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CAPITOLO III : INFIAMMAZIONE INTESTINALE, VIRUS E METODI D

3.3 MECCANISMI CANCEROGENICI DEI VIRUS

A prima vista è possibile definire due tipi fondamentali di meccanismi cancerogeni caratterizzati da un contributo diretto o indiretto all'oncogenesi.

I Meccanismi Diretti di Cancerogenesi richiedono la presenza di specifici geni virali in ogni cellula cancerosa e comprendono:

 L'introduzione, l‟espressione e la presenza continua di oncogeni virali specifici nelle cellule ospite, dopo l‟integrazione del genoma virale nel DNA cromosomico;

 Modificazione degli oncogeni virali dopo l‟integrazione con il DNA della cellula ospite;  I geni modificati della cellula ospite integrati nei genomi virali agiscono come

oncogeni;

 La continua presenza di acido nucleico virale e attivazione o soppressione dei geni cellulari.

Quest‟ultima modalità di cancerogenesi diretta merita una crescente attenzione, in quanto i membri della famiglia Anellovirus, cioè virus a DNA circolare a singolo filamento, persistono, di solito, episomalmente, ovvero sono presenti nel sangue periferico della grande maggioranza degli esseri umani, con una notevole eterogeneità. La loro persistenza influenza l'espressione di un insieme specifico di geni cellulari attraverso l'espressione dei loro microRNA (miRNA); riarrangiamenti intramolecolari del loro DNA, risultanti dalla replicazione autonoma di minuscole sequenze di DNA virale, possono esercitare alcuni effetti aggiuntivi.

I Meccanismi Indiretti di Cancerogenesi sono stati definiti per infezioni capaci di indurre modifiche che portano al cancro, ma che non necessariamente richiedono la persistenza e l‟espressione degli agenti responsabili all'interno delle cellule tumorali e perciò comprendono:

 L'immunosoppressione indotta da virus attiva altre infezioni latenti di virus cancerogeni, come l‟Herpes Virus 8 collegato al sarcoma di Kaposi o l‟Epstein-Barr-Virus al Linfoma delle cellule di tipo B;

 L‟infiammazione cronica e l‟induzione di radicali liberi dell‟ossigeno: le reazioni infiammatorie causate da infezioni croniche inducono la formazione di specie reattive dell‟ossigeno (ROS) e, di conseguenza eventi mutazionali all'interno del tessuto colpito;

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quindi, non deve sorprendere se infezioni persistenti o latenti (da parassiti, Helycobacter o virus dell‟Epatite B/C) che provocano infiammazioni croniche, sono spesso coinvolte nello sviluppo del cancro;

 La prevenzione dell‟apoptosi che consente la sopravvivenza delle cellule danneggiate;  L‟induzione dell‟instabilità cromosomica e di traslocazioni.43,44.

In ogni caso, mentre la persistenza del materiale genetico dell'agente cancerogeno induttivo all'interno delle cellule tumorali, apparentemente non è un requisito assoluto nello sviluppo di una crescita maligna, al contrario l‟attività mutagena indotta dalle ROS emerge come un fattore importante; allo stesso l‟induzione di modificazioni genetiche o epigenetiche multiple a livello dei geni delle cellule ospite, costituisce un fattore scatenante la proliferazione maligna.43

I Virus Oncogeni sono quindi capaci di agire come fattori e/o cofattori in grado di innescare la fase di Iniziazione Tumorale, potendo indurre nella cellula ospite alterazioni genomiche capaci di stabilire uno stato di Immortalizzazione. Alcuni virus oncogeni possono addirittura interagire, nell‟induzione dell‟effetto trasformante, direttamente con la funzione di oncogeni o geni oncosoppressori, o direttamente con i loro prodotti, alterandone le funzioni. Tuttavia è difficile classificare razionalmente i virus oncogeni, poiché essi costituiscono un gruppo eterogeneo comprendente sia desossi-ribovirus con un genoma costituito da DNA, che ribovirus con un genoma costituito da RNA. In ogni caso i virus associati a tumori (virus a DNA e retrovirus) codificano oncogeni virali cruciali per la replicazione virale e per la crescita, mitosi e trasformazione cellulare. Oltretutto i virus tumorali si comportano diversamente in relazione alla trasmissione nella specie ospite e alla cellula che subisce la trasformazione neoplastica, con la capacità di instaurare un‟infezione persistente nell'uomo. Oltretutto essendo esclusivamente agenti carcinogenetici, lo sviluppo del tumore rappresenta un evento accidentale nel corso della storia naturale dell'infezione.

In relazione ai rapporti dei virus oncogeni con la cellula ospite, si distinguono: cellule permissive e non permissive all‟infezione virale. Nelle cellule permissive il virus sviluppa un ciclo replicativo completo, che termina con la produzione di nuove particelle virali infettanti, mentre in quelle non permissive il virus svolge un ciclo abortivo, che comporta l‟espressione delle sole proteine virali precoci, correlate alla replicazione del genoma virale e sintetizzate nella fase iniziale dell‟infezione.

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Tra queste proteine si trovano anche quelle responsabili della trasformazione neoplastica, dal momento che questo secondo tipo di cellule mancano di alcuni fattori necessari all‟espressione delle funzioni virali tardive, coinvolte nella sintesi delle proteine strutturali dei virioni; per questo motivo il ciclo replicativo virale non viene completato e si arresta nella fase iniziale.

Nella maggior parte dei casi il genoma virale si integra covalentemente nel DNA della cellula trasformata, anche quando la trasformazione è associata allo svolgimento del ciclo replicativo virale e alla produzione di nuovi virioni infettanti. Successivamente, l‟integrazione del DNA virale nel DNA cellulare pone il genoma virale nella situazione di un qualsiasi gene cellulare, con la principale funzione di fissare stabilmente l‟informazione genetica virale nella cellula trasformata trasmettendola alla sua progenie.48

I periodi di latenza per lo sviluppo di tumori che si verificano a seguito di infezioni specifiche variano notevolmente tra gli agenti coinvolti, ma coprono comunemente periodi compresi tra uno e alcuni decenni. Solo alcuni tumori possono tuttavia presentarsi pochi anni dopo l‟infezione iniziale, anche se un'eccezione è rappresentata dalla sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X associata al virus dell‟Epstein-Barr (EBV).

Diversamente da questo, è stato osservato un periodo di latenza probabilmente compreso tra i 3 ed i 9 anni per la comparsa del Linfoma di Burkitt a seguito di un‟infezione da parte del virus di Epstein-Barr e un periodo di 3-12 anni per il Linfoma di tipo B associato ad EBV sotto immunosoppressione e per il Sarcoma di Kaposi legato all‟Herpes Virus 8. Infine sono previsti dai 3 ai 15 anni per la comparsa della forma giovanile del linfoma di Hodgkin legata all‟EBV; questo indica che solo una o poche modifiche genetiche o epigenetiche delle cellule ospiti sono necessarie prima dell'inizio di una proliferazione maligna. Al contrario si stima che siano necessari 15-25 anni, affinchè le cellule infette da Papilloma-Virus si trasformino, determinando la comparsa del tumore a livello della cervice uterina, o addirittura 30-60 anni per la comparsa di un epatocarcinoma a seguito di un‟infezione da Epatite B/C.

In sintesi, questi dati suggeriscono che la lunghezza del periodo di latenza tra un‟infezione e lo sviluppo del cancro corrispondente, riflette il numero necessario di modifiche epigenetiche o genetiche all'interno di specifici geni delle cellule ospiti.44

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