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Nel corso del prossimo decennio ai paesi che attualmente formano l’Ue se ne andranno ad aggiungere altri che già premono per entrare in quella che rappresenta una delle più importanti aree economiche regionali del mondo (Commissione Europea, 1997). Negli stessi anni si consolideranno le altre aree macro-regionali come quella nord americana, e del Sud America, inoltre entreranno a pieno titolo nel contesto mondiale degli scambi paesi come l’India e la Cina che, da sola, rappresenta un quinto della popolazione mondiale.

Nella prospettiva tracciata da questi eventi, sommariamente delineati, è chiara la tendenza ad un ulteriore ampliamento del mercato secondo una logica che vede contemporaneamente in gioco due aspetti: la formazione e il consolidamento di ampie aree regionali e il rafforzamento indispensabile di una regia unica e di regole sempre più condivise. La continua crescita dimensionale dei mercati conduce alla comparsa ed all’affermazione di operatori a loro volta in forte crescita dimensionale per essere adeguati al nuovo contesto operativo (Nomisma, 2000). La loro dimensione economica si espande, così come i loro interessi che tendono ad allargarsi dai singoli mercati nazionali via via a quelli maro-regionali, in vista di realizzare posizioni forti su quello globale.

I prodotti agroalimentari nel mercato globale

In questo quadro evolutivo si colloca il complesso problema delle prospettive dei prodotti agroalimentari e più specificamente di quelli di un paese come l’Italia, inserito nell’area europea ed obbligato ad

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affrontare le conseguenze della crescente internazionalizzazione dei mercati su un settore agricolo che già sul piano intra europeo incontra non poche difficoltà in termini competitivi (Becattini G., 2000).

La prospettiva della globalizzazione dei mercati e delle economie, dopo una fase in cui era stata accettata con un forte slancio e con la ferma intenzione di affrontare e vincere una competizione che si annunciava serrata ma in grado di fornire risultati molto lusinghieri, viene ora considerata con una prudenza molto maggiore. Dopo gli entusiasmi iniziali sembra essersi avviata una fase di parziale ripensamento. Tale ripensamento dei termini in cui va valutato il fenomeno più importante di questo periodo storico in campo economico non deve tuttavia far perdere di vista il senso degli avvenimenti né indurre a ritenere che ci si possa estraniare da essi chiudendosi in un isolamento del tutto irrealistico. Vale perciò la pena di cercare di comprendere in che cosa consista il fenomeno della globalizzazione per individuare rischi ed opportunità che si aprono ai prodotti agroalimentari del nostro paese (Nomisma, 2000).

In prima approssimazione esso consta semplicemente nel fatto che le dimensioni del mercato si espandono allargandosi dall’area regionale a cui i diversi paesi appartengono, a più aree ed infine, potenzialmente a comprendere tutto il mondo. Perché ciò avvenga occorre però che si verifichi una serie di circostanze che si possono sinteticamente ricondurre ai cinque punti che seguono:

• miglioramento dei trasporti e, più in generale, di tutti i

mezzi di comunicazione;

• adozione di politiche economiche di stampo liberista e

abbandono di quelle protezionistiche;

crescita dei redditi e quindi incremento della domanda

potenziale;

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aree che compongono il nuovo mercato;

• persistenza di periodi di pace di adeguata lunghezza.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni tutte queste condizioni si sono verificate. In parallelo è stato inoltre decisivo il ruolo degli sviluppi nel campo delle comunicazioni che hanno determinato il crearsi di condizioni di informazione e di trasparenza basilari per la progressiva instaurazione del mercato allargato.

Questa tendenza verso il mercato globale, frutto dell’azione delle nuove tecnologie, a livello dei trasporti, della distribuzione e conservazione dei beni, della comunicazione e delle nuove politiche di gestione del commercio mondiale, orientate alla progressiva apertura dei mercati e alla liberalizzazione degli scambi, incide ed inciderà ulteriormente anche sul settore primario (Casaretti G.P., et al., 1994).

In questo nuovo scenario, infatti, si modificheranno rapidamente le modalità di approvvigionamento delle materie prime agricole da parte dell’industria alimentare e della distribuzione commerciale, con la tendenza a gestire gli acquisti su scala geografica sempre più ampia per ottenere il migliore rapporto qualità/prezzo dell’offerta. Il legame “verticale” tra produzione, trasformazione, distribuzione e consumo, che in passato era un dato strutturale della filiera, oggi, grazie alle nuove tecnologie e ai modelli organizzativi di imprese e mercati, è diventato un fatto meno essenziale. In altre parole, se in passato la concorrenza tra materie prime si svolgeva su di un piano prettamente locale e solo per taluni prodotti finiti ampliava i propri confini geografici, oggi la filiera si è segmentata originando mercati distinti per materie prime, per semilavorati e per prodotti finiti, con livelli della concorrenza e dimensioni geografiche crescenti, da locali a regionali, da nazionali fino alla dimensione comunitaria e internazionale (Fanfani R., 1992; Pelto G., Pelto P., 1987).

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commercio mondiale di beni agroalimentari negli ultimi 30 anni sia complessivamente aumentato di ben 2,5 volte. Inevitabilmente, questo trend continuerà anche nel prossimo futuro sotto la spinta delle richieste di liberalizzazione dei mercati da parte dei paesi in via di sviluppo da un lato e di quelli occidentali con eccedenze di materie prime dall’altro. Esempi eclatanti in tal senso si legano, ad esempio, al boom della produzione lattiero casearia in Oceania ed in particolare in Nuova Zelanda, alle produzioni zootecniche dell’America del Sud, agli ortofrutticoli del Nord Africa, del Sud Africa e ancora dell’America del Sud (Nomisma, 2000).

Il contesto economico in cui viene a collocarsi il settore primario e quindi le future dinamiche di sviluppo dell’agroalimentare risultano fortemente influenzati e guidati dalle direttive istituzionali. Impostare le condizioni affinché anche l’agricoltura entri nel mercato globale, vuol dire incidere a fondo su un delicato complesso di provvedimenti di politica economica. Gli elementi fondanti il mercato globale, definiti in sede al Wto indicano che l’agricoltura europea sarà costretta a procedere sulla strada dello smantellamento della sua vecchia politica agraria e delle misure protezionistiche, aprendosi ad una concorrenza sempre più ampia (Commissione Europea, Direzione Generale del Commercio, 1999).

Collegato al tema della globalizzazione vi è dunque quello della ulteriore riforma della politica agricola comunitaria. La nuova impostazione della Pac risente in maniera molto netta della esigenza di adeguare il contesto di politica agraria a regole di maggiore apertura del mercato. Ciò avviene attraverso l’adozione di meccanismi generali di funzionamento delle organizzazioni comuni di mercato dei prodotti agricoli che aprano lo spazio europeo ad una concorrenza più ampia, ma ciò provoca inevitabili contraccolpi sul settore agricolo nel quale le regole del mercato cambiano in misura anche significativa. I prezzi

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vengono fatti scendere con l’obiettivo tendenziale di allinearsi a quelli del mercato mondiale, le protezioni nei confronti delle importazioni si riducono, le sovvenzioni alle esportazioni vengono anch’esse limitate (Commissione Europea, 1997). Nella nuova logica di disaccoppiamento degli aiuti dall’effettiva produzione realizzata, rientrano comunque misure di sostegno diretto dei redditi agricoli come i pagamenti compensativi erogati agli agricoltori che producono i beni oggetto di riduzione del sostegno ai prezzi. Accanto a questi provvedimenti l’Ue mette a punto linee complementari di sostegno, volte ad incentivare, per esempio, pratiche agricole di carattere agroambientale. I fondi che si renderanno reperibili grazie alla riduzione dei pagamenti diretti a favore delle grandi aziende saranno messi a disposizione degli agricoltori per realizzare programmi in materia di ambiente, qualità o benessere degli animali. L’insieme delle nuove misure di politica agraria subisce nuovi aggiustamenti con Agenda 2000, accordo raggiunto in sede al convegno europeo tenutosi a Berlino il 24 e 25 Marzo del 1999. Con le linee d’azione di Agenda 2000 l’Unione Europea ha varato una serie di regolamenti che prevedono un ulteriore orientamento dei mercati verso la globalizzazione (Commissione Europea, 1997), mediante la riduzione dei prezzi interni delle principali produzioni agricole compensata, come è noto e precisato sopra, dalla concessione di sostegni al reddito (Nomisma, 2000). Questo approccio continuerà certamente nei prossimi anni per effetto della pressione esercitata dai grandi paesi produttori agroalimentari internazionali, ma anche per la scelta di politica interna ai paesi dell’Unione Europea che tende a ridurre il costo complessivo della politica agricola. In definitiva l’offerta agricola locale, e la materia prima agricola italiana in particolare, è destinata a sopportare una concorrenza sempre più ampia ed agguerrita da parte di nuove imprese ed aree di produzione. Nello stesso tempo, se essa riesce a trovare la strada per conseguire una sua competitività,

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fondata su uno specifico mix tra necessari requisiti qualitativi e costo di produzione, può oggi puntare – a differenza del passato – anche a mercati “lontani”, con capacità di spesa e volumi d’acquisto che divengono sempre più interessanti (Becattini G., 2000; Cupo C., Cupo P., 2000).

L’agroalimentare italiano nel mercato globale

In una prospettiva “globale”, osservando da vicino il settore primario nazionale, occorre considerare che l’agricoltura italiana rappresenta, per dimensioni assolute, una realtà quasi irrilevante: rispetto ai terreni agricoli complessivamente coltivati a livello mondiale, la quota nazionale è appena del 3 per mille. Quindi si tratta di un’offerta agricola a livello quantitativo, incapace di condizionare ed incidere sullo scenario dei singoli mercati e prodotti agricoli. D’altro canto, nell’ambito di un mercato non più locale ma globale, queste stesse dimensioni minuscole offrono la possibilità di ricercare spazi specifici di crescita attraverso la differenziazione dell’offerta e la segmentazione dei mercati al consumo. Opportunità che possono concretizzarsi, tuttavia, solo in base alla capacità dell’offerta di proporsi in modalità adeguate (volumi d’offerta, prezzo, marketing, organizzazione logistica) e contenuti apprezzati dal consumatore (attributi materiali ed immateriali, caratteristiche organolettiche, certificazione, metodi di produzione, provenienza geografica) (Ricolfi L., 2001; Zucchi G., 1999).

Vediamo infatti che il mercato globale determina una profonda ridefinizione della divisione internazionale del lavoro anche in campo agroalimentare. Le produzioni a basso valore aggiunto, di modesto contenuto tecnologico e di scarso know how organizzativo e culturale vengono così trasferite dai paesi industrializzati verso i paesi “emergenti” (paesi Peco, del bacino mediterraneo e del sud - est

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asiatico per fare alcuni esempi) che godono di vantaggi comparati sul terreno della disponibilità di risorse umane e di terra, nonché di un costo della manodopera inferiore rispetto a quello europeo (INEA, 2001b). Contemporaneamente in risposta a quanto sopra descritto, all’interno della comunità europea ed in Italia emerge e si afferma un percorso di sviluppo del sistema agroalimentare destinato ad affrontare nuove frontiere dell’organizzazione della produzione e del lavoro, basate sugli aspetti qualitativi del prodotto, su ferree regole sanitarie e di certificazione e su forme di innovazione di processo e di prodotto capaci sia di rispettare che di valorizzare le tradizioni produttive. Questo processo di differenziazione delle produzioni basato sulle caratteristiche di naturalità, tradizione e tipicità, assume, specie in tempi recenti, sempre maggiore diffusione e sul fronte della domanda accoglie il crescente interesse del consumatore (Belletti G., Marescotti A., 1995).

L’impatto che la globalizzazione ha sui sistemi agroalimentari nazionali in genere è in effetti quello di costringere le varie imprese dell’offerta a ricercare vantaggi competitivi sia per conservare la clientela nazionale, che per avvicinare il consumatore estero (Pieri R.. Venturini L., 1995).

Dall’esame della specializzazione produttiva del nostro paese e della sua competitività nei confronti delle principali aree di mercato è possibile sviluppare alcune considerazioni sulle prospettive del nostro comparto agroalimentare nel contesto generale più sopra descritto. In primo luogo potrebbe sembrare opportuno puntare ad allineare progressivamente i prezzi dei prodotti agroalimentari nazionali a quelli mondiali, in modo da rendere più competitive nel mercato globale le nostre produzioni, sia in un’ottica di approvvigionamento delle materie prime, sia per semilavorati e trasformati. In modo tale da contenere in genere, i costi e da accrescere il potenziale di esportazione dell’agroalimentare, in modo tale da migliorare la performance

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complessiva della nostra economia e dell’agroalimentare stesso (Pisanti R., 1997). Ciò tuttavia avrebbe delle conseguenze negative sull’agicoltura, andando in ultima analisi ad incidere gravemente sul reddito degli operatori del settore e sulla sopravvivenza delle numerose aziende agricole nazionali.

In secondo luogo, osservando il dettaglio del commercio estero nazionale, si evidenzia nettamente una marcata dicotomia nei nostri scambi, peraltro nota e studiata, fra la parte relativa ai prodotti agricoli di base, di cui siamo deficitari e che dobbiamo importare, e quella relativa ai prodotti alimentari in cui invece la situazione si rovescia e l’export prevale (Nomisma, 2000). Il nostro mercato agroalimentare, come peraltro accade in altri settori dell’economia italiana, appare perciò fortemente collegato alla componente della trasformazione ed è proprio questa ragione che ha portato ad estendere anche ad esso la logica del “made in Italy” come veicolo di promozione e di diffusione sui mercati mondiali.

Il nodo centrale, in questa visione complessiva, è quello della scelta di una strategia per l’agroalimentare italiano che ne permetta lo sviluppo, ne incrementi la redditività ma, soprattutto, riesca a valorizzare la produzione agricola che gli fa da supporto.

L’obiettivo del sistema e in particolare della sua componente agricola risulta dunque essere quello di far sì che il prodotto agricolo di base sia strettamente legato al prodotto alimentare finito in modo che la valorizzazione ottenuta sia trasferita, almeno per una parte significativa, ad esso (Becattini G., 2000).

Solo in questo modo è possibile sottrarsi ad una logica che punta all’accrescimento della competitività tramite l’abbassamento del livello dei prezzi sino all’ipotetico prezzo di mercato mondiale. Si tratta cioè di elaborare una strategia che consenta di sfuggire alla competizione di prezzo per spostarsi su altri elementi “no price”, i vista del crescente

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ampliamento dei mercati e dell’aumento del numero dei competitors (Ricolfi L., 2001; Zucchi G., 1999).

I PRODOTTI AGROALIMENTARI DI QUALITA’