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Abbiamo visto l’importanza delle barriere e delle distanze sociali codificate che circondano il soggetto e come le stesse, spezzandolo e tendendolo, paradossalmente tengono il legame vivo e vitale. L’onore rappresenta una di queste barriere:

Così, i rapporti tra gli uomini si distinguono in base alla questione della conoscenza reciproca: ciò che non viene nascosto si può sapere, e ciò che non viene rivelato non si può nemmeno sapere. Quest’ultima decisione corrisponde alla sensazione, efficace anche altrove, che intorno a ogni uomo vi sia una sfera ideale, certamente di grandezza variabile in direzioni diverse e di fronte a persone diverse, nella quale non si può penetrare senza distruggere il valore di personalità dell’individuo. L’onore traccia intorno all’uomo un cerchio di questo genere; e molto finemente la lingua definisce un’offesa all’onore come “avvicinarsi troppo”, poiché il raggio di quella sfera designa per così dire la distanza il cui superamento da parte di una personalità estranea offende l’onore353.

Per Simmel, l’onore è, quindi, più precisamente, una sfera ideale che impedisce l’avvicinarsi

troppo, e in questo modo attiva un meccanismo di tutela del valore della personalità dell’individuo.

Rispetto alle altre forme di distanziamento che abbiamo già considerato354, la distanza definita

dall’onore assume una rilevanza particolare. Piuttosto che descrivere soltanto un distanziamento tra i soggetti volto a controbilanciare le forze “leganti” della società, l’onore è di per sé una forza legante estremamente efficace in quanto, pur essendo “distanza”, tiene insieme l’interesse sociale e quello individuale.

Lo si comprende da quanto Simmel afferma più avanti, osservando come nell’onore confluisca un “contenuto” che ha rilevanza al livello dell’interesse sociale, ma che può essere compreso soltanto attraverso il valore che assunto imperativamente al livello dell’interesse individuale:

Non esiste forse nessun altro punto in cui l’interesse sociale e quello individuale s’intrecciano in tale maniera, in cui un contenuto che è comprensibile soltanto in base al primo abbia assunto una forma imperativa che sembra scaturire soltanto nel secondo355.

E continua:

In tal modo l’esigenza della cerchia sociale è calata così radicalmente nel fondamento vitale del suo elemento che l’onore assume addirittura un tono di isolamento, anzi sotto qualche profilo quasi di offensiva. Esso abbraccia appunto quei modi di comportamento in cui il vantaggio della cerchia non sta nell’immediato darsi degli individui, nella mescolanza reciproca dei loro confini, nell’unificazione indifferenziata

353 Ivi, pag. 301. 354 Vedi sopra cap. 2 §2.

del loro agire e del loro essere, bensì proprio nel fatto che ognuno “tiene a se stesso”; qui è la reciproca autonomia delle parti a mantenere il tutto nella sua forma356.

Quindi, l’onore agisce sia isolando l’individuo, mettendolo sulla difensiva, sia come sua riaffermazione sociale. Posizionandosi in questo spazio transitorio e differenziale che c’è tra il tutto e la parte, l’onore è, in altre parole, in grado di promuovere, nei suoi diversi contenuti, la coesione della cerchia sociale e al contempo il valore e il rispetto dell’individuo357.

Il valore assunto dall’onore in questo posizionarsi tra la dimensione sociale e quella individuale, ci suggerisce ulteriori considerazioni.

La prima. Se, da una parte, l’onore è un’ulteriore riprova del fatto che l’individuo si definisce grazie al riconoscimento degli altri, potremmo dire nutrendosi del riconoscimento sociale; dall’altra parte, questa esposizione, che come abbiamo visto si tramuta in espropriazione della soggettività, proprio perché percepita come onore, invece che negare o sminuire il valore del soggetto, diviene fonte di valorizzazione della sua singolarità.

La seconda considerazione è speculare alla prima. Proprio perché l’onore implica l’esposizione dell’individuo alla propria cerchia sociale, questi non deve differenziarsi dal gruppo opponendo un’identità a contrasto, ma può cogliere e affermare di sé stesso la propria singolarità. Rispetto all’esigenza del riconoscimento sociale, l’identità si configura infatti come una barriera da superare. Allo stesso tempo l’onore non può divenire possesso identitario; l’appropriazione sarebbe la negazione stessa del significato dell’onore, il quale, appunto, è onore e valorizza il soggetto proprio perché è riconosciuto dagli altri358.

L’onore del soggetto, dunque, è allo stesso tempo oltre e prima della sua identità. Per effetto dell’onore, il soggetto si mantiene nella tensione tra il suo essere sociale impersonale e la propria singolarità senza una distinzione di tipo identitario, e così può viversi riflessivamente come riconosciuto dagli altri, senza ridurre la riflessività all’identità, traendo dalla riflessività il suo valore. Nell’onore, in altri termini, “l’altro generalizzato” non è più un processo che si muove all’ombra della vita del soggetto, ma è vissuto da esso in modo esplicito359.

356 Ibidem. Vedi qui anche ulteriori passaggi “Gli interessi della cerchia sociale coperti col nome di onore sono

investiti in una sfera posta intorno all’individuo, nella quale nessun altro può penetrare senza incontrare repulsione, e sono stati incomparabilmente garantiti nella realizzazione da parte dell’individuo”; “si può indicare come prestazione specifica dell’onore il fatto che esso fa diventare il dovere sociale dell’uomo la sua salvezza individuale”.

357 Recentemente hanno riattualizzato la categoria dell’onore, con riferimenti all’analisi simmeliana e in linea

con l’analisi qui proposta, Franco Cardini, Onore, Il Mulino, Bologna, 2016; ma soprattutto, con un’analisi raffinata e pungente, Andrea Mubi Brighenti, Onore, sacro e intensità. Per una sociologia del timotico, La società

degli individui, n. 56, anno XIX, 2016/2.

358 Sul punto vedi ancora Andrea Mubi Brighenti, Onore, sacro e intensità. Per una sociologia del timotico, cit.,

pag. 52.

359 Sulla tensione tra singolare e impersonale cfr. Roberto Esposito, Terza persona. Politica della vita e filosofia

dell’impersonale. Einaudi, Torino, 2007 in particolare pagg. 127-184. Il tema sembra comparire già anche in

conclusione di Immunitas, dove Esposito, riflettendo sulla riflessività della terza persona, osserva proprio come questa si tenga tra la dimensione individuale e quella sociale. “Essa, più che a una logica di semplice negazione, sembra rimandare a una contraddizione per la quale l’identità è nello stesso tempo affermata ed alterata –

Se aver cura del proprio onore significa tutto questo, non sembra allora un caso che Simmel impieghi il verbo onorare anche per indicare la possibilità di risalire attraverso il pudore alla profondità feconda insita nella relazione, dove anche l’onorare si riconnetterebbe alla fecondità del mantenersi nella tensione vitale, di scarto in scarto360.

Anche Goffman dedica un saggio a questo tema, osservandolo sostanzialmente dalla stessa prospettiva. Come Simmel, vi vede la co-esistenzadi individuale e sociale361. Tuttavia Goffman distingue la “faccia” dall’“’onore”, secondo un rapporto tra genere e specie. La “faccia” rappresenterebbe il concetto generico, mentre l’“onore” sarebbe la specificazione della “faccia” relativa ad un gruppo sociale particolare362.

Pur non avendo un’immediata ricaduta sul nostro tema, questa distinzione risulta comunque interessante. Sebbene, infatti, come riconosce anche Simmel, l’onore si manifesti sempre in riferimento a gruppi particolarmente integrati da una specifica cultura valoriale, ciò non significa che l’esperienza del soggetto si esaurisca all’interno di essi. Piuttosto l’onore tiene in tensione il particolare con l’universale, funzionando come un’apertura che supera il gruppo di riferimento. L’onore fatto valere all’interno del proprio gruppo, a maggior ragione sarà rivendicato rispetto alla società generale. Così, il soggetto onorato di appartenente ad un gruppo particolare, si percepirà in un confronto continuo anche all’esterno, ponendosi con onore nelle relazioni esterne alla propria cerchia. L’onore rappresenta dunque una tensione tra il particolare e l’universale che non soltanto fa di esso qualcosa di inappropriabile, spiegando la sua estrema precarietà e continua instabilità363, ma più specificatamente ne indica

due possibili derive.

Da un lato, quella in cui il soggetto si chiude nella propria appartenenza pensando di potersi appropriare dell’onore. “Il mio onore!”. Quando quest’espressione è pronunciata con sussiego a difesa della propria faccia, come se si volesse rivendicare qualcosa che si è, e non qualcosa che continuamente si deve conquistare, avvertiamo subito che essa è una rivendicazione dell’onore che snatura e tradisce il suo significato, e che pone il soggetto quasi in ridicolo: inutile voler affermare da solo ciò che ci proviene dagli altri. Se il soggetto lo rivendica, noi già ne percepiamo la volatilità. Lo rivendica proprio perché non sa come riconquistarlo. La causa va ricercata nell’orgoglio. Il soggetto si rifiuta di prendere atto della realtà e della propria esposizione alla relazione, cercando di barricarsi nella propria immagine di sé. La torsione dell’onore è tutta in favore del soggetto a scapito della relazione, volendo questi appropriarsi dell’onore escludendone le implicazioni sociali. In questo caso, la tensione tra singolarità e impersonalità è risolta tutta in favore della prima.

affermata nella forma della propria alterazione”. Roberto Esposito, Immunitas, cit., pag. 212. Noi potremmo dire che, contro la contemporanea affermazione e negazione della vergogna, si pone il pudore che afferma il soggetto alterandolo da sé.

360 Cfr. quanto detto a proposito dell’alterità (cap. 2 §2.4).

361 Cfr. Erving Goffman, Giochi di faccia, in Id. Il rituale dell’interazione, cit., pagg. 13-14. 362 Ivi, pag. 12.

L’altra deriva dell’onore è quella in cui il soggetto si sacrifica o sacrifica altri, ovvero annulla il proprio o l’altrui valore, compiendo atti che egli considera degradanti e umilianti. Qui è il caso in cui, pur di salvare l’onore, il soggetto che si sente aggredito nel proprio valore riduce la propria unicità alla sua sola immagine sociale. In questo caso, la tensione tra singolarità e impersonalità è risolta tutta verso il polo sociale.

Anche attraverso le proprie derive, il sentimento dell’onore si muove, dunque, sul crinale sottile di una tensione che espone continuamente il soggetto al pericolo di oltrepassare il limite, di eccedere la misura entro la quale trova l’equilibrio tra il proprio dentro e l’altrettanto proprio fuori.

Se ora facciamo riferimento al testo di Scheler, Pudore e sentimento del pudore, diviene ancora più stringente quel nesso tra onore e pudore che già emergeva dall’opera simmeliana.

In quel testo Scheler colloca il pudore in una posizione intermedia tra l’umiltà e l’orgoglio. Se rispetto all’orgoglio, considerato come “sentimento positivo del proprio valore personale”, volto a conservare e proteggere questo valore anche di fronte ad eventuali contestazioni (il non esporsi, il non mettersi in gioco), il pudore “è soltanto un gesto di protezione e di preservazione dell’io individuale, che alla presenza di altri può anche divenire facilmente un gesto silenzioso di domanda e di implorazione”; rispetto all’umiltà, in cui “siamo assorbiti amorosamente dal valore superiore dell’altro e ci perdiamo in essa”, il pudore ci garantisce dal “non abbandonarsi mai del tutto” perché ci dà la possibilità di “gettare uno sguardo retrospettivo sul nostro valore, avvertito in modo oscuro”, e quasi di domandarci “se chi ci ama lo meriti veramente”.

Nella tensione tra orgoglio e umiltà, osserviamo quindi, da un lato, la valorizzazione del soggetto a scapito della chiusura su sé stesso, in virtù dell’orgoglio, e, dall’altro lato, l’annullamento della soggettività per effetto della sopravvalutazione eccessiva dell’altro della relazione, dovuto all’umiltà.

Occupando uno spazio intermedio, il pudore consentirebbe di misurare l’eccesso, nell’orgoglio come nell’umiltà, consentendo una relazione più fruttuosa ed equilibrata, attraverso cui le due parti possano valorizzarsi reciprocamente senza che il valore dell’una debba scontare il risentimento dell’altra.

Il contenuto dell’onore confermerebbe in conclusione, non soltanto l’idea del pudore come spazio mediano in bilico tra individuale e sociale, teso tra la soggettività e l’alterità, ma anche come un limite all’eccesso, ciò che può consentire di individuare la misura con cui avvicinarsi all’altro nel rispetto di sé stesso e dell’altro364.

364 È evidente che noi facciamo riferimento all’onore come concetto esistenziale-relazionale. Nelle società

tradizionali, dove il soggetto non si è differenziato ma è ancora schiacciato su codici culturali precostituiti, anche l’onore è schiacciato su ciò che i codici prevedono senza margini di scelta da parte del soggetto. Nel pensare al suo onore il soggetto non può far altro che adeguarsi a ciò che la comunità richiede. Ciò non significa però che l’onore, sul piano esistenziale-relazionale, non possa essere recuperato oggi che invece si è affermata - anche se in parte bisogna lavorare in questa direzione - la possibilità per il soggetto di aderire a valori e principi scelti autonomamente. Il recupero dell’onore sul piano esistenziale sembra aiutare, infatti, a ripensare la relazione sociale tra sé e l’altro e il rapporto individuo-comunità senza assolutizzare uno dei due poli.