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M ARCO P OLO ED ALTRI ITALIANI NELLA C INA DEGLI Y UAN *

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 161-181)

Piero Corradini (†)

Dal 1260 al 1368 la Cina fu sotto il dominio dei Mongoli.1 La dinastia che essi fondarono fu chiamata Yuan 元.

Il dominio mongolo di estendeva dall’Estremo Oriente alle pianure russe. Sotto il loro dominio i Mongoli realizzarono una pax mongolica che favorì i commerci e lo scambio di merci e di idee.

In questo periodo mercanti e missionari furono bene accetti in Cina. Nella visione dei dominatori mongoli ogni scambio di beni così come ogni scambio culturale, perfino ogni religione che fosse arrivata in Cina doveva essere accettata al fine di governare meglio il paese. Così un gran numero di mercanti e missionari si recarono in Cina. La maggior parte di essi andò a Khan-balik, la capitale, attuale Pechino, ma alcuni di essi si stabilirono in altre città commerciali, come Yangzhou 揚州 e Quanzhou 泉州, dove fiorivano le comunità occidentali.

Il più importante dei viaggiatori italiani in Cina fu Marco Polo. Su di lui molto è stato scritto, per cui in questa sede gli si dedicheranno soltanto alcune pagine.

Marco Polo nacque a Venezia nel 1254 da una famiglia di mercanti. Suo padre Niccolò e suo zio Maffeo si recarono due volte in Cina. Nel loro secondo viaggio (1272) furono accompagnati dal giovane Marco, allora diciassettenne.

Essi viaggiarono attraverso l’Iran, la catena dei monti Hindukush e Pamir, attraversarono il deserto di Gobi. Finalmente raggiunsero la corte del Gran Khan Qubilai nella sua capitale estiva Shangdu 上都. Di qui procedettero verso la nuova capitale, Khan-balik, dove arrivarono nel 1275. Il viaggio era durato tre anni e mezzo.

Nei 17 anni successivi Marco Polo fu al servizio del Gran Khan come consigliere personale.

In questa qualità egli ebbe la possibilità di visitare molte parti dell’impero. Egli raggiunse il Tibet, navigò sullo Yangzijiang, sul Fiume Giallo e sul corso superiore del Mekong. Egli fu probabilmente il primo Europeo che visitò la Birmania e forse raggiunse la Siberia nel nord e l’Indonesia nel sud. Da un discusso passo del suo libro alcuni hanno ritenuto che fu per 3 anni (1282-1285) governatore di Yangzhou.

Dopo 17 anni i tre Veneziani ebbero la possibilità di tornare al loro paese. Nel 1292 furono autorizzati a unirsi alla comitiva che salpava da Quanzhou per

* Sono lieto di contribuire con questo lavoro al volume in onore di Adolfo Tamburello. Il mio non è

soltanto l’omaggio all’illustre collega ma vuole essere soprattutto il suggello di un’antica amicizia, cominciata nei lontani anni ’50 del secolo scorso quando, poco più che ragazzi, studiavamo insieme all’Università di Roma, oggi “La Sapienza”. Il fluire degli eventi ed i casi della vita ci hanno portato lontani l’uno dall’altro, ma l’amicizia è rimasta immutata, nonostante le inevitabili occasionali divergenze di opinioni. Al caro amico Adolfo va quindi il mio augurio di una serena conclusione della sua brillante carriera accademica. P. C.

accompagnare una principessa mongola in Persia, dove doveva sposare il Khan locale. La flotta era composta di 14 navi e il gruppo contava 600 persone. Navigando per Sumatra, Malacca, Ceylon, le isole Andamane e Nicobare essi incontrarono molte difficoltà e solo in 18 raggiunsero Hormuz nel 1294. Una volta in Persia, la via del ritorno a Venzia fu relativamente facile e qui giunsero finalmente nel 1295.

Tre anni dopo, nel 1298, Marco Polo prese parte alla battaglia di Curzola contro la rivale Repubblica di Genova e fu preso prigioniero.

Secondo la tradizione, in prigione egli avrebbe narrato le sue straordinarie avventure ai compagni di prigionia ed uno di essi, Rustichello da Pisa, scrittore che, come molti altri del suo tempo, usava il francese, mise la narrazione su carta. Il risultato fu un libro intitolato Divisement du monde o Livre des merveilles du monde, meglio noto col soprannome di Marco Polo “Milione”.

Nel 1962 uno studioso italiano, il Professor Borlandi di Genova, ha proposto un’altra teoria sulla composizione del libro.2 Dopo essere tornato a Venezia Marco Polo avrebbe scritto un manuale di commercio, simile alla famosa “Pratica della mercatura” del Pegolotti,3 un libro oggi perduto ma del quale ci sono alcune tracce in letteratura. Questo libro sarebbe stato adattato da Rustichello nell’attuale “Milione”.

Il libro di Marco Polo dette agli Europei la prime informazioni su paesi come la Cina, il Siam, il Giappone, Giava, la Cocincina, Ceylon, il Tibet, l’India e la Birmania. Per lungo tempo esso fu, in Europa, l’unica fonte di informazione sull’Estremo Oriente. Esso stimolò l’interesse di Cristoforo Columbo per l’altra parte del mondo e dei navigatori portoghesi nella ricerca di una via all’Estremo Oriente circumnavigando l’Africa.

Tutta la cosmografia europea del XIV e del XV secolo prese in considerazione le descrizioni di Marco Polo. Ciò è particolarmente vero per la Cosmografia di Fra Mauro, documento fondamentale per conoscere quanto gli Europei del XV secolo sapevano del mondo.4

A partire dal XIX secolo gli studiosi europei hanno compiuto un enorme lavoro per verificare la corrispondenza del testo di Marco Polo con la realtà cinese, al fine di provarne l’attendibilità e l’autenticità.

Tra questi studiosi vanno ricordati Julius Klaproth,5 Guillaume Pauthier,6

Henry Yule,7 Paul Pelliot,8 Henry Cordier,9 Luigi Foscolo Benedetto10 e Leonardo Olschki.11

2 Borlandi, 1962, pp. 106-147.

3 Balducci Pegolotti, 1766; idem, 1936.

4 Gasparrini Leporace, 1956. 5 Klaproth, 1828, pp. 97-120. 6 Pauthier, 1863, pp. 124-129; idem, 1865. 7 Yule, 1875. 8 Pelliot, 1959-1963, passim. 9 Cordier, 1920. 10 Benedetto, 1928 e idem, 1932. 11 Olschki, 1957.

Da questi studi emersero affascinanti illusioni ed anche errori.

Alcuni credettero fermamente, sulla base di una variante testuale, che Marco Polo fu governatore di Yangzhou. L’ipotesi era affascinante ma scarsamente fondata. In effetti, il testo di Marco Polo dà soltanto poche informazioni su quella città ed anche con errori fattuali, che non sarebbero stati possibili se egli fosse stato veramente governatore. Inoltre la storia locale di Yangzhou non include Marco Polo tra i governatori del distretto.

Guillaume Pauthier, nella sua edizione del 1865 di una versione in francese moderno del “Milione”,12 cercò di dimostrare che Marco Polo corrispondeva al Vice-cancelliere Po-lo (Boluo 勃羅). Questo Boluo sarebbe stato anche colui che dette preziose informazioni sull’impero mongolo allo storico persiano Rashid-ud-din.13

La tesi fu dapprincipio accettata da molti, tra cui lo Yule,14 e in seguito anche da eminenti studiosi cinesi come Zhang Xinglang 張星烺.15 Gli entusiasmi furono però presto smorzati prima da E. H. Parker che, in un articolo del 1904,16 dette anche un elenco di tutti i “Po-lo”, “Puh-lo” ecc. citati nella “Storia degli Yuan”, dimostrando così che quel nome era abbastanza comune tra i Mongoli. Infine Henri Cordier, nelle note al libro di Yule, dimostrò, avvalendosi anche della collaborazione di Paul Pelliot, l’inconsistenza di questa identificazione. Pelliot scriveva infatti al Cordier:

Il faut renoncer une bonne fois à retrouver Marco Polo dans le Po-lo mêlé à l’affaire d’Ahmed. Grâce aux titulations successives, nous pouvons reconstituer la carrière administrative de ce Po-lo, au moins depuis 1271, c’est-à-dire depuis une date antérieure à l’arrivée de Marco Polo à la cour mongole.17

Nonostante il fatto che nel libro di Marco Polo ci siano molte omissioni – per esempio sul Confucianesimo, la scrittura cinese, il tè, la Grande Muraglia – la conclusione finale di questi studi fu che in generale il libro era attendibile.

Circa dieci anni fa una bibliotecaria britannica, Frances Wood, ha pubblicato un libro divenuto rapidamente un best-seller,18 nel quale ha cercato di dimostrare che Marco Polo non fu mai in Cina.

I dubbi sulla residenza di Marco Polo in Cina non sono nuovi. Essi furono avanzati per la prima volta nel XIX secolo da un editore italiano del libro, il Baldelli Boni.19 Le principali ragioni portate dal Baldelli Boni erano che Marco Polo tace

12 Pauthier, 1865.

13 Rashid-ud-din (1247–1318), storico e geografo persiano, scrisse un celebre libro dal titolo Jami al

Tawarikh nel quale fornisce interessanti notizie dei paesi islamici estendendosi fino alla Cina. Cfr. Gray, 1978; Togan, 1962, pp 60–72.

14 Yule – Cordier, 2004, vol. I, p. 133.

15 Zhang, 1965.

16 In Asiatic Quarterly Review, 3rd Series, vol. XVII., Jan. 1904, pp. 128-131, cit. dal Cordier in Yule –

Cordier, 2004, vol. II, p. 890.

17 Yule – Cordier, 2004, vol. II, p. 892.

18 Wood, 1995.

della Grande Muraglia, del tè e dei piedi fasciati delle donne cinesi.

Secondo la Wood solo il padre e lo zio di Marco andarono alla corte mongola ma non ci sono prove che lo abbia fatto anche Marco.

Il Professor Igor de Rachewiltz, studioso italiano attivo in Australia, ha ampiamente dimostrato l’inconsistenza degli argomenti della Wood.20

È un fatto che Marco Polo chiama talvolta città e popoli con termini che non sarebbero mai stati usati da un funzionario della burocrazia imperiale. Così egli chiama la città di Hangzhou non con il suo nome ufficiale ma Quinsai, dal cinese Xingzai 行在 che significa “residenza temporanea”. Questo nome era stato adottato dalla dinastia Song 宋, che precedette quella dei Mongoli, quando fu obbligata a trasferire la capitale in quella città.

Inoltre Marco Polo usa la parola “Tartari” per indicare i Mongoli mentre è ben noto che ai Mongoli non piaceva essere chiamati in quel modo. Per i Cinesi del sud inoltre Marco Polo usa la parola “Mangi” mentre il loro nome ufficiale era Nanren 南人, “gente del sud”.

È anche vero che Marco Polo non menziona la Grande Muraglia, i templi confuciani, le “cinque relazioni” su cui si basa la morale confuciane, l’usanza di bere il tè e di fasciare i piedi delle donne.

Gli argomenti del Professor de Rachewiltz contro la Wood possono essere riassunti come segue:21

1) Durante i 17 anni di permanenza nella Cina sottoposta al dominio mongolo, Marco Polo non si mischiò mai con i Cinesi. Egli non ne apprese mai la loro lingua e non fu interessato alla loro antica civiltà. Egli visse in mezzo a una comunità di stranieri che usava il Persiano come “lingua franca”. Ciò spiega l’indifferenza di Marco Polo rispetto ai Cinesi in generale e ai prodotti della loro antica civiltà in particolare.

2) Bere il tè era un’abitudine diffusa soprattutto tra i Cinesi e non tra gli stranieri.

3) Marco Polo ignora l’usanza di fasciare i piedi delle donne perché egli non aveva stretti contatti con la società cinese e solo un interesse superficiale per i loro costumi.

4) Il suo totale silenzio sulla Grande Muraglia è facilmente spiegato dal fatto che la Muraglia, come la conosciamo oggi, non esisteva al tempo di Marco Polo. La Muraglia che vediamo oggi è la fortificazione costruita o ricostruita dal governo dei Ming 明 nei secoli XVI e XVII. Prima dei Ming c’erano solo dei bastioni, eretti in diversi periodi e atti di terra battuta, rinforzati da travi di legno. Non ci fu mai una linea continua.

5) È vero che nelle fonti cinesi del periodo non è stata scoperta alcuna menzione di Marco Polo, di suo padre e di suo zio. Ad ogni modo noi non conosciamo quale fosse il nome di Marco Polo in cinese (se mai ne ebbe uno) o in mongolo. Perciò è prativamente impossibile trovarlo nelle fonti cinesi. Chiaramente, egli non faceva

20 De Rachewiltz, 1997, pp. 34-92.

21 Le tesi della Wood sono state confutate anche dal maggiore studioso cinese di Marco Polo, cfr. Yang,

Marco Polo ed altri italiani nella Cina degli Yuan 667 parte formalmente dell’amministrazione mongola e dovette agire come una sorta di agente speciale, ispettore o investigatore ad hoc per incarichi che richiedevano tatto e diplomazia.

A quanto affermato dal Prof. de Rachewiltz noi dobbiamo aggiungere che un libro deve essere valutato per il suo contenuto, nell’ambito degli scopi e dei fini dell’autore, non per le sue omissioni o per qualche errore. È una pretesa assurda voler cercare nel “Milione” una descrizione completa ed esauriente della Cina, nonostante il suo ambizioso titolo originale di Divisement du monde.

Marco Polo, uomo del suo tempo, rispondeva alle domande sulla Cina poste dai suoi contemporanei, non a quelle che potremmo porre noi, uomini del XXI sevolo. Questo è il difetto e, al tempo stesso, il merito di tutte le fonti di informazione.

In aggiunta, se accettiamo la tesi del Borlandi, cioè che Marco Polo, dopo il suo ritorno, avrebbe scritto un libro di pratica della mercatura, simile a quello famoso del Pegolotti, e che questo libro, dai fini commerciali, sarebbe stato la fonte di Rustichello, ogni discussione su omissioni ed errori diventa vuota e priva di senso.

Infine, si deve aggiungere che c’è una prova definitiva del viaggio di Marco Polo in Cina. Essa è contenuta in un passo della famosa enciclopedia cinese Yongle

Dadian 永樂大典, un’opera monumentale del XV secolo, oggi quasi completamente

perduta.

Un passo del capitolo 19418, alla pagina 15b, registra, citando l’oggi completamente perduto Jingshi Dadian 經世大典, la partenza di una nave che portava gli ambasciatori persiani venuti in Cina a prelevare la principessa sposa del loro Khan.22

Il testo in questione è il seguente:

〔至元二十七年八月〕十七日尚書阿南答、都事別不花等奏﹕

平章沙不丁上言﹕今年三月奉旨遣兀魯 、阿必失啊、火者取道馬八兒往阿

魯渾大王位下。同行一百六十人、內九十人分例;餘七十人聞所贈遺買得者、乞

不給分例口粮!奉旨﹕勿與之!

[Nel 27° anno dell’èra Zhiyuan, l’8° mese], il 17° giorno23 lo Shangshu24

Ananda ed il Dushi25 Biebuhua hanno fatto un rapporto:

Il Pingzhang26 Shabuding dice: “Quest’anno nel 3° mese un editto imperiale ha inviato Wulute, Abishiha e Huoche per recarsi davanti al trono del gran re Aluhun passando per il Mabar. Insieme a loro vanno 160 persone.

22 Yang, 1945, p. 51. La notizia della scoperta di quel passo dello Yongle Dadian fu data dai due studiosi

cinesi in una sola pagina. Quasi mezzo secolo dopo, in occasione di un convegno su Marco Polo svoltosi a Pechino nel 1991, il Prof. Yang dette spiegazioni più esaurienti (Yang 1995, a, pp. 17-24).

23 Corrispondente al 21 settembre 1290.

24 “Ministro”. Cfr. Hucker, 1985, no 5042.

25 “Prevosto per i rifornimenti”, Hucker, 1985, no 7274.

26 Il Pingzhang, o meglio il Pingzhang Zhengshi 平章政事, ancorché non riportato nel dizionario di

Hucker, occupava un posto molto elevato nella amministrazione centrale dell’impero Yuan; ricopriva infatti il grado 1b, secondo soltanto al Primo Ministro, e si occupava di rifornimenti militari. All’epoca dell’editto in questione ce ne erano due nella Cancelleria Ministeriale (Shangshu sheng 尚書省) e due nella Cancelleria Centrale (Zhongshu sheng 中書省), v. Yuanshi, 2000, juan 85, zhi 志 35, Bai Guan 百官 1, p. 1601.

Per i 90 interni si è già provveduto; per i restanti 70 ho sentito che si tratta di persone inviate da diversi funzionari e commercianti: non si deve provvedere al loro cibo”

Editto imperiale: Che ciò non avvenga!

I nomi dei tre inviati, Wulute, Abishiha e Huoche, corrispondono a quelli menzionati da Marco Polo nel capitolo “Comant messere Nicolau e mesire Mafeo e

messier Marc demandent congé au Kaan”, Oulatai, Apusca e Coia quando descrive la

sua partenza dalla Cina.27

Lo studioso cinese che ha scoperto il passo in questione ha anche sostenuto appieno l’attendibilità del racconto di Marco Polo.28

L’unica difficoltà sta nella data. La fonte cinese si riferisce al 1290, mentre Marco Polo pone l’inizio del suo viaggio di ritorno nel 1292. Ma in primo luogo non è detto che la comitiva partì subito dopo il decreto. Avrebbe anche potuto aspettare per i necessari preparativi. In secondo luogo Marco Polo, che si basava sulla sua memoria, avrebbe anche potuto sbagliare.

Ma Marco Polo non fu il solo italiano recatosi in Cina. Abbiamo notizia di altri e le scoperte archeologiche ci danno perfino i loro nomi.

Durante la dinastia Yuan più di cento frati francescani furono mandati in Estremo Oriente ma solo pochi di essi arrivarono in Cina. Giovanni da Monte Corvino29 (1247-1328) fu tra questi. Egli era stato mandato dal Papa a predicare il Vangelo nei territori del Gran Khan. Passò trentaquattro anni a Pechino (1294-1328) e in questo periodo convertì un migliaio di persone. Insignito della dignità di arcivescovo con ampi poteri, consacrò vescovi tre frati che gli erano stati inviati come aiutanti nel 130730 e li mandò a Quanzhou, città cosmopolita dove vivevano genti di molte nazionalità.

I vescovi mandati da Pechino a Quanzhou erano Pellegrino da Castello,31 un certo Gerardo e Andrea da Perugia.32 Di essi ci rimangono due lettere, una di Pellegrino e una di Andrea.

Da queste lettere apprendiamo che nel 1313 il vescovo Gerardo fu mandato a Quanzhou per reggervi la comunità cattolica. Questa comunità non doveva essere piccola se, un anno dopo, Monte Corvino sentì la necessità di inviare anche Pellegrino e Andrea ad aiutare Gerardo. Pellegrino successe a Gerardo come vescovo a capo della diocesi alla sua morte nel 1318. Il suo posto fu preso poi, nel 1323 da Andrea che, per quanto ne sappiamo, fu l’ultimo vescovo e stette là fino

27 Polo, 1954, p. 374.

28 Yang, 1995, b, pp. 25-35.

29 Di Giovanni da Monte Corvino restano alcune lettere, pubblicate in Wyngaert 1929, a, I, pp. 335-355;

per una maggiore informazione sulla sua vita e la sua opera di missionario si vedano Yule, 1866, vol. I, pp. 165-182; Caterino, 1827; Silvestri, 1954; Müller 1988; Di Rienzo, 1993; Acts…, 1995; Sella, 2002, pp. 475-502.

30 Yule, 1866, vol. I, p. 170.

31 La lettera di Pellegrino da Castello è in Wyngaert, 1929, d.

32 La lettera di Andrea da Perugia è in Wyngaert, 1929, a, I, pp. 335-355. Su di lui si veda Civezza, 1859,

alla morte, avvenuta nel 1326. Nel frattempo un altro frate italiano, anch’egli ordinato vescovo, Pietro da Firenze, era stato mandato nel 1312. Questi ed Andrea si sarebbero divisa la cura pastorale di Quanzhou, soprintendendo ciascuno ad uno dei conventi della città.33

Nel gennaio 1326, pochi mesi prima di morire, Andrea scrisse una lettera al Guardiano del suo convento di Perugia, lettera che ci è pervenuta. Da questa lettera abbiamo notizie sulle difficoltà incontrate e sulla sua attività a Quanzhou. Secondo Andrea una grande chiesa era stata costruita a spese di una ricca signora armena. Quindi la comunità accoglieva anche cristiani di Armenia, ancorché scismatici. La stessa signora aveva dato in uso ai Francescani il terreno dove sorgeva la chiesa, terreno che lasciò loro alla sua morte.

Questa chiesa si trovava in città, ma Andrea non aggiunge alcun elemento per identificarne l’ubicazione. Egli aggiunge che, dopo il suo arrivo a Quanzhou, quando Pellegrino era ancora vivo, aveva costruito un’altra chiesa con un annesso monastero dove potevano essere alloggiate fino a venti persone, fuori della città ma non lontano dal centro, vicino a una foresta, a un quarto di miglio dalle mura. Grazie a una pensione che gli veniva pagata dal governo imperiale poteva vivere senza problemi economici. La pensione era sufficiente per le sue necessità giornaliere e ne avanzava al punto che aveva potuto usarne una parte per la costruzione del monastero. Egli passava il suo tempo parte nella chiesa in città e parte nel nuovo monastero, che egli preferiva perché, scrive, era dotato di comodità maggiori che qualsiasi monastero in Italia.

La pietra tombale di Andrea è stata scoperta a Quanzhou nel 1946. Essa è scritta in latino e, ancorché oggi molto danneggiata, non ci sono dubbi sulla sua autenticità.34

Il testo, soprattutto, è danneggiato e non può più essere letto, Ad ogni modo quando fu scoperta la pietra esso fu letto e diceva:

Hic in … sepultus est Andreas perusinus devotus ep. Cayton … ordinis fratrum min Jesus Christi Apostolus … in … mcccxxxii

Molte altre pietre provenienti da chiese francescane a Quanzhou sono state scoperte ma nessuna con iscrizioni in latino.35 Ma possiamo essere sicuri che

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 161-181)