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Mario Verdone e il Cineguf di Siena

Nel documento Mario Verdone. Lo sguardo oltre lo schermo (pagine 145-149)

Ho avuto il piacere di conoscere Mario Verdone verso la fine degli anni Novanta, poco dopo aver conseguito la laurea, mentre stavo scrivendo un libro dedicato ai rapporti fra il cinema e Siena1.

La ricerca affrontava questa relazione da molteplici punti di vista; non solo i film girati nel nostro territorio o i cineasti nati e cresciuti all’ombra della Torre del Mangia, ma anche le produzioni amatoriali effettuate da senesi appassionati della settima arte, l’introduzione dell’insegnamento di storia e critica del cinema nella locale Università, i critici e i saggisti cinematografici che avevano un legame con la città e molto altro ancora.

Impossibile, dunque, non relazionarsi con Mario Verdone le cui testimonianze sui suoi trascorsi senesi avrebbero permesso di effettuare una ricostruzione storica degli accadimenti in almeno due di questi ambiti che lo avevano visto protagonista, come collaboratore delle realizzazioni audiovisive del Cineguf senese e come criti- co nelle pagine dell’organo ufficiale della federazione senese del partito di Musso- lini, «La Rivoluzione Fascista». Fu Sergio Micheli, altra figura chiave per il cinema a Siena, a consigliarmi di parlare con Verdone procurandomi il suo contatto. Già dal primo colloquio telefonico il professore si dimostrò molto disponibile e grato del fatto che un giovane si stesse dedicando al recupero della memoria su un periodo così determinante per la sua formazione di studioso e operatore culturale. Una disponibilità che si mantenne inalterata nel prosieguo delle conversazioni che in- trattenni con lui incontrandolo altre volte durante i suoi sporadici soggiorni senesi. Verdone si emozionava molto nel rievocare il clima goliardico che respirava con i colleghi di Università sul set dei brevi film realizzati con il Cineguf senese, la sezione cinematografica dei Gruppi Universitari Fascisti. In particolare in occasione dello sforzo creativo che lo impegnò più di tutti gli altri: Cinci, cortometraggio a soggetto tratto da una novella di Pirandello, realizzato nel 1934 da Michele Gandin e Stelio Rossi. La pellicola, autofinanziata dai due cineamatori, fu girata di nascosto alle au- torità fasciste nella tenuta di Valentino Bruchi a Lucignano d’Arbia con l’aiuto di Verdone e gli amici Piero Sadun, Mario Delle Piane e un giovanissimo Giovanni Righi

Parenti, allora liceale. Mario aveva collaborato alla sceneggiatura e agli allestimenti per le riprese. Quella che a prima vista può apparire una piccola esercitazione di cineasti in erba desiderosi di fare palestra confrontandosi con il mezzo cinematografico, fu in realtà un prodotto di grande qualità registica che anticipa inconsapevolmente l’esteti- ca neorealista. La rappresentazione per sole immagini, senza l’ausilio di dialoghi, di un disagio giovanile – la solitudine di un ragazzino in un contesto rurale povero – non si era mai vista sul grande schermo. Immagini che mostravano con crudezza una realtà distopica in contrasto con le affettate ricostruzioni in teatro di posa di feuilleton di am- biente piccolo borghese, imperanti nella produzione dei telefoni bianchi. La pellicola presentata ai Littoriali del 1939 non venne apprezzata, tanto da essere privata del primo premio che avrebbe meritato. La giuria, probabilmente, intravide nella storia e nello scenario svelato una presa di distanza dagli squilli di tromba della cinematografia propagandistica e pericolosi segnali di rottura dai rassicuranti stilemi adottati dal regi- me. Ma l’interesse che suscitò la piccola produzione in un pubblico meno ortodosso spinse i cineguffisti a realizzare altre opere a carattere documentaristico, con Verdone spesso sceneggiatore, anche inerenti la tradizione locale come la paliesca Sbandierata ispirata da una storia di Gerardo Righi Parenti e Virgilio Grassi.

Tuttavia le attività del circolo universitario si componevano anche di momenti disimpegnati che Verdone ricordava con nostalgia: i convivi, le scampagnate, le gite anche di interesse cinematografico come quella da lui organizzata agli studi Pisorno di Tirrenia con l’accompagnamento dell’attrice Silvana Jachino.

Mario si mostrava molto affezionato anche alle critiche che scriveva nella ru- brica riservata al Cineguf sulle pagine della «Rivoluzione Fascista» che considera- va una delle prime esperienze giornalistiche. Iniziò a collaborare con la rivista nel 1935 curando le recensioni cinematografiche dei film proposti all’interno delle rassegne promosse dallo stesso Cineguf. Forte era il suo desiderio di rinnova- mento constatando l’appiattimento nel quale si era adagiata l’industria cinemato- grafica nazionale rispetto ad altre internazionali, tale da porla ad un livello decisa- mente inferiore. A suo modo di vedere la leggerezza con cui venivano affrontati i soggetti e le narrazioni di superficie finivano per rendere i film dell’epoca dei prodotti evasivi di consumo che non favorivano la crescita culturale dello spet- tatore. Verdone era inoltre critico con ogni tipo di azione repressiva che poteva limitare la circolazione della cultura nel Paese, con ricadute negative su tutte le discipline. A questo proposito rivendicava con orgoglio un suo intervento scritto nel 1938 per contestare la decisione assunta dal duce di boicottare l’importazione

dei libri di narrativa di scrittori stranieri apertamente dichiaratisi antifascisti. Uno spunto che gli consentì di estendere il ragionamento anche al cinema denuncian- do l’ingresso in Italia di molti film mediocri provenienti dalla Germania e la totale chiusura a quelli realizzati negli Stati Uniti o nei Paesi dell’est2.

Era chiaro che così come accaduto con il cortometraggio Cinci, Verdone e gli altri colleghi universitari anticiparono anche attraverso l’esercizio della scrittura la richiesta di un rinnovamento radicale del cinema italiano, gettando il seme di quelle riflessioni che sarebbero state poi sviluppate dal gruppo di cineasti legati alla rivista «Cinema» (Visconti, De Santis, Alicata) attraverso l’individuazione del- le basi estetiche che hanno reso grande la stagione neorealista. Ma nessuno dei redattori dell’organo ufficiale del partito fascista senese poteva immaginare allora che l’auspicato rinnovamento secondo un percorso suggerito a grandi linee nei loro interventi si sarebbe davvero concretizzato.

Tuttavia, l’aspetto della mia pubblicazione che soddisfece maggiormente Ver- done è quello di aver contribuito a fare chiarezza su a chi spettasse il primato dell’insegnamento della «Storia e critica del cinema» in ambito accademico, con- teso fra lui, Chiarini e Aristarco.

Aristarco e Chiarini – già titolare dal 1960 di un incarico di docenza con la cat- tedra di «Storia del teatro e dello spettacolo» presso l’Università di Pisa – vinsero entrambi nel 1969 il primo concorso ufficiale per le cattedre di «Storia e critica del cinema» rispettivamente negli Atenei di Pisa e Torino. Ma era stato Verdone a ottenere per primo la libera docenza in «Storia e critica del film» nel 1965 presso l’Università di Roma, partecipando ad un regolare concorso. Ancor più di questo primato, Verdone rivendicava il ruolo determinante che ebbe nel sollecitare le au- torità ministeriali del tempo ad istituzionalizzare l’insegnamento cinematografico in ambito accademico. Quando ancora la materia non era stata riconosciuta parte effettiva delle discipline esistenti a livello universitario ma, come detto, oggetto di attribuzione di incarichi ad personam a specialisti del settore attraverso l’attivazione di corsi più o meno continuativi e denominati in vario modo, Verdone aveva spesso sollevato la voce su questa necessità di fronte anche ad autorevoli esponenti istitu- zionali. Lo fece durante il suo intervento a un congresso di settore a Capri del 1964 alla presenza del componente del CUN Antonino Pagliaro. Continuò le pressioni scrivendo al ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui che, persuaso dalle sue

2 M. VeRdone, Boicottaggi intellettuali e id., Qualche cos’altro sui boicottaggi intellettuali, «La

argomentazioni, decise di pubblicare nel 1965 nella «Gazzetta ufficiale» il primo concorso per la libera docenza in quell’ambito di studi, vinto appunto da Mario.

Su questo argomento fino alla stesura del mio libro era stato scritto solo un articolo di Stefano Masi – apparso sulla rivista dell’Anica «Cinema d’Oggi» nel numero del 10 ottobre 1996 – che evidentemente non aveva soddisfatto Ver- done. E solo di recente la questione è stata trattata in maniera sistematica da altri contributi; per averne un’idea basta leggere l’intervento di Giovanni Gras- so e Massimo Locatelli, nell’ultimo numero monografico della rivista «Bianco e Nero», dedicato interamente alla figura di Verdone3.

La ricostruzione degli avvenimenti che feci nel 1997 si basava, dunque, quasi esclusivamente sulle dichiarazioni dello stesso Verdone in parte confermate da Lorenzo Cuccu, da me intervistato al riguardo, che era stato per anni assistente di Luigi Chiarini e conosceva la vicenda da un’altra prospettiva.

Non nascondo oggi che ho mantenuto per molto tempo il dubbio se la mia analisi basata pressoché su una testimonianza unilaterale poteva essere aderente ai fatti o solo il derivato di una visione di parte. Fortunatamente gli approfondi- menti storici effettuati in seguito da altri mi hanno confortato, confermando la veridicità di quelle testimonianze e la correttezza di Verdone e rafforzando ai miei occhi la sua statura di uomo di cultura e di studioso.

In ogni caso la fiducia assoluta nelle parole di Verdone che mi avevano spinto a riportare pubblicamente i suoi ricordi senza ricercare un confronto che poteva anche determinare un contraddittorio, mi consentì di conquistare definitivamen- te la sua simpatia e stima. Verdone si complimentò con me, a pubblicazione avvenuta, per quanto avevo scritto, considerandolo un contributo fondamentale per ristabilire una verità a lungo oggetto di interpretazioni soggettive. Mi scris- se una bellissima lettera di congratulazioni che conservo con particolare cura. Un apprezzamento che potrebbe anche spiegare il motivo per il quale un libro che si occupava di fatti inerenti una città così distante da Roma abbia registrato un’impennata di vendite nelle librerie della capitale alla sua uscita. Forse sarà stato Mario ad acquistarne un cospicuo numero di copie da regalare ad amici e colleghi o a consigliarne la compera. Non l’ho mai saputo e lui, da gentiluomo qual’era, non me lo ha mai detto; ma gli sono lo stesso riconoscente se non altro per le interessantissime conversazioni che mi ha concesso.

3 G. GRaSSo-M. locatelli, Il cultore del film. Didattica, ricerca e istituzioni culturali cinematografiche

nel dopoguerra, «Bianco e Nero. Rivista quadrimestrale del Centro sperimentale di cinematogra-

Nel documento Mario Verdone. Lo sguardo oltre lo schermo (pagine 145-149)