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Mario Verdone e il viaggio nel teatro

Nel documento Mario Verdone. Lo sguardo oltre lo schermo (pagine 93-117)

«Io mi sono divertito, non so voi». Mario Verdone, 20071.

Il primo contatto di Mario Verdone con il teatro risale agli anni dell’infanzia, come egli stesso racconta nella prefazione della raccolta Teatro Breve:

Quando, da ragazzo, abitavo a Siena, in Via Vallepiatta, la finestra del salotto, cui usa- vo affacciarmi, dava in una corte dove una grande porta ‘di soccorso’, color castagna, regolarmente chiusa, apparteneva al Teatro del Ricreatorio Pio II. Si usava chiamarlo il Teatrino del Costone. Le domeniche invernali, al pomeriggio, specie a carnevale, la porta veniva aperta al momento dell’intervallo dello spettacolo, e ne uscivano gli spettatori, magari per fumare una sigaretta, o per avvicinarsi ad un altro portoncino che introduceva alla Società degli Infermieri dell’Ospedale di S. Maria della Scala, dove funzionava una mescita. Cominciò allora, nell’infanzia, ad acuirsi la mia curiosità per il teatro e non man- cavo alle rappresentazioni che vi si davano, quasi sempre al pomeriggio (...). Partecipai a qualche spettacolo come comparsa. Una volta ero un alabardiere della operetta La cam-

pana d’argento. Al suono della misteriosa campana, come se fossi rimasto impaurito, caddi

rovinosamente con l’elmo e la lancia sulle tavole del palcoscenico, suscitando l’ilarità del pubblico2.

Di quel periodo Verdone ricorda in particolare un Nerone di intonazione pe- troliniana messo in scena da studenti universitari.

Proprio per quel teatrino – racconta in un’intervista – cominciai a scrivere commedie in vernacolo di soggetto infantile: La festa della Madonna, I braccialetti nuovi, Le por’anime, Car-

rozza e stalliere. Al Liceo mi cimentai nella critica teatrale scrivendo recensioni nella crona-

ca locale della ‘Nazione’. All’Università fui attratto dal teatro goliardico e scrissi un’opera di successo più volte rappresentata, Il trionfo dell’odore. La mia carriera teatrale continuò 1 «Mario Verdone: 90 anni per il cinema e il teatro», intervista a cura di chi scrive registrata il 2

giugno 2007 in casa di Verdone e trasmessa dalla web tv della Università telematica Unicusano. L’intervista è stata poi pubblicata con qualche variazione e un titolo diverso (Conversazione con

Mario Verdone. Il grande studioso compie novant’anni) in «Scena», 51 (gennaio-marzo 2008), pp. 3-8 e

in «Teatro contemporaneo e Cinema», 1 (settembre 2008), pp. 5-22 e 27 (giugno 2017), pp. 9-24.

2 M. VeRdone, Teatro Breve. Atti unici, Roma, Editori & Associati, 1995 («Teatro italiano

con radioscene per ragazzi e con libretti d’opera tutti rappresentati al Teatro dei Rozzi. Incoraggiato da Silvio Gigli coltivai questo interesse continuando sempre a scrivere per il teatro. Benché, infatti, abbia rivolto la mia attività critica e saggistica in tutte le direzioni dello spettacolo, la creatività teatrale non è stata mai ritenuta da me secondaria. Mi resta solo un’ombra di rammarico, di non essere diventato quello che forse avrei voluto defini- tivamente: un autore drammatico3.

Ma nonostante Verdone sia, sulla scia del barisien Ricciotto Canudo, cultore dell’arte senza frontiere o arte totale, ha scritto testi teatrali di grande valore dal Trionfo dell’odore (1945) all’Impresario delle Americhe ed altre scene e atti unici (1953, l’edizione integrale è del 1999), da Esercizi teatrali. Commedie e libretti (1993), a Correre per vivere (1991), da Teatro Breve. Atti unici (1995), a Teatro di Contrada (1999) a La leggenda di Monna Bianca di Vincigliata (1999). Il viaggio che Mario Verdone compie nel mondo del teatro è però troppo ampio per ripercorrerlo in queste pagine; ci si limiterà pertanto alla critica di alcune raccolte teatrali (con un rapido excursus finale nel saggio Moccoletti romani) tralasciandone, per questione di spazio, molte altre (su cui si tornerà successivamente). Riguardo a Il trionfo dell’odore, il piccolo capolavoro cui l’autore era molto legato, qualsiasi commento critico ridurrebbe il piacere e la libertà interpretativa di chi legge. L’operetta goliardica fu rappresentata al Teatro dei Rozzi, nel pomeriggio del 3 marzo 1945, in una Siena liberata ma ancora in regime di coprifuoco. Fu un successo. L’operetta era la parodia de Il trionfo dell’onore di Alessandro Scarlatti e segnò il punto di partenza di Verdone librettista. Oltre che a Siena essa fu presentata in altre città universitarie, ad esempio a Padova al Teatro Verdi. Il testo dell’operetta, ormai ‘mitica’ per i senesi, è stato pubblicato nell’85 in Te- atro goliardico senese, a cura di Giuliano Catoni e Sergio Galluzzi, con prefazione dello stesso Verdone. Nel 1993 l’operetta è stata riproposta a Siena dall’as- sociazione «I Ragazzi del ’53» al Teatro delle Due Porte e nella circostanza vennero ristampati il testo e la locandina originale del 1945. In occasione delle Feriae Matricularum 2015, nel Rettorato dell’Università di Siena è stato festeg- giato il 70° anniversario di questa esilarante pièce alla presenza di Carlo e Luca Verdone. Nel 2017 una nuova pubblicazione del testo è apparsa nella rivista di studi «Teatro contemporaneo e Cinema» (fondata da Mario Verdone e diretta da chi scrive), n° 27, in cui, rispetto alla precedente edizione, si è corretta – su indicazione dell’autore – la numerazione delle scene e si è aggiunta qualche precisazione nelle didascalie delle canzoncine.

È però doveroso aprire questo contributo con una recensione (già pubblicata anni fa in «Cinema Sud» e molto cara a Verdone) del volume Il mito del viaggio. Aforismi e apologhi, fondamentale per comprendere la vicenda artistica ed esisten- ziale dell’autore e la sua eccezionale visione della vita che si riflette poi nella sua produzione teatrale.

1. Il mito del viaggio

La prima cosa che colpisce de Il mito del viaggio. Aforismi e apologhi4 è l’omogeneità

stilistica e spirituale di scritti talvolta distanti tra loro mezzo secolo. Le stesse ar- gute riflessioni, la stessa ironia, lo stesso gusto dell’analisi e della parola, lo stesso senso del viaggio nei suoi aspetti più vari, la stessa coscienza dell’imperfezione umana. «Il viaggio», scrive l’autore nell’aforisma che dà il titolo all’opera, «ci induce a incontrare ciò che non abbiamo, ciò che può essere desiderabile, e che sappiamo che non ci appartiene, o che comunque manca alla nostra esperienza. Vogliamo raggiungere qualcosa che è al di là dei luoghi dove viviamo, degli orizzonti che ci sono familiari»5. Un viaggio che coincide con il cammino della vita e con tutte

le aspirazioni, i desideri, le occasioni, le speranze e le delusioni che il destino ha in serbo per l’uomo. «Vicino a quanti hanno una cieca fiducia in se stessi, pur se possiedono grandi qualità», afferma Verdone in Competività (un’ironica contrazione anticacofonica), «tu puoi serenamente sostenere il confronto sapendo dove non puoi arrivare, sapendo quel che non sai, dando il giusto valore alla tua insufficienza»6.

Una consapevolezza dei propri limiti che non riduce il valore e la dignità dell’uomo ma che lo avvicina a una sempre più profonda conoscenza di sé e delle proprie possibilità, come si deduce dal breve apologo L’ansa del fiume: «Quando pervenni sull’argine, il fiume affrontava una curva maestosa, che superò facilmente (...). Ma se il fiume era, quella sera, così deciso, ed arrivava a quest’ansa, che superava con naturalezza, esso aveva dietro di sé tutta una lunga esperienza»7.

Un’esperienza, quella umana, in cui ci si può accorgere dell’illusorietà dell’a- more esclusivo, come si legge in un apologo di intonazione tozziana, della diffi- coltà di enucleare un ricordo netto nel magmatico flusso della memoria («Evo-

4 M. VeRdone, Il mito del viaggio. Aforismi e apologhi, Siena, Il Leccio-La Copia, 1997. 5 Ivi, p. 58.

6 Ivi, p. 15. 7 Ivi, p. 21.

care un giorno, per noi, equivale a cercare in molti giorni lontani, che, senza ci se ne accorga, dentro di noi in uno solo si congiungono»8), dell’impossibilità

dell’assoluto compimento dell’anima che, senz’altro, venuta al mondo derelitta, balbettante e bisognosa di affetto, dopo un relativo compimento, si dissolve nostalgica- mente «come un fiore selvatico che non può resistere al vento»9. E proprio la vita,

intesa come soffio di eternità ed esperienza magica e irripetibile per ognuno, è il leitmotiv di questi avvincenti apologhi e aforismi. Da I bei tempi, in cui si percepisce che la nostalgia dei nostri momenti più belli non avrà per il nostro interlocutore la stessa valenza di quelli che egli considera i suoi tempi migliori («avrà per lui quel valore minore che hanno spesso le cose e i pensieri che appartengono agli altri»10), a La dignità intesa come degnità, che sottolinea la ricchezza dei valori interiori

dell’uomo («Per essere degno l’uomo deve poter asserire di sé, essendo assoluta- mente sincero: io non mi vergogno di me stesso»11), a Il momento buono, in cui, con

uno stile brillante ricco di humour e di figure retoriche, si sofferma sulla casualità magica del momento giusto: «A volte nasce in te una forza irresistibile. Quello è il momento. Vedi una luce che non avevi mai vista. Quello è il momento. Sei disattento, svogliato, stanco, e d’improvviso tutto si rischiara, si dirime, si redime. Quello è il momento (...). Il momento è arrivato. Hai intravisto il quadrifoglio. In un milione di conchiglie hai trovato la perla. Il sole è spuntato. Hai fatto centro. Quello è il momento»12. Un testo interessante e di facile lettura, tematicamente

poliedrico (basti citare I quattro sapienti, Il progresso umano, La magnanimità, Il mondo in giuoco), in cui non manca una riflessione sulla morte, ultima e crudele tappa dell’itinerario umano:

C’è anche la morte. Davanti a una fine, esaurita la prima emozione indifferibile, cerchi di riflettere. Il respiro è pesante, non resti insensibile; ma poi t’acquieti, ti fermi, diventi im- perturbabile. Non puoi far niente per cambiare i destini dell’essere umano; e tuttavia non ti senti di rinunciare di metterti da parte. Fai. Fai quello che puoi (...). Servirà a qualcosa. Magari a concimare la terra13.

Un viaggio, dunque, nel percorso misterioso della vita; una vita iniziata, per l’auto- re, in viaggio (nasce ad Alessandria in occasione di una visita della madre al padre

8 Ivi, p. 24. 9 Ivi. 10 Ivi, p. 27. 11 Ivi, p. 49. 12 Ivi, p. 45. 13 Ivi, p. 43.

ferito durante la prima guerra mondiale) e che del viaggio ha fatto un mito. Un tardo pomeriggio di novembre di qualche tempo fa mentre, trafelato, si accingeva ad uscire dalla sua casa romana sul Tevere, per presentare un libro di Ebe Cagli, si confidava dicendo che la mattina si trovava a Mosca e il giorno precedente in Armenia per una conferenza su Yeghishe Çharents. Una vita intensa come i suoi interessi e i suoi saggi appassionanti, affrontata con lo stupore di un adolescente e con la rara consapevolezza dell’imperfezione umana: «Non si sa mai se si è più vicini alla luce o all’ombra (...). Una linea tutta diritta non c’è. Esistono due punti uniti da un tracciato incerto, tutto frastagliato, tutto curve e spigoli, ma che comunque rappresenta una partenza e un arrivo»14. Unica certezza il viaggio, con

il suo fascino e la sua eterna nostalgia. «Itaca t’ha donato il bel viaggio.», scrive Kavafis in una sua splendida lirica, «Senza di lei non ti mettevi in via. / Nulla ha da darti più. / E se la trovi povera, Itaca non t’ha illuso»15.

Un viaggio che Verdone ha affrontato con curiosità e uno sguardo totale, non tralasciando nessun aspetto della realtà. Uno studioso sempre allegro e iro- nico (a differenza di molti intellettuali cupi e pensosi, che confondono il rigore del sapere con la mancanza del sorriso) pronto a inserire l’aneddoto esplicativo nella scientificità dell’argomento trattato («si deve essere dotti e piacevoli», diceva sempre ai suoi allievi) e ad affrontare con l’umiltà del ricercatore, ma anche con la tenacia del vero studioso, qualsiasi argomento si presentasse davanti ai suoi occhi.

2. Correre per vivere

Pubblicata nel settembre del 1991, Correre per vivere è forse la raccolta teatrale che maggiormente risente delle intonazioni della narrativa di Federigo Tozzi16,

senese anche lui – «un autentico ‘cinghiale rotolato sull’alfabeto’ come è stato detto»17 – e triste per il solo fatto di essere vissuto in questa città. Lo stesso clima

si respira nei tre atti unici che la compongono (Correre per vivere, Pietre bagnate, Il ponte di ferro), nei quali è protagonista un’umanità consumata nel grigiore della vita quotidiana, nella delusione delle aspirazioni, nella solitudine di una piccola

14 Ivi, p. 46.

15 K. kaVafiS, Itaca, in id., 53 poesie, Milano, Mondadori, 1996, p. 22. La traduzione italiana è

di Filippo Maria Pontani.

16 M. VeRdone, Correre per vivere, Firenze, Editoriale Sette, 1991; i testi che compongono la

raccolta sono poi stati riediti in «Ridotto», 50 (2002), n. 4, pp. 14-31.

comunità o perduta in ricordi dai contorni sfumati e in decisioni inquietanti e problematiche.

Protagonista di Correre per vivere è Primo, un adolescente orfano di padre, che vive miseramente con la madre ai margini della città e che finisce in pri- gione per aver ferito gravemente una guardia, con un colpo di pistola, duran- te una colluttazione. È una storia senese (non autobiografica, come precisa l’autore) nello stile di Tozzi che riteneva la famiglia «il nucleo dove il litigio, la violenza e la forza brutale si manifestavano anche fra gente dello stesso sangue»18. Un atto unico in cui il profilo del protagonista risulta vanente e

inquietante, il dubbio avvolge infatti l’innocenza e il candore di Primo le cui aspirazioni sembrano gelosamente o pudicamente racchiuse all’interno di un animo schivo e impaurito dalla manifestazione dei propri sentimenti e dal giu- dizio degli altri. In quest’atmosfera la vita (come osserva Massimo Franciosa nella prefazione) diviene un’astratta sospensione di se stessa e un’indecifrabile nebulosa in cui anche l’individuazione del bene e del male risulta problema- tica. Il carattere di Primo permane piuttosto ambiguo e soltanto le parole del parroco del Ricreatorio rivelano forse l’essenza della personalità del ragazzo, povero, solitario e bisognoso d’affetto:

SACERDOTE Io scendevo da San Giovanni verso il Costone. Riconobbi il pianto scon- solato di Primo, ascoltai le sue imprecazioni verso chi lo aveva privato del gattino rosso, e incuriosito mi fermai alla porta di casa. Chiamai. Primo piangeva disperato perché, gli avevano detto, il gatto era scappato (...). Cercai di consolarlo, invitandolo per la mattina successiva ormai era notte nel giardino del Costone, e me ne andai riflettendo sul carat- tere del ragazzo: solitario e tenero, timido e angosciato, sensibile e tenace. Spesso isolato, disperato... Primo, ecco, per concludere, era questo: aveva bisogno d’affetto...

GIUDICE Sì, ma tutto ciò non spiega la rivoltella, lo sparo. SACERDOTE Desiderio di giustizia, di riscatto... e di affetto...19

La madre va a trovarlo in prigione e gli chiede perdono assumendosi tutta la colpa per non essere riuscita a prevenire un simile gesto. Un finale apparente- mente collodiano (con richiesta di reciproco perdono) che si tinge delle fosche luci tozziane e lascia incerto il lettore sul carattere del protagonista, che teme di aver perso la credibilità dopo l’arresto:

18 S. coRRadi-i. Madia, Un percorso di auto-educazione. Materiali per una bio-bibliografia di Mario Verdone, Roma, Aracne, 2003, p. 150.

GUALTIERA Presto uscirai di qui. La guardia sta meglio. Hanno trovato chi ha rubato... PRIMO Sì, ma io partirò. Non avrò più coraggio di rivedere i compagni del Costone... Come per la cassetta delle elemosine, quando dissero che avevo preso i denari. Chi mi crederà ancora?

GUALTIERA Ti vogliono bene. Ti crederanno.

PRIMO No. Come potrei tornare da don Nazareno? Diceva: lo sportivo vero ha l’animo puro. Non commetter mai una cattiva azione. L’aveva scritto lui quel canto...

GUALTERIA Non sei tu che le hai commesse, figlio, le cattive azioni. È mia la colpa... PRIMO Su, corriamo... (ripetendo il canto). Guardiamo con speranza il futuro... (singhiozza). Manteniamo sempre l’animo puro... (grandi singhiozzi. Campanella che suona. Il colloquio è

finito. Il carceriere si avvicina).

CARCERIERE È l’ora... (Gualtiera e Primo si allontanano, singhiozzando). PRIMO Perdono, mamma...

GUALTERIA Perdono, figlio...20

Un dialogo scarno ed essenziale che mette a nudo l’animo dei protagonisti lasciando, però, al lettore l’ombra del dubbio. Gli innocenti, scrive molto bene Franciosa, «si imbrattano nel loro candore, e i colpevoli sembrano esserlo solo per chiedere pietà al mondo universo»21.

In Pietre bagnate, un atto unico in quattro quadri, l’aria tozziana è la stessa così come «l’imbuto drammatico (malvagità, sofferenze, debolezze), che stringe i più sventurati come in una morsa immobile»22. Protagonista è Cesira una piccola sarta

che vive in una casa popolare di Siena, nelle prossimità dell’ospedale. Un’esistenza grigia, che ricorda la protagonista di Cuore arido di Cassola, negata all’amore per l’egoismo e la paura di solitudine dei suoi familiari che non le mostrano una lettera di proposta di matrimonio inviatale da un carabiniere. Il dialogo tra i protagonisti dell’inganno, prima di strappare la lettera, assume i toni dell’assurdo così come il ri- torno alle mansioni quotidiane dopo l’atto ignominioso nei confronti della ragazza:

DELFO E poi a me non piace. Un carabiniere! Sai che avvenire! PRIMETTA Come mai non glielo ha detto a voce?

DELFO Gli sarà mancato il coraggio! (...).

PRIMETTA Non è per gelosia... ma io dico che non è per lei! Ce li vedi tu insieme, tutti e due?

DELFO Lei piccina piccina, lui alto alto. Mi fanno ridere! PRIMETTA Io gliela strappo. Tanto lei non c’è.

20 Ivi, pp. 28-29.

21 fRancioSa, Prefazione cit., p. 7. 22 Ivi.

Delfo tace.

PRIMETTA (fa un primo strappo, poi si ferma) Te che ne dici?

DELFO Non va bene, no! Un carabiniere! Metti che la porta in Sicilia! PRIMETTA Meglio così, te lo dico io. Meglio così (la strappa a pezzi minuti). DELFO Buttali, però, i pezzi! Nascondili!

PRIMETTA Chi vuoi che li veda! (li getta nel secchio della spazzatura). DELFO È meglio non dirglielo, però...

Campane. Muti, a lungo, hanno il fiato grosso. Campane.

PRIMETTA Non ci vai a servire la funzione? DELFO Sì.

PRIMETTA Io intanto preparo la cena... 23

Battute macabre che evidenziano l’indifferenza quasi candida dei due e in- troducono l’atmosfera tragica dell’ultimo quadro che profila, dietro le battute dei protagonisti, la presenza delle SS in una Siena occupata dai tedeschi e con i partigiani alla macchia. L’orrore della guerra sfuma cosi, attraverso le parole di Delfo, nel ricordo dell’impietoso gesto nei confronti della sorella:

DELFO Lo sai chi mi è venuto in mente? CESIRA Chi?

DELFO Vittorio Carmassi, quello che ci aveva il cotone negli orecchi! Quello dell’Ar- gentario!

CESIRA Che c’entra?

DELFO Ho detto: chissà se c’era anche lui, nel gruppo. (...). CESIRA Speriamo che non ci fosse!

DELFO Pensa, poteva essere tuo marito! CESIRA Quale marito! Mi sembri scemo!

DELFO Sì, Sì; tuo marito! Scrisse anche una lettera, quando eri al mare alla Colonia Ma- rina, la scrisse col permesso della mamma, ah, ah!, per chiedere la tua mano.

CESIRA Ma quale lettera? Che stai dicendo? DELFO L’avresti sposato, di’?

CESIRA O la smetti, o finisci bene il discorso! DELFO Come gli avresti risposto, su?

CESIRA Io non l’ho vista, questa lettera: chi l’ha avuta? DELFO Mamma lo sa.

CESIRA Perché io non l’ho letta? DELFO Non c’ eri.

CESIRA Perché non me l’avete fatta vedere?

DELFO Ma no! Ho detto per ridere, su. Era uno scherzo!24 23 VeRdone, Correre per vivere cit., pp. 49-50.

La reiterata bugia di Delfo, la sua ironia, la sua sarcastica e pur innocente risata, condannano ancora di più alla solitudine la donna, ormai consapevole del proprio destino:

DELFO E te stai bene all’oratorio! Lì ci sono le recite, le pésche di beneficenza, le gite delle Donne Cattoliche!

CESIRA Sì. È proprio tempo di pensare alle gite, ora. DELFO Ma quando le facevano ci andavi!

CESIRA Lo puoi dire forte: tutti divertimenti onesti!

DELFO Però ogni tanto qualcuna si sposa: quale a 35, quale a 40 anni; chi un vedovo, chi un pensionato. Ah, ah!

CESIRA Che c’è da ridere? Perché le soverchi? Sì, ogni tanto qualcuna si sposa. Che fanno di male?

DELFO Ma a te non capita? Resterai zitella?

CESIRA A me non mi cerca nessuno. Io sono sempre stata la più sfortunata... A me... (guardando fissa nel vuoto restando come impietrita) chi vuoi che ci pensi?!?25

Ispirato a due novelle di Tozzi ambientate a Roma, Davanti al ponte di ferro ripropo- ne le stesse atmosfere e la stessa situazione (un uomo a cui piacciono le donne degli altri) con l’aggiunta di una storia in flash back relativa alle vicende e alla sorprendente conclusione di un amore: un amante convoca ad un convegno amoroso il marito

Nel documento Mario Verdone. Lo sguardo oltre lo schermo (pagine 93-117)