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Ricordo di Mario Verdone

Nel documento Mario Verdone. Lo sguardo oltre lo schermo (pagine 141-145)

La personalità di Mario Verdone appare così poliedrica e complessa che non può certamente essere delineata in modo soddisfacente da chi l’ha conosciuto soltanto come senese e contradaiolo. E mi scuserete, data la limitatezza di questa visuale, se dovrò parlare anche di me, perché non potrò farne a meno.

Credo anzitutto che contribuire alla conoscenza della sua ‘senesità’ sia ne- cessario per comprendere appieno diversi aspetti della sua opera e alcuni tratti significativi della sua figura. Ho potuto constatare in tante occasioni che l’amore per Siena e le sue tradizioni era in Lui davvero profondo, pieno di freschezza e di entusiasmo giovanile, senza forzature, e tale restò, inalterato, per tutta la sua vita.

Lo ricordo Mario Verdone dall’inizio degli anni Sessanta, allorché anche die- tro esortazione di mio padre, scrisse l’atto unico dal titolo La gloria del Rinoceronte. Dialogo tra Eugene Jonescu e il rinoceronte per contestare scherzosamente la denigra- zione del pachiderna, sacro ai contradaioli della Selva, perpetrata dal drammatur- go e saggista franco-rumeno nell’opera teatrale Il rinoceronte, che in quegli anni lo stava rendendo celebre in tutto il mondo. Mario e mio padre erano amici dagli anni Trenta, allorché avevano frequentato, da adolescenti, il ricreatorio del Costo- ne e la contrada della Selva, che in quel tempo purtroppo non vinceva mai il palio. Il fatto che non avessero potuto provare tale gioia in giovane età li rendeva felici come ragazzi ogni volta che, ormai adulti e padri di famiglia, vedevano vincere la loro contrada, evento che, a partire dal 16 agosto 1953, prese a ripetersi con una certa frequenza. Da quella vittoria in poi, mio padre non mancava di sollecitare l’amico, divenuto un critico e storico del cinema e del teatro di fama nazionale e ben presto internazionale, a dare il suo prezioso contributo alla realizzazione dei numeri unici che venivano pubblicati in occasione dei festeggiamenti e Mario collaborava molto volentieri, inviando un proprio scritto, come nel ’53, nel ’55 e nel ’62, allorché il dialogo tra Jonescu e il rinoceronte comparve appunto, a mo’ di inserto illustrato dai disegni del pittore Enzo Cesarini, nel numero unico edito dalla contrada della Selva per celebrare il palio vinto il 2 luglio di quell’anno.

Divenni anch’io amico di Mario Verdone, quando ricevette il Mangia d’oro ai Rinnovati, la mattina del 15 agosto 1966: mio padre mi presentò con estre- ma semplicità, ma il professore – che aveva ottenuto l’anno precedente la libera

docenza in «Storia e critica del cinema», la prima in Italia in tale disciplina – no- nostante che io fossi un modestissimo liceale, mi salutò con grande calore e simpatia, profetizzandomi un avvenire da studioso. Quel giorno fu per lui indi- menticabile: era la sera della prova generale, ma la Selva non partecipava a quel palio e Mario fu invitato a tavola tra il priore ed il capitano. Al termine della cena venne esortato a prendere la parola e così manifestò a tutti i contradaioli presenti la grande emozione che in quel giorno aveva provato non tanto nel ricevere il Mangia d’oro – premio molto ambito a quel tempo – quanto soprattutto «gli onori – egli disse – che di solito si riservano al fantino che il giorno seguente correrà il palio». Il prof. Verdone non si dava arie da accademico, ma era dotato di grande sensibilità e di immediata comunicativa ed anche in quell’occasione seppe darne prova.

L’anno dopo, esattamente cinquant’anni fa, volle tenermi a battesimo come autore di scritti sul palio e le contrade e mi inviò una bella prefazione al mio primo lavoro a stampa, intitolato Inventario dell’archivio della contrada della Selva, con note storiche introduttive. Da quella vicenda ebbe inizio un carteggio destinato a du- rare, che mi piacerebbe ricomporre in un fascicolo se un giorno, da pensionato, riuscirò a riordinare il mio piccolo archivio personale. Mi invitò, tra l’altro, a col- laborare ad una miscellanea di articoli sulla storia del palio e delle contrade con un contributo dedicato alla storia del teatro in vernacolo senese ed io mi provai a scriverlo e glielo inviai, ma il volume non usciva e quando, diversi anni dopo, venne finalmente il momento di pubblicarlo – fu nel 1986, con il titolo Siena, la città del palio – il professore mi telefonò e mi chiese, molto correttamente, se intendevo confermare la mia partecipazione all’iniziativa. Presi tempo, ma dopo avere riletto quel testo, gli confessai in tutta sincerità che ero assai perplesso circa l’opportunità di inserirlo nella miscellanea. «Non ti piace più, è vero? – mi disse – lo capisco, perché sono cose che succedono a rileggere i nostri lavori a distanza di anni». Da autentico studioso qual era, non se n’ebbe a male e così restammo amici sinceri.

Del resto ormai le mie ricerche si erano indirizzate verso altri argomenti, mentre egli mi scriveva che continuava a studiare con grande impegno i futuristi, come attesta la sua ricca bibliografia su questa tematica, prodotta per un lungo arco di tempo a partire dalla fine degli anni Sessanta. All’inizio degli anni Settanta ricordo che circolò la notizia che sarebbe venuto ad insegnare all’Università di Siena, nella Facoltà di lettere che era in via di costituzione, e quando lo appresi ne fui felicissimo, ma purtroppo le alchimie accademiche glielo impedirono. Gli

espressi il mio rincrescimento ed egli mi rispose che, pur rammaricandosi per non essere venuto a Siena, tutto si era comunque risolto per il meglio, ché, infatti, nel frattempo era stato chiamato a ricoprire la cattedra di «Storia e critica del film» nella Facoltà di Magistero dell’Università di Roma. La sua serenità, il suo buonu- more, il suo ottimismo mi colpivano e quando lo incontravo, specialmente nei giorni del palio, mi sembrava sempre lo stesso: oltre la settantina ed anche dopo gli ottant’anni non dimostrava affatto la sua età e una volta che passeggiavamo insieme, avendo salutato un suo coetaneo, che però sembrava più anziano di lui, mi confidò che certi incontri gli facevano un gran piacere perché si accorgeva di essere molto più giovane di tanti suoi amici.

Nel marzo del 2000, quando l’editore Betti pubblicò il volume dal titolo Teatro di Contrada, raccolta delle sue commedie, per lo più d’ambiente senese, fui invitato a presentarlo: l’occasione mi indusse a fare ricerche sugli studi liceali e universitari di Mario Verdone e potei ritrovare, nell’archivio dell’Università di Siena, le sue tesi di laurea in Giurisprudenza e Scienze politiche. Fu per me una conferma ul- teriore del suo talento di studioso, anche in settori diversi dalla storia del cinema e del teatro. Nella dedica che appose sul frontespizio di quel libro, rivolgendosi a me «con grande stima e amicizia», mi definì «autentico ragazzo di Vallepiatta» e in modo non dissimile si espresse anche in un’altra dedica – che fu l’ultima – vergata sul foglio di guardia del volume di Sofia Corradi e Isabella Madia dal titolo Un percorso di auto-educazione. Materiali per una bio-bibliografia di Mario Verdone, del quale mi fece omaggio la sera del 19 dicembre 2003, in occasione della presentazione dell’opera nella sala degli specchi dell’Accademia dei Rozzi: egli vi scrisse: «omag- gio di una amicizia di lunga data – che parte da Vallepiatta – con i sentimenti affettuosi di Mario Verdone».

Lo rividi per l’ultima volta nell’ottobre del 2006 in Piazza San Giovanni, men- tre attendevamo l’inizio della cena per la vittoria riportata dalla Selva nel palio di agosto di quell’anno. Era quasi novantenne, ma ancora pieno di vitalità e aveva dipinta sul volto la gioia sincera di ritrovare tanti cari amici di vecchia data nei luoghi più cari della sua giovinezza.

Nel documento Mario Verdone. Lo sguardo oltre lo schermo (pagine 141-145)