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La trattazione della nozione di pudore che emerge dall’opera di Simmel ci ha spinto sin qui a confrontarci con altre riflessioni del Novecento, verificando che il pudore è stato osservato, come dallo studioso tedesco, sul piano dell’esperienza umana come un tassello della relazione dell’uomo con ciò che è altro da sé,e come questo temi interessi trasversalmente le varie scienze umane e sociali.

La riflessione simmeliana ne sembra uscire assolutamente rafforzata, emergendo, oltre che per la sua attualità, anche per una straordinaria forza ermeneutica. In essa, infatti, non solo troviamo delineati i vari aspetti che riguardano il pudore, ma li troviamo tutti ricompresi

all’interno di una cornice teorica unitaria, la quale non può che offrire una migliore messa a fuoco del fenomeno.

Questa capacità ermeneutica emerge chiaramente rispetto all’opera di Goffman che, pur incorporando gli stessi nodi concettuali della prospettiva simmelliana, ha restituito la propria ricchezza concettuale grazie alla possibilità di essere interrogata in modo appropriato. In tal senso ne è emerso per esempio, un aspetto del pudore poco visibile in Simmel, ovvero la qualità del pudore di resistere a quel potere che ci vuole imporre la sua realtà, nella nozione che ha così bene elaborato Foucault. Distanziarsi dal ruolo allora, come Goffman ci ha permesso di sottolineare, significa non cedere alla definizione della situazione che il potere vorrebbe imporre al soggetto dall’esterno.

Simmel sembra mostrare la stessa forza ermeneutica dello sguardo goffmaniano rispetto al versante filosofico. Se, infatti, mettiamo a confronto le diverse prospettive prese in esame, è interessante osservare che ritroviamo quello stesso carattere ambivalente del pudore che abbiamo visto emergere dall’opera di Simmel.

Da un lato, infatti, la prospettiva che abbiamo indicato come personalista osserva il pudore più dal punto di vista della difesa della soggettività e dunque come reazione alla vergogna. Nonostante Scheler nelle sue opere si sforzi di inquadrare la prospettiva personalista all’interno di una cornice teorica segnata originariamente dall’intersoggettività289,

cionondimeno la sua visione del pudore sembra segnata dalla preoccupazione di difendere il “valore individuale” del soggetto dalla relazione. E lo stesso sembra avvenire in Mounier290.

È opportuno segnalare che anche da questo punto di vista si può osservare il pudore come una resistenza al potere. Contro il potere che cerca un controllo sul soggetto, questo scarta via non facendosi trovare lì dove pure sembra essere.

Ad ogni modo, all’interno di questa prospettiva si differenzia la tesi di Virgilio Melchiorre, il quale, ci traghetta invece verso l’altra prospettiva, la prospettiva esistenzialista. Questa, a differenza della prima, considera il pudore più dal punto di vista dell’apertura, dell’ascolto, della non appropriazione, e dunque come una tensione che apre il soggetto alla relazione. Tuttavia, come ci fa vedere bene Simmel le due prospettive non sono in contraddizione, anzi, rappresentano due lati della stessa medaglia.

289 Scrive Guido Cusinato: “secondo Scheler infatti l’esperienza del Noi precede quella dell’Io, e la dimensione

sociale non sopraggiunge in un secondo tempo, ma è costitutiva dell’identità dell’Io. Qui Scheler risulterà in sintonia con la tesi del social self di George Herbert Mead, quando questi mette in luce come l’individuo costituisca la propria identità imparando a porsi «in the role of the other person», e come questo avvenga già nei bambini attraverso il gioco e l’imitazione dei ruoli sociali dell’adulto”. Guido Cusinato, Unipatia ed espressività nel «Sympathiebuch» di Max Scheler, in «Iride», a. XXV, n. 65, gennaio-aprile 2012, pag. 157.

290 Anche Mounier insiste molto sul lato originariamente relazionale della persona. Oltre a Il personalismo già

citato, si veda anche Emmanule Mounier, Che cos’è il personalismo?, Einaudi, Torino, 1975 [1948], in particolare pagg. 61-69.

La stessa cosa sembra notare anche Andrea Tagliapietra, nella sua ricostruzione dell’idea di pudore. Prendendo in esame l’analisi scheleriana, infatti, egli fa un’osservazione che ci sembra trovi piena conferma da quanto è emerso dall’esame di Simmel.

[N]el pudore non c’è solo quel ritorno dell’individuo su se stesso che scorgeva Scheler, ma, simmetricamente, possiamo cogliere nel gesto del pudore e nel segreto che esso custodisce un movimento di apertura e di rispetto, di ospitalità, di responsabilità e di generosità nei confronti dell’altro (a cui mi riservo e di cui ho riguardo nell’atto del mio pudore)291.

Il pudore, così come difende il soggetto dalla relazione, allo stesso tempo è anche ciò che apre il soggetto alla relazione. E ciò per un motivo che oramai conosciamo bene: in entrambe i casi si tratta di distanziare sé da sé.

In Simmel, però, non troviamo solo un punto di riferimento per il pudore. La sua particolare forza teorica deriva anche dall’aver individuato la logica originaria-fondamentale della vergogna – la contemporanea affermazione e negazione dell’Io. Come abbiamo visto nel terzo capitolo, attraverso quella logica trovano una lucida spiegazione quelle analisi scientifiche e filosofiche, ma anche quelle intuizioni letterarie, che pongono la vergogna al centro della soggettività.

A questo riguardo, ci preme rilevare che la vergogna non è semplicemente frutto dell’oggettivazione della soggettività ad opera di un’altra, come molte analisi sembrano suggerire. Se certo l’oggettivazione è importante ed è parte della vergogna, all’origine di questa troviamo, piuttosto, la dinamica opposta: ci si vergogna perché non si è oggettivati abbastanza. Come anche Martha Nussbaum ha compreso perfettamente, all’origine di questa emozione troviamo l’intenzione del soggetto di oggettivarsi, e proprio perché essa è destinata alla sconfitta, sorge appunto, la vergogna.

L’aver compreso in profondità la vergogna, di conseguenza, rafforza anche la comprensione stessa del pudore, il quale si pone proprio specularmente rispetto ad essa. Intanto perché, come si è visto, attraverso la dinamica della vergogna si può comprendere la particolare sfumatura emozionale del pudore - quella leggera sfumatura di vergogna che oltre a Simmel anche Nancy sembra aver colto, e da cui forse deriva la confusione tra le due dimensioni. A quest’aspetto però se ne deve aggiungere un altro particolarmente importante. E cioè che vedere la vergogna come la possibilità più propria della soggettività in cui continuamente essa rischia di cadere, significa portare al contempo anche il pudore al cuore della soggettività. Anche il pudore, cioè, si manifesta come un’esperienza originaria, primaria, radicale, del soggetto. Come si è cercato di evidenziare, infatti, è proprio il pudore a farci uscire, seppur mai definitivamente, dalla trappola della vergogna. E di questo ci provengono conferme oltre che da alcune riflessioni filosofiche, anche in particolare dalla prospettiva psicologica.

Se infatti, mettiamo a confronto la prospettiva di Martha Nussbaum con quella di Marta Appiani, non possiamo che concludere ancora una volta che è il pudore a tirarci fuori dalla nostra originaria vergogna292. Anche da questo punto di vista, in altri termini, ritroviamo il

rapporto originario pudore-vergogna, nel senso proprio che quel rapporto è all’origine della costituzione del soggetto.

Bisogna specificare, però, che se la prospettiva psicologica di Marta Appiani si muove su un piano situato all’ombra della coscienza del soggetto, nel senso che osserva la costituzione della psiche del soggetto su cui questo nulla può, la prospettiva di Simmel invece ci rende ragione del pudore muovendosi sul piano della coscienza del soggetto. Ma la dinamica osservata sembra essere comunque la stessa: tenere in tensione la soggettività contro la chiusura in una presupposta identità.

L’ultimo aspetto da sottolineare è che il pudore e la vergogna sono fenomeni relazionali. E se di questo troviamo conferma nei vari autori, anche da questo punto di vista è ancora Simmel l’autore che più sembra renderci ragione di quest’aspetto. Egli infatti ci mostra che l’auto-oggettivazione che il soggetto fa di sé, da cui appunto dipende la vergogna e da cui il pudore scarta, avviene sempre attraverso l’altro, anche se esso non è presente di fronte al soggetto.

Quando diciamo altro ci riferiamo a due diverse forme di alterità che attraversano la relazione. Da un lato, ci riferiamo alla nozione elaborata da Mead di “altro generalizzato”, che abbiamo visto Simmel sembra anticipare parlando di “rappresentanza parlamentare” interna alla coscienza del soggetto. Dall’altro, però,ci riferiamo anche ad un altro soggetto determinato con cui il soggetto si pone in relazione, anche immaginaria. Se il primo “altro” è uno sfondo che rende possibile l’oggettivazione, il secondo “altro” invece è colui che, per così dire, rende reale l’auto-oggettivazione che fino a quel momento era solo ipotetica nella coscienza del soggetto. Questo cioè è l’altro che corrobora l’auto-oggettivazione del soggetto che con l’“altro generalizzato” era solo potenziale.

Possiamo distinguere, dunque, il diverso ruolo del pudore rispetto a queste due diverse forme di alterità che attraversano la relazione. Se il pudore è lo scarto del soggetto dal proprio sé, esso da un lato è uno scarto che riporta l’altro soggetto determinato nella sua alterità, quel soggetto determinato che nel processo identificativo il soggetto aveva ricondotto a sé. Al contempo però esso è anche lo scarto che permette al soggetto di riaprirsi all’“altro generalizzato”, l’altro impersonale che appunto vive della riflessività della coscienza.

Da questa originaria relazionalità del pudore emerge allora la sua fecondità per la relazione sociale, che con Simmel abbiamo individuato nell’apertura di un “tra” il quale fa da viatico per la reciprocità tra i soggetti della relazione.

292 Se ci è permessa una suggestione, si potrebbe osservare che in base alla prospettiva che si è cercato di aprire

Nelle pagine che seguono cercheremo di approfondire proprio l’aspetto relazionale del pudore, approfondendo le sue potenzialità rispetto ad alcuni suoi campi di applicazione. Prima toccheremo quelle dimensioni a cui il pudore viene solitamente accostato: l’intimità, il sesso e il corpo. E per far questo dovremmo uscire da Simmel, per rivolgerci in particolare a due autori francesi contemporanei che comunque hanno diversi punti di contatto con lo studioso tedesco. Successivamente, invece, tornando su Simmel, cercheremo di aprirci la strada verso altre dimensioni importanti del legame sociale, rispetto alle quali proprio il pudore sembra offrirci la possibilità di un loro fruttuosa valorizzazione. Come vedremo ne uscirà rafforzata proprio la nozione di “tra” e insieme ad essa il suo rapporto con il pudore. Per ora concludiamo identificando il pudore, dunque, come lo sforzo di tenere riflessivamente, sia in forza di processi psichici inconsci, primari, sia attraverso uno sforzo cosciente del soggetto, la distanza di sé da sé, la quale può agire sia come difesa della soggettività sia come sua apertura all’alterità.