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2. Per una filosofia del pudore

2.1 Max Scheler

Lo sguardo simmeliano sul pudore sembra trovare conferma anche nelle riflessioni che ci provengono dalla filosofia. Tra queste, un posto di particolare importanza è occupato da quella che Max Scheler svolge in Pudore e sentimento del pudore235.

Abbiamo già avuto modo di evidenziare che Scheler conosceva il saggio di Simmel Sulla

psicologia del pudore, e abbiamo anche sottolineato la particolare vicinanza tra le due riflessioni.

Al di là del piano metafisico sul quale sfocia la sua riflessione sul pudore, sotto il profilo psicologico-sociale - o forse, meglio, sotto il profilo esistenziale-relazionale – Scheler sembra seguire precisamente la prospettiva delineata da Simmel.

Sebbenene faccia riferimento espressamente solo nell’appendice posta a conclusione del testo, dove troviamo appunti preparatori di Scheler236, la presenza dell’opera di Simmel

emerge in maniera decisa sullo sfondo complessivo dell’analisi scheleriana e in realtà sin dalle premesse. Aprendo il suo saggio, infatti, come Simmel anche Scheler individua il punto di origine del pudore in una contraddizione.

A me sembra che la radice del sentimento del oscuro e singolare del pudore e di quell’elemento sempre con-presente, dato da una sorta di “stupore”, di “confusione”, di esperienza vissuta di un contrasto tra un certo “dover essere” ideale e il “reale effettivo”, sia da riporre precisamente in quella particolare forma di esperienza vissuta conflittuosa, tra le tante possibili237.

Anche Scheler dunque vede alla radice del pudore uno squilibrio tra un essere ideale e un essere reale, tra un dover essere e l’essere. Come Simmel, inoltre, non distingue in modo preciso la dimensione della vergogna da quella del pudore238. Ciò nonostante, in Scheler

emerge chiaramente la volontà di distinguere nella dimensione della crisi la crisi vera e propria dalla risposta alla crisi.

Poco più avanti nel testo, Scheler si sofferma nel preciso movimento psicologico-esistenziale del pudore, e lo individua in un “ritorno su se stessi”, attraverso cui appunto il soggetto mira ad uscire da una condizione di crisi e conflitto interiore.

In ogni pudore […] ha luogo un atto che si potrebbe chiamare “ritorno su stessi”. Ciò si constata assai chiaramente nel caso in cui il pudore irrompe improvvisamente, dopo che, per esempio, un forte interesse proiettato verso l’esterno ha emarginato la coscienza e il sentimento di se stessi239.

Nella visione del pudore di Scheler troviamo, pertanto, esplicitata chiaramente quella dimensione della riflessività che in Simmel, seppur sempre all’opera, rimaneva non del tutto precisata.

235 Si segnala che Pudore e sentimento del pudore è un’opera incompiuta. Solo una sua parte, il capitolo dedicato al

pudore sessuale, e tra l’altro non tutto, è stato pubblicato da Scheler. L’opera così come noi la conosciamo, invece, è stata pubblicata postuma nel 1933. Per un approfondimento della storia del saggio si veda l’introduzione al testo di Antonio Lambertino in, Max Scheler, Pudore e sentimento del pudore, cit., pagg. 5-17.

236 Ivi, pag. 117.

237 Ivi, pag. 21.

238 In realtà bisognerebbe su questo punto approfondire lo studio della nozione di “Scham” che nella lingua

tedesca rinvia diffusamente tanto al pudore che alla vergogna creando una confusione tra i due concetti che ha messo in difficoltà molti traduttori e interpreti.

Ulteriore punto di contatto tra i due è l’idea che il conflitto relativo alla vergogna e al pudore è rinvenibile nella condizione stessa della soggettività tesa tra una dimensione individuale (singolare) e una dimensione generale.

Ricorrendo come Simmel all’esemplificazione, Scheler fa l’esempio di una donna che si trova a prestarsi come modella per un pittore, nel ruolo di paziente per un medico, o si trova a fare il bagno dinanzi ad un domestico. In tutte queste situazioni, nota Scheler, la donna non proverà pudore come quando è sotto lo sguardo dell’amato. E ciò per un motivo preciso.

Se essa si sente “data” al pittore come scena di fenomeni estetici e come oggetto da ammirare per il suo valore artistico e al medico come “caso clinico” o al domestico come “padrona”, il ritorno su di sé non può aver luogo, e ciò sempre per il medesimo motivo, cioè perché essa non si sente data in quanto “individuo”240.

Le cose cambiano nel momento in cui gli sguardi mutano direzione. Continua infatti Scheler:

Ammettiamo che il pittore, il medico, il domestico indirizzino per un momento la loro intenzionalità spirituale sull’individualità della donna, in modo che essa non appaia più rispettivamente come “immagine”, “caso clinico” e “padrona” – e tale mutamento di atteggiamento venga avvertito da lei -, allora la donna, operando un “ritorno su se stessa”, avrà una viva reazione di pudore. E ammettiamo il caso contrario, che l’amato, modificando il suo atteggiamento, non guardi più intenzionalmente la donna nella sua individualità o la sbirci in quanto “bella donna” o in quanto “bella immagine” così come fa un pittore – e ciò in modo che lei lo avverta, che si accorga, per esempio, di essere paragonata a un’altra donna, e che lui ne ricordi un’altra, e che pronunci espressioni già rivolte ad altre donne -, allora la donna reagirà con un moto di pudore241.

Mutando l’atteggiamento dell’interlocutore, insorge nella donna una contraddizione tra il proprio considerarsi una singolarità irriducibile a qualunque forma e il fatto di essere ridotta a una forma definita.

In casi come quelli esemplificati, secondo Scheler, quando il soggetto è preso in questa contraddizione si verifica la vergogna e la conseguente reazione di pudore.

il ritorno su se stessi, nella cui dinamica sorge il pudore, non ha luogo né quando si sa di essere “dati” come qualcosa in generale, né quando si sa di essere “dati” nella propria individualità, ma soltanto quando l’intenzionalità affettivamente percepita dell’altro oscilla tra un modo di in- tendere individualizzante e un modo di intendere generalizzante, e quando l’intenzionalità propria e quella, vissuta, di chi ci guarda, lungi dal coincidere, hanno una direzione opposta242.

Anche per Scheler, dunque, la vergogna e il pudore sono sentimenti coinvolti in modo originario con la costruzione dell’identità, nel senso che sono dimensioni che riguardano il

240 Ibidem. Per un approfondimento della dimensione dell’individualità considerata da Scheler come singolarità

irriducibile all’identità cfr. Andrea Zohk, Intersoggettività e fondamento in Max Scheler, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pag. 18.

soggetto nel proprio darsi una forma. È l’identità, infatti, che, specificando un’individualità del soggetto, lo espone al potenziale conflitto con se stesso.

Lo si ritrova nel breve passaggio in cui Scheler si richiama a Simmel, nell’appendice al suo lavoro sul pudore:

Il pudore si forma soltanto con la coscienza del proprio io individuale e del valore, in quanto deriva dalla percezione del rapporto che lega tale coscienza alla nostra esistenza generica. Ciò è confermato dallo sviluppo del pudore nella vita psichica del bambino. Questi “si vergogna” del suo vestito strappato, ma anche del suo nuovo vestito vistoso o di un voto scolastico troppo alto. Il pudore sembra qui difendersi da tutto ciò che dà nell’occhio in modo eccessivo. Simmel sembra riporne in questo l’essenza. Ma il timore di divenire oggetto di attenzione non ne costituisce l’elemento essenziale. Esso è dato piuttosto dal timore, in primo luogo

dell’oggettivazione, in secondo luogo dell’annullamento dell’immagine che abbiamo di noi stessi da parte

dell’immagine che se ne fanno gli altri243.

Compare qui il termine che indica più precisamente la contraddizione: l’oggettivazione del soggetto.

Nonostante l’assonanza tra le due posizioni, Scheler non sembra cogliere, in ogni caso, che per Simmel l’attenzione244 non è la causa della vergogna, ma lo strumento attraverso cui si

attiva la causa della vergogna, ovvero la contraddizione interiore del soggetto.

È l’attenzione dell’altro che costringe, in questo caso, il bambino a realizzarsi identitariamente in base a ciò che l’altro pensa di lui245, distanziandosi dall’identità cui ambisce e realizzando

di conseguenza lo scarto tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere.

L’attenzione dell’altro, allora, significa per il soggetto il richiamo alla realtà, o meglio, a ciò che lui pensa sia la realtà. E il richiamo alla realtà è il presupposto del darsi dell’oggettivazione, e dunque della contraddizione e della vergogna.

Un aspetto del pudore che invece Max Scheler coglie molto bene è la caratteristica della medianità. Il pudore è una dimensione intermedia, sospesa; una tensione, cioè, che si pone

tra due termini:

Tutte le diverse qualità e forme del sentimento del pudore, che noi distingueremo, tutti i fatti ‘per’ i quali esso si desta – tenendo conto delle sue innumerevoli variazioni a seconda delle

243 Ivi, pag. 117.

244 Il passo simmeliano a cui sembra far riferimento Scheler è quello in cui Simmel discutegli esempi, già discussi

nel II capitolo, del buco nella manica e della malformazione fisica. Dopo questi esempi infatti Simmel si sofferma sull’elemento dell’“attenzione”: “Nel momento in cui la malformazione suscita l’attenzione degli altri, comincia l’opposizione tra affermazione dell’Io e mortificazione rispetto alla sua idea, che è caratteristica della vergogna; e ciò spiega il fatto che essa è sempre accompagnata da una peculiare sensazione di inquietudine. L’attenzione degli altri viene recepita da colui che ne è colpito come una indiscrezione; essi penetrano in questo modo nella sfera della sua personalità, in ciò che è di sola sua pertinenza. Questa attenzione mette in risalto il cardine intorno al quale oscillano le sensazioni dell’Io integro, normale, e dell’Io mutilato e mortificato, provocando in questo modo un senso di umiliazione”. Georg Simmel, Sulla psicologia del pudore, cit., pagg. 69-70.

245 Come abbiamo visto Simmel in questo saggio sembra anticipare proprio il concetto di “altro generalizzato”

epoche, dei luoghi, del sesso, dell’età -, tutte le relazioni interpersonali inerenti all’esperienza vissuta di provare pudore ‘dinanzi’ a qualcuno, hanno quest’unico, profondo, universale sfondo: che l’uomo, nel suo essere più intimo, si percepisce effettivamente e si coglie come ‘ponte’, come ‘passaggio’ tra due ordini di essere e di essenza, nei quali egli è con pari profondità radicato e ai quali non può, neppure per un attimo, sottrarsi senza cessare di essere ‘uomo’246.