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STUDIO SPERIMENTALE SULL'USO DI UN'APPARECCHIATURA PER SOSPENSIONE LOMBARE PASSIVA NELLA PATOLOGIA MECCANICA DEL RACHIDE LOMBARE

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Medicina e chirurgia

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN

MEDICINA FISICA E RIABILITAZIONE

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

Studio sperimentale sull’uso di un’apparecchiatura di sospensione

lombare passiva nella patologia meccanica del rachide lombare

DIRETTORE

RELATORE

Chiar.mo Prof. Bruno Rossi

Prof.ssa Gloria Raffaetà

CANDIDATO

Dott.ssa Gaetana Lenti

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INDICE

Introduzione ...2

Anatomia del rachide lombare ...4

Biomeccanica del rachide lombare ...20

Le patologie meccaniche del rachide lombare ...29

Approccio riabilitativo alla lombalgia ...46

L'acqua termale e la riabilitazione ...57

Apparecchiatura di sospensione lombare passiva: Myback...64

Materiali e Metodi...73

Risultati ...86

Conclusioni ...92

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INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo allungamento della vita media della popolazione e contemporaneamente all’ esigenza del mantenimento di una buona qualità della vita, in una società sempre meno disposta ad accettare dolore e disabilità. Dal punto di vista medico, questo si traduce da un lato, nella diagnosi sempre più frequente di patologie legate alla fisiologica degenerazione di strutture anatomiche e delle proprietà funzionali ad esse legate e dall’altro, alla necessità di elaborare tecniche terapeutiche che consentano il recupero di benessere e autonomia in pazienti spesso già impegnati .

La lombalgia è una delle più diffuse patologie muscolo-scheletriche, infatti, nei paesi industrializzati colpisce fino all’80% dei soggetti almeno una volta nella vita e rappresenta una delle principali cause per cui le persone si assentano dal lavoro, richiedono visite mediche e indagini diagnostiche. Va inoltre considerato che le algie lombari possono persistere per periodi prolungati nel tempo con il rischio di cronicizzazione.

Per tutti questi aspetti, è diventata oggetto di grande attenzione da parte del personale sanitario, sia per quanto riguarda la diagnosi sia per quanto riguarda il trattamento.

La lombalgia è una patologia multifattoriale, pertanto obiettivo primario deve essere il giusto inquadramento eziologico attraverso un’approfondita e dettagliata anamnesi e attraverso l’esecuzione di esami strumentali. È inoltre importante somministrare al paziente questionari e scale di valutazione per quantificare l’impatto che la lombalgia ha sulla qualità di vita del paziente. In tal senso, bisogna tenere conto dell’aspetto pscicologico del paziente lombalgico che presenta difficoltà psicosociali e lavorative.

La classificazione del dolore lombare secondo Deyo e Weinstein nel 2001 riconosce cause meccaniche (la lombalgia comune, la frattura vertebrale, la stenosi lombare, l’ernia del disco, etc), cause non meccaniche ( neoplasie, processo infettivo, spondilite anchilosante, etc) e cause viscerali (patologia renale, aneurisma aortico, etc).

Nel 97% dei pazienti che afferiscono agli ambienti di cura di base per la lombalgia viene riconosciuta una causa meccanica.

Nel 10% dei soggetti con lombalgia meccanica viene riconosciuta una causa specifica: la frattura vertebrale, la stenosi lombare, la spondilolistesi, l’ernia del disco e le patologie degenerative discali, le gravi deformità del rachide.

Nell’85% dei soggetti con lombalgia meccanica non è possibile definire una o più cause specifiche: questa lombalgia viene definita “comune”.

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Considerato che questa patologia ha all’origine numerose e diverse cause e concause, non stupisce che clinici e riabilitatori non dispongano di un semplice e sicuro rimedio. La combinazione terapeutica più frequente è la farmacoterapia, la chinesiterapia e le terapie fisiche antalgiche.

La farmacoterapia può essere indicata come trattamento in fase acuta e si basa sull’assunzione di antidolorifici, antiflogistici e miorilassanti.

Successivamente si può proporre un programma di chinesiterapia, con l’obiettivo di recuperare la mobilità e la funzionalità del rachide.

È fondamentale mantenere un certo grado di mobilità non solo del rachide ma anche di tutto il corpo, per evitare eccessive rigidità o accenni a decondizionamento fisico.

Tuttavia, non esiste ancora una terapia gold-standard per la gestione della lombalgia , ma piuttosto molteplici approcci terapeutici accompagnati dall’incertezza professionale su quale sia quello ottimale. Infatti, considerando che la lombalgia è una patologia multifattoriale è facile comprendere che non si tratta tanto di scegliere la tecnica riabilitativa migliore, quanto di trovare la giusta combinazione che costituisca un protocollo adeguato al raggiungimento del miglior risultato possibile. Siamo inoltre persuasi che è importante continuare la ricerca di nuove tecniche che possano arricchire e migliorare tali protocolli.

Con questa tesi abbiamo voluto verificare la possibilità di ampliare gli schemi terapeutici utilizzati nei pazienti con lombalgia da patologia meccanica del rachide lombare con l’inserimento di uno strumento che permette la sospensione passiva lombare: Myback. A tal scopo abbiamo preso in esame 30 pazienti affetti da questa patologia, e li abbiamo suddivisi in due gruppi, gruppo A e gruppo B. Tutti i pazienti sono stati avviati a trattamento fisioterapico combinato composto da sedute di crenochinesiterapia e sedute di chinesiterapia, ma solo i pazienti del gruppo B alla fine di ogni seduta sono stati sottoposti a trattamento mediante il Myback.

Abbiamo sottoposto i pazienti a valutazione mediante “Scala Analogica Visiva” (VAS) per il sintomo dolore, con Scala Oswestry e test di Matthiass, prima dell’inizio del trattamento, a fine trattamento ed ad un follow-up di 60 giorni.

La raccolta dei dati così ottenuti ci ha consentito di confrontare i due protocolli riabilitativi consentendoci di chiarire quale possa essere il ruolo del Myback per questi pazienti, per quanto la nostra esperienza sia riferita ad un campione limitato e pertanto meriti di essere ampliata ed approfondita.

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ANATOMIA DEL RACHIDE LOMBARE

La colonna vertebrale umana è una struttura segmentaria articolata che serve alla duplice funzione di protezione e movimento. Le 33 vertebre segmentariamente connesse tra di loro, formano una struttura protettiva per il midollo spinale ed i nervi.

La colonna vertebrale contiene ciascuno dei tre tipi principali di articolazioni: sinartrosi, diartrosi e anfiartrosi. Insieme permettono vari movimenti intersegmentari, che differiscono in ciascuna regione della colonna vertebrale. La sinartrosi, come la sincondrosi neuro centrale, è un’articolazione immobile in cui due ossa sono unite da uno strato cartilagineo. Le diartrosi sono articolazioni sinoviali della varietà scorrevole (artrodie), così come le faccette articolari lombari. Le anfiartrosi, articolazioni non sinoviali con piccola possibilità di movimento sono di due tipi: sinfisi e sindesmosi. La fibrocartilagine del disco intervertebrale è un tipo di sinfisi: anfiartrosi. La connessione legamentosa tra le vertebre costituisce il tipo sindesmotico di anfiartrosi.

La colonna lombosacrale è costituita da cinque vertebre lombari e dal sacro. Si può considerare ciascuna vertebra lombare composta da vari elementi funzionali: il corpo vertebrale, la cui funzione è quella di sopportare il carico; l’arco vertebrale la cui funzione è quella di proteggere le strutture nervose e i processi ossei(processo spinoso e trasverso) che servono a migliorare la funzionalità muscolare. Il piatto vertebrale superiore ed inferiore del

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corpo vertebrale nell’adulto presenta alla sua periferia un anello di osso corticale. Questo anello, denominato anello epifisario, permette l’accrescimento nell’adolescente, e nell’adulto è la sede di inserzione delle fibre dell’anulus fibroso. La cartilagine ialina del piatto vertebrale è sita all’interno dell’anello corticale. Le dimensioni del corpo vertebrale aumentano in senso cranio-caudale in relazione all’aumento delle forze di carico assorbite da ciascuna vertebra; spesso è a forma di cuneo, essendo più largo anteriormente che posteriormente. In una sezione trasversda il corpo appare a forma di rene.

L’arco vertebrale è composto da due peduncoli e due lamine. I peduncoli originano dalla porzione prossimale del corpo vertebrale e proteggono la cauda presente nel canale vertebrale. Il legamento giallo ricopre lo spazio interlaminare ad ogni livello.

Le apofisi per le inserzioni muscolari sono i processi trasversi e i processi spinosi.

I corpi vertebrali si articolano tra loro per mezzo di dischi intervetrebrali, mentre gli archi vertebrali sono uniti tra loro da processi articolari superiori ed inferiori formanti faccette articolari che permettono un tipo di movimento scorrevole. Il corpo vertebrale e l’arco vertebrale inglobano un forame vertebrale triangolare. I processi trasversi derivanti dalle 4 vertebre superiori lombari sono posti più posteriormente rispetto a quelli della quinta vertebra lombare, ben a contatto con i peduncoli. Il quarto processo trasverso è in genere il più lungo e frequentemente forma un lievissimo angolo superiormente, come pure si proietta lateralmente. Il quinto processo trasverso lombare è il più corto, il più spesso e quello situato il più anteriormente, proiettandosi dalla aprte laterale del corpo vertebrale. Il vero processo trasverso di una vertebra lombare consiste nel processo mammillare e nel tubercolo accessorio. Il processo mammillare è un piccolo rilievo che origina posteriormente dal processo articolare superiore dietro la faccetta articolare. Il tubercolo accessorio giace al di sotto del processo mammillare alla base del processo trasverso. Queste due escrescenze servono agli attachi muscolari per il muscolo erettore della colonna vertebrale. Il piano di movimento delle faccette articolari è determinato dall’orientamento degli stessi processi articolari e non dalla disposizione anatomica dei legamenti. I processi articolari lombari superiori guardano l’asse mediano. Procedendo in direzione caudale , il piano delle faccette diviene orientato posteriormente, così che a livello di L4-L5 e L5- S1 l’orientamento è approssimativamente a metà strada tra il sagittale ed il frontale. Questa disposizione nel tratto lombare consente principalmente l’esecuzione di movimenti di flesso-estensione, mentre limita notevolmente i movimenti di inclinazione laterale e di rotazione, che vengono principalmente eseguiti a carici degli altri segmenti vertebrali. Tra gli archi vertebrali vi sono connessioni legamentose che formano un tipo sindesmotico di anfiartrosi. La struttura legamentosa comprende i legamenti

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gialli, quelli intertrasversari, gli interspinosi ed i sopraspinosi. I legamenti gialli formano un’ unione a forma di tegola tra le lamine, inserendosi alla parte superiore delle lamine inferiori e alla parte ventrale(profonda) delle lamine superiori. I legamenti gialli si uniscono sulla linea mediana dove esiste una fessura per il passaggio dei piccoli vasi sanguigni.

I corpi vertebrali sono anche essi interconnessi da un tipo sindesmotico di anfiartrosi(il legamento longitudinale anteriore e quello posteriore) così come anche da un tipo di sinfisi da anfiartrosi(disco intervertebrale). Il legamento longitudinale anteriore origina dalla parte basilare dell’occipite e termina sulla parte superiore della faccia pelvica sacrale. Nella colonna lombare è fortemente attaccato al periostio del corpo vertebrale ma giace libero al di sopra del disco intervertebrale. Le sue fibre più profonde si inseriscono espandendosi solo su un segmento, mentre le intermedie e le superficiali si estendono su parecchie vertebre.

Il legamento longitudinale posteriore decorre sulla faccia posteriore dei corpi vertebrali e, analogamente all’anteriore, va dall’occipite al sacro; è fortemente inserito al disco intervertebrale, specie lateralmente, mentre non è inserito alla faccia posteriore del corpo vertebrale. Esso è teso verso la concavità vertebrale posteriore da cui è separato dalle vene basivertebrali. Lo strato profondo del legamento longitudinale posteriore si inserisce su due livelli vertebrali. Esso ha forti attacchi laterali lungo il dorso del disco estendendosi attraverso il forame neurale, ma è più debole nella parte più centrale. Il fasci superficiale più robusto passa a ponte su parecchi corpi ed è particolarmente forte al centro. Questa disposizione spiega la più comune posizione laterale delle ernie del disco, perché lo strato superficiale più forte del legamento longitudinale posteriore previene le erniazioni in direzione mediana, mentre le forti inserzioni laterali dello strato profondo del legamento longitudinale posteriore usualmente prevenvono l’erniazione laterale nel forame intervertebrale. La porzione più debole del legamento longitudinale posteriore perciò è nella sua parte più profonda ed è lievemente laterale all’asse centrale.

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I legamenti intertrasversari passano attraverso i processi trasversi e nel rachide lombare sono anatomicamente molto distinti e sviluppati. I legamenti interspinosi sono inseriti dalla base del processo spinoso superiore alla parte superiore dell’immediato processo spinoso inferiore, e limitano la divaricazione delle apofisi spinose. Il legamento sopraspinoso è un impari legamento che origina dorsalmente dal convergere di fasci del legamento interspinoso, si stende dall’occipite al sacro ed è inserito sull’apice di ciascuna apofisi spinosa.

Un’anfiartrosi è tipizzata dal disco intervertebrale. Questa struttura forma un’articolazione fibrocartilaginea tra i corpi vertebrali ed è composta dal nucleo polposo e dall’anulus fibroso. L’altezza dei dischi intervertebrali aumenta progressivamente fino all’ultimo spazio L5-S1 e contribuisce all’altezza della colonna lombare stessa per il 30-60%. A causa della lordosi lombare lo spessore dei dischi è maggiore anteriormente e questa forma a cuneo è soprattutto evidente in corrispondenza dell’ultimo disco lombare dove lo spessore del versante anteriore è in media il doppio di quello posteriore.

Il nucleo polposo è composto da una massa gelatinosa di cellule che embriologicamente derivano da una degenerazione mucosa di tessuto notocondrale posto tra i corpi vertebrali.

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Mentre nell’embrione è collocato centralmente rispetto all’anulus, nell’adulto viene a porsi eccentricamente, così che esso si pone più vicino al margine posteriore del disco.

Il nucleo polposo lavora come una sfera sottoposta a carico; in flessione ed estensione i corpi vertebrali ruotano su questa struttura gel-simile incomprimibile, mentre le articolazioni posteriori guidano e regolano il movimento. Il carico è trasmesso al nucleo attraverso la cartilagine ialina dei piatti vertebrali. Il nucleo polposo risponde alla pressione come un fluido viscoso, essendo capace di resistere alle forze compressive e di ridistribuirle in direzione verticale, ma anche radialmente; la distribuzione radiale delle forze verticali (carico tangenziale al disco) è resa possibile dall’assorbimento delle fibre dell’anulus.

L’anulus fibroso consiste in una serie di lamelle fibrose, ciascuna con orientamento differente dalle altre e rispetto allo stesso corpo vertebrale. La sua architettura e l’orientamento lamellare ricordano di strati alternati di un pneumatico radiale ed è questa singolare disposizione che permette all’anulus di resistere alle forze tensili. Le fibre dell’anello fibroso si possono dividere in tre ordini: le fibre più esterne adese ai corpi vertebrali in prossimità dell’anello epifisario; le fibre intermedie adese all’anello epifisario; le più interne adese al piatto cartilagineo.

Le lamelle più esterne dell’anulus penetrano in questo anello come fibre di Sharpey. Radiograficamente, questa inserzione èn talvolta visibile come uno sperone di trazione , che MacNab afferma essere un segno radiografico di instabilità segmentaria. Questo sperone è tipicamente localizzato approssimativamente a 2 mm dal bordo del corpo vertebrale e corrisponde all’inserzione dell’anulus fibroso. Il margine più esterno dell’anulus possiede inserzioni addizionali diffuse al periostio del corpo vertebrale ed ai legamenti longitudinali. Le fibre anteriori sono rinforzate dal robusto legamento longitudinale anteriore. Il legamento longitudinale posteriore garantisce solo un debole rinforzo, soprattutto ai livelli L4-L5 e L5-S1, dove si trova uno stretto nastro mediano adeso all’anulus. Le fibre anteriori e medie dell’anello fibroso sono più numerose nella sua parte anteriore e laterale, mentre, a causa della posizione del nucleo polposo nel disco adulto, sono scarse posteriormente, dove per la maggior parte si inseriscono alla cartilagine ialina dei piatti vertebrali. Questa disposizione spiega parzialmente la predisposizione all’erniazione posteriore del disco.

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CANALE VERTEBRALE LOMBARE

Si può immaginare il canale vertebrale lombare simile ai canali di Venezia: un canale principale e dei canali confluenti. Il canale principale non è altro che il canale spinale, al cui interno vi è la cauda equina, immersa nel liquor e contenuta nel sacco durale. A ogni livello, da L1 a L5, le radici nervose fuoriescono dal canale attraverso i forami, i canali confluenti. Canale vertebrale principale

Il canale vertebrale è delimitato anteriormente dai corpi vertebrali e dai dischi intervertebrali. La superficie mediale dei peduncoli, che a loro volta costituiscono i forami, rappresenta le due pareti laterali del canale. Posteriormente , i limiti del canale vertebrale sono rappresentati dalle lamine, dalle articolazioni interapofisarie e dai legamenti gialli.

Normalmente il canale spinale è costituito dal succedersi di “camere” al cui interno si trova il sacco durale, “camere” che progressivamente aumentano di demensione in senso cranio-caudale (L1-L5). Il diametro trasverso del canale vertebrale è più ampio di quello antero-posteriore. I diametri del canale spinale possono essere di dimensioni ridotte alla nascita o ridursi a causa di patologie degenerative. A livello degli spazi L4-L5 e L5-S1, la forma del canale può variare (ovale, a trifoglio o triangolare) e tale forma può venire modificata in modo significativo da patologie degenerative.

Forame intervertebrale

Al di sotto di ciascun peduncolo(tra due peduncoli adiacenti) decorre la radice nervosa, due per livello(una per lato, a destra e a sinistra). Lo spazio attraverso cui fuoriesce la radice nervosa è chiamato forame intervertebrale delimitato: in avanti dall’anulus fibroso del disco intervertebrale rivestito dal legamento longitudinale posteriore, al di sopra e al di sotto del disco dal bordo posteriore dei corpi vertebrali delle vertebre sopra e sottostanti; superiormente ed inferiormente dai peduncoli delle rispettive vertebre; posteriormente dalle articolazioni interapofisarie rivestite dalla loro capsula.

Il forame permette a ciascuna radice di passare nello spazio retroperitoneale, dove si anastomizzano a formare il plesso lombosacrale.

VASCOLARIZZAZIONE DEL CANALE VERTEBRALE

L’apporto ematico a ciascun livello lombare è fornito dalle arterie lombari, originanti in coppia dall’aorta. Rappresenta un’eccezione il livello L5, la cui vascolarizzazione arteriosa, sempre in coppia, origina dall’arteria iliaca interna(arterie ileolombari). Le arterie lombari originano posteriormente dall’aorta, più profondamente rispetto al tronco ortosimpatico, contornano l’emivertebra e passano al di sotto delle arcate fibrose del muscolo psoas,

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fornendo una ricca rete vascolare a ciascun segmento. A livello del forame, l’arteria lombare da origine a tre rami terminali:

1. il ramo anteriore va alla parete addominale anteriore seguendo la superficie anteriore del processo trasverso e adagiandosi sul muscolo quadrato dei lombi;

2. il ramo intermedio (arteria spinale) penetra attraverso il forame e garantisce l’apporto ematico al canale vetebrale e alle strutture ivi contenute;

3. il ramo posteriore (arteria muscolare) decorre posteriormente a lato della pars interarticularis. Di solito , a questo livello, originano i rami per l’articolazione interapofisaria. Il decorso del ramo posteriore è costante. L’arteria muscolare prosegue poi in direzione posteriore andando a vascolarizzare i muscoli paraspinali.

L’apporto ematico al disco intervertebrale è presente fino ad otto anni di età; successivamente la nutrizione discale avviene per diffusione tissutale dei liquidi. La diffusione dei fluidi segue due modalità: (a) diffusione bidirezionale dal corpo vertebrale al disco e viceversa, e (b) diffusione dai vasi adesi alla superficie dell’anulus. La capacità di permettere il passaggio di fluidi dal disco al corpo vertebrale adiacente minimizza l’aumento della pressione intradiscale dovuto a forze di compressione. La diffusione dei fluidi funziona da valvola di sucurezza e protegge il disco. L’esperienza clinica supportata da osservazioni sperimentali ha evidenziato come le fibre dell’anulus siano raramente lesionate da forze in compressione. Al contrario, improvvisi ed importanti aumenti delle forze verticali sul rachide possono produrre un aumento della pressione “fluida” all’interno del corpo vertebrale tale da causare fratture “da scoppio”.

Una rete venosa endocanalare priva di valvole e una rete venosa esterna perivertebrale costituisce nel suo insieme il plesso di Batson. Tre sono gli elementi costituenti il plesso di Batson:

1.il plesso venoso vertebrale interno 2.il plesso venoso vertebrale esterno 3.il sistema venoso anastomotico.

Il plesso venoso vertebrale interno si trova all’interno del canale vertebrale ed è costituito da: a) vene vertebrali interne anteriori che decorrono sulla superficie posteriore del corpo vertebrale. Le vene basivertebrali sono tributarie di tale porzione del sistema venoso.

b) Vene vertebrali interne posteriori che decorrono sulla superficie anteriore delle lamine vertebrali(porzione posteriore del canale vertebrale).

Plessi anastomotici trasversali connettono questi due sistemi all’interno del canale vertebrale. Il plesso venoso vertebrale esterno decorre longitudinalmente ed è costituito da:

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a) plesso venoso vertebrale esterno anteriore (rispetto ai corpi vertebrali); b) plesso venoso vertebrale esterno posteriore (rispetto alle lamine vertebrali); c) plesso venoso vertebrale esterno posteriore (rispetto ai processi trasversi).

Il sistema venoso anastomotico, assai sviluppato, mette in comunicazione il plesso venoso esterno ed interno e li connette al sistema cavale. Questa rete venosa è costituita da:

a) i rami basivertebrali che decorrono in senso antero-laterale per penetrare nei corpi vertebrali;

b) i vasi radicolari, satelliti delle radici nervose (vene intervertebrali); c) i rami anastomotici posteriori che penetrano nel legamento giallo;

d) i plessi anastomotici trasversali che mettono in comunicazione il plesso venoso interno anteriore a quello posteriore.

Questo ricco sistema venoso, che avvolge il rachide, è un’importante via alternativa al sistema cavale inferiore. L’aumento della pressione intra-addominale o un’ostruzione di qualsiasi natura a carico della vena cava inferiore dirottano l’afflusso venoso, attraverso il plesso di Batson, al canale spinale, ai corpi e ai dischi vertebrali e agli elementi posteriori.

NEUROANATOMIA

Un nervo spinale è formato dall’unione di una radice anteriore(fibre motorie) e una posteriore (fibre sensitive). Esse emergono bilateralmente e simmetricamente dal midollo spinale. L’unione delle radici anteriore e posteriore forma il tronco del nervo spinale (nervo misto) Il nervo spinale fuoriesce dal forame intervertebrale e, immediatamente dopo, si divide in un ramo primario anteriore ed uno primario posteriore. Il ramo posteriore innerva i muscoli estensori della colonna (muscoli erettori spinali del rachide) e gran parte della cute soprastante. Esso fornisce anche innervazione sensoriale alle faccette articolari, ai legamenti interspinosi, ai legamenti gialli. Il ramo anteriore innerva tutti e tre gli strati della parete muscolare, escludendo il muscolo erettore spinale del rachide.

Il nervo senovertebrale di Luschka è una branca ricorrente del nervo spinale, che origina proprio distalmente al ganglio della radice dorsale e rientra nel forame neurale. Esso si divide in rami superiori ed inferiori, che si arborizzano per innervare il periostio, il legamento longitudinale posteriore, la dura, gli strati più esterni dell’anulus fibroso e i vasi epidurali di numerosi segmenti adiacenti. Questa disposizione diffusamente anastomotica, per cui un singolo nervo senovertebrale provvede all’innervazione sensitiva di parecchi livelli, contribuisce a spiegare perch’ molti clinici dubitino sull’efficacia della discografia nell’indicare precisamente la fonte di una lombalgia prodotta dal disco intervertebrale.

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Dovrebbe essere ribadito che il nucleo polposo e gli strati più interni dell’anulus sono forniti da una innervazione sconosciuta.

Il midollo spinale termina approssimativamente a livello di L1 con il cono midollare. Il cono ha una lunghezza pari all’incirca a quella di un corpo vertebrale; normalmente è leggermente più corto negli uomini rispetto alle donne. Il collegamento tra l’apice del cono ed il coccige è dato dal filamento terminale, un sottile filamento fibroso. Il cono contiene i corpi cellulari e i dendriti che costituiscono le radici nervose del plesso sacrale tra L5 e S3.

Cauda equina

La cauda equina non è altro che l’insieme delle radici nervose contenute nel sacco durale all’interno del canale vertebrale lombare. La cauda equina inizia a livello del corpo vertebrale della decima vertebra toracica, dove la radice L1 emerge dal midollo spinale. Le radici nervose L2 e L3 originano dal midollo spinale a livello del corpo di T11. A questo livello le radici nervose iniziano a decorrere verticalmente nel canale spinale, avvolgendo il cono, il che giustifica la rarità di una lesione pura del cono midollare.

MUSCOLI DELLA COLONNA VERTEBRALE

Per quanto riguarda l’apparato muscolare, i muscoli rachidei possono essere paragonati a dei tiranti che mantengono verticale la colonna vertebrale. Una sezione orizzontale passante per la terza vertebra lombare permette di suddividere i muscoli del tronco in tre gruppi.

I muscoli del gruppo posteriore, si ripartiscono su tre piani: - il piano profondo comprende:

1. i muscoli trasversali spinosi, che occupano l’angolo diedro che si forma tra il piano sagittale delle apofisi spinose e il piano frontale delle apofisi traverse e si modellano strettamente alle lamine vertebrali;

2. il muscolo lungo dorsale , che ricopre il precedente e deborda in fuori;

3. il muscolo sacro-lombare , voluminosa massa carnosa situata al di fuori del precedente; 4. il muscolo epi-spinoso, inserito sulle apofisi spinose e situato dietro il trasversario spinoso ed il lungo dorsale.

Questi muscoli formano una massa voluminosa che occupa, da una parte all’altra delle spinose, le docce vertebrali; per questa ragione si chiamano muscoli paravertebrali.

- il piano medio è costituito dal piccolo dentato posteriore ed inferiore.

- il piano superficiale è rappresentato da un solo muscolo, il grande dorsale, il cui corpo forma una spessa fascia carnosa che ricopre tutta la parte postero-laterale della regione lombare.

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I muscoli laterovertebrali sono due: - il quadrato dei lombi

- lo psoas

I muscoli della parete addominale si dividono in due gruppi:

- i muscoli retti dell’addome, situati in avanti, da una parte e dall’altra della linea mediana; - i muscoli larghi dell’addome, in numero di tre, che formano la parete antero-laterale dell’addome;

- il muscolo trasverso dell’addome; - il piccolo obliquo dell’addome; - il grande obliquo dell’addome.

Dopo averli citati andiamo ad analizzare i muscoli che nello specifico agiscono ed influiscono sul rachide lombare.

Muscoli posteriori del tronco

Il piano profondo è costituito dai muscoli spinosi. Direttamente applicati al rachide, donde il loro nome di muscoli delle docce vertebrali, sono costituiti da fasci tanto più corti quanto più sono situati profondamente. Sono:

- muscolo trasverso spinale: formato da lamelle disposte come tegole di un tetto; le fibre si distaccano dalla lamina di una vertebra obliquamente, in basso e all’esterno, vanno a terminare sulle apofisi traverse delle quattro vertebre sottostanti;

- muscoli interspinosi: situati da una parte e dall’altra della linea mediana, riuniscono i bordi di due apofisi spinose vicine;

- muscolo epispinoso: fusiforme, disteso da una parte e dall’altra degli interspinosi e dietro ai traversi spinali, si inserisce in basso sulle spinose delle due prime lombari e delle due ultime dorsali, per terminare sulle spinose delle prime dieci dorsali; i fasci più corti sono i più interni; - muscolo lungo dorsale: lunga banda muscolare situata immediatamente al di fuori del muscolo epispinoso, sale sulla faccia posteriore del torace per fissarsi sulle coste, fino alla seconda costa8fasci esterni o costali) e sulle apofisi traverse delle vertebre lombari e dorsali(fasci interni o trasversali);

muscolo sacro-lombare(o ileo-costale): grossa massa muscolare prismatica situata indietro e al di fuori dei precedenti muscoli, risale la faccia posteriore del torace abbandonando dei fasci di terminazione sulla faccia posteriore delle ultime dieci coste, vicino al loro angolo posteriore. Queste fibre sono in seguito rimpiazzate da alcune fibre che risalgono fino alle apofisi traverse delle ultime cinque cervicali.

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Nella loro parte bassa, questi muscoli si confondono, formando la massa comune; le loro inserzioni si effettuano a livello della superficie profonda di una robusta lamina tendinea che, in superficie, si confonde con l’aponevrosi del grande dorsale.

Il piano medio è costituito da un solo muscolo: il piccolo dentato posteriore e superiore, che è posto immediatamente dietro ai muscoli delle docce vertebrali ed è ricoperto dal piano del grande dorsale. Si inserisce sulle spinose delle prime tre vertebre lombari e delle ultime dorsali, forma dei fasci obliqui in alto e in fuori e va a terminare sul bordo inferiore e sulla faccia esterna delle ultime tre o quattro coste.

Il piano superficiale è formato dal muscolo grande dorsale, che prende origine dalle robuste aponevrosi lombari. Le sue fibre, oblique in alto ed in fuori, ricoprono tutti i muscoli delle docce e danno origine a fasci muscolari secondo una linea di transizione obliqua in basso ed in fuori.

L’aponevrosi lombare nel suo insieme forma una losanga ad asse maggiore verticale. Le fibre muscolari formano uno strato molto esteso che avvolge la parte postero-esterna della base toracica e va a terminare sull’omero.

L’azione dei muscoli posteriori è essenzialmente quella di estendere il rachide lombare: prendendo appoggio sul sacro, tirano fortemente all’indietro il rachide lombare e dorsale facendo perno sia sulla cerniera lombo-sacrale, sia sulla cerniera dorso-lombare. Inoltre determinano un’accentuazione della lordosi lombare poiché costituiscono le corde parziali o totali dell’arco formato dal rachide lombare; lo tirano all’indietro e contemporaneamente lo incurvano. Inoltre giocano un ruolo importante nell’espirazione.

Muscoli laterali del tronco

Il muscolo quadrato dei lombi forma un fascio muscolare quadrilatero disteso tra l’ultima costa, la cresta iliaca ed il rachide, presentando, in fuori un bordo libero. È formato da tre tipi di fibre: fibre che uniscono direttamente l’ultima costa alla cresta iliaca; fibre che uniscono l’ultima costa alle apofisi trasverse delle prime quattro vertebre lombari; fibre che uniscono le apofisi trasverse delle prime quattro vertebre lombari alla cresta iliaca, che sono in continuità con quelle che provengono dal trasversario spinoso. I tre gruppi di fibre sono disposti su tre piani: il piano posteriore è formato dalle fibre dirette costo-iliache, ricoperte dalle trasverso-iliache; sopra queste c’è il piano delle costo-trasversarie. Quando il quadrato dei lombi si contrae da un lato determina un’inclinazione del tronco dalla parte della contrazione. È aiutato in questa sua azione dai muscoli piccolo obliquo e grande obliquo.

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Il muscolo psoas è situato al davanti del muscolo quadrato dei lombi; il suo corpo muscolare fusiforme origina da due bande muscolari: da una parte un abanda posteriore che si inserisce sulle apofisi trasverse delle vertebre lombari, dall’altra una banda anteriore inserita sui corpi vertebrali della dodicesima dorsale e delle cinque vertebra lomabri. Queste inserzioni si effettuano sui bordi inferiore e superiore di due vertebre adiacenti e anche sul bordo laterale del disco compreso fra queste due vertebre. Vi sono delle arcate tendinee che riuniscono fra di loro le varie zone di inserzione muscolare. Il corpo muscolare fusiforme, appiattito dall’avanti all’indietro, si porta obliquamente in basso e in fuori, segue lo stretto superiore , si riflette sul bordo anteriore del bacino a livello della eminenza pettinea e, accompagnato dal muscolo iliaco, termina sull’apice del piccolo trocantere.

Quando lo psoas prende la sua inserzione fissa sul femore, mentre l’anca è bloccata da una contrazione degli altri muscoli periarticolari, ha un’azione molto forte sul rachide lombare, infatti gli fa effettuare sia un movimento di inclinazione dalla parte della sua contrazione che una rotazione verso la parte opposta. Inoltre, poiché questo muscolo si inserisce sull’apice della lordosi lombare, determina una flessione della colonna lombare rispetto al bacino e contemporaneamente una iperlordosi lombare che si vede chiaramente nel soggetto in decubito dorsale con gli arti inferiori distesi sul piano di appoggio.

Considerato il complesso muscolare ileo psoas possiamo specificare che il muscolo iliaco funziona principalmente come flessore dell’anca e stabilizzatore delle articolazioni del bacino e dell’anca; il muscolo psoas aiuta nella stabilizzazione del tratto lombare nel piano frontale, particolarmente quando un carico pesante è applicato nel lato opposto. In generale questo complesso muscolare non funziona come stabilizzatore della colonna nella stazione eretta normale; la sua diminuita flessibilità aumenta la lordosi lombare, l’inclinazione pelvica anteriore e la postura in flessione dell’anca.

Concludendo, i due muscoli del gruppo laterale, lo psoas e il quadrato dei lombi, fanno inclinare il tronco dalla parte della loro contrazione, ma mentre il quadrato dei lombi non ha azione sulla lordosi lombare, lom psoas determina una iperlordosi e nello stesso tempo una rotazione del tronco dalla parte opposta.

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Muscoli della parete addominale

I muscoli retti dell’addome formano due masse muscolari distese lungo la faccia anteriore dell’addome, da una parte e dall’altra della linea mediana. Hanno le inserzioni superiori sulla quinta, sesta e settima costa e sulle cartilagini costali e anche sull’apofisi xifoidea. La stessa banda muscolare che fa seguito a queste inserzioni, si restringe gradatamente intersecata da bande di inserzione aponevrotiche. La larghezza del corpo muscolare è nettamente minore al di sotto dell’ombelico per dare origine a un potente tendine che si fissa al margine superiore del pube, sulla sinfisi pubica e con alcune propaggini verso la parte opposta e verso gli

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adduttori. I due muscoli retti sono separati sulla linea mediana da uno spazio più largo al di sopra dell’ombelico che al di sotto; sono contenuti in una guaina aponevrotica formata dalle aponevrosi terminali dei muscoli larghi della parete addominale.

I muscoli trasversi dell’addome formano il piano più profondo dei muscoli larghi della parete addominale. Si inseriscono indietro, sull’apice delle apofisi trasverse delle vertebre lombari; le fibre orizzontali si dirigono in fuori e direttamente in avanti e contornano la massa viscerale. Danno origine a fibre aponevrotiche, secondo una linea parallela al margine esterno dei muscoli retti. Questa aponevrosi terminale del trasverso si riunisce a quella del lato opposto sulla linea mediana; per la maggior parte passa dietro al muscolo retto prendendo cosi parte all formazione del foglietto posteriore della guaina dei retti. Tuttavia, al di sotto dell’ombelico, l’aponevrosi del trasverso passa davanti al muscolo retto che, così, la perfora per portarsi dietro ad essa; a partire da questo livello l’aponevrosi del trasverso prende parte alla formazione del foglietto anteriore della guaina dei retti.

Il muscolo piccolo obliquo forma lo strato intermedio dei muscoli larghi della parete addominale. La direzione prevalente delle sue fibre è obliqua dal basso verso l’alto e dall’esterno verso l’interno. Si fissa sulla cresta iliaca; le fibre carnose formano uno strato muscolare situato sulla parete laterale dell’addome. Alcune terminano direttamente sulla undicesima e dodicesima costa, altre terminano per mezzo di un’aponevrosi, che fa seguito al corpo muscolare, seguendo una linea essenzialmente orizzontale che parte dall’estremità dell’undicesima costa e che poi si fa verticale lungo il bordo esterno del grande retto; le fibre aponevrotiche terminano sulla decima cartilagine costale e sul processo xifoideo. Prendono parte alla costituzione del foglietto anteriore della guaina dei retti e si incrociano, sulla linea mediana, con il loro omologo opposto, formando così la linea alba addominale. La parte bassa del piccolo obliquo si inserisce direttamente sulla parte esterna dell’arcata crurale; le sue fibre sono inizialmente orizzontali, poi diventano oblique verso il basso e l’interno; formano, con le fibre del trasverso, il tendine congiunto e terminano sul margine superiore della sinfisi pubica

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e sulla spina pubica. Il tendine congiunto viene così a delimitare, con la parte interna dell’arcata crurale, l’orifizio profondo del canale inguinale.

Il muscolo grande obliquo forma lo strato superficiale dei muscoli larghi della parete addominale; la direzione prevalente delle sue fibre è obliqua dall’alto in basso e dall’esterno all’interno. Le sue digitazioni carnose si inseriscono sulle ultime sette coste; esse si sovrappongono dal basso verso l’alto e sono intrecciate con le digitazioni del muscolo grande dentato; i fasci muscolari sono situati sulla parete laterale dell’addome e danno origine ad una aponevrosi secondo una linea inizialmente verticale, parallela al bordo esterno del muscolo retto, poi obliqua in basso e all’indietro. Questa aponevrosi prende parte alla formazione del foglietto anteriore della guaina dei retti e si intreccia, sulla linea mediana, con quella omologa contro laterale contribuendo alla formazione della linea alba addominale. Le fibre che originano dalla digitazione che parte dalla decima costa vanno a terminare sull’arcata crurale, questi due fasci tendinei delimitano l’orifizio superficiale del canale inguinale.

I muscoli della parete addominale formano il gruppo anteriore dei muscoli motori del rachide: i muscoli retti a livello della parte più anteriore dell’addome formano due bande muscolari che agiscono a grande distanza dal rachide, tra l’orifizio inferiore del torace nella sua parte anteriore e la cintura pelvican nella parte posteriore; i muscoli larghi formano tre piani sovrapposti con fibre la cui direziobe è trasversale per lo strato profondo del trasverso, obliquo in alto e in dentro per lo strato medio del piccolo obliquo, obliqua in basso e in dentro per lo strato superficiale del grande obliquo.

FASCIA DORSOLOMBARE

La fascia dorso lombare è un esteso sistema fasciale posteriore costituito da vari strati; rappresenta la parte fibrosa del canale osteofibroso formato dalla colonna vertebrale e dalla parte dorasle delle coste. Essa circonda l’intera muscolatura propria del dorso ed è costituita da due foglietti: il foglietto superficiale è saldamente unito al tendine del muscolo erettore della colonna vertebrale nella regione sacrale. Più in alto questo foglietto si fa più sottile e da attacco al muscolo grande dorsale e al muscolo dentato posteriore inferiore. Il foglietto profondo origina dai processi costi formi delle vertebra lombari e separa la muscolatura propria del dorso dalla muscolatura ventrolaterale. Dal foglietto profondo, che raggiunge la cresta iliaca, origina il muscolo obliquo interno dell’addome e il muscolo trasverso dell’addome. Come già detto essa circonda il muscolo erettore della colonna e il quadrato dei lombi, in modo da fornire un supporto ad essi nel momento in cui si contraggono. Inoltre l’aponevrosi del muscolo lunghissimo del dorso e fibre del muscolo serrato postero-inferiore,

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dell’obliquo interno e dei muscoli trasversi delladdome convergono nel solco laterale della fascia toracolombare, così che la contrazione di questi muscoli aumenta la tensione a livello delle fibre angolate della fascia stessa, determinando forze di stabilizzazione della colonna lombare. La tensione passiva nello strato posteriore della fascia si presenta con la flessione anteriore del tratto lombare della colonna su bacino o con l’inclinazione posteriore del bacino, l’aumento della tensione sostiene le vertebre lombari inferiori.

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BIOMECCANICA DEL RACHIDE LOMBARE

La colonna vertebrale, in qualità di vero e proprio asse del corpo, deve conciliare due parametri meccanici contraddittori: la rigidità e l’elasticità. Questo è possibile grazie alla sua

struttura a sartie. Infatti il rachide nel suo

insieme può essere considerato simile all’albero di una nave.

Questo albero, posto sul bacino si innalza fino al capo e, a livello delle spalle, sorregge una grossa “trave” trasversale, rappresentata dal cingolo scapolare. A tutti i livelli esistono dei tiranti legamentosi e muscolari, disposti come sartie, che hanno il compito di ancorare l’albero alla base di impianto, il bacino. Un secondo sistema di sartie è disposto nel cingolo scapolare formando una losanga che ha l’asse maggiore disposto verticalmente e quello minore in senso

trasversale. Con il corpo in posizione simmetrica, le tensioni sono equilibrate da una parte all’altra e l’albero è verticale e rettilineo. Quando si solleva uno degli arti inferiori, e quindi il peso corporeo grava su un solo arto, il bacino ruota dal lato opposto e la colonna è costretta ad assumere un decorso sinuoso: dapprima convessa nella sua parte lombare, dal lato dell’arto sollevato, quindi concava nella parte dorsale e infine convessa sempre dal lato dell’arto sollevato.

I tiranti muscolari regolano automaticamente la loro tensione per ristabilire l’equilibrio; questo avviene sotto il controllo del sistema nervoso centrale, con un adattamento attivo grazie alle modificazioni del tono dei vari muscoli posturali, sotto l’azione del sistema extrapiramidale. L’elasticità dell’asse rachideo è dovuta al fatto che esso è formato da molteplici segmenti sovrapposti collegati l’un l’altro dai vari muscoli e legamenti. Questa struttura, pertanto, può deformarsi pur rimanendo rigida sotto l’influenza dei suoi tiranti muscolari.

La presenza delle curve rachidee aumenta la resistenza del rachide alle sollecitazioni di compressione assiale. Si è dimostrato, infatti, che la resistenza di una colonna che presenta delle curve è proporzionale al quadrato del numero delle curve più uno; quindi prendendo

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come riferimento una colonna rettilinea, il cui numero delle curve è uguale a zero, la sua resistenza viene presa come unità.

Per una colonna che presenta tre curve mobili, come la colonna vertebrale (curve lombare, dorsale e cervicale), la sua resistenza è dieci volte superiore a quella rettilinea. La flessibilità e l’equilibrio nella colonna vertebrale sono necessarie a sostenere gli effetti della gravità e di altre forze esterne.

L’importanza delle curve rachidee è resa ben evidente dall’indice’ “indice rachideo di

Delmas”, che può essere misurato solo su un pezzo anatomico: è il rapporto fra la lunghezza

sviluppata del rachide dal piatto della prima vertebra sacrale fino all’atlante e l’altezza presa sempre fra piatto superiore di S1 e atlante. Un rachide dalle curve normali possiede un indice di 95; i limiti estremi di un rachide normale sono 94 e 96%. Un rachide con curve accentuate possiede un indice inferiore a 94, cioè la sua lunghezza sviluppata è nettamente più grande della sua altezza; al contrario un rachide con curve poco accentuate, quasi rettilineo, possiede un indice superiore al 96%. Ciò è molto importante perché esiste una relazione fra questa classificazione e il tipo funzionale: Delmas ha dimostrato che il rachide con curve accentuate è di tipo funzionale dinamico , mentre il rachide con curve appiattite è di tipo funzionale

statico.

Guardando il rachide lateralmente è possibile distinguere in avanti il pilastro anteriore, composto dai corpi vertebrali e dai dischi intervertebrali, esso costituisce la componente idraulica che supporta il peso e ammortizza i colpi, esplica dunque una funzione di sostegno (statica); indietro il pilastro posteriore, composto dai processi articolari e dalle faccette articolari, costituisce un meccanismo scorrevole ai fini del movimento; ne fanno parte anche due archi vertebrali, due processi trasversali e un processo spinoso posteriore centrale, ai quali processi aderiscono i muscoli che controllano e determinano il movimento. Il pilastro posteriore svolge dunque una funzione dinamica. La successione in senso verticale dei segmenti ossei permette di distinguere un segmento passivo costituito dalla vertebra ed un segmento motore che comprende, dall’avanti all’indietro: il disco intervertebrale, il forame di coniugazione, le articolazioni interapofisarie ed infine i legamenti giallo e interspinoso. La mobilità a livello di questo segmento motore è responsabile dei movimenti della colonna vertebrale. Esiste una unione funzionale fra il pilastro anteriore e quello posteriore, assicurata dai peduncoli vertebrali. Se ci rifacciamo alla struttura trabecolare dei corpi vertebrali e degli archi posteriori, possiamo paragonare ogni vertebra ad una leva di primo tipo detta interappoggio dove l’articolazione interapofisaria gioca il ruolo di punto di appoggio. Questo sistema di leva permette l’ammortizzamento delle forze di compressione assiale sulla colonna

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vertebrale: ammortizzamento diretto e passivo a livello dei dischi intervertebrali; ammortizzamento indiretto e attivo a livello dei muscoli delle docce vertebrali per mezzo delle leve formate da ogni arco posteriore.

Considerato nel suo insieme fra il cranio e il sacro, il rachide rappresenta l’equivalente di un’articolazione a tre gradi di libertà: permette movimenti di flesso-estensione, di inclinazione laterale e di rotazione assiale. Le ampiezze di questi differenti movimenti, pur essendo molto piccoli ad ogni livello del rachide, sono globalmente molto importanti dato l’elevato numero delle articolazioni vertebrali. Il movimento può essere descritto sia globalmente che rispetto

all’unità funzionale; questa è costituita da due vertebre e dalle relative articolazioni. In

generale l’asse di movimento di ogni unità è situato all’interno del nucleo polposo del disco intervertebrale.

Ne derivano quindi:

- movimento sul piano sagittale: flessione ed estensione;

- movimento sul piano frontale: flessione laterale a destra o sinistra; - movimento sul piano trasversale: rotazione;

- scivolamento anteriore e posteriore della vertebra; - scivolamento laterale della vertebra;

- allungamento (allontanamento dei corpi vertebrali) e compressione (avvicinamento).

Andiamo ad analizzare nello specifico i movimenti del segmento rachideo lombare.

Durante il movimento di flessione (0- 60°), il corpo di ogni vertebra si inclina rispetto alla vertebra sottostante e scivola leggermente verso l’avanti, il che diminuisce lo spessore del disco nella sua parte anteriore e lo aumenta nella parte posteriore. Il disco intervertebrale diventa cuneiforme a base posteriore e il nucleo polposo è spinto all’indietro. La pressione, quindi, aumenta sulle fibre posteriori dell’anello fibroso; contemporaneamente le apofisi articolari inferiori della vertebra sovrastante scivolano verso l’alto e tendono a sganciarsi dalle apofisi articolari superiori della vertebra inferiore; la capsula e i legamenti di questa articolazione interapofisaria sono pertanto tesi al massimo, così come tutti i legamenti dell’arco posteriore: il legamento giallo, il legamento interspinoso, il legamento sovra spinoso e il legamento longitudinale posteriore. Questa messa in tensione limita quindi il movimento di flessione.

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Durante il movimento di estensione il corpo vertebrale della vertebra sovrastante si inclina all’indietro ed indietreggia. Contemporaneamente il disco intervertebrale si assottiglia all’indietro e si allarga in avanti prendendo una forma di cuneo a base anteriore. Il nucleo polposo è spinto verso l’avanti, il che mette in tensione le fibre anteriori dell’anello fibroso; nello stesso tempo il legamento longitudinale anteriore viene a trovarsi sotto tensione. Al contrario il legamento longitudinale posteriore si distende e, simultaneamente, le apofisi articolari inferiori della vertebra superiore si connettono più profondamente alle apofisi articolari superiori della vertebra sottostante, mentre le apofisi spinose vengono a contatto. Così il movimento di estensione viene limitato da sporgenze ossee a livello dell’arco posteriore e dalla tensione del legamento longitudinale anteriore.

Dal punto di vista statico, i carichi pressori sono tanto maggiori quanto più si scende verso il tratto lombosacrale. Già nella posizione in piedi, la forza di compressione che grava sul disco L5-S1 è pari a circa 16 Kg per cm2. Dal punto di vista dinamico, va premesso che il movimento di flesso-estensione è per il 65-75% a carico dell’articolazione lombo-sacrale, per il 20-25% a carico dell’articolazione L4-L5 e per il 5-10% a carico dei restanti segmenti lombari.

Dunque i dischi intervertebrali compresi tra L4-L5 e L5-S1 sono quelli che sopportano la maggior parte sia del carico statico che di quello dinamico dal momento che partecipano maggiormente ai movimenti flesso-estensori.

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Il semplice sollevamento di un peso con il tronco in posizione inclinata in avanti rappresenta una delle sistuazioni più dannose poiché il carico sopportato dal disco intervertebrale è enorme in termini biomeccanici.

Si può calcolare che alzando un carico di 10 kg, la forza che si esercita sul disco può arrivare a 1200 kg, ben oltre il carico di rottura dei dischi intervertebrali, che prima dei 40 anni è di 800 kg e si dimezza nei soggetti più anziani.

Altro movimento importante è il movimento di inclinazione laterale, che si effettua sul piano frontale e la sua misura a livello del rachide lombare è 20°.

Durante il movimento di inclinazione laterale il corpo della vertebra soprastante si inclina dal lato della concavità dell’inflessione e il disco diviene cuneiforme e più spesso dal lato della convessità. Il nucleo polposo si sposta leggermente dal lato della convessità. Il legamento intertrasversario si tende dal lato della convessità e si detende dal lato della concavità. Da dietro si assiste ad uno slittamento differenziale delle apofisi articolari: dal lato della convessità l’articolare della vertebra superiore si innalza, mentre dal lato della concavità si abbassa. C’è dunque contemporaneamente una detenzione dei legamenti gialli e della capsula articolare interapofisaria dal lato della concavità e, viceversa, una messa in tensione di questi stessi elementi dal lato della convessità. Durante i movimenti di inclinazione laterale si osserva che i corpi vertebrali ruotano su loro stessi in modo che la loro linea mediana anteriore si sposta verso la convessità della curvatura; questa rotazione automatica è spiegata da due meccanismi: la compressione dei dischi e la messa in tensione dei legamenti. L’inflessione laterale aumenta la pressione del disco dal lato della concavità; dal momento che anche il disco è cuneiforme , la sua sostanza compressa, tende a sfuggire dal lato più aperto, cioè verso la convessità: da qui la rotazione. Con un meccanismo inverso, i legamenti del lato convesso posti in tensione dalla inflessione laterale tendono a spostarsi verso la linea mediana percorrendo il tragitto più breve. Questi due meccanismi sono sinergici e contribuiscono alla rotazione nello stesso senso dei corpi vertebrali.

Il movimento di rotazione invece avviene sul piano trasverso e la rotazioe assiale del rachide lombare è molto limitata; infatti è di 10° la rotazione totale destra-sinistra fra L1 e S1, quindi essendo egualmente ripartita, equivale a 2° per ogni livello. Il rachide lombare non è conformato per effettuare un ampia rotazione assiale, che resta molto limitata a causa dell’orientamento delle faccette articolari. Le faccette articolari superiori delle vertebra lombari guardano indietro e in dentro e sono concave sul piano trasversale e rettilinee su quello verticale. Geometricamente sono tagliate sulla superficie di uno stesso cilindro il cui centro O è situato posteriormente alle faccette articolari circa alla base dell’apofisi spinosa.

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Nelle vertebre lombari superiori il centro è situato quasi immediatamente dietro la linea che congiunge il bordo posteriore delle apofisi articolari , mentre a livello delle vertebre lombari inferiori il cilindro ha un diametro molto maggiore, il che sposta indietro il suo centro rispetto al corpo vertebrale. Il centro del cilindro non corrisponde al centro dei piatti vertebrali così, quando la vertebra superiore ruota sulla vertebra inferiore , il movimento di rotazione si effettua intorno a questo centro e deve obbligatoriamente accompagnarsi ad uno scivolamento del corpo della vertebra superiore in rapporto a quella sottostante. In disco intervertebrale non è quindi sollecitato in torsione assiale, che gli permetterebbe un’ampiezza di movimento relativamente grande, ma in taglio; ciò spiega perché la rotazione del rachide lombare sia molto piccola sia a ciascun livello che nel suo complesso.

Cerniera lombo-sacrale e i suoi movimenti:

la cerniera lombo-sacrale è costituita dall’articolazione tra la V vertebra lombare e la prima vertebra sacrale e rappresenta un punto di debolezza dell’impalcatura rachidea. In effetti, in conseguenza dell’inclinazione della superficie superiore della prima sacrale, il corpo della V lombare tende a slittare in basso e in avanti; questo slittamento è impedito dalle solide connessione dell’arco posteriore di L5. Le due ultime vertebre lombari, inoltre, sono riunite direttamente all’osso iliaco dai legamenti ileo-lombari, che si distinguono in due fasci:

- il fascio superiore, chiamato anche fascio ileo-trasversario lombare superiore: si distacca dalla sommità dell’apofisi trasversa della quarta vertebra lombare e si dirige in basso, in fuori ed indietro verso la cresta iliaca, ove si inserisce;

- il fasci inferiore chiamato anche fascio ileo-trasversario lombare inferiore, si distacca dalla sommità e dal bordo inferiore dell’apofisi trasversa della quinta lombare, si dirige in basso ed in fuori per inserirsi sulla cresta iliaca in avanti e all’interno del fasci precedente. Si distinguono talora due fasci fibrosi più o meno individualizzati: un fasci strettamente iliaco ed un fascio sacrale, più verticale, che si dirige leggermente in avanti e termina sulla parte anteriore dell’articolazione sacro-iliaca e sulla parte più esterna della grande ala sacrale.

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Questi legamenti ileo-lombari si tendono e si detendono seguendo i movimenti della cerniera lombo-sacrale e in tale modo intervengono per limitarli.

Nel movimento di inclinazione laterale si tendono dal lato della convessità e limitano di 8° l’inclinazione della quarta lombare sul sacro; dal lato della concavità si detendono.

Nella flessione si tende il fascio superiore del legamento ileo lombare poiché è diretto obliquamente in basso, in fuori e indietro; nell’estensione , al contrario, si detende. Inversamente il fascio inferiore è deteso nella flessione poiché si dirige leggermente in avanti, ma si tende nell’estensione.

Nel complesso la motilità della cerniera lombo-sacrale è molto limitata a causa della potenza di questi legamenti ileo-lombari, che nell’insieme limitano maggiormente l’inclinazione laterale della flesso-estensione.

STATICA DELLA REGIONE LOMBARE Statica del rachide lombare in posizione eretta:

in appoggio simmetrico sui due arti il rachide lombare visto di profilo presenta, come abbiamo visto, una curva a concavità posteriore chiamata lordosi lombare; visto da dietro il rachide è rettilineo, mentre quando l’appoggio è asimmetrico, cioè si effettua su un’anca sola e quindi su uno solo degli arti inferiori, il rachide lombare presenta una curvatura con concavità rivolta verso il lato che appoggia. Questo è dovuto alla rotazione del bacino, poiché l’anca di appoggio viene a trovarsi più in alto rispetto all’altra; perciò per compensare questa inclinazione lombare, il rachide dorsale assume una curvatura a concavità opposta, cioè dal lato dell’arto che non appoggia. Infine il rachide cervicale, presenta una curvatura verso il lato di appoggio, cioè nello stesso senso di quella lombare. Studi elettromiografici hanno dimostrato che, nella flessione del tronco i muscoli spinali si contraggono energicamente all’inizio del movimento, poi si contraggono i glutei, mentre gli ultimi ad entrare in azione sono gli ischio-crurali.

Durante il raddrizzamento i muscoli entrano in azione nell’ordine inverso: dapprima gli ischio-crurali, poi i glutei , in seguito i lombari e poi i dorsali. In posizione di attenti il leggero squilibrio in avavnti è controllato dalla contrazione tonica dei muscoli del piano posteriore , tricipite surale, ischio-crurali, glutei, spinali, mentre i muscoli addominali sono rilassati.

Statica del rachide lombare in posizione seduta e in decubito:

in posizione seduta con appoggio ischiatico, posizione della dattilografa, senza che il dorso sia appoggiato, con il peso del tronco che grava unicamente sull’ischio, il bacino è in equilibrio instabile, piuttosto sollecitato nel senso dell’antiversione, da cui deriva una iperlordosi lombare ed un’accentuazione delle curve dorsali e cervicali.

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I muscoli della cintura scapolare e specialmente il trapezio, che mantiene sospesi la cintura scapolare e gli arti superiori, sono sollecitati per mantenere la statica rachidea. A lungo andare questa posizione provoca dei dolori conosciuti come “sindrome della dattilografa” o “sindrome dei trapezi” .

In posizione seduta con appoggio ischio-femorale, posizione del cocchiere, con il tronco chinato in avanti e talvolta anche appoggiato sulle ginocchia per mezzo degli arti superiori, l’appoggio avviene sulle tuberosità ischiatiche e sulla faccia posteriore delle cosce. Il bacino viene a trovarsi in antiversione e l’accentuazione notevole della cifosi dorsale porta al raddrizzamento della lordosi lombare. Se gli arti superiori agiscono come sostegni, il tronco è stabile con il minimo sforzo muscolare. Questa posizione di riposo dei muscoli delle docce vertebrali diminuisce l’effetto di scivolamento sul disco lombo-sacrale e permette il rilasciamento dei muscoli del piano posteriore.

Nella posizione di appoggio ischio-sacrale, il tronco, portato completamente all’indietro, si adagia sullo schienale della seggiola e l’appoggio avviene a livello delle tuberosità ischiatiche e della faccia posteriore del sacro e del coccige. Il bacino è in retroversione e la lordosi lombare è raddrizzata, la cifosi dorsale esagerata e la testa può pendere in avanti sul torace mentre si inverte la lordosi cervicale. È anche qusta una posizioen di riposo, ma la respirazione è resa difficoltosa dalla flessione del collo e dal peso della testa sullo sterno. Il decubito dorsale con arti inferiori estesi è la posizione più comunemente adottata per il riposo: la tensione degli psoas causa una iperlordosi lombare e scava un vuoto sotto ireni. In decubito dorsale con arti inefriori flessi il rilasciamento degli psoas determina una retroversione del bacino ed una diminuzione della lordosi lombare: l’incavo dei reni si applica sul piano di appoggio e si ha così un maggior rilasciamento dei muscoli spinali ed addominali. Nella posizione detta di relax, che si ottiene facendo uso di cuscini o seggiole speciali, essendo il piano di appoggio dorsale concavo, si ha un raddrizzamento della lordosi lombare e cervicale; un appoggio sotto le ginocchia flette le anche, rilasciando gli psoas e gli ischio-crurali.

Nella posizione di decubito laterale il rachide segue una curva sinuosa: si ha una convessità lombare inferiore, e la linea congiungente le due spine iliache postero-superiori, segnate dalle fossette sacrali, converge al di sopra del soggetto, con la linea delle spalle. Il rachide dorsale assume una curva a convesità superiore. Questa posizione non può dare un rilasciamento muscolare generale.

Nel decubito prono, si hanno tutti gli inconvenienti del decubito dorsale8iperlordosi lombare), aggravati da difficoltà respiratorie dovute all’appoggio sulla gabbia toracica e sull’addome,

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che spinge la massa addominale contro il diaframma, diminuendo così la sua escursione e la possibile ostruzione delle vie respiratorie per le secrezioni e corpi estranei.

Risulta evidente che sul movimento e sulla stabilità del rachide lombare e totale hanno influenza una serie di strutture inerti, infatti nel momento in cui una struttura limita un movimento in una determinata posizione, essa fornisce stabilità in quella direzione.

Hanno influenza molteplici aspetti: l’inclinazione e direzione delle faccette articolari, i legamenti, il rapporto fra le dimensioni del disco e dei corpi vertebrali e l’anello fibroso del disco intervertebrale, la cerniera lombosacrale e i muscoli.

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PATOLOGIE MECCANICHE DEL RACHIDE LOMBARE

Epidemiologia

La lombalgia non è un’entità clinica ma un sintomo di affezioni diverse che hanno in comune la manifestazione dolorosa in sede lombare.

Il dolore vertebrale di origine lombare è in notevole aumento, assumendo rilievo di primo piano a livello medico, sociale ed economico (Andersson, 1997; Dunn, 2004).

L’incidenza annuale della lombalgia è massima tra il terzo ed il quinto decennio, costituendo una tra le principali cause de assenza dal lavoro, di richieste di visite mediche e di indagini diagnostiche. La prevalenza della lombalgia in età adulta varia dal 50 all’80% con un tasso di ricorrenza che varia dal 50 al 60%.

Di tutti i pazienti con un episodio doloroso secondario a lombalgia, l’84% si rivolge a cure e assistenze mediche, il 30-50% richiede ospedalizzazione in regime ricoveriate e di ricovero, un terzo di essi deve sospendere l’attività lavorativa(Andersson, 1997; Dunn, 2004).

Il 20% degli infortuni lavorativi nei paesi nordamericani è correrabile a problemi al rachide: negli Stati Uniti, oltre 10 milioni di persone sono assenti quotidianamente dal lavoro a causa della lombalgia, con costi annuali diretti ed indiretti, che superano i 50 bilioni di dollari (Guo, 1995).

Le algie lombari possono persistere per periodi prolungati nel tempo, diventando croniche in circa il 5-7% dei casi. Il gruppo dei pazienti cronici è quello a cui si deve prestare la massima attenzione, epidemiologica, medica e terapeutica, incidendo per l’80% circa dei costi complessivi sostenuti per la patologia.

Classificazione di Deyo e Weinstein nel 2001

Le lombalgie vengono suddivise in tre gruppi, in base alla causa che può essere di origine natura meccanica o non meccanica, o viscerale.

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MAL DI SCHIENA O ALLE GAMBE DI TIPO MECCANICO - Lombalgia comune o specifica

- Strappo o distorsione lombare - Lombalgia disco genica - Degenerazione del disco - Instabilità

- Ernia del disco - Stenosi lombare - Fratture da osteoporosi - Spondilolisi- spondilolistesi - Fratture traumatiche - Patologie congenite - Deformità gravi

PROBLEMI VERTEBRALI NON MECCANICI - Neoplasie

- Infezioni - Osteomielite

- Artrite infiammatoria

- Spondilite anchilosante e psoriasica - Malattia di Scheuermann

- Malattia di Paget - Herpes zoster

PROBLEMI VISCERALI - Malattie degli organi pelvici - Malattie renali

- Aneurisma aortico

- Malattie gastro-intestinali

Le cause che rientrano all’interno della lombalgia di tipo meccanico possono spiegare il 97% dei soggetti che afferiscono agli ambienti di cura di base.

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La lombalgia meccanica può essere specifica o non specifica (comune). La lombalgia specifica colpisce circa il 10% dei soggetti e comprende la frattura vertebrale osteoporotica, l’ernia discale, la stenosi vertebrale, la spondilolistesi e le gravi deformità del rachide(scoliosi e ipercifosi).

Oltre l’85% dei pazienti con lombalgia rientra nel vasto gruppo definito lombalgia aspecifica (o comune). In questi pazienti, di solito di età compresa tra 25 e 55 anni, non può essere individuata una causa specifica di dolore lombare. La lombalgia aspecifica è definita da sintomi avvertiti primariamente a livello lombare e all’estremità prossimale dell’arto inferiore, in assenza di segni di compressione neurologica periferica o di altre cause secondarie.

I disturbi spinali afferenti al secondo gruppo spiegano l’1% dei casi di lombalgia. Essi comprendono i disturbi di tipo neoplastico, infettivo ed infiammatorio che hanno origine nel rachide, i cui sintomi non sono correlabili al carico vertebrale senza offrire sollievo con il riposo. Tra le cause neoplastiche si ricordano con maggiore frequenza il carcinoma metastatico e il mieloma multiplo. Il disturbo infiammatorio principale del rachide è la spondilite anchilosante. Le infezioni spinali sono meno comuni, colpendo 1 soggetto lombalgico su 10000.

Tra le principali cause viscerali che rientrano nel terzo gruppo si ricordano la perforazione gastro-intestinale secondaria a ulcera, la pancreatite cronica, l’aneurisma aortico e i tumori gastro-intestinali infiltranti. Possono essere osservate nel 2% dei casi e si presentano con caratteri tipici per i quali solo occasionalmente la diagnosi è incerta.

Da quanto detto fin’ora è sempre molto difficile inquadrare con precisione una lombalgia da un punto di vista eziopatogenetico, proprio perché esistono molte forme cliniche caratterizzate da questo sintomo. Sarà dunque importante una approfondita raccolta anamnestica riguardo sia le abitudini di vita(movimenti o posture sbagliate,..) sia delle condizioni lavorative del paziente lombalgico. Inoltre sarà fondamentale avvalersi di esami strumentali indispensabili per una diagnosi differenziale, considerato che vi sono numerose forme di lombalgia in cui vi sono anomalie funzionali o condizioni patologiche del rachide, su base congenita o acquisita, che sono in rapporto causa effetto con la lombalgia.

Un’altra classificazione si basa sul criterio temporale: acuta (fino a 4 settimane di dolore), sub-acuta (4-12 settimane di dolore), cronica (più di 12 settimane di dolore) e ricorrente (nuovo episodio algico dopo un periodo di remissione della durata di almeno 6 mesi).

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