Prof. Manlio Maggi
2. Le teorie sociologiche del rischio
2.2 Mary Douglas e la teoria culturale del rischio
Agli inizi degli anni Ottanta viene avanzata una nuova proposta: Mary Douglas e Aaron Wil-davsky pubblicano il testo Risk and culture in questo testo è formulata la teoria culturale della per-cezione del rischio; il loro obbiettivo è quello di considerare “…l’ambiente sociale, il principio se-lettivo e il soggetto che percepisce come un unico sistema” (Douglas e Wildavsky, 1982, p. 7). La nuova proposta prende le mosse da un assunto critico nei confronti dell’analitica del rischio. Si critica, in particolare, la visione desocializzata alla quale è opposta una prospettiva che con-sidera la percezione e la costruzione del rischio come un processo sociale. Viene, in partico-lare, individuata la difficoltà dell’approccio analitico in quanto la procedura decisionale si con-figura secondo i criteri di una razionalità oggettiva, riconosciuta da tutti (Marinelli, 1993). Il nucleo problematico individuato da Mary Douglas è quello del rapporto tra individuo e so-cietà. Tale rapporto viene analizzato nell’ottica della cultura che viene vista in relazione al contesto sociale. La cultura viene intesa dall’antropologa inglese come “…un’insieme, comu-ne alla collettività, di principi e di valori utilizzati ad ogni momento per giustificare il com-portamento” (Douglas, 1985, p. 91). Essa è importante anche per le sue influenze sulle que-stioni ambientali e politiche. “In senso forte, rappresenta l’analisi multipla dei costi e dei be-nefici” (Douglas, 1985, p.91) tenuto conto degli interessi particolari dei membri della società considerata aventi un peso importante nelle decisioni quotidiane; in tal senso la cultura cor-risponde al modo in cui la gente percepisce l’ambiente sociale e naturale. Partendo da que-ste considerazioni la Douglas sottolinea che ognuno di noi di fronte ad una decisione, im-portante o meno, o di fronte ad un pericolo, prendiamo, come punto di riferimento la cultu-ra. Che pertanto viene considerata il “…principale codificatore attraverso cui percepiamo il pericolo” ( Douglas, 1985, p.91).
Nel testo Risk and culture, inoltre, Mary Douglas e Aaron Wildavsky specificano che nella lo-ro percezione del rischio, gli esseri umani non si comportano come individui isolati ma come esseri sociali: per la comprensione ed il controllo di un determinato rischio si confrontano e si seguono le regole sociali che li guidano verso l’accettazione o il rifiuto di un rischio rispetto ad un altro. Da queste considerazioni deriva la necessità di elaborare una teoria in grado di comprendere il modo in cui questo processo si esplica.
Il contesto culturale viene concepito dall’antropologa inglese con i caratteri della non rigidità nei confronti dell’individuo. Per lei esso non emana prescrizioni e non costituisce regola unilaterale ma si costituisce con un’unica forza relazionale: il contesto delle relazioni collettive produce de-gli effetti coattivi sulle concrete e quotidiane scelte dell’individuo ma al contempo lo spazio col-lettivo e comunitario si presenta anche con i tratti della permissività. Per specificare meglio le re-lazioni compiute tra individuo e società la Douglas riprende il concetto della “coscienza colletti-va” da E. Durkheim: essa agisce sull’individuo stabilendo delle regole la cui inosservanza com-porta sanzioni e punizioni, ed elaborando sistemi di giustificazione. Infatti ogni schema di ri-compense e punizioni “modella” il comportamento individuale (Beato, in corso di stampa). Lo schema metodologico griglia/gruppo viene introdotto per analizzare il modo in cui l’individuo si relaziona alla società. La griglia rappresenta la dimensione di individuazione ed il gruppo la dimensione di incorporazione sociale. Il contesto sociale viene visto non irrigidito nella fissazione dei comportamenti e dei valori del soggetto; l’individuo viene inserito in una trama di relazioni sociali non predeterminata a priori ma che lo pone davanti a scelte a volte aperte a volte chiuse. Per spiegare meglio la metodologia di riferimento risulta utile riferirsi alla seguente rappre-sentazione grafica:
Questo schema rappresenta esaurientemente diverse concezioni del mondo a cui corrispon-dono differenti prospettive nei confronti del rischio da parte dei tipi sociali individuati in cia-scuna di essi.
Vengono distinti, prima di tutto, un centro e una periferia.
Il quadrante A e C configura la situazione in cui è importante il “Centro” politico e sociale e cioè l’area delle strutture di guida della società.
La figura tipica individuata nel quadrante A del grafico sulla tipologia griglia-gruppo (in cui si configurano una griglia e un gruppo deboli) è l’imprenditore capitalista e anche l’impren-ditore politico. L’individualismo capitalistico caratterizza l’ambiente sociale d’appartenenza in cui il soggetto non sente “...i vincoli del gruppo, della tradizione e delle prescrizioni consoli-date” (Beato, in corso di stampa, p. 20).
L’imprenditore è un innovatore e il rischio è valutato esclusivamente in riferimento al calcolo economico trascurando il rischio tecnologico e ambientale. Il suo atteggiamento nei con-fronti del rapporto tra la natura e la società è ottimistico in quanto pensa che la natura ab-bia la capacità di ritornare all’equilibrio naturale, nonostante i danni causati dall’uomo e dal-la società industriale; all’ambiente associa il mito di una “natura benigna” (Schwarz e Thom-pson, 1993).
Nel quadrante C la Douglas ha individuato una seconda figura sociale, quella del burocrate: egli fa parte di un gruppo forte che lo guida attraverso le prescrizioni sociali prestabilite. L’at-teggiamento del burocrate è molto remissivo in quanto non prende mai spontaneamente ini-ziative ma si limita ad eseguire le decisioni altrui: tutto ciò rispecchia il ruolo che svolge nel-la sua società. A causa di questo suo atteggiamento non assume mai dei rischi. Il rischio tec-nologico e ambientale viene considerato esclusivamente in riferimento alla gestione di esso, seguendo sempre e comunque le direttive del suo gruppo. (Beato, in corso di stampa - ?). Il burocrate ha un’immagine di una natura “perversa-tollerante”; solo gli eventi insoliti cattura-no la sua attenzione, si aspetta in ogni modo che il govercattura-no intervenga riportando la situa-zione alla normalità (Schwarz e Thompson, 1993).
I due quadranti opposti (B e D) congiungono ambienti sociali, culturali e di razionalità che si pongono ai margini della società rappresentando pertanto la periferia.
La terza figura sociale individuata (quadrante B) è quella degli isolati; essi fanno parte di un gruppo debole e di una griglia forte. Una conseguenza di ciò è un atteggiamento marginale nei confronti della società d’appartenenza ma, contemporaneamente, un attaccamento alle prescrizioni normative e comportamentali. Seguendo Max Weber, il teorico della società mo-derna, Mary Douglas pensa, in questo caso, al contadino e al salariato agricolo: il loro è un mondo completamente estraneo dal panorama politico mondiale, pur rimanendo vincolato al rispetto della gerarchia prestabilita (Beato, in corso di stampa). Il loro atteggiamento nei con-fronti del rischio è da fatalisti in quanto l’evento negativo viene considerato inevitabile e sen-za alcuna possibilità di evitarlo, mentre la natura viene considerata “capricciosa” (Schwarz e Thompson, 1993).
L’ultimo ambiente sociale individuato (D) è caratterizzato da griglia debole e gruppo forte. Il gruppo di riferimento deve essere sempre di piccole dimensioni. Evidenziando una netta di-stanza nei confronti di tutte le altre configurazioni sociali rifiutando nel contempo “...la cultu-ra di massa e le gcultu-randi organizzazioni pubbliche (la buroccultu-razia) e privata (la mega-im-presa)” (Beato, in corso di stampa, p. 22).
In questo tipo di ambiente sociale si configura la setta. Storicamente si può rintracciare que-sta forma sociale nel settarismo religioso mentre, nella società contemporanea, si può pensa-re al mondo del dissenso politico e sociale e anche ai movimenti ambientalisti. Questi si ca-ratterizzano per essere dei gruppi chiusi in cui risalta la differenza tra il gruppo di apparte-nenza e la società circostante.
Nella setta si rifiuta totalmente l’individualismo, tipico della figura sociale degli imprenditori, mentre si accetta lo spirito di gruppo purché di piccole dimensioni non competitive al suo in-terno. Nella setta la cultura di massa e le organizzazioni private e pubbliche vengono rifiu-tate e vi è una costante ricerca di differenziazione dalla vasta umanità. La figura tipica di que-sta concezione del mondo è lo spirito settario. All’interno del gruppo tutti gli sforzi sono tesi alle relazioni interne ad esso; questo è fondamentale per garantire la sua non dissoluzione e per controllare i dissensi che possono crearsi all’interno dello stesso gruppo. Nella Setta
vie-ne incoraggiato qualsiasi comportamento rischioso che porti alla salvaguardia degli interes-si della comunità. Per M. Douglas e A. Wildavsky la cultura settaria oggi rivive nei gruppi ambientalisti statunitensi (Beato, incorso di stampa).
Di rischio si può parlare da vari punti di vista, com’è stato specificato all’inizio. L’autrice ha rivolto un interesse particolare nei confronti del rischio ambientale.
A sostegno della sua teoria sul rischio M. Douglas ha trattato il problema della biosfera: si è chiesta se esiste effettivamente il rischio di una catastrofe planetaria nel futuro del mondo. L’Autrice ha in primo luogo messo in evidenza il fatto che non c’è accordo su questo punto a differenza di altre questioni ambientali come per es. l’effetto serra e il buco dell’ozono, e quin-di si chiede perché sussista questa situazione (Douglas, 1992).
Una diversità di opinioni non esiste solo tra gli scienziati ma anche tra la gente comune. Si possono individuare, da una parte, i catastrofisti cioè coloro che hanno paura di tali eventi, altri invece sono sostanzialmente fatalisti in quanto credono alla gravità del problema ma so-no convinti di una loro totale impotenza; iso-noltre ci soso-no i fiduciosi, cioè coloro che credoso-no nelle capacità della natura di autodepurarsi (Douglas, 1992).
Schwarz e Thompson in una loro opera del 1993 hanno elaborati importanti concezioni del-la natura che possono essere rappresentati graficamente come segue:
Sono individuati quattro miti della natura: la natura capricciosa, la natura effimera, la natu-ra perversa-tollenatu-rante, la natunatu-ra benigna.
Nella rappresentazione grafica viene posta una pallina che simboleggia un paesaggio, in tal modo si considerano quattro diverse interpretazioni della stabilità dell’ecosistema.
Il mito della natura capricciosa raffigura un mondo casuale: la pallina rotola in tutte le dire-zioni su una superficie piana. È impossibile sapere come si sposterà, né serve formulare teo-rie al riguardo. Questo è il mito alla base della posizione fatalista, il cui agnosticismo è, al-meno teoricamente, al riparo da sorprese scaturite dalla natura.
Nel mito della natura effimera il mondo è raffigurato come un luogo terribilmente inclemente e il minimo scossone potrebbe causarne il collasso. In questo caso la pallina si trova sulla cima di una montagnola, immobile nell’unico punto in cui può mantenere il suo delicato equilibrio. Tale concezione è propria dei comunitaristi, e soprattutto delle associazioni ambientaliste.
Il mito della natura benigna ci fornisce un equilibrio globale. Un tale mondo è meravigliosa-mente clemeravigliosa-mente: non importa quanti colpi diamo perché la palla tornerà sempre in fondo al bacino. Questo è il mito che favorisce la sperimentazione audace e individualista, l’espan-sione e lo sviluppo tecnologico.
Il mondo rappresentato seguendo il mito della natura perversa-tollerante dimentica la mag-gior parte degli eventi ma è vulnerabile ad un occasionale lancio della palla oltre il bordo. Questo è il mito che favorisce i programmi di controllo per la riduzione dei rischi, gli inter-venti governativi, le limitazioni del mercato.
Seguendo ciò che è stato detto fino ad ora viene riportato una particolare rappresentazione della natura alla quale viene associato ogni gruppo sociale: