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Le Sanzioni dell'Unione Europea: il caso del nucleare iraniano e l'azione diplomatica europea

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Politiche

Laurea Magistrale in Studi Internazionali

LE SANZIONI DELL’UNIONE EUROPEA

IL CASO DEL NUCLEARE IRANIANO E L’AZIONE

DIPLOMATICA EUROPEA

Studente:

P

AOLO

L

EONI

Docente Relatore:

Prof.ssa M

ARINELLA

N

ERI

G

UALDESI

ANNO ACCADEMICO 2016-2017

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(3)

“Nevertheless, sanctions may be feel better than nothing: they are less feeble than scolding an ambassador and less bloody than sending in the marines. They provide a frisson of moral satisfaction.” Rose Gotemoeller

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1

S

IGLE E ABBREVIAZIONI

AEOI Atomic Energy Organization of Iran

CdS Consiglio di Sicurezza

CEE Comunità Economica Europea

CIA Central Intelligence Agency

COARM Council Working Group on Conventional Arms Exports

COREPER Comitato dei Rappresentanti Permanenti

CPE Cooperazione Politica Europea

CTBT Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty

E3\EU3 Gruppo di Stati composto da Francia, Gran Bretagna e Germania

ENTEC Esfahan Nuclear Technology Center

FMI Movimento Per la Libertà dell’Iran IAEA International Atomic Energy Agency

ICC International Chamber of Commerce

JCPOA Joint Comprehensive Plan of Action

JEC Joint Economic Commission

JPOA Joint Plan of Action

LEU Low Enriched Uranium

MW Mega Watt

NATO North Atlantic Treaty Organization

NIE National Intelligence Estimate

NPT Non Proliferation Treaty

ONU Organizzazione delle Nazioni Unite

P5+1 Gruppo di Stati formato dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania.

PESC Politica Estera e di Sicurezza Comune

PESD Politica Europea di Sicurezza e Difesa

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2

ROSATOM Russian Federal Atomic Energy Agency

SAMA Stati Africani e Malgasci Associati

SEAE Servizio Europeo per l’Azione Esterna

SWIFT Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication

TCA Trade and Cooperation Agreement

UE Unione europea

UEM Unione Economica e Monetaria

UEO Unione Europea Occidentale

URSS Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche

USA United States of America

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3

I

NTRODUZIONE

Il contesto internazionale all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale ha visto la trasformazione dei rapporti multilaterali in una progressiva bipolarizzazione. Quest’ultima si è costituita tra le due superpotenze statunitense e sovietica, superpotenze che hanno ridimensionato la dialettica internazionale in due blocchi contrapposti. All’interno del blocco occidentale, il ruolo dell’Europa dell’Ovest si delinea come attore fondamentale, anche per la posizione geopolitica e per i legami costruiti appositamente tramite altre organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’Alleanza Atlantica. La nascita della Comunità Economica Europea ha poi instaurato un percorso di crescita istituzionale in vista di una unione politica utile a trasformare il Vecchio Continente in una entità sovranazionale capace di affrontare e sostenere le sfide internazionali.

In vista di un obiettivo così ambizioso alcune politiche, fondamentali per una entità con queste aspirazioni, hanno iniziato ad essere condivise con la struttura europea. È il caso della politica estera, che con le sue evoluzioni è arrivata ad essere quantomeno coordinata a livello sovrastatale da Bruxelles, attraverso la Politica Estera e di Sicurezza Comune. Il significato di queste innovazioni non può che essere quello di permettere alla Comunità/Unione di agire sempre più come uno Stato singolo nel proseguo della sua unificazione politica. E sempre nella stessa ottica vanno inquadrati gli strumenti che solitamente uno Stato possiede per influenzare gli sviluppi internazionali e per affermare il proprio ruolo all’interno di una Comunità di Stati.

La Comunità/Unione ha privilegiato un approccio da Soft Power, scartando l’uso della forza militare e dando quindi più rilievo ad azioni diplomatiche e di mediazione delle parti, anziché di minaccia di interventi militari. Parte di questo approccio è sicuramente l’uso che la Comunità ha fatto delle sanzioni internazionali dalla prima applicazione fino ai giorni nostri.

Le prime testimonianze di un utilizzo compiuto delle sanzioni economiche lo ritroviamo già nella Grecia antica. Le caratteristiche dello strumento sanzionatorio non vengono però analizzate prima del ‘900, secolo in cui la Società delle Nazioni prima, e le

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4 Nazioni Unite poi hanno avviato un suo utilizzo in modo più concertato e universale, rispetto ai secoli precedenti. Parallelamente alla sua riscoperta come mezzo di influenza delle azioni di altri attori internazionali, varie discipline si sono approcciate allo studio delle sue regole e dinamiche, prima fra tutte la disciplina delle Relazioni Internazionali. In questo elaborato, che rimane fondamentalmente storico come struttura, abbiamo tuttavia scelto di dedicare il primo capitolo ad una breve disamina delle principali correnti di studio teoriche, per meglio inquadrare lo strumento delle sanzioni in riferimento a costi, obiettivi, definizione e prassi.

Lo studio dell’evoluzione istituzionale della politica estera europea ci permetterà poi di inserire questo strumento in seno all’azione esterna della Comunità, ovviamente ponendo il focus sulla nascita della Cooperazione Politica Europea e sulle prime attuazioni. Queste ultime non sono state solamente concertate in sede comune e implementate in sede nazionale, come succedeva prima degli anni ’80, ma, con l’attribuzione della competenza della Comunità nella definizione delle restrizioni al mercato comune, si caratterizzano per essere poste in essere direttamente da Bruxelles.

Nell’evoluzione della prassi dell’Unione europea studieremo alcuni casi importanti per verificare se l’azione di politica estera dell’Unione sia stata determinante o meno al raggiungimento di alcuni obiettivi dell’Unione stessa o di suoi alleati. Il principale caso che analizzeremo in questa sede riguarda la questione del nucleare iraniano, questione decennale che ha subito un’escalation nei toni e nelle risposte della comunità internazionale al programma di arricchimento dell’uranio di Teheran a partire dal 2003. Si cercherà di capire, attraverso un’analisi principalmente storica, se il ruolo dell’Unione europea nell’avvio dei negoziati nella ricerca di una via diplomatica alla crisi, con la costituzione del gruppo E3, poi EU3 e infine P5+1, e nell’azione sanzionatoria parallelamente condotta, sia stato determinante nel raggiungimento dello storico accordo del luglio 2015.

L’approfondimento di questi interrogativi avverrà attraverso quattro capitoli. Nel primo, come accennato, verranno analizzati lo strumento sanzionatore e le sue caratteristiche da un punto di vista prettamente politologico. Si analizzeranno le varie definizioni che nel tempo autorevoli studiosi hanno dato delle sanzioni, le principali correnti di ricerca nel campo delle Relazioni Internazionali sul tema, gli obiettivi e i costi. In seguito, ci concentreremo sui principali tipi di sanzioni internazionali, passando dalle

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5 sanzioni negative alle smart sanctions, e come gli Stati ai quali vengono indirizzate possono rispondere ad esse.

Il secondo capitolo si focalizzerà sull’uso che la Comunità europea e l’Unione hanno fatto di questo strumento, l’evoluzione della politica estera e i primi casi di un utilizzo esteso e concordato.

Il terzo e quarto capitolo saranno infine incentrati sulla questione iraniana, con un excursus storico per quanto riguarda il percorso del programma nucleare in Iran fino ai giorni nostri e una contestualizzazione dell’Iran odierno all’indomani della Rivoluzione Islamica del 1979. Concludendo, analizzeremo l’azione diplomatica mondiale ed europea in riferimento al tema e il modo in cui l’Unione europea si sia mossa sia dal punto di vista diplomatico, che come attore sanzionatore, nei confronti di Teheran.

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6

Capitolo 1

L

E SANZIONI

E

CONOMICHE

T

RA

T

EORIA E

S

TORIA

“I want you to realize that this war was won not only by the armies of the world. It was won by economic means as well. Without the economic means the war would have been much longer continued. What happens was that Germany was shut off from the economic resources of the rest of the globe and she could not stand it. A nation that is boycotted is a nation that is in sight of surrender. Apply this economic, peaceful, silent, deadly remedy and there will be no need for force. It is a terrible remedy. It does not cost life outside the nation boycotted, but it brings a pressure upon that nation which, in my judgment, no modern nation could resist.”

Woodrow Wilson

1.1 Definizione e aspetti teorici

Prima di addentrarci nell’analisi dell’applicazione dello strumento sanzionatore all’interno della Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, è opportuno delinearne gli aspetti politologici e teorici, per poterne così comprendere più a fondo gli effetti e le dinamiche. La casistica precedente a quella dell’Unione europea, ad opera in particolar modo degli Stati Uniti, fornisce infatti un buon quantitativo di materiale, sul quale gli studiosi hanno svolto diverse ricerche, con diverse conclusioni. Ancora non è chiaro infatti quale sia l’efficacia dello strumento sanzionatore, ma del resto neanche esiste una definizione comune nella quale far rientrare casistiche simili (fatto che aiuterebbe non di poco la ricerca nel campo). Per la natura di questa Tesi e del caso di studio, si analizzeranno in prima istanza le Sanzioni economiche negative.

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7 1.1.1 Uno strumento antico senza un significato comune

Le sanzioni economiche non hanno avuto molto successo nella ricerca politologica, data la difficoltà metodologica nella misurazione di impatto ed efficacia. Inoltre, non c’è una definizione universalmente riconosciuta, fatto che impedisce ancora di più il raggiungimento di un univoco metodo di ricerca. Per James Barber “[the] economic sanctions are economic measures directed to political objectives”,1 mentre per Johan

Galtung sono: “actions initiated by one or more international actors (the senders) against one or more others (the receivers)”.2 Già nella definizione di Galtung si può notare come si aggiunga un elemento che la definizione minimale di Barber non aveva preso in considerazione. Si parla infatti di uno o più attori internazionali, che possono sia comminare che ricevere sanzioni. Lindsay aggiunge un altro elemento, utile per distinguere le sanzioni dalla pressione economica nascosta, e cioè la pubblicità delle sanzioni.3 Anche interrompere (o la minaccia di interrompere) gli scambi commerciali e finanziari potrebbe essere una definizione di sanzione, anche se non prende in considerazione quel tipo di sanzioni che vanno oltre l’effetto economico, come le sanzioni diplomatiche.4 Combacau ha introdotto, come motivazione delle sanzioni, il fatto che il comportamento dello Stato sanzionato sia contrario al diritto internazionale.5 Ma in pratica, anche se spesso coincidenti, le sanzioni scattano più per una valutazione soggettiva da parte dello Stato promotore sul comportamento sanzionato, che per una rigorosa applicazione del diritto internazionale. Brendan Taylor cerca di fare più chiarezza, e citando Baldwin spiega gli elementi che dovrebbero comporre la definizione di sanzione:

Firstly, […], in order to qualify for inclusion within this category of statecraft the type of policy instrument used has to be economic. Where sanctions are concerned, it is generally assumed that trade (including travel and arms sales) and/or financial measures are involved. Secondly, the domain of the influence attempt is usually another, or more than one, international actor. While the nation state was still widely regarded as the primary

1 J. Barber, “Economic Sanctions as a Policy Instrument”, International Affairs, Vol. 55 n. 3, luglio, 1979,

p. 367.

2 J. Galtung, “On the Effects of International Economic Sanctions: With Examples from the Case of

Rodhesia”, World Politics, Vol. 19 n. 3, aprile, 1967, p. 379.

3 J. M. Lindsay, “Trade Sanctions As Policy Instruments: A Re-Examination”, International Studies

Quarterly, Vol. 30 n. 2, giugno, 1986, pp. 153-173.

4 G. C. Hufbauer, J. J. Schott, K. A. Elliott e B. Oegg , Economic Sanctions Reconsidered, Washington, D.

C. 2007.

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8

unit of analysis in international politics when Baldwin first developed his schema, it is generally now taken for granted that significant non-state actors – such as criminal syndicates and terrorist groups – can also be the target of such influence attempts. The final component of Baldwin’s framework is the scope of the influence attempt, which ought to encompass some dimension of that entity’s behaviour (including its beliefs, attitudes, opinions, expectations, emotions and propensities to act). Following this approach, […] a sanction will be defined as ‘an economic instrument which is employed by one or more international actors against another, ostensibly with a view to influencing that entity’s foreign and/or security policy behaviour”.6

Accettando questa definizione, si può inserire in essa tutta quella serie di azioni (che, come dice giustamente Combacau, non hanno neanche una definizione giuridica)7 che gli

Stati nel tempo hanno utilizzato per cercare di modificare il comportamento di un altro attore internazionale, anche se gli obiettivi possono essere vari, come vedremo. Al di là del significato tendente all’empirico che questi autori si sforzano di creare, possiamo dire che le sanzioni hanno un utilizzo tra il soft e l’hard power, tra le azioni di protesta diplomatica e la dichiarazione di guerra, tra non fare niente e fare troppo (anche se c’è chi evidenzia che le sanzioni vadano usate solo quando possono essere abbinate all’uso della forza, diventando così però uno strumento di violenza)8. In un sistema internazionale sempre più restio all’uso della forza e alle spese che questa comporta l’uso dello strumento sanzionatorio ha trovato sempre più il suo ideale esplicarsi. Questo discorso si applica soprattutto, come vedremo, all’attuale configurazione geopolitica dell’Unione Europea, che sfrutta le sanzioni, e alcuni suoi tipi in particolare, per proiettare sullo scacchiere internazionale la sua personale visione del mondo o almeno quello che ne deriva dalla somma delle sue parti.

1.1.2 Il mostro a tre teste della ricerca sulle sanzioni

La difficoltà nella scelta di una definizione univoca è spiegata dal fatto che la ricerca politologica sulle sanzioni sia divisa in tre parti. Al momento, nessuna di queste tre scuole si è affermata sulle altre, ed è questo che crea la vaghezza concettuale intorno a questo tema. L’applicazione sempre più frequente delle sanzioni è però relativamente troppo

6 B. Taylor, Sanctions as Grand Strategy, Routlege, Abingdon 2010.

7 Cito: “The concept of sanction [...], as important as it may be, [...] remains legally indeterminate: both

common practice and commentators describe some consequences of the violations of international rules as sanctions, but they are not designated by that name in any text considered authoritative in terms of general international law.” in C. Combacau, “Sanctions”, in Ecyclopedia of Public International Law, R. Bernhardt, Amsterdam 1992.

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9 recente e questo non permette di avere sufficienti casi di studio; inoltre manca anche una metodologia più empirica.

Fondamentalmente si sono delineati nel tempo tre approcci. Essi cercano di spiegare lo status dello strumento sanzionatore come strumento di politica estera così ampiamente utilizzato:

1. Il primo è adottato dagli studiosi che pensano che le sanzioni non producano effetti utili.

2. Ci sono poi quelli che attribuiscono loro un’efficacia fondamentalmente simbolica. 3. Infine, abbiamo gli studiosi che pensano che, abbinate ad una serie di circostanze e

in un determinato contesto, le sanzioni possano funzionare.

La scuola dei pessimisti riguardo all’efficacia delle sanzioni è la più numerosa. Questi autori, primo tra tutti Johann Galtung, hanno studiato l’efficacia dello strumento grazie ad alcuni casi empirici e ne hanno decretato la non efficacia, perché le sanzioni non sono state in grado di modificare il comportamento del “targeted State”, obiettivo per loro primario delle misure. Secondo Galtung, infatti, i principali motivi che impedirebbero il cambiamento sono la possibilità del “rally around the flag”9 e la possibilità da parte dello

Stato sanzionato di rispondere alle sanzioni con alcune azioni. Il problema più grande è che alcuni meccanismi impediscono alla misura di ottenere un’applicazione universale. Per Galtung, perché una sanzione sia efficace deve necessariamente avere il carattere di universalità. “The argument is that economic sanctions have failed because they were not universal; some countries did not participate, or some other way of circumventing the sanctions was found (smuggling, use of third parties, and so on).”10

Il secondo filone di pensiero prende in prestito una intuizione di Galtung, il quale cerca di giustificare il fatto che i policy maker continuino a utilizzare le sanzioni nonostante queste non funzionino. Egli spiega che probabilmente i leader di una nazione, nel momento in cui si verifichi uno sconvolgimento internazionale nel quale l’opinione pubblica si aspetta un intervento, sfruttino il “range of useful symbolic or ‘expressive’ functions”.11

9 È un effetto “collaterale” dell’uso delle sanzioni. I leader dello Stato colpito infatti riuscirebbero a

incanalare il malcontento popolare prodotto dalle misure a proprio vantaggio, reindirizzandolo verso i promotori delle sanzioni.

10 J. Galtung, op. cit., p. 411.

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10 Infine, vi è la corrente di pensiero che sostiene che le sanzioni possono funzionare. Possiamo collocare la nascita di questa corrente insieme all’apparizione della contemporanea concezione di sanzione economica, cioè nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale, dove gli orrori della Guerra avevano creato un clima di speranza, soprattutto negli ambienti della Società delle Nazioni.

Dopo l’ottimismo degli anni ’20, l’interesse per lo studio delle sanzioni economiche ha subito un arresto. In seguito, la ricerca sul tema si è sviluppata durante tre diversi periodi, nei quali gli studiosi hanno aggiornato la teoria grazie anche ai sempre più disponibili case studies. La pausa durerà almeno fino agli anni ’60, ma per quanto riguarda il filone “ottimista” bisognerà aspettare il lavoro di Hufbauer, Schott ed Elliott perché qualcuno sostenga una qualche utilità delle sanzioni.12 Negli anni ’90, sulla scorta di questo studio rivoluzionario e anche grazie alla fine del bipolarismo numerosi altri studiosi si sono dedicati allo studio della materia. Le aree di ricerca nel settore si sono concentrate nel fare chiarezza su quali condizioni erano necessarie alle sanzioni per funzionare. Dagli anni 2000 in poi, invece, l’attenzione si è spostata su un aspetto delle sanzioni che in molti iniziavano a denunciare. Soprattutto dopo la Guerra del Golfo del 1990, si era notato come le sanzioni imposte all’Iraq avessero impattato non tanto su Saddam Hussein, ma più che altro sulla popolazione del Paese, che già versava in condizioni precarie. Infatti, queste misure adottano tipi particolari di sanzioni economiche, che provano a non far ricadere sulle popolazioni il peso delle scelte dei loro leader, molto spesso non eletti. Si parla dunque di “Targeted Sanctions” (o di “Smart Sanctions”), e si tratta in prevalenza di sanzioni finanziarie ed embarghi su alcune categorie di beni.

1.1.3 Gli obiettivi delle Sanzioni Internazionali

Come abbiamo visto, i tre filoni di pensiero divergono soprattutto su un tema: l’efficacia (o meno) delle sanzioni. Ma l’efficacia si misura rispetto ad un obiettivo che deve essere conseguito. Dunque, quali sono gli obiettivi delle sanzioni? Anche su questo aspetto non c’è una visione univoca; riporterò la visione degli Autori più rilevanti. Comunque sia,

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11 chiarire l’obiettivo, o gli obiettivi, che possono essere palesi o nascosti, delle sanzioni porta certamente un giudizio diverso sulla loro efficacia, caso per caso.13

Un altro aspetto importante da tenere in considerazione e sul quale gli studiosi si sono trovati d’accordo è che più l’obiettivo è ambizioso e meno le sanzioni saranno efficaci.14

Inoltre, possono avere molteplici obiettivi e conseguentemente riuscire in alcuni e fallire in altri.

Detto questo, è opportuno elencare i più importanti obiettivi che nella storia recente sono stati affidati allo strumento sanzionatorio. Ancora una volta le riflessioni di Johann Galtung ci aiutano ad aprire il dibattito. Per l’autore le sanzioni avrebbero fondamentalmente due scopi: il primo è quello di punire lo Stato sanzionato privandolo di qualcosa che lui considera di valore. Il secondo è di ottenere dallo Stato un certo comportamento rispetto a delle norme ritenute importanti dallo Stato sanzionatore. La riflessione continua con la considerazione che questi due obiettivi possano essere presenti contemporaneamente nella stessa misura sanzionatoria.15

James Barber inizia ad intessere una trama più elaborata riguardo agli obiettivi. Studiando in particolare tre casi (Società delle Nazioni vs Italia; Stati Uniti d’America vs Cuba; Regno Unito vs Rhodesia) interpreta gli obiettivi come rientranti in tre macro categorie:

There are ‘primary objectives’ which are concerned with the actions and behaviour of the state or regime against whom the sanctions are directed – the ‘target state’. There are ‘secondary objectives’ relating to the status, behaviour and expectations of the government(s) imposing the sanctions – the ‘imposing state’. And there are ‘tertiary objectives’, concerned with broader international considerations, relating either to the structure and operation of the international system as a whole or to those parts of it which are regarded as important by the imposing states.16

Per Barber, gli esempi perfetti per illustrare questi obiettivi sono appunto il caso dell’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, in cui le sanzioni avevano uno scopo

13 A questo riguardo, è molto interessante la visione di Elizabeth S. Rogers. L’Autrice infatti, criticando la

letteratura pessimista delle sanzioni, ne spiega tre “bias” che la caratterizzerebbero: il primo è che gli autori “pessimisti” prenderebbero in considerazione solo uno dei tre maggiori obiettivi che lo strumento potrebbe ottenere, e cioè l’obbedienza da parte dello Stato sanzionato. Inoltre, non prenderebbero in considerazione la funzione deterrente della minaccia della sanzione e generalizzerebbero il risultato negativo di un’applicazione delle sanzioni parziale, mettendola a confronto di un successo di una sanzione che magari ha necessitato di ben altri sforzi. Per un approfondimento vedi: E. S. Rogers, Using

Economic Sanctions to Prevent Deadly Conflict, Center for Science and International Affairs, 1996.

14 G. J. Ikenberry, V.E. Parsi, Manuale di Relazioni Internazionali, Laterza, 2011. 15 J. Galtung, op. cit.

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12 primario, che era quello di far cessare il comportamento negligente dell’Italia nei confronti di un altro Stato sovrano. Anche far ritornare la Rhodesia nella legalità dopo l’annuncio dell’indipendenza nel 1965 può rientrare nella prima categoria di obiettivi. Obiettivi secondari erano perseguiti dalle sanzioni messe in campo dagli americani contro Cuba, con la quale il Governo americano cercava di ravvivare il supporto interno. Infine, terziari per il Governo britannico per la questione dell’Abissinia e ovviamente per gli americani a Cuba per evitare il propagarsi del Comunismo in Occidente.

Nella seconda metà degli anni ’80 iniziano ad aumentare gli studi nel settore, e con questi si articola la suddivisione e categorizzazione degli obiettivi. James Lindsay, nel suo lavoro Trade Sanctions as Policy Instruments: a Re-Examination, cerca proprio di riesaminare le sanzioni non per il raggiungimento o meno di un obiettivo ma per valutare l’impatto dello strumento su alcuni specifici goals.17 Individua infatti cinque obiettivi

diversi:

 Obbedienza

 Sovversione del governo in carica  Deterrenza

 Simbolismo internazionale  Simbolismo interno

Fondamentalmente possiamo ritrovare la visione di Barber (che aveva tre obiettivi); infatti obbedienza, sovversione e deterrenza possono essere assimilati ai suoi “primary objectives”, simbolismo internazionale alla sua terza categoria e simbolismo interno alla seconda (obiettivi secondari).

Uno degli studi più completi sulle sanzioni, con più casi e in grado di valutarli con metodologia empirica è quello condotto da Hufbauer, Schott ed Elliott, il quale si propone di rivalutare le sanzioni economiche dopo le opinioni negative espresse dalla maggioranza dei colleghi. Per quanto riguarda gli obiettivi, elencano cinque possibili fini: il primo è quello di condurre lo Stato sanzionato ad un cambiamento di politiche, ma di basso livello (come la liberazione di un prigioniero politico o l’avvio di indagini su un caso a cui l’opinione pubblica internazionale tiene); il secondo, cambiare regime; il terzo è di scoraggiare una possibile avventura militare indesiderata; il quarto di indebolire

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13 militarmente l’avversario e infine di influenzare in modo pesante le politiche e i comportamenti dello Stato.

Un altro interessantissimo studio introduce un nuovo obiettivo che le sanzioni potrebbero perseguire: quello della prevenzione dei conflitti armati. I motivi per i quali questo obiettivo non è perseguito spesso sono il problema dell’identità e dell’isolamento dei soggetti sanzionati e la di per sé difficile natura della prevenzione di un conflitto armato. Il primo problema potrebbe però essere stemperato dall’utilizzo di sanzioni finanziarie e da una condizionalità alla concessione di aiuti da parte di istituzioni finanziarie internazionali per portare i Paesi che ne dipendono ad attuare politiche migliori nel campo dei diritti umani, della democrazia e della sicurezza.18

1.1.4 I costi delle Sanzioni Economiche

Come tutti gli strumenti di politica estera, anche le sanzioni economiche hanno un costo. L’importanza di questo aspetto è cruciale nella valutazione dello strumento stesso, ed è inutile dire che l’auspicio è quello di ottenere il miglior risultato con il minor costo possibile. Ovviamente i costi sono profondamente connessi agli obiettivi: “The smaller and more insignificant the object of sanctions, the less disruption will be caused by a ban on economic intercourse”19. Alcuni autori si sono concentrati sul fatto che oltre ai costi

imposti al bersaglio ci sono anche quelli che il fronte degli Stati sanzionatori deve sostenere. Quindi costi non solo per il promotore delle sanzioni, ma anche per i suoi alleati. Inoltre, c’è il fattore interno: i produttori ed esportatori maggiormente interconnessi con il mercato internazionale potrebbero non essere molto contenti delle misure sanzionatorie, perché vorrebbe dire meno guadagni e la perdita di mercati a favore di altri soggetti (i cosiddetti “black knight”). Anche il fattore democratico può pesare sulle scelte dei leader. In un Paese democratico, dove l’opinione pubblica conta molto, è necessario ottenere il consenso di quest’ultima non tanto per imporre le sanzioni ma per poterle mantenere il tempo necessario a costringere il bersaglio alla resa. Doxey argomenta che in un periodo di campagna elettorale, ad esempio, può essere molto difficile che uno Stato accetti di imporre delle sanzioni che possano pesare in modo significativo sulla propria economia.20

18 E. S. Rogers, op. cit.

19 M. P. Doxey, Economic Sanctions and Interntional Enforcement, MacMillan, 1980, Londra, p. 93. 20 Ibidem.

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14 Un altro aspetto che sottolinea è quello dei “Front Line States”. In effetti, gli Stati che sarebbero più danneggiati dalle sanzioni sono quelli che hanno maggiori legami economici con lo Stato sanzionato; solitamente quelli con maggiore vicinanza geografica.21

Per Lindsay ci sono inoltre molti altri costi politici che ricadrebbero sullo Stato sanzionatore. Per l’autore il primo “effetto indesiderato” è il rally around the flag, e cioè la capacità dei leader del Paese bersaglio di ottenere solidarietà da parte della popolazione e quindi di sfruttare a proprio vantaggio politico le sanzioni che invece avrebbero dovuto punirlo. Inoltre, le sanzioni potrebbero spingere lo Stato ad avvicinarsi sempre più ad attori internazionali ostili allo schieramento sanzionatore, fatto che potrebbe cambiare l’intero scenario internazionale. Anche un attacco da parte della nazione bersaglio potrebbe essere un costo che il paese sanzionatore deve mettere in conto quando si prepara ad imporre le sanzioni. Una delle risposte alle sanzioni, come vedremo, è spesso quella di diversificare l’economia del Paese, in modo da non poter essere bersaglio appunto di sanzioni mirate su alcuni particolari beni. Le sanzioni potrebbero poi preoccupare gli alleati che, come detto sopra, potrebbero soffrire molto più dello Stato sanzionatore le conseguenze della limitazione degli scambi. Da ultimo, l’autore elenca brevemente i costi economici per lo Stato promotore in caso di suddetta ristrutturazione.22

Da queste argomentazioni emerge un certo quadro generale: le sanzioni impongono costi sia agli Stati che le comminano, sia agli Stati oggetto delle misure. Inoltre, questi costi non sono solamente economici ma anche politici, e di non poco conto. Ma allora le sanzioni non andrebbero usate, perché costano troppo rispetto ai benefici che portano? Molti studiosi delle sanzioni la pensano in questo modo. Ci sono però altri che hanno portato argomentazioni diverse, argomentazioni che cercano in qualche modo di fare luce appunto anche sui costi relativi a queste misure.

In primo luogo, ci sono alcuni tipi di sanzione che non impongono costi al sanzionatore: si tratta delle sanzioni finanziarie e del taglio degli aiuti e crediti precedentemente promessi. Inoltre, non si può assolutamente dimostrare che i costi imposti agli Stati sanzionatori siano “alti”:

21 Ivi, p. 97-99.

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15

The National Foreign Trade Council (NFTC), an anti-sanctions organisation, has estimated that in 1987, U.S. economic sanctions cost the United States $7 billion in lost exports to the target states. Even if this is true, $7 billion is only a tiny fraction of the U.S. 1987 gross domestic product (GDP) and total U.S. exports. Moreover, the actual losses from these sanctions were certainly lower because some portion of the exports not sent to sanctioned sates were almost certainly sent to other markets.23

Ancora, se una misura sanzionatoria è applicata universalmente le imprese interne del fronte sanzionatore non avranno il costo da sopportare della perdita dei mercati a discapito di imprese di altri Stati, perché a loro volta staranno partecipando all’embargo. Ovviamente l’universalità è molto difficile da raggiungere, ma ci sono alcuni casi in cui lo sforzo congiunto ha visto dei risultati più che soddisfacenti. Infine, bisogna anche comparare i costi delle sanzioni con gli altri strumenti di politica estera. La preparazione e l’utilizzo della forza hanno un costo esorbitante se comparato a quello delle sanzioni, e l’efficacia non è sicuramente garantita.24

Invece, per quanto riguarda i costi sostenuti dai Paesi sanzionati, Hufbauer et al. hanno calcolato che in media il costo non supera i due punti percentuali del PIL in un caso su 4. A questo si devono unire le facili contromisure adottate, le quali comprendono il ricorso a nuovi mercati e il sostegno da parte di Stati che non partecipano alle sanzioni, senza dimenticare gli Stati che formalmente aderiscono ma che in pratica continuano ad effettuare un commercio più o meno sostenuto (“a sieve leaks like a sanction”). Comunque sia, nei casi di successo il costo sostenuto è quasi doppio rispetto ai casi falliti, e questo succede soprattutto nei casi con gli obiettivi più ambiziosi.25

1.2 Tipi e metodi delle Sanzioni Internazionali

1.2.1 Le Sanzioni Negative

L’uso assiduo nell’ultimo secolo di questo strumento ha permesso di plasmare quest’ultimo a seconda degli obiettivi che di volta in volta si prefiggeva. Le diverse tipologie di sanzioni negative hanno dunque la funzione di adattarsi, ognuna al meglio delle proprie caratteristiche, all’obiettivo ed al contesto nel quale andranno ad operare. Per

23 E. S. Rogers, Using Economic Sanctions to Prevent Deadly Conflict, Center for Science and International

Affairs, 1996.

24 La preparazione della Prima Guerra del Golfo è costata solamente per gli USA $68 milioni, e la

preparazione $52. Ricordiamo invece che tutte le sanzioni nel 1987 sono costate $7 milioni. Ibidem.

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16 questo motivo gli addetti all’implementazione delle sanzioni avranno un particolare interesse nell’identificare il più fedelmente possibile elementi quali la struttura economica e le relazioni economiche dello Stato oggetto delle sanzioni, di modo da capire i settori vulnerabili e meno integrati nel mondo globalizzato, le differenti percentuali di apporto al PIL nei diversi settori commerciali e le proporzioni tra importazioni ed esportazioni.26

Da questi dati e dalle sanzioni che di volta in volta sono state implementate, si ricava un elenco delle principali sanzioni negative adottate nella storia recente:

a) Sanzioni diplomatiche - Non riconoscimento

- Interruzione delle relazioni diplomatiche - Nessun contatto diretto con i leader

- Nessuna cooperazione nelle organizzazioni internazionali b) Sanzioni nella Comunicazione

- Interruzione delle telecomunicazioni - Interruzione dei contatti postali

- Interruzione dei trasporti (navali, aerei, ferroviari, stradali)

- Interruzione dei nuovi mezzi di comunicazione (radio; giornali; agenzie di stampa)

- Interruzione dei contatti personali c) Sanzioni economiche

- Annichilimento interno (sabotaggio economico, strikes)

- Interruzione degli scambi commerciali (boicottaggio economico)

a) Interrompere le importazioni dalla Nazione sanzionata (boicottaggio alle importazioni)

b) Interrompere le esportazioni verso la Nazione sanzionata (boicottaggio tramite le esportazioni)27

Hufbauer, Schott, Elliott ed Oegg prendono in considerazione in particolare le sanzioni economiche, le sanzioni finanziarie e il congelamento dei beni. Queste ultime due sono caratterizzate da un uso non frequente e piuttosto recente. Le sanzioni finanziarie riguardano in realtà più le sanzioni positive, essendo sviluppate sulla base della

26 M. P. Doxey, Economic Sanctions and international enforcement, MacMillan, 2nd Edition, Londra 1980. 27 J. Galtung, op. cit. p. 383.

(20)

17 concessione/ritiro di precedenti accordi di concessione di prestiti o aiuti. Il congelamento di beni invece è rilevante nelle sanzioni negative perché primariamente lavorano spesso in congiunzione con sanzioni economiche e, inoltre, registrano un utilizzo molto accentuato negli ultimi anni per la loro efficacia nel bersagliare particolari soggetti, senza creare sofferenze ad alcune porzioni innocenti delle popolazioni degli Stati bersaglio.28

1.2.2 Le ‘Smart Sanctions’

Nel così detto “decennio delle sanzioni”, gli anni ’90, l’applicazione e lo studio dello strumento sanzionatorio hanno raggiunto livelli elevati. Con essi, si sono posti in rilievo i difetti delle sanzioni e iniziati a studiare dei metodi che potessero prevenirli. Con questo scopo si sono individuati specifici tipi di sanzioni e ci si è posti l’obiettivo di utilizzarli al posto dei tipici embarghi, per esempio, in modo da evitare il più possibile il più grande problema dello strumento: colpire le popolazioni civili. L’esempio dell’Iraq del 1990 era bastato ai policy maker per convincerli ad usare le sanzioni con più attenzione.

Hufbauer e i suoi collaboratori definiscono così le “smart sanctions”: “sanctions that could be aimed at specific officials or government functions without damaging the overall economy and imposing exceptional hardingly relied on arms embargoes, travel bans, asset freezes, and selective banking sanctions.”29 L’idea insomma è quella di bersagliare

i Governi e i leader responsabili dei comportamenti oggetto delle sanzioni nel modo più preciso e veloce possibile.

Per Portela, si possono distinguere tre sotto tipi: le “personal sanctions” mirano a particolari individui i quali vengono inseriti in delle liste con i loro dettagli; solitamente, le misure associate sono l’impossibilità di viaggiare attraverso il blocco dei visti e il congelamento delle loro proprietà all’estero. Vi sono poi le “selective sanctions”; queste misure non sono dirette a particolari individui ma mirano a settori economici importanti. Ne fanno parte gli embarghi parziali, il divieto di importazione o esportazione di alcuni beni e le sanzioni finanziarie. Anche l’embargo aereo ne fa parte ed è spesso usato. Infine, ci sono le “diplomatic sanctions” e riguardano tutte quelle misure che ruotano attorno alla

28 G. C. Hufbauer, J. J. Schott, K. A. Elliott e B. Oegg op. cit. 29 Ivi, p. 138.

(21)

18 diplomazia tradizionale: ritiro degli ambasciatori, espulsione di militari, proteste formali nelle organizzazioni internazionali.30

1.2.3 Rispondere alle Sanzioni Negative

Nelle pagine precedenti ho cercato di chiarire i punti essenziali di questo strumento famoso ma allo stesso tempo poco conosciuto. Attraverso la sua definizione, gli obiettivi che potrebbe prefiggersi, i costi per sanzionatore e sanzionato e i tipi di sanzione possibili e più utilizzati speriamo di esser riusciti a riassumere le sue caratteristiche essenziali, utili per proseguire nel discorso delle sanzioni dell’Unione Europea. Per concludere questa parte elencheremo le misure che lo Stato sanzionato può adottare sia per prevenire danni sensibili, sia per limitarli direttamente una volta che le sanzioni sono state imposte.

Ancora una volta Johann Galtung ci parla della questione con una precocità e lucidità innegabili. In sostanza, argomenta la difesa dalle sanzioni con due principi: il primo enuncia tre strategie di risposta alle sanzioni; il secondo riporta in primo piano la sua “teoria revisionata”, e quindi tutto il discorso del “rally around the flag”.

Per quanto riguarda le tre contromisure la prima rimanda al concetto di “sacrificio”, e sfrutta le sanzioni per dare ai leader il pretesto per aggregare tutti i cittadini attorno ad un loro eroismo estremo in difesa del comportamento/politica sanzionata. Un’altra misura è la ristrutturazione dell’economia. Nel caso dell’applicazione di misure sanzionatorie ampie e partecipate, l’economia dello Stato sanzionato potrebbe subire una profonda trasformazione, creando le condizioni per l’emergere di nuovi protagonisti politici; a quel punto bisognerà vedere se le nuove élites saranno più propense a supportare le sanzioni o il governo. Infine, c’è la possibilità di giocare la carta del contrabbando, con la quale il Paese sanzionato può procurarsi i beni che un ipotetico embargo non lascerebbe entrare nel territorio. Per quanto riguarda il “rally around the flag” le sanzioni creerebbero appunto

“social and political integration. […] But this thesis is not unconditional. Thus it will probably not hold in traditional societies […] The theory also presupposes that there is strong support among the sectors that become dominant in a crisis economy, and it presupposes that smuggling is not entirely impossible.”31

30 C. Portela, The EU’s Use of ‘Targeted’ Sanctions; Evaluating Effectiveness, CEPS Working Document,

N. 391, marzo 2014.

(22)

19 Autori successivi hanno messo in chiaro che, data la lentezza a volte necessaria per adottare le sanzioni, spesso gli Stati hanno una finestra temporale utile per adottare contromisure efficaci. Doxey ci spiega le più comuni: la prima è quella di creare delle scorte dei prodotti di consumo che saranno probabilmente oggetto delle sanzioni e ovviamente non siano disponibili all’interno dello Stato ma solo da importazione. Sicuramente la misura è utile nel breve periodo ma in casi come l’embargo cubano le riserve diminuirebbero di poco l’impatto delle sanzioni. Una misura più avanzata è la diversificazione dei fornitori dei prodotti sensibili, di modo da impedire un totale embargo. Creare legami commerciali con Paesi al di fuori dell’influenza degli Stati sanzionatori può ovviamente aumentare la probabilità di un commercio continuato anche durante le sanzioni.32

Riprendendo Galtung, vi è poi la possibilità di diversificare la propria economia, in modo da dipendere meno dalle importazioni. Il Governo potrebbe poi incoraggiare lo sviluppo di un’industria interna con finanziamenti mirati e partecipazioni, oltre che investimenti nella ricerca per lo sviluppo di prodotti sostitutivi.

Per quanto riguarda le misure a difesa dello Stato contro le sanzioni ancora una volta il contrabbando viene valutato come una misura essenziale per la sopravvivenza dell’economia durante un embargo totale. In questa misura inizia ad essere fondamentale un supporto esterno che possa in qualche modo procurare i prodotti necessari allo Stato sanzionato. Se i vicini di quest’ultimo non fanno parte del fronte sanzionatorio, è un interesse prioritario del sanzionato assicurarsi il loro aiuto nell’evadere le sanzioni imposte. Da qui emerge la figura del “Black Knight”, ovvero di uno Stato che appunto aiuta uno Stato sanzionato più per ragioni politiche che economiche.33

Oltre agli strumenti menzionati sopra, lo Stato sanzionato potrebbe adottare anche le cosiddette “counter-sanctions”. Le forme più comuni sono le contro sanzioni finanziarie

32 M. P. Doxey,op cit.

33 “Black knights have been defined as fairly significant trade partners that, to some degree, must be

considered adversarial to the sender nation. That adversity could be based on the underlying issues behind the sanctions, or it could be based on other existent diplomatic tentions. [...] A black knight will use sanctions as an opportunity for pugilism, looking to augment its subversion against the sender nation.” In N. Anguelov, Economic Sanctions Vs Soft Power; lessons from North Korea, Myanmar and

the Middle East, MacMillan, 2015, p.12. Portela comunque argomenta che sono presenti momenti storici

in cui l’attività di grandi potenziali black knight, primi fra tutti Russia e Cina, è al minimo (portando l’esempio dei primi anni novanta), in C. Portela, Using Economic Sanctions to Prevent Deadly Conflict, Belfer Center for Science and International Affairs, Jhon F. Kennedy School of Government, Harvard University, 1996.

(23)

20 o l’espropriazione di proprietà presenti sul territorio e di proprietà di imprese o cittadini dello Stato sanzionatore. Infine, in aggiunta alla questione di Galtung della propaganda interna volta a formare una risposta nazionale unita alle sanzioni, Doxey aggiunge la propaganda esterna, con la quale lo Stato sanzionato cerca di ottenere sostegno all’estero attraverso pubblicità e gruppi di sostegno. Questo per indebolire il fronte sanzionatorio dall’interno, metodo particolarmente efficace nelle democrazie, data la loro dipendenza maggiore dall’opinione pubblica.

(24)

21

Capitolo 2

L’

USO DELLE

S

ANZIONI

I

NTERNAZIONALI NELL

’U

NIONE

E

UROPEA

2.1 Le sanzioni nell’Unione europea: definizione e prassi

Valutare l’utilizzo dello strumento sanzionatorio da parte dell’Unione europea non è facile, questo perché l’evoluzione istituzionale che ha caratterizzato l’Unione negli ultimi decenni ha determinato anche una prassi di politica estera e dei suoi strumenti di difficile comparazione. In questo capitolo ci occuperemo di definire brevemente questa evoluzione, di modo da poter avere gli strumenti conoscitivi per capire al meglio le dinamiche nei casi più importanti. In primo luogo, è opportuno definire come l’Unione europea abbia inteso lo strumento sanzionatore, il momento e contesto storico in cui ha iniziato a usarlo e la tendenza che l’Unione nel tempo ha sviluppato in questo utilizzo.

Possiamo ritrovare la definizione in un importante documento declaratorio dell’Unione sulle sanzioni:

We are committed to the effective use of sanctions as an important way to maintain and restore international peace and security in accordance with the principles of the UN Charter and of our common foreign and security policy. In this context, the Council will work continuously to support the UN and fulfil our obligations under the UN Charter.34

Nello stesso documento il Consiglio dell’Unione esplicita anche la preferenza per il termine di Misure Restrittive al posto di sanzioni (ma dalla definizione possiamo vedere

34 “Basic Principles on the Use of Restrictive Measures (Sanctions)”, Council of the European Union, 7

giugno 2004, doc. 10198/1/04, p. 2.

Se non c’è una Europa quando il mondo trema per le guerre, quando mai ce ne sarà una?

(25)

22 che i termini sono da considerarsi sinonimi); questo aspetto induce alcuni a valutare questa scelta terminologica alla luce della predilezione dell’Istituzione per il Soft Power.35

Iniziamo col dire che la prassi dell’Unione si divide in due opzioni: la prima prevede l’implementazione delle sanzioni per ovviare ad una mancanza di azione a livello internazionale, soprattutto quindi di fronte al silenzio del Consiglio di Sicurezza ONU in relazione ad un affare internazionale di comprovata gravità; si tratta di sanzioni autonome. La seconda prassi è invece opposta alla prima e vede le sanzioni a supporto di una decisione del Consiglio di Sicurezza.36 In questo caso, e in altri, alcuni autori hanno aperto all’ipotesi che l’UE agisca come agenzia regionale ONU.37 Inoltre l’Unione europea ha

dimostrato più volte di saper padroneggiare lo strumento del gold plating38 nell’aggiungere misure a quelle richieste o implementandole prima della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza.

Nel documento sulle sanzioni del 2004 il Consiglio europeo ha stabilito i casi in cui l’UE dovrebbe adottare sanzioni: per combattere il terrorismo; contro la proliferazione di armi di distruzione di massa; a difesa dei diritti umani, della democrazia, dello stato di diritto e della buona governance. Da qui si possono ottenere vari tipi di sanzioni:

 Embargo di armi  Divieto dei visti  Sanzioni finanziarie

 Sanzioni sulle importazioni  Sanzioni economiche selettive  Targeted Sanctions verso individui

 Sanzioni diplomatiche o verso eventi sportivi e/o culturali  Cessazione di aiuti allo sviluppo

35 J. Kreutz, op. cit. 36 C. Portela,op. cit.

37 Van Vooren B., Wessel R. A., EU external relations law; Text, cases and materials, Cambridge, aprile

2014.

38 Il gold plating in questo caso è l’adozione di sanzioni ulteriori prima o dopo l’adozione di una Risoluzione

dell’ONU che preveda misure minori. È una prassi fondamentale nei rapporti dell’Unione con le Nazioni Unite nel campo della sicurezza internazionale: “We will be pushing the EU to go further than the Security Council” a diplomat said. “We could ‘gold plate’ a Security Council resolution when we implement it at the EU level, although some other EU member states may be reluctant.” D. Dombay, R. Khalaf, J. Blitz, US Pushes EU to Shut Down Iranian Banks, Financial Times, 12 febbraio 2008. https://www.ft.com/content/4a472618-d991-11dc-bd4d-0000779fd2ac, consultato il 9/1/2018.

(26)

23 Dal 1980 sono state più di 100 le sanzioni economiche comminate dall’Unione europea; tra il 2004 e il 2015 una quarantina, distribuite su 27 Stati. Di seguito una tabella che mostra le principali dal 1980 al 2015:

Obiettivo Inizio Fine Causa Tipo di sanzione

Unione Sovietica

04.01.1982 1982 Intervento in Polonia Embargo

commerciale parziale Argentina 10.04.1982 14.06.1982 Conflitto con Regno

Unito

Embargo di armi; Embargo

commerciale Iran 30.03.1984 11.06.1985 Conflitto con l’Iraq;

Guerra non legittima

Embargo di armi chimiche

Iraq 30.03.1984 11.06.1985 Conflitto con l’Iran; Guerra non legittima

Embargo di armi chimiche

South Africa 26.07.1985 25.05.1994 Violenza; Violazione dei diritti umani

Embargo di armi avanzato; Embargo commerciale parziale Libya 27.01.1986 11.10.2004 Terrorismo Embargo di armi;

Restrizioni sugli ingressi; sanzioni diplomatiche

Syria 14.11.1986 28.11.1994 Terrorismo Embargo di armi China 27.06.1989 In corso Violazione dei diritti

umani Embargo di armi Myanmar 29.07.1990 In corso; rafforzate nel 2004 e nel 2013 Violazione dei principi democratici; Violazione dei diritti umani Embargo di armi; Restrizioni sugli ingressi; sanzioni finanziarie; Embargo commerciale parziale Iraq 04.08.1990 Sostituite nel

1992 e nel 2003

Conflitto con il Kuwait

Embargo di armi

Yugoslavia 05.07.1991 Sostituite nel 1992

Conflitto interstatale; Violazione dei diritti umani Embargo di Armi; Restrizioni sugli ingressi; sanzioni finanziarie; Embargo commerciale parziale; Embargo aereo Slovenia 05.07.1991 10.08.1998 Conflitto intrastatale Embargo di armi Croazia 05.07.1991 20.11.2000 Conflitto intrastatale Embargo di armi Macedonia 05.07.1991 20.11.2000 Conflitto intrastatale Embargo di armi

Bosnia-Herzegovina

05.07.1991 Sostituite nel 1997

Conflitto intrastatale Embargo di armi

Azerbaijan 28.02.1992 Sospeso dall’UE

Conflitto interstatale Embargo di armi

Armenia 28.02.1992 Sospeso dall’UE

Supporto del conflitto Azero

Embargo di armi

Zaire (DRC) 07.04.1993 Sostituite nel 2005 e nel 2010 Violazione dei principi democratici Embargo di armi; Restrizioni sugli ingressi

Nigeria 13.07.1993 31.05.1999 Violazione dei principi democratici;

(27)

24

Violazione dei diritti umani

Sudan 15.03.1994 Sostituite nel 2004

Non chiaro; Violazione dei diritti umani

Embargo di armi

Afghanistan 17.12.1996 Sostituite nel 2011

Conflitto intrastatale; Terrorismo;

Violazioni dei diritti umani

Embargo di armi

Bielorussia 09.07.1998 22.02.1999 Provvedimenti per il trattamento di personale UE

Restrizioni sugli ingressi

Etiopia 15.03.1999 16.05.2001 Conflitto con l’Eritrea

Embargo di armi

Eritrea 15.03.1999 16.05.2001 Conflitto con l’Etiopia

Embargo di armi

Indonesia 16.09.1999 17.01.2000 Violazione dei diritti umani

Embargo di armi

Zimbabwe 02.02.2002 Sostituite nel 2004 Provvedimenti per il trattamento di personale UE; Violazione dei principi democratici; Violazione dei diritti umani

Embargo di armi; Restrizioni sugli ingressi

Bielorussia 19.11.2002 11.04.2003 Provvedimenti per il trattamento di osservatori

internazionali

Restrizioni sugli ingressi

Moldova 27.02.2003 Sostituite nel 2010

Supporto al processo di pace

Restrizioni sugli ingressi

Iraq 2003 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali; Sospensione dell’aiuto allo sviluppo

Libya 2004 In corso Supporto al terrorismo; conflitto prolungato

Embargo di armi; Restrizione sui visti; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie Congo (DRC) 2005/2010 In corso Violazione dei

principi democratici; Violazione dei diritti umani Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali Costa d’Avorio

2005 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie

(28)

25

Libano 2005/2006 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi; Sanzioni economiche varie

Syria 2005/2006/2012/2013 In corso Supporto al terrorismo; Conflitto prolungato

Embargo di armi; Restrizione sui visti; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie Bielorussia 2006/2012 In corso Violazione di

principi democratici; Violzione dei diritti umani

Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Sanzioni economiche varie

Nord Corea 2007/2013 In corso Sviluppo di armi di distruzione di massa

Embargo di armi; Restrizione sui visti; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali; Sanzioni culturali Liberia 2008 In corso Violazione dei

principi democratici Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali Guinea 2009/2010 In corso Violazione dei

principi democratici; Violazione dei diritti umani

Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie Eritrea 2010 In corso Conflitto prolungato;

Altre violazioni Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli accessi; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali Iran 2010/2011/2012 In corso Sviluppo di armi di

distruzione di massa; Violazione dei diritti umani

Embargo di armi; Restrizioni sui visti; Sanzioni finanziarie; Restrizione sugli ingressi; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali Moldova 2010 In corso Sanzioni

post-conflitto per la promozione dei diritti umani

Restrizioni sui visti; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni individuali

Somalia 2010 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali Afghanistan 2011 In corso Terrorismo Embargo di armi;

Sanzioni finanzarie; Restrizioni sugli

(29)

26

ingressi; Sanzioni economiche varie Egitto 2011 In corso Violazione dei diritti

umani Sanzioni economiche varie; Sanzioni individuali Bosnia ed Herzegovina

2011 In corso Violazione dei principi democratici

Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi

Zimbabwe 2011 In corso Violazione dei principi democratici

Sanzioni economiche mirate; Sanzioni individuali

Tunisia 2011 In corso Violazione dei principi democratici

Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni individuali

Guinea Bissau 2012 In corso Conflitto prolungato Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche mirate; Sanzioni individuali Burma 2013 In corso Altre violazioni Embargo di armi;

Restrizioni sugli ingressi

Repubblica Centrafricana

2013/2014 In corso Violazione dei principi democratici Embargo di armi; Sanzioni finanziarie; Sanzioni economiche mirate; Sanzioni individuali

Yemen 2014 In corso Conflitto prolungato Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni individuali

Russia 2014 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche mirate Sudan 2014 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi;

Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche mirate; Sanzioni individuali Sud Sudan 2014 In corso Conflitto prolungato Embargo di armi;

Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni individuali Ucraina (parte separatista)

2014 In corso Conflitto prolungato Sanzioni finanziarie; Restrizioni sugli ingressi; Sanzioni economiche mirate; Sanzioni individuali

Table 1 La tabella è stata creata a partire dai dati contenuti in “A comparative Study: Where and Why Does the EU Impose Sanctions” di Christian Hörbelt e in “Hard Measures by a Soft Power?

(30)

27

Sanctions Policy of the European Union 1981-2004” di Joakim Kreutz. I dati sono stati poi aggiornati al 2017 seguendo il documento Restrictive measures (sanctions) in force aggiornato al 26.04.2017.

Gli obiettivi delle sanzioni dell’Unione sono divisi tra quelli correlati alla sicurezza (in particolare obiettivi di peacekeeping, missioni di stabilizzazione e per contrastare il terrorismo, mentre è marginale il supporto ai processi di pace) e quelli correlati indirettamente a questioni di sicurezza, come la promozione di processi democratici e la difesa di diritti umani.

Table 2 Fonte: C. Hörbelt, “A comparative Study: Where and Why Does the EU Impose Sanctions”, UNISCI Journal, N. 43, gennaio 2017.

I tipi di conflitto maggiormente sanzionati sono invece il conflitto prolungato; il comprovato supporto al terrorismo; la proliferazione delle armi di distruzione di massa; il post-conflitto e la violazione del regime democratico. Infine, molto interessante è la distribuzione geografica. Hörbelt infatti riesce a dimostrare, con i dati di Portela e di alcuni documenti della Commissione europea, tre importanti ipotesi. L’Unione europea infatti tende a sanzionare di più le regioni geografiche più vicine ai propri confini (i), con sanzioni prevalentemente dirette a questioni direttamente correlate alla sicurezza (ii) e parallelamente le sanzioni al di fuori dell’area regionale dell’UE saranno indirizzate ad

(31)

28 obiettivi indirettamente collegati alla sicurezza (iii).39 Inoltre, nella sua area di influenza l’Unione europea registra la maggiore attività nel campo dell’applicazione delle sanzioni internazionali.

Table 3 Fonte: “Hard Measures by a Sof Power? Sanctions policy of the European Union 1981-2004”, J. Kreutz, BICC, Bonn 2005, p. 7.

Per quanto riguarda il periodo nel quale collocare i primi utilizzi non c’è accordo unanime tra gli studiosi. Le diverse correnti si differenziano fondamentalmente per la scelta di collocarsi lungo un continuum di “rivoluzioni” giuridico-istituzionali che hanno caratterizzato e continuano a costituire la base del progresso dell’Unione. In generale però, possiamo affermare che la data perno, dalla quale l’allora CEE iniziò a usare in modo sempre più incisivo le sanzioni internazionali, coincide con lo sviluppo di quell’embrione che caratterizzerà la successiva espansione della Politica estera comune, la Cooperazione Politica Europea, in particolare con le modifiche apportate dal rapporto di Londra del 1981.

Nonostante questa data importante, è rilevante per la nostra indagine cercare di delineare molto brevemente una prassi che comunque esiste sin dalla firma dei Trattati di

39 Hörbelt C., “A comparative study: where and why does the EU impose sanctions”, UNISCI Journal, n.

(32)

29 Roma nel 1957, questo perché “EU policy in a specific issue-area does not evolve in a vacuum”.40

2.2 Evoluzione istituzionale dell’azione esterna e dello strumento sanzionatore

2.2.1 Dai Trattati di Roma all’Atto Unico Europeo

Nella prima parte della storia istituzionale dell’Unione europea ci fu poco spazio per la politica estera e di sicurezza. Nei Trattati di Roma del 25 marzo 1957, che istituirono la Comunità Economica Europea e l’Euratom, l’articolo 57 (poi 223) fu chiaro nell’escludere dalla competenza della Comunità l’adozione di misure necessarie alla tutela dei propri interessi:

ogni Stato membro può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico; tali misure non devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune per quanto riguarda i prodotti che non siano destinati a fini specificamente militari.41

Dunque, le misure sanzionatorie sono rare e comunque non adottate direttamente dalla CEE, ma al massimo decise in sede intergovernativa e poi implementate da ogni singolo Stato. I casi più eclatanti rimangono le sanzioni contro la Rhodesia nel 1965 in attuazione di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Risoluzione n. S/RES/232)42 e il coordinamento tra i membri per l’erogazione degli aiuti allo sviluppo

previsti dagli accordi di Yaoundé (nel 1963 ed espansi con gli Accordi di Arusha nel 1969).43 Nel primo caso, l’applicazione delle sanzioni è avvenuta a livello degli Stati e

40 J. Kreutz, op. cit. p. 7.

41 Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea e documenti allegati, disponibile al seguente

indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:11957E/TXT&from=IT, consultato il 20.12.2017.

42 La Unilateral Declaration of Indipendence fu firmata dal Primo Ministro della Rhodesia Ian Smith l’11

novembre 1965. Smith era il leader del Fronte Rhodesiano, di fatto un partito a favore della supremazia bianca, il che portò negli anni seguenti ad un irrobustimento di una politica di apartheid verso la popolazione nera del Paese. Il Regno Unito di Wilson cercò di risolvere la situazione imponendo delle sanzioni internazionali, che furono poi supportate e aggravate dalle Nazioni Unite. Per approfondire si veda: R. Coggins, “Wilson and Rhodesia: UDI and British Policy Towards Africa”, Contemporary

British History, Vol. 20 n. 3, pp. 363-381.

43 La convenzione di Yaoundé fu un accordo tra i sei Paesi della CEE e i 18 Paesi SAMA (Stati Africani e

Malgasci Associati) firmata a Yaoundé, in Camerun, il 20 luglio 1963 ed entrò in vigore il 1° giugno 1964. L’accordo prevedeva diversi ambiti di cooperazione commerciale e appunto dei pacchetti di aiuto allo sviluppo (che in realtà furono solo in parte onorati). Il primo gennaio 1971 entrò in vigore Yaoundé II, che sostanzialmente prolungava l’accordo precedente con l’aggiunta dell’impegno per la promozione

(33)

30 ognuno con una propria legislazione nazionale.44 Nel secondo, rileva il meccanismo della condizionalità: un primo esempio può essere considerato il caso dei rapporti dell’UE con i Paesi interessati da progetti di cooperazione allo sviluppo. Negli accordi di Yaoundé la clausola di condizionalità è ancora embrionale.45 Sarà soprattutto negli anni ’90 che l’UE la adotterà nelle sue forme più efficaci, fino a condurla all’attuale configurazione prevista dall’Accordo di Cotonou del 2000, ma già si può leggere, nelle intenzioni dell’Unione, quella propensione alla diffusione dei valori tipici della cultura europea (democrazia, stato di diritto, rispetto dei diritti umani) che diventeranno il simbolo di questa Istituzione.

2.2.2 La CPE

Verso la fine degli anni ’60 gli Stati membri decisero di creare un sistema intergovernativo che favorisse il coordinamento delle politiche estere. Il vertice dell’Aja, tenutosi il 1° e 2 dicembre 1969, aveva posto le basi per una riflessione su come si potessero condividere gli orientamenti sulla politica estera tra tutti i membri. A questo scopo, fu istituito un comitato, guidato da Davignon e composto dai Ministri degli Esteri degli Stati membri, che dovette appunto delineare una strategia per raggiungere l’unione politica. Il risultato fu un rapporto che istituiva, a partire dal 1970, riunioni semestrali dei Ministri degli Esteri

dell’industrializzazione e di una revisione della politica allo sviluppo più organica da parte europea. Per approfondire, cfr. R. H. Ginsberg, Foreign Policy Actions of the European Community; The Politics of

Scale, Lynne Rienner Publishers, Boulder, 1989 e

http://www.dizie.eu/dizionario/convenzioni-di-yaounde/, consultato in data 20.12.2017.

44 “The old six have implemented the S.C. resolutions of 1966 and 1968 at different times and in varying

ways. Some of them enacted a system of permits based on existing legislation concerning imports and exports, one member State directly transformed the resolutions concerned into domestic law, still another tried to use a mixture of the two.” Il primo caso riguarda Germania, Francia e Olanda, abbiamo poi l’Italia e infine il Belgio. P. J. Kuyper, “Sanctions against Rhodesia; The EEC and the implementation of general international legal rules”, in Common Market Law Review, Vol. 12 Fascicolo 2, 1975.

45 Sinteticamente, la clausola di condizionalità è: La condizionalità indica quei criteri che legano i volumi

di aiuti a determinate performance politiche quali, ad esempio, il rispetto dei diritti della popolazione e l’avvio di un processo di transizione democratica nei paesi normalmente caratterizzati da sistemi di governo autoritari. La politica di condizionalità può assumere diverse forme, e viene principalmente associata al collegamento tra diritti dell’uomo e cooperazione allo sviluppo (specialmente evidente nel sistema di preferenze commerciali unilaterali e nei programmi di assistenza finanziaria e tecnica alla democrazia) e alle cosiddette “clausole diritti umani”, inserite negli accordi internazionali della Comunità (oggi dell’Unione Europea), con particolare riguardo al settore degli scambi commerciali ma anche ai processi di adesione all’Unione Europea. Per approfondire vedi M. Raiteri, “Le clausole sui diritti umani e la democrazia negli accordi internazionali dell’Unione Europea”, in G. Finizio, U. Morelli, L’Unione Europea nelle relazioni internazionali, Carocci editore, aprile 2015, Roma, pp. 157-175.

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