2.2 Evoluzione istituzionale dell’azione esterna e dello strumento
2.2.4 Da Maastricht a Lisbona
Alla fine degli anni ’80 la Comunità viveva un periodo di boom economico che rimise in moto le economie degli Stati membri, indeboliti dalle spese sostenute per far fronte alle varie sfide economiche degli ultimi vent’anni. Alcuni strascichi di queste crisi erano comunque presenti, e ad essi gli Stati fecero fronte grazie al ricorso massiccio al debito, fenomeno che contribuì a indebitare fortemente le già in crisi economie europee.106 Al quadro economico va aggiunto quello politico, con l’inizio del nuovo decennio che portò due fondamentali novità nello sviluppo degli eventi internazionali: la dissoluzione dell'URSS (preceduta dalla frammentazione delle democrazie popolari) e la riunificazione della Germania. Questi due eventi aprirono a quella fase storica che gli studiosi di Relazioni Internazionali definiscono post-bipolare.
Nel giugno 1989 il Consiglio europeo aveva analizzato il rapporto Delors sull’Unione economica e monetaria, ma non aveva fissato una data per poter continuare con questo progetto. Il processo fu portato avanti dalla coppia Mitterrand-Khöl; il Presidente tedesco decise di cedere alle pressioni di Mitterrand al Consiglio europeo di Strasburgo e venne fissato l’inizio di una conferenza intergovernativa sull’UEM per il dicembre 1990. A questo punto, grazie al Parlamento europeo, si aprì il dibattito sull’opportunità di affidare ad una conferenza intergovernativa anche il compito di discutere su un possibile avanzamento sul fronte dell’unione politica. Belgio, Francia e Germania erano a favore, mentre Portogallo e Regno Unito meno. La Presidenza italiana del Consiglio, tra giugno e dicembre 1990, ebbe l’onere di organizzare le proposte dei Paesi membri sul tema.
104 S. J. Nuttall, Yearbook of European Law, Clarendon Press, Oxford 1983, p. 258. 105 G. Edwards, op. cit. p. 313.
45 Tralasciando le discussioni sull’UEM che, a parte qualche proposta in senso totalmente opposto che arrivava dalla Gran Bretagna, erano sostanzialmente orientate tutte nello stesso verso, la discussione sull’unità politica dimostrava un pensiero sull’unità europea totalmente diverso per ogni Paese membro. La Francia vedeva, come la Germania, un’unità basata sostanzialmente su politica estera e difesa, ma a differenza dei tedeschi che auspicavano un sistema federale, essi difendevano un progetto che lasciava ancora in primo piano le sovranità nazionali, differenza che si nota ancor di più se si guarda alla diversa percezione del ruolo dell’Unione europea occidentale). I negoziati vedevano contrapporsi quindi tre posizioni principali. Vi erano coloro che difendevano una impostazione intergovernativa per la Comunità e atlantica per la difesa (e quindi con un forte parallelismo con Washington e con l’UEO incarnata nella NATO); in questa posizione si ritrovavano la Gran Bretagna, il Portogallo, la Danimarca e l’Irlanda. C’erano poi i comunitari-europeisti (soluzione comunitaria per le decisioni e UEO indipendente), nei quali figuravano l’Italia, la Spagna, la Grecia, il Belgio e il Lussemburgo. Infine, vi era la Francia che puntava su soluzioni intergovernative ed europeiste, cioè un sistema politico intergovernativo con il controllo di una propria difesa, senza la dipendenza dalla NATO. La Germania dell’Ovest non aveva una posizione definita mentre l’Olanda adottò una posizione comunitaria e atlantica.107
Oltre a questi problemi nel corso dei negoziati, a contribuire alla discussione furono due eventi importanti nell’area di influenza della Comunità e dei suoi Stati membri. La Guerra del Golfo e la crisi jugoslava nel 1990 dimostrarono l’incapacità della configurazione di politica estera della Comunità, facendo anche riflettere sul suo futuro impiego. In questa fase storica dell’integrazione europea gli Stati europei furono trascinati dall’azione statunitense, sia nelle questioni militari che nelle sanzioni economiche. Alla fine, la soluzione sul fronte della difesa si trovò con un compromesso annunciato al Consiglio atlantico di Roma del 1991, con cui gli USA accettarono una “identità di sicurezza europea, ottenendo in cambio il riconoscimento del primato della NATO: la UEO era insieme pilastro europeo della NATO ed elemento dell’Unione, che tuttavia non aveva su di essa alcuna autorità diretta.”108
107 E. Calandri, M. E. Guasconi, R. Ranieri, op. cit. p. 251. 108 Ivi, p. 251.
46 Il 7 febbraio 1992 venne firmato a Maastricht il Trattato sull’Unione europea. Con questo nuovo trattato si fecero passi avanti dal punto di vista istituzionale, con la nuova struttura (Comunitario, PESC e Affari interni e Giustizia), l’introduzione della cittadinanza europea e l’Unione economica e monetaria. Si trattò di uno dei Trattati più importanti nella storia dell’integrazione, con l’aumento sensibile dei poteri del Parlamento e l’introduzione della co-decisione tra esso e il Consiglio. Venne istituito il Comitato delle Regioni e la Comunità in sé accrebbe le aree di intervento. La parte che più rileva per la nostra analisi è però relativa alla PESC, la nuova Politica Estera e di Sicurezza Comune, che ha ereditato gli strumenti e le responsabilità della CPE.
Purtroppo, i miglioramenti della politica estera non furono comunque all’altezza delle sfide che il sistema internazionale stava sottoponendo agli Stati europei.109 Comunque, le novità implementate contribuirono a formare sempre più un’infrastruttura di politica estera sempre più performante.110 Non fu abolita l’unanimità per le decisioni in questo settore, ma si aprì alla possibilità di applicazione delle azioni congiunte con la sola maggioranza.111 Si mantenne inoltre il collegamento tra Commissione e PESC. Per quanto riguardava la difesa militare, la PESC poteva chiedere alla UEO di implementare le proprie decisioni, ma la UEO rimaneva una semplice costola della NATO, priva di una vera e propria capacità d’azione indipendente.
Per quanto riguarda le sanzioni, l’introduzione della PESC permise di rafforzare legalmente le decisioni comuni dell’Unione. Nel caso di Risoluzione ONU che preveda l’implementazione di sanzioni economiche, infatti, la PESC potrebbe intervenire con una decisione che individua obiettivi, destinatari e ragioni delle misure, e la decisione verrebbe poi presa in carico dalla Commissione europea che, eventualmente, l’adotterà. Questa procedura ha una sola eccezione: gli embarghi di armi e le restrizioni mirate per la libera circolazione (i cosiddetti travel ban) sono infatti portati avanti a livello statale. La procedura per le sanzioni autonome dell’UE è la stessa, senza ovviamente il passaggio iniziale della Risoluzione ONU. Al Consiglio europeo di Edimburgo del 1992 furono
109 B. Olivi, op. cit. p. 390.
110 P. V. Dastoli, G. Vilella, La Nuova Europea, dalla Comunità all’Unione, Il Mulino, Bologna, 1992, p.
113.
111 Il Trattato aveva introdotto la distinzione tra azioni congiunte e posizioni comuni. Le prime avevano il
compito di mostrare alla comunità internazionale un unico attore e un’unica decisione di agire insieme in merito ad un qualsiasi problema di politica estera. La seconda invece puntava a dare una dichiarazione su problemi generali.
47 evidenziati come aree di sviluppo futuro gli “economic aspects of security”, aspetto da rivalutare anche attraverso una riesamina di tutte gli embarghi UE e ONU attivi. Nel maggio 1998, si rese necessaria l’adozione di un Codice di Condotta sull’esportazione di armi mentre l’anno successivo si rimise il processo decisionale nell’adozione delle sanzioni al centro del dibattito, grazie al conflitto in Kosovo che palesò alcuni seri ritardi nella risposta europea. Anche l’istituzione dell’Alto Rappresentante per la PESC da parte del Trattato di Amsterdam in un certo senso segnalava che progressivamente la questione dello strumento sanzionatorio stava ritornando nelle agende dell’integrazione europea. All’inizio del nuovo millennio, quando furono presentati i documenti strategici “A Secure Europe in a Better World” o la “Strategia di sicurezza europea”, non c’era nessun riferimento alle misure restrittive, né ci fu menzione di un collegamento ad essi o tra essi e la PESC quando il Consiglio presentò le “Linee guida sull’uso delle sanzioni” nel dicembre 2003. A partire da questi anni, comunque, possiamo rilevare una nuova fase nella politica sanzionatoria dell’UE, che identifica nelle misure restrittive un’alternativa all’uso della forza (rinforzando l’immagine di quella che alcuni studiosi chiamano “potenza civile”). In questo senso, nelle linee guida il Consiglio ha previsto la possibilità della creazione di un working group per lo studio delle best practices sulle sanzioni e per valutarne l’efficacia. A questo scopo, uno dei suoi compiti sarebbe quello di evidenziare cosa andrebbe migliorato nello strumento per renderne l’impatto e l’efficacia adatti ai suoi obiettivi.112 Il gruppo è stato formato nel gennaio 2004 con il nome di RELEX/Sanctions, e la sua istituzione ha incontrato anche un certo disagio negli Stati membri, date le sue funzioni sopranazionali in una questione ancora fortemente intergovernativa.113