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PATOLOGIE MECCANICHE DEL RACHIDE LOMBARE

LOMBALGIA COMUNE

Nella maggior parte dei pazienti con lombalgia si è visto che non è possibile identificare alcuna lesione strutturale significativa e che la percezione del dolore non è correlabile ad altrettanto specifiche lesioni strutturali ed è per questo che si parla di lombalgia aspecifica. La maggior parte dei soggetti riferisce un esordio improvviso e spontaneo, in assenza di particolari eventi precipitanti. In una bassa percentuale di pazienti, si riporta che l’insorgenza

della lombalgia sia correlabile a una normale attività quotidiana e lavorativa, nonostante la stessa si sia svolta molte volte in precedenza e in assenza di qualsiasi disturbo.

Una volta che i sintomo dolorosi insorgono, i soggetti hanno la probabilità che la lombalgia si risolva progressivamente, raggiungendo entro 4-6 settimane la remissione nel 75-90% dei casi. Entro le 12 settimane successive il recupero raggiunge il 90%. I pazienti con dolore cronico aspecifico presentano basse percentuali di remissione del dolore (5% dei casi), alta probabilità di sviluppare intense riacutizzazioni dolorose, disabilità e decondizionamento psicofisico. Apparentemente esigua, tale percentuale non merita di essere trascurata perché in grado di incidere pesantemente su costi sanitari e sociali.

Oltre il 70% dei soggetti riprende le normali attività lavorative ancor prima di aver ottenuto la completa remissione sintomatologica, esponendosi a una peculiare caratteristica della lombalgia: la frequente ricaduta dolorosa. Se è dunque vero che la maggior parte dei pazienti con dolore acuto migliora considerevolmente, dopo le prime 4 settimane solo il 30% di essi non presenta più alcun dolore. A 1 mese, un terzo dei soggetti continuerà a provare lombalgia di intensità moderata, con limitazione nelle proprie attività quotidiane e lavorative nel 20-25% dei casi. A 1 anno, il 70-80% dei soggetti presenterà lombalgia ricorrente: un terzo dei quali continuerà ad avere dolore intermittente o persistente di intensità almeno moderata, con scarsi risultati funzionali nel 15-20% dei casi.

La colonna vertebrale è meccanicamente molto complessa. Deve possedere funzioni di sostegno, di movimento e di protezione del sistema nervoso centrale, mantenendo un delicato equilibrio alla base delle richieste di sostegno e di mobilità. Panjabi ipotizza che la stabilità della colonna vertebrale dipenda da tre sistemi: il sistema passivo costituito da vertebre, dischi intervertebrali, faccette articolari, legamenti e capsule articolari; il sistema attivo, costituito da tendini e muscoli; il sistema di controllo neuromotorio che, dirigendo l’attività del sistema attivo durante ogni movimento, è alla base del corretto allineamento posturale, del carico spinale e delle sollecitazioni patologiche.

La letteratura internazionale trova difficoltà a correlare queste conoscenze biomeccaniche con i sintomi tipici di dolore lombare. L’idea portante del pensiero contemporaneo è spostare l’attenzione dal riscontro di una specifica alterazione organica delle singole componenti alla base del buon funzionamento biomeccanico, intravedendo la lombalgia aspecifica quale disfunzione muscoloscheletrica prodottasi in tessuti strutturalmente normali, responsabile della sensazione dolorosa percepita. In assenza di specifiche alterazioni patologiche, la disfunzione della fine biomeccanica vertebrale può, dunque, condurre allo sviluppo di dolore

lombare, inteso quale disfunzione primitiva in risposta a forze anomale, imposte o generate, nel sistema muscolo-scheletrico.

Rivolgendo l’attenzione al cambiamento del comportamento normale della colonna lombare, Mac Donald ha riportato tra le possibili cause di disfunzione muscoloscheletrica alterati pattern dinamici di movimento lombo-pelvico, di attivazione muscolare e dei tessuti molli, capaci di alterare le normali funzioni del sistema locomotore (forza, resistenza, flessibilità, coordinazione, equilibrio) e di contribuire alla definizione e all’insorgenza della lombalgia.

Input discendenti di natura neurofisiologica (alterati pattern neuromuscolari) e psicofisiologica (ansia e stress, con circoli viziosi caratterizzati da dolore-spasmo-dolore) possono, infine, concorrere alla persistenza della stessa conducendo nei casi più gravi a sindrome da decondizionamento fisico, neuromotorio e psicosociale.

La neurofisiologia non può spiegare l’intera complessità alla base del dolore, se non ammette che reazioni di natura psicologica e sociale possano modulare la sintomatologia algica, fornendo l’anello di congiunzione mancante tra mente e corpo.

Il clinico deve essere indotto non più a pensare alla singola unità morfologica, ma deve riferirsi con una mentalità più funzionale alla colonna vertebrale e al suo sistema di controllo neuromuscolare, come un unicum finemente integrato.

La lombalgia secondaria a disfunzione fisica e psiconeuromotoria comporta un complesso quadro di variabili rilevabili, quindi, a più livelli, in cui attivazione patologica della funzione muscolare, forze anomale agenti sulle strutture muscolo scheletriche, posture e schemi motori anomali rappresentano l’epifenomeno più significativo. In base a tali considerazioni, l’individuazione di qualsiasi causa primitiva e organica risulta inappropriata, lasciando spazio ai più fruttiferi principi neurofisiologici e terapeutici correlati al quadro clinico disfunzionale. Nella lombalgia comune non è possibile individuare una causa specifica di dolore lombare, ma sono stati individuati dei fattori di rischio che possono contribuire alla sua insorgenza, ricorrenza e persistenza.

ETÀ: l’incidenza è massima a 40 anni, con un range più cospicuo tra i 25 e 55 anni. Già presenti a partire dall’adolescenza diminuiscono gradatamente dopo i 65 anni, lasciando con il tempo più spazio alle cause di lombalgia specifica.

SESSO: può colpire indifferentemente i due sessi, anche se la maggior parte degli studi osservazionali riporta una maggiore prevalenza per il sesso femminile. Il sesso maschile appare invece più favorito per lo sviluppo di dolore irradiato all’arto inferiore e maggiormente predisposto a sottoporsi a interventi chirurgici a livello lombare.

STRUTTURA FISICA : non ci cono evidevze di un rapporto tra la comparsa di lombalgia e caratteristiche antropometriche quali altezza e peso corporeo.

FORMA FISICA: la maggior parte degli autori suggerisce che le persono fisicamente attive e che svolgono regolarmente attività fisica sono meno soggetti a disturbi aspecifici del rachide lombare, inoltre vanno incontro ad una guarigione più rapida dell’episodio di lombalgia acuta ed hanno minore probabilità di incorrere nella lombalgia cronica.

FUMO: numerosi studi correlano il fumo ai dolori vertebrali. Sono documentati riflessi negativi del fumo sulla microcircolazione muscolare e discale a livello vertebrale. Il fumo può indurre tosse cronica, con riflessi patologici sull’integrità discale e sulle capacità stabilizzanti locali e globali vertebrali. Inoltre, il fumatore perde progressivamente capacità funzionali cardio-respiratorie con prevedibili risvolti negativi in ambito di forma fisica.

ATTIVITÀ LAVORATIVA: lavoro pesante, sollevamento e movimentazione dei pesi, torsione rachidea, posizione seduta errata e prolungata, guida di veicoli reiterata nel tempo ed esposizione a vibrazioni sono fattori di rischio correlati alla lombalgia. I lavoratori che svolgono attività manuali pesanti presentano aumentata predisposizione allo sviluppo di degenerazioni vertebrali, maggior rischio di lesioni vertebrali e maggiori periodi di assenza dal lavoro. Il rischio aumenta se il sollevamento dei pesi è associato a torsioni del rachide, con particolare rischio per fenomeni lesivi e degenerativi discali. Molti studi ipotizzano che la stazione seduta e la stazione eretta prolungata siano correlate a un maggior rischio di lombalgia: i carichi statici prolungati aumentano la pressione discale con maggiore rischio di lesioni lombari a tale livello. Le vibrazioni subite durante la guida prolungata sono un fattore di rischio per la degenerazione vertebrale e il prolasso discale.

FATTORI PSCICO-SOCIALI: l’espressione del dolore lombare può essere influenzata da estrazione etnica, ruolo della famiglia, contesto e supporto sociale. Sembra infatti che la lombalgia sia più frequente tra le classi sociali meno agiate, nei soggetti con più bassi livelli di istruzione, e che la sua cronicizzazione sia maggiore nei lavoratori più stressati, con lavoro monotono nel quale hanno scarsa padronanza e dal quale traggono limitata soddisfazione. In uno studio condotto da Battie (1989) si è dimostrato che i principali fattori di rischio per lombalgia sono lo stress psicologico e l’insoddisfazione nel lavoro, essi sono anche elementi prognostici negativi.

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