gravità della lesione;

• serietà del danno.

Dunque,la risarcibilità del danno così espressa presuppone che la lesione infici uno dei diritti costituzionalmente garantiti del danneggiato, che tale lesione sia grave, ovvero superi la soglia di tollerabilità minima, e infine che il danno non sia futile, ovvero non consista in meri disagi, fastidi o sia del tutto immaginario. La valutazione di questi presupposti è a carico del giudice che, in sede di giudizio, accerta quanto necessario, sulla base del parametro costituito dalla coscienza sociale del periodo storico in cui il processo si svolge. L’accertamento, quindi, si configura come indissolubilmente legato alla vicenda concreta e alla sensibilità storica in cui essa si sia verificata.

Come già detto nel precedente paragrafo, la Corte ha ritenuto necessario effettuare alcune precisazioni, a riguardo di questo argomento, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie. Si ribadisce il concetto di unitarietà della categoria di danno non patrimoniale e il principio di integralità del risarcimento per le perdite non patrimoniali, sottolineando che l’integralità può essere rispettata solo considerando in maniera unitaria tutti i profili della persona rimasti offesi: sofferenza, salute e qualità della vita41.

Non esistono dunque diverse categorie di danno non patrimoniale, ma una soltanto, e le varie espressioni di danno esistenziale, danno biologico e danno morale rappresentano mere locuzioni esplicative

41

(36)

dell’unica categoria di danno, il danno derivante dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.42

PARAGRAFO 5: IL RAPPORTO TRA LE COMPONENTI

DEL DANNO NON PATRIMONIALE

L’attuale assetto civilistico in materia di risarcimento del danno descrive il danno risarcibile come la conseguenza pregiudizievole prodotta dalla lesione di un interesse, che deve essere provata dal danneggiato.43.

Il danno risarcibile viene esaminato dal punto di vista della patrimonialità e non patrimonialità: dal punto di vista della patrimonialità si fa riferimento all’art 2043 c.c., il quale si occupa appunto di risarcimento di danni patrimoniali, ossia di quei danni che possono essere oggetto di una valutazione economica monetaria; dal punto di vista della non patrimonialità, invece, si utilizza l’art 2059 c.c.,il quale si occupa del risarcimento dei danni non patrimoniali, attribuendo ad essi un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Rimanendo nell’ambito della non patrimonialità, il genus dei danni non patrimoniali deve essere trattato come una categoria unitaria in cui vivono species diverse. Si evidenziano, dunque, diverse esemplificazioni di danno non patrimoniale: il danno morale, il danno biologico e il danno esistenziale.

Proprio a questo proposito, la Cassazione è intervenuta in modo definitivo per chiarire sia l’organizzazione interna del danno non patrimoniale, che i rapporti esistenti tra le species al suo interno:si è chiarito, definitivamente, l’unitarietà della categoria del danno non

42 P.CENDON; Persona e Danno., https:/ www.personaedanno.it/ 43

BRECCIA, BRUSCAGLIA, BUSNELLI, GIARDINA, GIUSTI, LOI, NAVARRETTA, PALADINI, POLETTI, ZANA; Diritto Privato,

(37)

patrimoniale, affermando che non si deve escludere la rilevanza a fini risarcitori del danno morale e del danno esistenziale in favore di un inglobamento di essi da parte del danno alla salute. Il problema, infatti, è il valore omnicomprensivo che l’accezione di danno alla salute aveva assunto nel tempo.

Al di là della qualificazione nominativa, nel 2008 le Sezioni Unite della Cassazione affermano che, in virtù del principio di integralità del risarcimento del danno non patrimoniale, qualora siano sussistenti e provate diverse tipologie di danno, esse devono essere tutte risarcite. La Cassazione nel 2008 non nega la configurabilità del danno esistenziale e morale: le voci di danno non patrimoniali che non rientrano nell’ambito del danno biologico possono essere definite come esistenziali o morali, e divengono autonomamente configurabili quando la sofferenza e il dolore non restano più intimamente reclusi all’interno della persona, ma si evolvono in pregiudizi riguardanti aspetti relazionali della vita (ma non in degenerazioni patologiche, integranti il danno biologico )44.

La Cassazione, quindi,ha voluto chiarire una volta per tutte il concetto di danno non patrimoniale, il relativo concetto di unitarietà e il principio di integralità del risarcimento per le perdite non patrimoniali.

Il danno esistenziale,morale o biologico, costituiscono dunque un danno non patrimoniale ordinario, e il giudice deve sia dare rilievo alla circostanza, sia considerare tutte le peculiari modalità con cui il pregiudizio si è atteggiato nei confronti del caso di specie45.

Le Sezioni Unite, poi, specificano che il danneggiato deve dimostrare gli elementi di fatto da cui determinare l’esistenza e l’entità del pregiudizio;deve essere pertanto analizzato il rapporto che si viene ad instaurare tra le tradizionali voci di danno non patrimoniale e il

44

Cass. Sez un. 11 novembre 2006, n. 26972

45

(38)

risarcimento dello stesso: tale analisi risulta necessaria al fine di evitare situazioni di doppi risarcimenti.

5.1.: IL DANNO BIOLOGICO E IL DANNO ESISTENZIALE

La species del danno biologico, ad esempio,fornisce la possibilità di risarcimento al danneggiato per le ricadute negative che una lesione può portare in termini di integrità psicofisica, in relazione all’entità dei postumi riconosciuti dal medico legale, il quale deve valutare tutte le ricadute negative che la patologia in questione ha provocato sull’esistenza della vittima. In questo modo si ottiene un valore base, rispondente al principio di uguaglianza formale, che deve essere però adattato al caso di specie. Questo vuol dire che, quando viene effettuata la personalizzazione del danno, deve essere rispettato il principio di uguaglianza sostanziale, ma al contempo devono essere considerate anche le peculiarità della pregressa esistenza del danneggiato nel caso specifico. È proprio questa personalizzazione del danno biologico che può provocare la contraddizione del doppio risarcimento cui prima si accennava, poiché il danno biologico procura delle conseguenze negative sulla vita del danneggiato assimilabili al danno esistenziale, le quali però sono già comprese nel risarcimento del danno, grazie proprio alla personalizzazione. Deve essere quindi effettuata un’attenta analisi delle conseguenze, e, solo nel caso in cui esse non si esauriscano nella liquidazione personale del caso di specie dell’illecito alla salute, allora potranno essere aggiunte anche quelle inerenti al danno esistenziale.

La realtà dei fatti può condurre a situazioni in cui un illecito genera conseguenze negative sulla vita della vittima, che possono non dipendere dal suo convivere con la patologia: se viene accertato che le ricadute negative sulla vita del danneggiato non sono riconducibili alle conseguenze di una patologia, il risarcimento deve estendersi

(39)

oltre il danno biologico. Quindi, mentre il danno biologico viene liquidato tramite il valore assegnato alla conseguente percentuale di invalidità procurata, il danno esistenziale viene a quantificarsi tramite criteri caratterizzati dalla sua entità: tipologia e gravità dell’offesa, e condizioni personali del danneggiato;il tutto analizzato tramite il confronto con i valori concessi in casi analoghi. In tal modo si evita una sommatoria automatica, ottenendo un risultato completo e il più vicino possibile alla fattispecie.

5.2.: IL DANNO BIOLOGICO E IL DANNO MORALE

Dopo le sentenze del 2008 anche il danno morale assume una nuova veste: si modifica la definizione di sofferenza tipica del danno morale, dalla reazione emotiva immediata rispetto all’evento lesivo si passa a una sofferenza prolungata nel tempo. Rapportata al carattere omnicomprensivo del danno biologico, il pregiudizio in questione può consistere nella sofferenza che accompagna la condizione patologica del danneggiato. Questa interpretazione risulta corretta nel momento in cui il danno morale, se risarcito in misura proporzionata ai postumi e connesso agli stessi, può essere liquidato insieme al danno biologico. Ma non possiamo ritenere che questo metodo liquidativo valga per tutti i casi in cui sia presente un danno morale: non è chiaro se il danno biologico sia in grado di inglobare nella propria quantificazione e liquidazione anche la reazione immediata, ora esclusa dal danno morale.

Nella liquidazione, il danno morale e il danno biologico possono quindi avvalersi del medesimo criterio di liquidazione qualora la reazione emotiva alla patologia esaurisca i suoi effetti in relazione alla patologia stessa. In tal caso, siccome il danno biologico risarcisce il complesso di conseguenze negative che subisce il danneggiato in relazione ai postumi, si ravvede una giusta motivazione

(40)

nell’ascrivergli anche le sofferenze che accompagnano gli stessi, in virtù di una maggiore coerenza concettuale del procedimento di liquidazione. Ma, in virtù del principio di integralità del risarcimento, il giudice deve anche dare risalto al contenuto dell’immediata reazione al danno, a prescindere dal suo eventuale rapporto con i postumi, rendendo trasparente sia la sua entità sia la sua derivazione.

5.3.: IL DANNO MORALE E IL DANNO ESISTENZIALE

Per quanto riguarda invece il rapporto tra danno morale ed esistenziale, si ha la possibilità che il contenuto del danno non patrimoniale possa consistere sia nell’immediata reazione negativa provocata dall’illecito, sia in un danno di più lunga proiezione che incida sulla dimensione quotidiana del vivere del danneggiato. In entrambi i casi gli indici probatori ruotano intorno al tipo e alla gravità dell’offesa e alle condizioni oggettive del danneggiato: l’unicità dei criteri di liquidazione giustifica l’approccio monista ma non esclude che possano venire presi in considerazione fattori che incidano prevalentemente sull’aspetto emotivo piuttosto che sul danno esistenziale. In questi casi, il giudice, in virtù del principio di trasparenza e in virtù del fatto che, successivamente, altri giudici possono trovarsi a verificare il peso dato al nucleo probatorio e ai fattori che incidono sulle componenti del danno, deve esporre compiutamente la complessità del suo ragionamento e deve dire quale valore ritiene di imputare al danno morale e quale al danno esistenziale. Per cui, sarà compito del giudice spiegare in modo chiaro secondo quali criteri è stato effettuato il risarcimento46.

46

(41)

CAPITOLO 2:

LA QUANTIFICAZIONE E LA

LIQUIDAZIONE DEL DANNO

NON PATRIMONIALE

PARAGRAFO

1:

UNITARIETA’

E

ARTICOLAZIONE

CONTENUTISTICA DEL DANNO NON PATRIMONIALE

Come ampiamente descritto nel capitolo precedente,

nell’ordinamento italiano è ormai assunta, con largo consenso, l’unitarietà del danno patrimoniale e la funzione meramente descrittiva delle diverse voci che lo compongono.

Ciò, tuttavia, ha causato e continua a provocare, sul piano pratico, non pochi problemi nella quantificazione della liquidazione, soprattutto laddove il giudice possa incorrere in duplicazioni risarcitorie47. Nella pratica, infatti, il giudice può trovare difficoltà a liquidare il danno a causa della complessità con cui le varie componenti si relazionano tra di loro, e questo rischia di generare un risarcimento fuorviante rispetto alla reale entità del danno subita dal soggetto leso.

Con l’intervento del 2008 48, la Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite per riesaminare i presupposti e il contenuto del danno non patrimoniale; da questo intervento si configura l’approccio monista alla categoria del danno non patrimoniale, in cui, oltre a ribadire la

47

Si ha duplicazione risarcitoria qualora il medesimo pregiudizio viene liquidato due volte utilizzando nomi diversi

48

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