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PATOLOGIE MECCANICHE DEL RACHIDE LOMBARE

STENOSI LOMBARE

Per stenosi del canale lombare si intende un restringimento patologico del canale osseo vertebrale che contiene il sacco durale e le sue radici. Tale restringimento causa la compressione delle strutture nervose, riducendo l’area di sezione del sacco durale e delle radici.

Fisiologicamente il canale osseo vertebrale è definito posteriormente dalle lamine e dalle apofisi articolari, lateralmente dai peduncoli e anteriormente dal disco intervertebrale, dal legamento longitudinale posteriore e dalla corticale posteriore somatica. I peduncoli di due vertebre contigue delimitano cranialmente e caudalmente il forame di coniugazione radicolare, mentre il massiccio articolare ne forma il limite posteriore.

L’incidenza varia dall’1,7% all’8%. I livelli più frequentemente colpiti sono L4-L5 e L5-S1. meno frequente è il coinvolgimento di L3-L4 e raro L2-L3. I sintomi si sviluppano tipicamente nel quinto o sesto decennio di vita, in rapporto ai fenomeni osteoartrosici e degenerativi della colonna vertebrale. Sembra che la stenosi sia quattro volte più frequente nelle donne e che non vi sia correlazione tra tipo di attività lavorativa o morfotipo corporeo. La patologia riconosce diverse eziologie: -forme congenite (idiopatiche, acondroplasiche) -forme acquisite (degerative, iatrogene, post- traumatiche, infiammatorie)

È attribuita a una ipertrofia delle faccette articolari che si sviluppa come processo reattivo a una ipermobilità segmentaria indotta da una progressiva degenerazione discale.

Possono contribuire alla stenosi, calcificazione e ipertrofia del legamento giallo e l’aumento della pressione venosa a livello del plesso epidurale.

Più rare rispetto a quelle degenerative sono le stenosi costituzionali, in cui anche modesti fenomeni degenerativi, agiscono negativamente su un canale che, deformato a trifoglio, è già costituzionalmente ristretto.

Postacchini distingue essenzialmente due tipi di stenosi lombare:

- centrale, se coinvolge prevalentemente le faccette articolari e il legamento giallo; una protrusione dell’anulus (“bulging”)in corrispondenza del disco degenerato o un osteofita somatico possono contribuire alla compressione durale;

- laterale, se l’ipertrofia faccettaria e l’eventuale bulging discale coinvolgono recesso e radice nervosa emergente prima che questa si immetta nel forame di coniugazione; il recesso radicolare è delimitato medialmente dal margine laterale della dura e lateralmente dal margine mediale dei peduncoli; possono contribuire alla compressione radicolare deformità della colonna, come spondilolistesi o scoliosi.

Wilse e collaboratori distinguono anche una stenosi extraforaminale, cioè una sindrome da compressione esterna della radice nervosa L5. Si sviluppa in presenza di una spondilolistesi, in cui il processo trasverso della vertebra scivolata costringe la radice L5 fra esso e l’ala del sacro.

La stenosi del canale lombare può portare alla comparsa di una sindrome clinica caratterizzata da disturbi più o meno gravi della sensibilità e motricità degli arti inferiori, con possibilità di alterazioni nel controllo degli sfinteri. La lombalgia non è un sintomo costante: quando presente, assume caratteristiche di cronicità (durata>12settimane), ma è aspecifica e mal differenziabile dalle forme più comuni legate a semplici contratture muscolari.

SPONDILOLISTESI

Per spondilolistesi si intende lo scivolamento di una vertebra sull’altra, più nel dettaglio si parla di anterolistesi quando una vertebra scivola in avanti rispetto a quella sottostante,

retrolistesi quando scivola all’indietro, laterolistesi quando scivola lateralmente.

Normalmente quando si parla di spondilolistesi si intende lo scivolamento in avanti, cioè l’anterolistesi.

Nel 75% dei casi si ha lo scivolamento della quinta vertebra lombare in avanti ; nel 25% dei casi lo scivolamento della quarta vertebra lombare sulla quinta.

Lo scivolamento in avanti è favorito dal fatto che la colonna vertebrale poggia sul piano sacrale che è inclinato di circa 30°. La quinta vertebra lombare è quella che riceve maggiori sollecitazioni durante i movimenti quotidiani; pur essendo appoggiata su un piano inclinato non scivola in avanti perchè alcuni fattori lo impediscono: i legamenti longitudinali anteriore e posteriore, il disco intervertebrale, i muscoli dei piani profondi del rachide e, soprattutto, l’angolazione e la posizione delle faccette articolari.

La causa è la spondilolisi cioè l’interruzione dell’istmo che si trova a livello dell’arco posteriore tra la faccetta articolare anteriore e quella superiore. L’istmo è la parte più delicata e sottile dell’arco vertebrale: se c’è una fragilità congenita, un difetto di ossificazione, basta un piccolo trauma o caduta o la ripetizione di carichi ciclici per provocare la spondilolisi. Il 94% delle spondilolisi sono accompagnate da spondilolistesi: venendo a mancare la solida connessione dell’arco posteriore, la vertebra lombare scivola facilmente in avanti.

L’affezione è spesso silente, i soggetti portatori possono condurre una vita attiva e fare sport. Un piccolo numero di questi diventa sintomatico, presentando lombalgia acuta o cronica. La dislocazione della vertebra può talvolta essere importante creando una lordosi e una irritazione degli ischio crurali dipendente dalla bascula del bacino. Il rischio di dislocazione è maggiore nell’età dell’accrescimento.

Si distinguono 4 stadi di spondilolistesi a seconda dell’entità dello scivolamento: - 1° grado: 0-25%;

- 2° grado: 0-50%; - 3° grado: 50-75%; - 4° grado: >75

Aspetti fisici e psicosociali caratteristici del paziente lombalgico

Le principali caratteristiche fisiche sono riconducibili a specifici pattern disfunzionali:

- deficit nel controllo motorio del rachide: i pazienti con dolore lombare persistente presentano schemi motori patologici, riduzione delle capacità cinetiche e progressive alterazioni propriocettive;

- difficoltà di controllo posturale;

- difficoltà di controllo della stabilità vertebrale: l’attività elettromiografia dei muscoli addominali (soprattutto il trasverso dell’addome) e spinali (principalmente il multifido lombare) è significativamente ridotta nei soggetti lombalgici cronici con conseguente ridotta protezione rachidea e sviluppo di carichi spinali di entità significativamente superiore alle capacità fisiologiche;

- alterazioni del controllo neuromotorio: lo svolgimento di semplici attività motorie di carattere generale, prevalentemente aerobiche, denota il riscontro di tempi di reazione ritardati nei soggetti lombalgici rispetto ai soggetti di controllo sani;

- debolezza muscolare selettiva e affaticamento precoce: i soggetti cronici mostrano ridotti livelli di forza (“strength”) in più gruppi muscolari e manifesta difficoltà a mantenere una contrazione muscolare in una data posizione e per un tempo considerato fisiologico (“endurance”), entrambi i fattori sono responsabili di schemi motori alterati, reiterati errori posturali, alterazioni propriocettive, maggior rischio di carichi spinali patologici e ricorrenti lesioni vertebrali;

- assenza del rilassamento in flessione lombare: nei soggetti sani i muscoli paraspinali sono elettricamente silenti una volta assunta la postura flessa anteriore, mostrando un effetto di rilassamento che è raramente presente nei soggetti con lombalgia cronica.

Anche gli aspetti psicosociali , pregiudizi, distress e comportamento associato alla malattia, possono influenzare l’evoluzione del dolore. In particolare, i principali pregiudizi del paziente lombalgico sono la convinzione che il dolore sia causato da una malattia grave, che sia permanente e che provochi una disabilità inevitabile. Spesso questi pazienti sono poco soddisfatti delle spiegazioni del terapeuta ed inoltre hanno spesso un atteggiamento refrattario e rinunciatario soprattutto verso il trattamento riabilitativo. Spesso sono convinti che il dolore sia legato ad una fragilità della colonna lombare con ricadute negative sulle attività presenti e sul ritorno al lavoro.

Il paziente con lombalgia cronica ha paura al solo pensiero di provare dolore, il che condiziona il recupero del dolore stesso, poiché condiziona la struttura del pensiero. La paura del dolore può essere più disabilitante del dolore stesso e può portare anche ad uno stato

depressivo. Inoltre i pazienti con lombalgia cronica, sono erroneamente convinti che sospendere l’attività fisica e lavorativa possa aiutare a sentire meno dolore, pertanto vanno incontro ad una graduale limitazione del movimento. Sono pazienti che presentano distress psicologico, una risposta eccessiva e abnorme allo stimolo iniziale (allo stress, causato da una situazione patologica prolungata e persistente, si aggiunge uno stato di preoccupazione, ansia, ira e depressione).

Oltre ai sintomi fisici molti pazienti mostrano un comportamento legato alla malattia che rappresenta ciò che un paziente dice e fa per comunicare il proprio disagio. Il dolore è un’esperienza soggettiva impossibile da misurare in modo oggettivo, pertanto deve essere considerato separatamente dal livello di funzionalità fisica, che può essere misurato obiettivamente (forza, articolarità, resistenza muscolare e coordinazione), ma può limitare la funzione fisica.

La lombalgia cronica è una patologia bio-psico-sociale che non dipende semplicemente da fattori puramente fisici o psicologici, ma da una complessa interazione degli stessi nel corso del tempo. I fattori psicologici possono influenzare quelli fisici mediante aumentata tensione muscolare o particolare timore nell’eseguire un movimento. Alterazioni comportamentali possono possono influenzare l’esecuzione di attività motorie e le stesse possono influenzare negativamente il comportamento. Questi quadri, all’inizio considerati come una risposta normale al dolore, possono nel tempo determinare alterazioni posturali disturbi della deambulazione e del movimento. Persistendo a livello inconscio e indipendente dalla sintomatologia dolorosa, questi processi psico-patologici portano il soggetto con lombalgia cronica a sviluppare un decondizionamento fisico e psicologico, al centro di un circolo vizioso (Pincus et al 2002). Il decondizionamento contribuisce al peggioramento del dolore ed influisce negativamente sui compensi e sulle posture del soggetto che cerca di evitare il dolore. È stato dimostrato che i soggetti che, spinti dalla depressione, dal catastrofismo e dal contesto sociale, evitano il dolore (“avoiders”) nel vano tentativi di limitare la percezione dolorosa, sono maggiormente esposti a cronicizzazione, invece i soggetti che sin da subito si rapportano con il dolore (“confronters”) riescono a condizionare positivamente gli esiti a breve e lungo temine(Pincus et al 2002).

VALUTAZIONE

Nella valutazione dei pazienti un’accurata ed approfondita anamnesi è fondamentale.

È importante verificare se il dolore è secondario ad eventi traumatici, come cadute o incidenti; bisogna indagare sull’attività lavorativa o sportiva; utile valutare la localizzazione, l’intensità, la durata dei sintomi e la frequenza degli episodi e la variazione del dolore con i cambiamenti della postura.

Il dolore meccanico tende ad aumentare in posizione seduta ed eretta ed in ogni situazione di sollecitazione dinamica, ma diminuisce con il riposo a letto, soprattutto su un fianco e a volte con il cammino.

Il dolore di origine non meccanica, tende a mantenersi costante e non diminuisce con il riposo. È stato osservato che la lombalgia comune può essere associata a irradiazione dolorosa agli arti inferiori, in genere fino al ginocchio, diversamente dal dolore secondario a ernia discale che ha precise distribuzioni metameriche e che si estende anche sotto al ginocchio.

L’esame clinico comprende:

- Ispezione eseguita in ortostatismo per valutare eventuali alterazioni posturali o cutanee; - Palpazione per individuare punti e zone particolarmente dolenti;

- Esame articolare per valutare il range articolare ed evidenziare eventuali rigidità; - Esame neurologico periferico per cercare segni di eventuale interessamento radicolare; - Valutazione funzionale per indagare la motilità generale, la capacità di coordinazione e di deambulazione.

Utile per completare l’inquadramento integrare l’esame clinico con le informazioni che derivano da esami strumentali come Rx, TAC, RMN, scintigrafia allo scopo di verificare l’esistenza di alterazioni anatomiche delle strutture ossee, muscolari e articolari.

La disabilità viene valutata con colloqui cognitivi-comportamentali e con questionari che indagano l’impatto della patologia sulle attività della persona.

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