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Biodiversità e valorizzazone dei prodotti agroalimentari

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE ... 1

LA BIODIVERSITA’ ... 4

Concetto e valore ... 4

Gli aspetti ambientali, economici e culturali della biodiversità... 8

La biodiversità come risorsa per lo sviluppo dei sistemi rurali ... 15

Politiche per la biodiversità... 20

Politiche internazionali ... 20

Politiche comunitarie e nazionali ... 23

La biodiversità dei sistemi agricoli italiani... 31

LE STRATEGIE DI DIFESA DELLA BIODIVERSITA’... 34

I repertori regionali... 36

Conservazione ex situ ... 37

Conservazione in situ ... 40

Valorizzazione delle risorse genetiche autoctone ... 43

LA BIODIVERSITA’ E LE PRODUZIONI AGROALIMENTARI DI QUALITA’... 44

Le produzioni di qualità: possibile mezzo di valorizzazione e difesa della biodiversità ... 44

L’AGROALIMENTARE DI QUALITA’ E IL CONTESTO ECONOMICO ... 47

Il mercato globale ... 47

I prodotti agroalimentari nel mercato globale... 47

L’agroalimentare italiano nel mercato globale ... 52

I PRODOTTI AGROALIMENTARI DI QUALITA’ ... 55

Il concetto di qualità... 55

L’evoluzione del concetto di qualità ... 57

La qualità dei prodotti agroalimenari... 58

La certificazione comunitaria di qualità ... 62

I prodotti tipici: prodotti di qualità riconosciuta ... 66

Prodotti tradizionali, locali e nostrani... 71

Prodotti tipici e politiche agricole comunitarie ... 74

Il nuovo consumatore e la qualità... 75

LA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI TIPICI E TRADIZIONALI DI QUALITA’ . 79 Linee guida per la valorizzazione del comparto dei prodotti tipici e tradizionali ... 80

La specificità di ogni prodotto... 81

Le possibili azioni da intraprendere ... 84

Mobilitazione delle risorse locali ... 84

Qualificare e comunicare il prodotto... 86

Commercializzare il prodotto... 89

Il ruolo del sistema esterno alle imprese... 95

LA MUCCA PISANA: RAZZA AUTOCTONA A RISCHIO DI ESTINZIONE ... 97

L’origine della razza ... 98

La storia... 102

La mucca pisana: una razza a rischio... 106

Le caratteristiche morfologiche della razza ... 108

Attitudine produttiva e sistema di allevamento... 113

Aspetti qualitativi della carne... 117 INDICE

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Recupero e valorizzazione della razza Mucca Pisana ... 120

CONCLUSIONI ... 124

BIBLIOGRAFIA... 127

RIFERIMENTI TELEMATICI ... 149

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Sempre più evidente risulta essere, oggi, l’importanza della biodiversità, quale risorsa per l’umanità ed il suo futuro.

Essa possiede, infatti, un valore complesso che tocca aspetti diversi, di tipo ambientale, economico e socio-culturale. Tale valore è però, sempre più spesso, messo in pericolo dall’attività dell’uomo, che rappresenta di fatto il principale responsabile della perdita di biodiversità del pianeta.

A fronte di questa consapevolezza emerge la necessità di trovare forme di sviluppo per la tutela e la valorizzazione di questa importante risorsa.

La ricerca e l’attuazione di linee di sviluppo sostenibili, che permettano di trovare un punto di equilibrio tra crescita economica e conservazione delle risorse naturali, risulta particolarmente importante soprattutto per quelle aree come agro-ecosistemi, parchi, riserve ed ecosistemi forestali che di fatto rappresentano, per il pianeta, il principale serbatoio di biodiversità.

Lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, la scelta di forme di agricoltura altamente impattanti, accanto a fenomeni di abbandono e spopolamento delle aree più svantaggiate, sono tra i principali fattori che accelerano il processo di erosione genetica delle zone rurali.

Numerose sono le iniziative che possono contribuire a realizzare forme di sviluppo sostenibile per le aree rurali, consentendo, da un lato, di salvaguardare l’ambiente e contemporaneamente, di determinare, dall’altro, ricadute positive in termini economici e sociali (istituzione di aree protette, recupero di aree dismesse e degradate, ecoturismo e turismo enogastronomico, forme di agricoltura a ridotto impatto ambientale, ecc….) per la rivitalizzazione dell’area stessa.

A tale fine, tra queste iniziative, emerge l’importante ruolo che le produzioni tipiche e tradizionali di qualità possono avere nel

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promuovere il territorio, sia dal punto di vista economico che socio-culturale, e, non meno importate, il ruolo che esse svolgono nel tutelare e valorizzare il ricco patrimonio varietale, da sempre fortemente legato a queste produzioni.

Trovare appropriate forme di promozione che consentano alle produzioni tipiche e tradizionali di qualità di conquistare e mantenere un proprio spazio di mercato, vincendo la forte concorrenza presente, ed ottenendo, in questo modo, un’adeguata remunerazione commerciale, consente di evitare la scomparsa di varietà vegetali e di razze animali autoctone, che da sempre sono legate a tali produzioni ed appartengono alla storia del territorio.

Il grande patrimonio che la biodiversità di queste aree rappresenta, sia dal punto di vista ambientale, che da quello economico e socio-culturale, è sempre più messo in pericolo di estinzione dall’omologazione dei consumi e da forme di agricoltura intensiva, basata sulla coltivazione e l’allevamento di poche varietà altamente produttive.

Valorizzando le produzioni tipiche e tradizionali, si vanno a valorizzare anche le specificità del territorio di origine: l’elemento culturale, sociale e non meno importante quello ambientale. La promozione delle produzioni tipiche e tradizionali, portata avanti con un pensato e attento piano di valorizzazione, si può così di fatto dimostrare un efficace strumento per la costruzione di una più ricca e varia identità produttiva, importante base per la difesa e la conservazione della biodiversità presente nelle aree rurali del nostro paese.

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LA BIODIVERSITA’

Concetto e valore

La diversità della vita sulla terra, in tutte le sue forme e differenze, viene oggi comunemente chiamata biodiversità. (INEA, 2001a; Wilson E.O., 1988)

Questo termine entrato solo recentemente nel linguaggio comune, a seguito della conferenza delle nazioni unite sull’Ambiente e lo Sviluppo tenutasi a Rio De Janeiro nel 1992, è la traduzione italiana della parola inglese biodiversity o forma contratta dell’espressione “diversità biologica”, con cui si fa riferimento appunto, alla varietà di organismi viventi presenti sul nostro pianeta. La biodiversità può essere individuata a tre livelli diversi:

• varietà genetica (complesso delle informazioni contenute nel patrimonio genetico di piante, animali e microrganismi)

• varietà di specie (insieme di tutte le specie viventi nell’habitat considerato)

• varietà di ecosistemi (insieme di tutti gli ambienti naturali presenti nel nostro pianeta)

L’insieme dei caratteri fenotipici, ovvero tutte le caratteristiche morfologiche degli esseri viventi e l’infinita diversità che si osserva tra questi, sono espressione della varietà che esiste a livello genetico, anche all’interno della stessa singola specie.

Le numerose forme viventi, considerando tra queste non solo animali e piante ma anche microrganismi, che si possono trovare in un particolare ambiente, costituiscono esempio di biodiversità a livello di

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specie.

La diversità degli ambienti naturali, la peculiarità delle loro caratteristiche e la ricchezza della loro complessità rappresentano invece l’espressione della biodiversità a livello di ecosistemi (De Long D., 1996; Gustafsson L., 2000).

Negli ultimi anni, anche a seguito del divenire sempre più consapevoli che l’uomo è il principale responsabile della perdita di biodiversità, si è manifestata un’attenzione sempre più accesa nei confronti dell’argomento (Commissione Europea, 2001, 2004, 2005). La necessità di adoperarsi a favore della biodiversità attraverso interventi volti alla sua difesa e conservazione parte dal convincimento che la biodiversità è un valore irrinunciabile anche per l’uomo (Ghilorov A., 1996). Capire in che cosa consiste concretamente tale valore diviene quindi base indispensabile per dare ragione della necessità sopra enunciata.

Il valore di questa risorsa, messa in pericolo e spesso compromessa irreparabilmente dall’attività antropica, appare facilmente intuibile, ma risulta altrettanto difficile definirlo chiaramente e tradurlo sul piano economico (Clauser F., 2002; Santolini F., 2004). Che la biodiversità rappresenta una ricchezza per l’uomo è oggi un pensiero mediamente condiviso, non facile risulta comunque dare corpo e sostanza e questa tesi e, in modo particolare, dare fondamento scientifico ed avvalorare tale idea con l’apporto di concrete e tangibili dimostrazioni a suo sostegno; gran parte delle utilità connesse con tale risorsa e delle implicazioni dovute alla sua perdita rimangono infatti ancora oggi incerte o sconosciute, per cui spesso l’approccio alla sua conservazione risponde più che altro al principio precauzionale (quando vi è ragione di ritenere che determinate attività antropiche possano produrre danni irreversibili sulle risorse viventi, si devono attuare misure di salvaguardia anche se non vi è alcuna evidenza

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scientifica certa che provi le conseguenze a lungo termine dell'impatto stesso e quindi il danno alla risorsa).

Dagli anni settanta ad oggi si è andata progressivamente creando e rafforzando l’idea che le risorse naturali sono di fatto limitate e con essa si è diffusa la consapevolezza del forte e negativo impatto ambientale determinato da molte delle attività umane.

La crescita continua della popolazione mondiale, l’incrementato uso di energia, soprattutto da fonti non o poco rinnovabili, il sovrasfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento atmosferico, quello delle acque e l’impoverimento dei suoli, nonché il continuo deterioramento della diversità della componente vivente degli ecosistemi, stanno conducendo ad un progressivo peggioramento delle condizioni ambientali complessive ed al rischio di una crisi a livello globale (Brown C.R., 1999; Cohen J.E., 1998; Tilman D. et al, 1997).

Infatti, notevole ed evidente è il fatto che, nell’ultimo decennio i problemi relativi all’ambiente naturale si siano generalizzati, coinvolgendo l’intera biosfera; anzi proprio nei paesi sottosviluppati, che a lungo si erano sottratti ai problemi ambientali moderni, si verificano oggi i più cospicui cambiamenti.

A fronte di questo compromesso quadro generale, nella società si sono andate sempre più rafforzando posizioni estreme di tipo bioetico, a sostegno di un diritto primario di tutti gli esseri viventi e quindi della natura stessa, ad essere rispettati come tali. In questa ottica la biodiversità ha un valore intrinseco e quindi non discutibile, nel rispetto del quale è giusto limitare lo sviluppo, portando avanti con fermezza un ideale protezionistico (Baird Callicott J., 1984; Hargrove E.C., 1990; Naess A.,1998; Worster D., 1994).

Questa posizione potrebbe però essere messa in discussione ricordando che, da un punto di vista biologico ogni specie, in un certo qual modo, costituisce il proprio ambiente modificandone i parametri

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abiotici e/o biotici. A stretto rigore di termine non vi è infatti specie che non alteri l’ambiente e non tenda a determinare la scomparsa di altre specie biologiche ed è vero che estinzione e speciazione sono aspetti fisiologici dell’evoluzione. Ma tali fenomeni possono avvenire in modi e tempi più o meno compatibili con il mantenimento dell’equilibrio dell’ambiente al quale è legata quella data specie e pertanto, con il benessere e la sopravvivenza della stessa. L’erosione genetica attuale risulta fortemente accelerata a seguito dell’attività umana e del forte impatto ambientale ad essa connesso, tale da mettere in pericolo l’integrità dell’ecosistema terra (Odum E.P., 1988; Poggio P.P., 2003; Worster D., 1994).

Se si condivide questo approccio, si può concludere che, a prescindere dal problema etico del diritto alla vita di ogni entità biologica, la biodiversità costituisce comunque un valore primario per l’umanità e quindi ad essa, nel suo complesso, spetta il compito della tutela della vitalità della biosfera (legato, in un’ottica evoluzionistica, alla tutela delle sue potenzialità funzionali ed omeostatiche, della sua diversificazione, della sua complessità), ai fini dell’avvenire stesso della nostra specie (Boggia A. et al, 2002; Daily G., 1997).

Una drastica, progressiva ed irreversibile riduzione della biodiversità, come quella causata da attività antropiche fortemente impattanti, soprattutto per la rapidità con cui intervengono negativamente sull’ambiente, porterebbe ad una modifica degli equilibri naturali e conseguentemente dell’ecosistema. Cambiamenti irreversibili ai quali l’uomo non sarebbe in grado di rimediare e che potrebbero compromettere lo sviluppo delle generazioni future (Dryrek J., 1989).

In quest’ottica, anche da un punto di vista antropocentrico, ponendo cioè l’uomo al di sopra della natura e vedendolo come punto di riferimento e misura per ogni valutazione, la diversità biotica risulta portatrice di valore; l’uomo sia come causa primaria degli squilibri che

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si vanno generando, sia come specie che subisce il cambiamento ambientale, è ovviamente interessato a trovare ed intraprendere linee di sviluppo tali da preservare l’ecosistema nella sua ricchezza e diversità, in modo tale da conservare la biodiversità e il valore che essa rappresenta per l’umanità e il suo futuro.

Gli aspetti ambientali, economici e culturali della

biodiversità

La biodiversità ha valore ambientale, economico ed etico-culturale (Fromm O., 2000). Queste singole componenti di valore ad essa associate possono essere descritte nella loro totalità come un unico valore, appunto detto VCB, valore complesso della biodiversità (Cannata G., Marino D., 2000).

Andando ad esaminare la componente ecologica ed ambientale possiamo sottolineare come, in primo luogo, la ricchezza della vita, la sua variabilità e quindi la varianza del patrimonio genetico che ne è origine, sono la base e il presupposto indispensabile del processo di evoluzione ed adattamento delle specie viventi al cambiamento (Begon M., et al., 1989). La comparsa di nuove specie, di nuovi caratteri, più idonei al modificato ambiente che viene a presentarsi sono il frutto dell’affermazione di nuove interazioni geniche che si determinano per ricombinazione dei geni presenti. Maggiore è la variabilità genetica presente più elevata risulterà di conseguenza la capacità della vita di rispondere al cambiamento (Bussolati M., 1991).

Un altro importante aspetto connesso con la ricchezza a livello genetico è la resilienza (Holling C.S., 1973), importante proprietà degli ecosistemi che indica la capacità di questi di arginare gli effetti negativi di un evento o di superare shock e stress recuperando le condizioni di stabilità iniziali (ad esempio in campo agricolo, si osserva che una resilienza più elevata rende i raccolti più stabili da un anno all’altro).

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La diversità biologica influenza positivamente la resilienza degli ecosistemi e quindi la capacità di carico dell’ambiente riguardo ai fattori di disturbo (Holling C.S.,1973; Kennedy T.A. et al., 2002).

Connessa con questo ultimo aspetto enunciato è la funzione che la biodiversità svolge nel mantenere gli equilibri ecologici e climatici sia su scala locale che planetaria (Begon M., et al., 1989; Swingland I.R., 2004). Un drastico abbassamento della biodiversità riduce la capacità dell’ecosistema di contenere e limitare fenomeni negativi lasciando spazio a quelli che comunemente sono conosciuti come effetti boomerang (Holling C.S. et al., 1995; Kennedy T.A. et al., 2002); il rapido diffondersi di patogeni fino al verificarsi di epidemie e pandemie, l’impoverimento dei terreni, l’erosione del suolo, la progressiva desertificazione di vaste aree o il manifestarsi sempre più frequente di piogge ed uragani sono esempi di questo. L’integrità e la conservazione di piante, animali ed ambienti garantiscono il mantenimento di delicati equilibri naturali; la biodiversità dell’ecosistema, intendendo con essa non solo la ricchezza della vita in esso presente, ma anche l’insieme delle complesse interazioni e dei consolidati rapporti che si stabiliscono tra la grande varietà di organismi che vi vivono, è il presupposto e la garanzia del mantenimento di questi delicati equilibri e consente quindi la stabilità e la conservazione dell’ecosistema stesso (Swingland I.R., 2004).

Un esempio in scala ridotta di quello che può accadere in un ecosistema a seguito di una forte riduzione della biodiversità è rappresentato da ciò che si verifica in agroecosistemi trattati in modo intensivo con prodotti chimici. A seguito dei ripetuti trattamenti si riduce il numero di specie sia vegetali che animali presenti e questo causa vuoti biologici. Tali vuoti permettono la rapida crescita del numero di individui di altre specie, che divengono così dannose. Un esempio di quanto detto è rappresentato dagli insetti “chiave”, specifici

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artropodi che in particolari colture divengono stabilmente nocivi. Tra questi si possono ricordare il baco delle mele, la dorifora della patata, la piralide del mais, la mosca delle olive, ecc.

La riduzione della biodiversità risulta molto dannosa anche in campo agricolo. La ridotta variabilità genetica delle specie coltivate e delle razze allevate rappresenta un pericolo per la sicurezza alimentare in tutto il mondo. Le colture basate su una bassa diversità genetica sono intrinsecamente deboli e mostrano le stesse reazioni di fronte alle avversità climatiche, ambientali e alle malattie. Un esempio di questo comportamento è rappresentato dall'epidemia causata nel 1970 da un parassita fungino, che distrusse il 15% del raccolto del mais negli USA, ed in alcuni stati del Sud arrivò a distruggerne fino al 50%-100%, provocando perdite di circa 1 miliardo di dollari. Gli studi fatti dagli scienziati a seguito di questa catastrofe portarono l'Accademia delle Scienze USA a dichiarare: “la lezione chiave dell'epidemia del 1970 è che l'uniformità genetica è alla base della vulnerabilità delle piante alle malattie epidemiche”.

Continuando ad analizzare la componente ecologico-ambientale della biodiversità vediamo inoltre che le risorse genetiche sono la base di partenza per innovare le tecniche produttive e ottenere nuove possibilità di sviluppo per una popolazione in continua crescita. Con la perdita di tali risorse verrebbero pregiudicate possibili vie di sviluppo, verrebbero a crearsi colture ed allevamenti sempre meno diversificati con una bassa capacità di crescere e produrre adeguatamente in condizioni ambientali poco favorevoli o di resistere alle malattie (Heal G., 2000; Weinhold B., 2004). La stessa produttività netta dell’ecosistema è funzione diretta della biodiversità dello stesso. Sistemi con un elevato grado di biodiversità sia come numero di individui sia come varietà e ricchezza di specie sono caratterizzati da una produttività netta più elevata. Essa viene infatti influenzata positivamente dalle relazioni intra

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ed interspecifiche che si creano tra i componenti dell’ecosistema.

Per quanto riguarda la dimensione etico-culturale della biodiversità, questa si riferisce ai valori etici, sociali, religiosi, simbolici che le risorse naturali assumono per le diverse culture del pianeta, concorrendo per altro alla loro definizione (Negri V. e Veronesi F., 2000). Vediamo infatti che esiste una sorta di coevoluzione tra diversità biologica e diversità culturale: da un lato l’uomo definisce il proprio universo di riferimento, anche, sulla base delle risorse disponibili, dall’altro modifica le stesse risorse attraverso l’uso e la conseguente selezione di queste (Fukuyama, F., 1995; Iacoponi L., 2003). La scomparsa di una specie o di una varietà determina conseguentemente la perdita di competenze, tradizioni e conoscenze legate al suo uso e non meno importante la perdita del valore di opzione legato alla possibilità di utilizzare tali risorse in futuro. La scomparsa di informazioni genetiche può ad esempio compromettere possibili vie future di sviluppo per la ricerca biologica, farmaceutica e medica (Myers N., 1992).

La biodiversità è quindi portatrice di valori etici e culturali. Da un lato la diversità biologica si riflette infatti sulla cultura dell’uomo; i vari popoli e la loro identità culturale si caratterizzano e differenziano anche in relazione agli usi e alle funzioni delle risorse naturali. Dall’altro rappresenta una possibilità di sviluppo economico e culturale per le generazioni future; da qui nasce l’importanza di lasciare ad esse la possibilità di disporre di tale risorsa (Bergandi D., et al., 2005; Fusco Girard L., Nijkamp P.,1997).

Per quanto riguarda infine i benefici di ordine strettamente economico derivanti dalla diversità biologica questi sono rappresentati dai beni materiali o servizi forniti dalla stessa, che producono reddito in modo diretto o influiscono sullo sviluppo attraverso il loro positivo apporto alla qualità della vita (valore d‘uso del capitale naturale).

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Percepibili in modo più intuitivo, tra i benefici di questo tipo, sono per esempio quelli legati alla biodiversità come fonte di beni alimentari o di materie prime.

Il valore complesso della biodiversità è la risultante delle singole componenti di valore qui sopra descritte (Cannata G., Marino D., 2000). Tali componenti sono tra loro strettamente correlate e spesso l’utilità derivante da una di esse può assumere contemporaneamente valenze diverse. Così ad esempio i valori ecologici possono essere considerati anche economici, nella misura in cui, attraverso i cicli biologici, rendono possibili i cicli di produzione e consumo. Ugualmente i valori etici e cultuali, entrando a far parte della funzione di benessere individuale e collettiva, possono essere espressi in termini economici attraverso la valutazione delle preferenze individuali. Tanto più manifeste saranno tali preferenze, tanto maggiore sarà la cosiddetta disponibilità a pagare (DAP), tanto maggiore sarà il grado di tangibilità della risorsa (INEA., 2001).

Dare una valutazione economica della biodiversità e del valore complesso che essa rappresenta non risulta operazione facile. Le difficoltà della valutazione dei costi e dei benefici associati alla conservazione e allo sviluppo di molti beni ambientali sono dovute essenzialmente alla natura gratuita di tali risorse e all’assenza di mercati dove i relativi prezzi e valori possono essere stabiliti (Gios G., Notaro S., 2001; Kapp W., 1991).

Nel caso della biodiversità, a questa motivazione più generale, se ne aggiungono altre che rendono ulteriormente difficile il raggiungimento di questa finalità. Tra queste possiamo ricordare la mancanza di un indicatore generale per esprimere contemporaneamente la diversità biotica a livello genetico, di specie e di ecosistema o le ancora limitate conoscenze che si hanno del ruolo da essa svolto e dei rischi legati ad una sua drastica diminuzione (Daily G.,

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13 1997)

Il problema della valutazione economica della biodiversità e più in generale dei beni ambientali è di cruciale importanza per l’impostazione delle politiche ambientali.

La razionalità operante nel processo decisionale non deve essere intesa come un semplice calcolo economico quantitativo massimizzante, ma come una ricerca di soluzioni che soddisfino obiettivi, valori molteplici e talvolta conflittuali tra loro, da strutturare secondo una gerarchia.

Questi valori, come nel caso del VCB, sono collegati allo sviluppo economico, alla preservazione dell’ambiente e connessi ad un’idea di equità intragenerazionale e intergenerazionale (Poli C., 1994).

Nonostante le difficoltà ed i limiti che si incontrano nel dare una valutazione economica della biodiversità, tramite il VET (Bateman, I.J., 1994; Fromm O., 2000; Gios G., Notaro S., 2001), valore economico totale, si è cercato di trovare nella moneta il criterio di aggregazione di questi differenti valori. Il VET viene infatti ottenuto basandosi sulla misurazione del valore e dell’utilità globale del bene ambientale, come somma degli specifici valori relativi ad ogni singola funzione svolta dal medesimo (Gios G., Notaro S., 2001; Turner R.K., et al., 1994).

Alla base di questo approccio metodologico di valutazione monetaria della biodiversità c’è l’idea di distinguere fra due grandi categorie di benefici che una risorsa naturale offre: i valori d’uso e i valori di non-uso (Randall, A.R.,1991).

Il valore d’uso si riferisce alle diverse modalità (dirette e indirette) mediante le quali la risorsa è utilizzata (ambiente come fonte di risorse rinnovabili e non rinnovabili). Ci sono così valori d’uso connessi al consumo, valori d’uso diretti (per esempio, nel caso della fauna, caccia e pesca) e altri che non comportano alcun consumo, valori d’uso indiretti (funzione di godimento estetico, di ricreazione, di svago; per

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esempio birdwatching.

Tra i valori d’uso, per una valutazione economica completa della biodiversità, vanno anche considerati i valori di opzione e di quasi opzione, che si riferiscono alla possibilità di utilizzazione futura (opzione) di tale risorsa, possibilità garantita da un’attuale preferenza verso la conservazione. In particolare si parla di quasi opzione quando non vi è certezza sulle effettive possibilità di utilizzo, e quindi di trasformazione in valori d’uso reale, delle risorse, ma tale opzione è legata ad un mutamento del quadro delle conoscenze (INEA , 2001).

I valori di non-uso si rifanno a un’idea di valore nuova nella riflessione economica. L’economia ha sempre insistito sul carattere relazionale esclusivamente «dinamico» dell’idea di valore, che esiste, si forma, nel momento in cui c’è un’interazione tra individuo e risorsa. I valori di non-uso si connotano invece per un carattere relazionale «statico», in quanto il valore di questo tipo è assegnato al bene ambientale per assicurare che questo continui a esistere. I valori di non-uso esprimono un atteggiamento meno utilitarista e antropocentrico ed includono tutte le valenze che non sono riferibili ad un uso diretto o indiretto. Così è il valore d’esistenza; questo dipende dal solo fatto di conoscere che un bene che possiede determinate caratteristiche esiste e come tale possiede un valore intrinseco indipendente dall’uso umano.

Altri valori che rientrano in un concetto di non-uso sono il valore di lascito o eredità e il valore vicario. L’intensità di questi valori dipende dalla diffusione di una sensibilità ecologica, da un’adesione a un’etica ambientale che riconosce come rilevante il valore rivestito dall’altruismo, dalla solidarietà con altre persone. Gli «altri» sono gli individui dell’attuale generazione (valore vicario) o le persone delle generazioni future (valore di lascito), a cui viene garantita, mediante il rispetto di questi valori, la possibilità di usufruire del capitale naturale e della risorsa che esso rappresenta. Le critiche allo schema del valore

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economico totale non mancano, e vertono quasi esclusivamente sul ruolo dei valori di non-uso.

Vediamo infatti che, passando dai valori d’uso reali e diretti, attraverso quelli indiretti e d’opzione, verso il valore di eredità e di esistenza decresce la tangibilità dei benefici e aumentano le difficoltà di stimare sotto il profilo quantitativo tali componenti.

Spesso la difficoltà nell’assegnare un valore fa diminuire l’attenzione verso i beni ambientali nelle scelte della collettività. Conoscere il valore economico totale delle risorse ambientali è importante per verificare la razionalità delle scelte di sviluppo e per dare valore alle politiche di tutela dell’ambiente (McNeely J.A., 1988).

La biodiversità come risorsa per lo sviluppo dei sistemi

rurali

Il ruolo svolto dalla biodiversità nei sistemi rurali è senza dubbio importante.

Il sistema rurale si definisce e caratterizza attraverso il rapporto uomo-ambiente; l’uomo modifica l’ambiente, utilizzando le risorse in esso presenti, ai fini del proprio benessere e contemporaneamente l’ambiente lo condiziona nel suo sviluppo (Giusti F., 1996).

In questo rapporto l’uomo rappresenta una forza modificatrice della biodiversità (Bonciarelli F. 1997). Basti pensare all’impatto che l’attività agricola ha sulla varietà di specie animali e vegetali presenti nel territorio. L’agricoltura è da sempre un mezzo attraverso cui l’uomo modifica l’ambiente, l’ecosistema naturale, per soddisfare i propri bisogni. Attraverso l’attività agricola l’uomo si sostituisce alla selezione naturale andando a semplificare l’ecosistema a favore di quelle specie (vegetali ed animali) che rispondono meglio alle sue necessità (Odum E.P., 1988)

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Con il passaggio a forme di agricoltura intensiva la pervasività e l’incisività dell’agricoltura sull’ecosistema si sono fortemente accentuate e maggiormente visibili sono gli effetti che questa determina sull’ambiente e sulla biodiversità. L’agricoltura intensiva comporta oggi la coltivazione in monocoltura di nuove varietà ad alta resa (Allard R.W., 1960); le principali colture alimentari come grano, riso, mais, sono state selezionate allo scopo di produrre piante “ideotipo” che avessero semi più grandi e abbondanti, foglie sottili, fusti corti. Tali varietà selezionate, capaci di indirizzare più fotosintati verso la produzione di seme, e quindi di aumentare i raccolti, ma solo se adeguatamente fertilizzate e irrigate, hanno sostituito varietà autoctone meno produttive nelle stesse favorevoli condizioni ambientali, ma più rustiche e adattabili. Per fare un esempio di questa semplificazione biologica, possiamo vedere come oggi solo 14 specie ci forniscono il 90% del cibo di origine animale e solo 4 specie di piante rappresentano il 50% delle nostre risorse energetiche: grano, mais, riso, patate. Di queste si coltivano, nei paesi dove si pratica l'agricoltura intensiva, poche varietà: per esempio, il 71% del grano coltivato nel mondo è costituito da 6 varietà, il 65% del riso da 4 varietà ed il 96% dei piselli da 2 varietà (Pearce D., 1993).

Forme di agricoltura di questo tipo, unitamente a fenomeni di spopolamento ed abbandono delle aree a vocazione agricola debole, spingono le zone rurali verso il degrado ambientale. Nel caso delle aree difficili, come per esempio quelle montane, è necessario precisare che con l’abbandono viene di fatto a perdersi il ruolo positivo che l’attività agricola svolge ad esempio nel plasmare il paesaggio o nel preservare gli instabili equilibri che caratterizzano questi particolari agroecosistemi (Cannata D., Marino C., Salvioni; 1996). Gli agricoltori, non svolgono solamente la funzione di produrre alimenti, ma all’azienda agricola è associata una multifunzionalità, intesa come pluralità di azioni che

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l’agricoltore stesso esplica sul territorio. Ne sono esempio la gestione idrogeologica dei terreni, il presidio del patrimonio forestale, la conservazione del paesaggio e la perpetuazione di tradizioni ed usanze antiche. Il territorio rurale rappresenta una risorsa comune, patrimonio di valori e riserva di biodiversità.

L'agricoltura non intensiva contribuisce dunque a conservare specie, varietà o razze di piante ed animali sia selvatici che domestici, nonché ecosistemi talvolta in via di estinzione. Grazie alla selezione e alla ricerca di piante e animali addomesticati l'agricoltura non intensiva contribuisce alla variabilità intraspecifica (ad es. tramite la selezione di piante adattate a zone con scarse precipitazioni).

Poiché rappresenta una forma di gestione di gran parte del territorio comunitario, in alcuni casi l'agricoltura contribuisce a conservare molti ecosistemi specifici che altrimenti scomparirebbero con l'abbandono di determinate attività agricole. La brucatura del sottobosco e della boscaglia ad opera di ovini nelle aree difficili da raggiungere, la prevenzione dell'erosione per l'azione dell'acqua e del vento grazie alla crescita del soprassuolo, la conservazione della diversità della flora nei prati seminaturali grazie al tappeto erboso, il mantenimento della biodiversità nelle zone alpine ad alta quota e la conservazione delle zone umide sono tutti esempi di come l'agricoltura può tornare a vantaggio della biodiversità.

Sia nel caso di sfruttamento intensivo del territorio, sia nel caso di abbandono, il degrado ambientale che ne deriva è associato alla perdita di risorse genetiche. La biodiversià, negli agroecosistemi così come in aree con un grado più elevato di naturalità come parchi, riserve, ecosistemi forestali, possono offrire benefici economici sotto molteplici aspetti (Marino D., Salvioni C., 1996):

• produzione di alimenti e altre materie prime; • servizi ambientali;

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• funzioni ricreative e culturali.

La perdita di tali risorse e quindi del valore complesso insito nella biodiversità, si accompagna ad un generale impoverimento del territorio sia a livello ambientale, che economico, che socio-culturale. Ad esempio l’abbandono di una produzione locale tradizionale, comporta non solo la perdita del patrimonio economico associato alla produzione e alla vendita di tale prodotto, ma determina la perdita di abitudini di vita e di lavoro delle comunità locali; con il suo abbandono andranno scomparendo eredità contadine e artigiane, competenze e tecniche antiche (INEA , 2001; Marino D., Catarci C., 1999).

La valorizzazione dei prodotti locali, agroalimentari ed ambientali, espressione della biodiversità territoriale, consente lo sviluppo endogeno del sistema rurale. Proprio a partire dall’utilizzo di risorse locali (biodiversità) si va così ad attivare un flusso di beni e servizi, che garantisce vitalità, ricchezza economica e socioculturale al territorio stesso (Cannata G., Marino D., 2000).

La biodiversità rappresenta quindi, una risorsa endogena del territorio; riconoscere tale risorsa, utilizzarla e valorizzarla attraverso idonei percorsi di sviluppo, rappresenta la risposta alla necessità di integrare i bisogni ambientali, economici e socioculturali del sistema rurale, garantendone così la sopravvivenza (Commissione UE, 2001; Marino D., 1999).

In questa ottica diviene fondamentale prevedere forme di sviluppo sostenibili (Robertson, 1993), in quanto la sostenibilità rappresenta di fatto il tentativo di conciliare lo sviluppo qualitativo (attenzione agli equilibri ecologici, miglioramento della qualità della vita, soddisfacimento di bisogni post-materialistici) con lo sviluppo quantitativo (crescita economica).

Le idee alla base della sostenibilità sono quelle di cercare un accordo tra le istanze dell’economia e dell’ecologia, di attuare uno

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sviluppo che non arrechi danno alle varie funzioni ambientali e che non trascuri le questioni d’equità intergenerazionale ed equità intragenerazionale (WCED, 1987).

L’idea di sviluppo sostenibile si sforza di trovare un punto di equilibrio dinamico, una situazione di compromesso soddisfacente tra gli obbiettivi e le istanze promosse dalle tre dimensioni (Giaoutzi M., Nijkamp P., 1993):

• la dimensione economica;

• la dimensione ecologico-ambientale; • la dimensione sociale.

Gli obiettivi dell’ambito economico sono costituiti dal raggiungimento dell’efficienza e crescita massime possibili.

La dimensione ecologico-ambientale mira alla stabilità ecosistemica, alla conservazione, e, se possibile, all’aumento dell’integrità delle funzioni di sostegno alla vita esistenti, in sostanza alla salvaguardia della biodiversità.

La dimensione sociale tiene conto invece di questioni d’equità intra/intergenerazionale. Il trasferimento di un capitale naturale il meno alterato possibile alle generazioni future, per garantire loro le stesse opportunità della generazione precedente.

Connessa alla dimensione sociale dello sviluppo sostenibile è la dimensione culturale dello stesso (Fusco Girare, Nijkamp, 1997), che riconosce il ruolo della diversità culturale, la necessità della presenza di culture diverse, ognuna delle quali portatrice di un sistema di simboli, valori, principi organizzativi propri che influenzano le istituzioni e i modelli d’utilizzo dell’ambiente. I valori cooperativi, comunitari, civili che vanno a formare il «capitale sociale» (Fukuyama, 1995) contribuiscono alla vitalità del sistema sociale. Con la dimensione culturale si evidenzia l’importanza del miglioramento delle conoscenze,

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delle attitudini e dei valori che permettono l’evoluzione delle potenzialità creatrici della persona umana.

In questo quadro ora riportato, lo sviluppo rurale sostenibile non si identifica solo con la necessità di limitare lo sfruttamento delle risorse e del territorio, o con i costi da sostenere per il superamento del degrado ambientale, ma anche con gli effetti che la conservazione delle risorse ambientali può determinare sulla qualità della vita, sul paesaggio, sui processi di autodeterminazione delle comunità locali (INEA , 2001).

Politiche per la biodiversità

Risultando chiaro l’importante ruolo che la biodiversità riveste nei sistemi rurali come risorsa endogena funzionale allo sviluppo del sistema stesso e alla sua sopravvivenza, fondamentale diviene il contributo che le politiche internazionali, comunitarie e nazionali possono dare per incoraggiare forme di sviluppo sostenibili, tali da garantire la salvaguardia della diversità biologica, valorizzando le peculiari caratteristiche del territorio e dei prodotti che ne derivano.

Politiche internazionali

Prendendo le mosse proprio da quella che è la definizione di biodiversità data nelle pagine precedenti risulta chiaro che le politiche di interesse in tale ambito sono quelle che prendono in esame la protezione e la valorizzazione di specie selvatiche, habitat ed ecosistemi, razze allevate o cultivar.

Sul piano internazionale le politiche per la biodiversità sono rappresentate da trattati e convenzioni con i quali si cerca di stabilire delle linee guida generali che rappresentino punti di riferimento per sviluppare direttive, regolamenti e leggi a livello comunitario e nazionale (INEA , 2001).

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Tra i provvedimenti più rilevanti che segnano forti prese di coscienza a favore della biodiversità e svolte negli indirizzi di sviluppo mondiali, ricordiamo le prime convenzioni internazionali degli anni settanta. Queste si propongono come principale obbiettivo la protezione delle risorse naturali messe in pericolo dall’eccessivo sfruttamento e dalla distruzione incontrollata. Tale obbiettivo viene perseguito mediante l’individuazione di aree di notevole importanza naturalistica, identificate come siti naturali e come tali protetti dall’intenso sfruttamento (Ministero dell’Ambiente, 1992; Genghini M., Spegnesi M., 1997; Jones T., 1993; WWF, 1996a ; Ministero dell’Ambiente, 1996 ).

Nei primi anni settanta attraverso la convenzione di Washington (1973) viene data inoltre attenzione al commercio delle specie animali e vegetali in via di estinzione al fine di assicurare la protezione e la conservazione del patrimonio naturale che esse rappresentano (Mereu, 1995). Nel 79 con la convenzione di Berna si dà attenzione alla protezione di specie selvatiche e degli habitat naturali. I principi guida di tale convenzione trovano applicazione a livello internazionale attraverso l’istituzione delle aree protette come riserve biogenetiche (Spellerberg, 1994; WWF, 1996a).

Negli anni ottanta attraverso l’operato della FAO con l’istituzione del Sistema Globale di Protezione delle Risorse Genetiche Vegetali, l’attenzione delle politiche internazionali si sposta sulla salvaguardia e conservazione della diversità genetica delle specie coltivate. Mediante strumenti legali, fondi internazionali ed istituti di ricerca si inizia a proteggere i diritti degli agricoltori, in particolar modo nei paesi in via di sviluppo, al fine di difendere le coltivazioni autoctone dalla crescente diffusione di sementi brevettate dalle principali multinazionali del settore agricolo (IPGRI-FAO, 1996).

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nella sua totalità e complessità il problema della protezione della biodiversità, sia per quanto riguarda la conservazione di risorse genetiche, specie ed ecosistemi, sia per quanto concerne la valorizzazione della specificità delle risorse naturali del territorio e l’equa ripartizione dei benefici derivanti dal loro utilizzo (De Klemm C. & Shine C., 1993; Glowka L et al., 1998).

Partendo dalla consapevolezza del valore fondamentale della diversità biologica, la CBD (Convenzione sulla Diversità Biologica) ha sottolineato la vitale necessità di conservare in situ gli ecosistemi e gli habitat naturali e di mantenere e ricostituire le popolazioni di specie vitali nei loro ambienti naturali, nonché la necessità di conservare ex situ attraverso “banche del germoplasma” le risorse genetiche, lasciando alla discrezionalità dei singoli Paesi la determinazione delle modalità di applicazione dei principi ivi contenuti. Essa si è limitata ad indicare una serie di obiettivi sulla base dei quali elaborare opportune strategie per un'efficace conservazione della biodiversità, per la valutazione degli effetti ambientali delle politiche nazionali di sviluppo, per l'accesso alle risorse genetiche ed il trasferimento delle biotecnologie, per la sensibilizzazione delle popolazioni, per la ricerca e la formazione, per lo sviluppo di mezzi scientifici, tecnici ed istituzionali atti a fornire le conoscenze di base necessarie all'elaborazione di misure appropriate ed alla loro attuazione.

Un apposito organo di controllo si riunisce ogni due anni con la finalità di valutare la corretta applicazione dei principi definiti nella convenzione di Rio. Tale organo può inoltre istituire altri organi aggiuntivi per rendere più facile l’attività di controllo. Nel caso della biodiversità, particolarmente importante è il SBSTTA (Subsidiary Body on Scientific, Technical and Technological Advice) che valuta lo stato della diversità biologica, gli effetti delle misure intraprese, contribuisce a definire ed a diffondere nuove tecnologie nel campo della

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conservazione della biodiversità (Convenzione di Rio, 1992).

La stipulazione di trattati e convenzioni internazionali si basa su una prima adesione dei singoli stati membri che ne condividono i principi ispiratori e gli obiettivi da raggiungere. Successivamente ogni singolo stato ratifica la convenzione o il trattato, che può così divenire applicativo mediante l’emanazione di specifiche normative a livello nazionale.

Politiche comunitarie e nazionali

A livello comunitario, per quanto riguarda la normativa inerente alla biodiversità, particolare rilievo deve essere dato al Piano di Azione per la Biodiversità, stipulato dalla commissione europea nel 1998. In esso vengono riportate tutte le normative vigenti in materia di biodiversità. Il piano prevede quattro ambiti di applicazione, tra cui quello dedicato all’agricoltura, che riporta tutti i provvedimenti sulla biodiversità con conseguenze per il settore agricolo (Catarci C., R. Sardone, 1999).

Le normative europee a favore della biodiversità comprendono provvedimenti diretti ed indiretti. I primi sono norme finalizzate alla protezione e promozione della biodiversità, e a tale scopo definiscono le modalità di sfruttamento delle risorse naturali, fissando gli standards qualitativi, le pratiche agricole fortemente impattanti e il limite di utilizzo delle risorse naturali (Genghini M., 1993).

Il rispetto di tali provvedimenti legislativi viene assicurato attraverso azioni di controllo e sanzione per le aziende non in regola.

Le norme indirette sono invece finalizzate a favorire la compatibilità tra produzione agricola e valorizzazione dell’ambiente, incentivando comportamenti e pratiche agricole che abbiano effetto positivo nel salvaguardare e promuovere la biodiversità stessa. Mediante sovvenzioni pubbliche e premi o attraverso forme di collaborazione

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quali accordi di gestione, etichette e certificazioni, si cerca di ottenere il coinvolgimento volontario degli agricoltori per far attuare forme di agricoltura a favore della biodiversità (Genghini M., Conticelli V., 1999; INEA, 2001).

Le normative dirette prendono in esame:

• la conservazione di specie selvatiche ed aree protette; • il commercio di specie;

• la protezione delle foreste;

• strumenti finanziari per l’ambiente.

L’istituzione di aree protette e la protezione di specie selvatiche, essendo provvedimenti che possono entrare in contrasto con l’attività agricola e turistico ricreativa del territorio, vengono definiti mediante direttive. Queste, a differenza dei regolamenti, consentono infatti una maggiore flessibilità così che ogni nazione può adattare la normativa comunitaria alle proprie esigenze territoriali e alla propria realtà locale. Fanno eccezione a quanto detto sopra quei provvedimenti finalizzati alla definizione delle aree protette appartenenti alla Rete Natura 2000, che in quanto ritenute aree di particolare importanza e degne di una speciale protezione, vengono definite a livello comunitario (Commissione UE, 1996; Genghini M., 1993; Lasen C., 2000).

Gli altri provvedimenti di natura diretta vengono invece definiti mediante regolamenti, poiché vanno ad incidere in ambiti di comune interesse e richiedono quindi un rispetto totale da parte di tutte le nazioni.

Tra i primi provvedimenti indiretti di natura agroambientale che incidono sulla biodiversità è da ricordare il Reg CEE 2078/92 relativo a metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente e dello spazio naturale, che prevede incentivi per l'utilizzazione di tecniche produttive rispettose dell'ambiente (riduzione

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dell’uso dei prodotti chimici, estensivizzazione, allevamento e coltivazione di razze e varietà rustiche e tradizionali, gestione degli elementi lineari dell’agro-ecosistema, quali siepi, frangivento, strisce incolte, banchine erbose, ecc., mantenimento e adozione delle rotazioni colturali, delle cover crops, o di pratiche di coltivazione eco-compatibile, quali agricoltura biologica e integrata, ecc.). Da ricordare risulta anche il Reg CEE 2080/92 che istituisce un regime comunitario di aiuti alle misure forestali nel settore agricolo (diversificazione delle specie arboree e arbustive negli impianti, gestione forestale multifunzionale dei tagli, pulizie e potature, ripristino della fertilità del suolo, piani di gestione, protezione delle foreste nelle aree protette, mantenimento delle fasce tagliafuoco, ecc.) (Commissione UE, 1998; Ferrari G. et al., 1996).

Grande importanza ai fini dello sviluppo agricolo dei prossimi anni è inoltre da attribuirsi ai recenti provvedimenti relativi alla politica agraria comune, tra questi: Agenda 2000, Reg. CEE 1251/99 (sostegno alla realizzazione di set-aside), Reg. CEE 1254/99 (incentivi a sostegno di forme di allevamento tradizionali ed estensive), Reg. CEE 1257/99 (piani di sviluppo rurale), con il quale si riassumono in un quadro giuridico unico di riferimento, tutte le misure di intervento strutturale a favore dell’agricoltura, precedentemente disperse in diversi regolamenti (tra cui il reg. 2078/92, il reg. 2079/92 e il reg. 2080/92); Reg. CEE 1259/99 (definizione dei criteri per usufruire di sovvenzioni o per incorrere in penalità) e Reg. CEE 1750/99.

Un altro gruppo di provvedimenti, distinto da quelli precedenti, ma ugualmente importante nei confronti della biodiversità è quello relativo alle politiche della qualità dei prodotti agricoli, cioè alle misure relative alla disciplina sui marchi per la tutela commerciale dei prodotti tipici, locali e di qualità (reg. CEE 2081/92 e 2082/92, DOP, IGP e STG). Attraverso la valorizzazione delle produzioni locali si cerca di dare

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importanza economica a specie e razze autoctone assicurandone così la permanenza sul territorio ed evitando la loro scomparsa nel tempo.

Sempre in relazione a questo tipo di problematica è necessario segnalare il regolamento CEE 1467/94 sulla conservazione delle risorse genetiche e l’impatto che gli organismi geneticamente modificati hanno su queste.

L’utilità dei diversi provvedimenti ai fini della conservazione e della promozione della biodiversità e degli habitat è potenzialmente rilevante, ma la loro effettiva incidenza sul miglioramenti ambientali dipende dagli impegni attivati a livello nazionale e regionale. Complessivamente molte delle misure previste hanno determinato degli effetti benefici, soprattutto per quanto riguarda gli habitat agricoli, dove negli ultimi decenni, si sono verificate le maggiori perdite di biodiversità e dove difficilmente vengono istituite aree protette (Marino D., 2001).

A livello nazionale con la legge n.124 del 14 Febbraio 1994, l’Italia ha ratificato la convenzione di Rio sulla biodiversità (Ministero dell’Ambiente, 1997). A tale ratifica fa seguito la stesura del documento “Linee strategiche e programma preliminare per l’attuazione della Convenzione sulla Biodiversità in Italia” del 16 Marzo 1994, che rappresenta il principale riferimento per delineare il piano nazionale sulla biodiversità.

Tale documento individua di fatto nove aree di intervento: 1) conoscenza del patrimonio italiano di diversità biologica; 2) monitoraggio sullo stato della biodiversità;

3) educazione e sensibilizzazione;

4) conservazione in situ (aree protette e non, recupero ambientale);

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6) contenimento dei fattori di rischio; 7) conservazione ex situ;

8) biotecnologie e sicurezza;

9) cooperazione internazionale ed ecodiplomazia.

La conoscenza e il monitoraggio

sono alla base della conservazione e della gestione del patrimonio biologico. Per individuare il patrimonio italiano di diversità biologica è prevista la realizzazione di un inventario che consiste nel rilevamento, sistematizzazione e mappatura del patrimonio naturale a livello di geni, specie, popolazioni, habitat, biotopi, ecosistemi, paesaggi, definendone le componenti, gli assetti strutturali e i processi funzionali. Il monitoraggio consiste invece nella sorveglianza regolare dell'andamento dei parametri indicatori dello stato e dei processi, finalizzata alla valutazione delle deviazioni da uno standard determinato.

Inoltre per l’accesso alle informazioni si prevede la realizzazione della Carta della Natura; nella quale viene riporto lo stato delle conoscenze (inventario) del patrimonio naturale (biodiversità) del paese (Realizzazione del Centro Nazionale per la Conoscenza e il Monitoraggio della Biodiversità).

Per quanto riguarda invece

l’educazione e la

sensibilizzazione

, il Ministero dell'Ambiente, si impegna a promuovere una campagna informativa, rivolta al pubblico, sulla biodiversità e sul suo uso sostenibile. Tale campagna è finalizzata alla diffusione della conoscenza di importanti temi, quali: il significato della biodiversità da un punto di vista scientifico ed ecologico, i pericoli a cui è sottoposta, la sua conservazione e valorizzazione, il suo uso sostenibile.

E’ infatti riconosciuto che la scarsa attenzione alle problematiche ambientali, l'utilizzo di pratiche e tecniche di produzione con caratteri

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fortemente incompatibili con uno sviluppo sostenibile, la distruzione delle tradizioni e degli usi e costumi locali generano una erosione della biodiversità nazionale. Tali comportamenti sono spesso generati da una formazione culturale tanto radicata quanto sbagliata.

Per quanto riguarda la

conservazione in situ

questa è volta a favorire la sopravvivenza nel territorio naturale delle specie e razze autoctone, promovendo un uso sostenibile della biodiversità. Per questo fine la pianificazione territoriale svolge un ruolo fondamentale poiché permette di mettere in luce i vantaggi ottenibili dall'utilizzazione sostenibile del patrimonio naturale, attraverso la collaborazione delle istituzioni e degli operatori locali. La pianificazione dovrebbe contribuire all'utilizzazione sostenibile del territorio attraverso una equilibrata distribuzione delle attività e ad alleviare l'eccessiva pressione esercitata su alcune zone, tenendo conto delle peculiarità e fragilità ecologiche.

La conservazione in situ della biodiversità è articolata e può essere realizzata attraverso un complesso di misure integrate, volte alla:

• realizzazione di un sistema di aree naturali protette (aree

protette, aree tampone e collega-menti);

conservazione del patrimonio genetico, delle specie e degli

ecosistemi al di fuori delle aree protette;

• conservazione delle specie/razze e delle varietà

allevate/coltivate;

• conservazione dei paesaggi naturali ed agrari storici;

• restauro e riabilitazione degli ecosistemi degradati;

• difesa e recupero delle specie minacciate.

La

promozione di azioni compatibili

prevede invece di favorire la conservazione della biodiversità, sia all'interno delle aree protette, sia al di fuori di queste sull'intero territorio qualunque sia la

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29

sua destinazione d'uso, industriale, agricola, residenziale, di servizi ecc. Questo può essere realizzato soltanto se vengono attuate strategie di sviluppo globali ispirate a criteri dell'economia sostenibile, cioè elaborate nel rispetto della conservazione dell'ambiente e della biodiversità.

La biodiversità ha un suo valore intrinseco in quanto fonte di risorse rinnovabili, sia in quanto non si ha evoluzione biologica in assenza di variabilità genotipica e fenotipica. Nei piani dell'economia sostenibile, dunque, non solo deve essere considerato il valore, e quindi il costo, delle risorse naturali, quali acqua, aria, suolo ed energia, ma anche il valore (e la sua conversione in costo economico) della biodiversità.

Le azioni di

contenimento dei fattori di rischio

, trovano ragione nella consapevolezza che una delle principali cause della riduzione della biodiversità sul nostro pianeta è rappresentata dall'antropizzazione e da molte delle attività ad essa connesse. Al fine di tutelare la salute dell'uomo, l'integrità della flora e della fauna e degli ecosistemi, il paesaggio, il suolo, le risorse idriche e l'aria, la Comunità Europea ed il governo italiano hanno elaborato una articolata normativa basata sulla valutazione di impatto ambientale. Molte sono infatti le categorie di progetti che possono produrre impatti negativi sulla biodiversità; fra le più importanti si possono identificare: l’industria chimica, le centrali termoelettriche, le attività agricole, gli impianti di stoccaggio e di trattamento di rifiuti, le infrastrutture di trasporto, i piani urbanistici non ispirati ai criteri della conservazione della biodiversità, il rilascio in campo di organismi geneticamente modificati.

Per ridurre i rischi ambientali connessi a queste attività è necessario che tali progetti vengano attuati nel rispetto della biodiversità e per ciascuno di essi è indispensabile che vengano internalizzati i costi ambientali, indirizzando tale internalizzazione più nella direzione

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dell'incremento di investimenti che rendano minimo l'impatto negativo, che non nella direzione di monetizzare la perdita di biodiversità, che comunque è difficilmente recuperabile.

La

conservazione ex situ

si basa sulla creazione di centri per la conservazione del germoplasma di specie coltivate (vegetali e microbiche), allevate (animali) e di specie selvatiche. E’ una strategia fondamentale di conservazione della biodiversità quando questa è gravemente minacciata, oppure quando il numero degli individui di una specie è fortemente ridotto e può di fatto rappresentare un’efficiente soluzione per mantenere la variabilità delle specie per le quali non è possibile la conservazione in situ.

Perché la conservazione ex situ risulti un intervento valido ed efficace, sono previsti il costante rinnovamento e l’ampliamento delle collezioni, ottenuti attraverso un impegno continuo di ricerca, finalizzato alla messa a punto di nuove e più avanzate tecniche di conservazione e di classificazione, anche su basi biomolecolari e genetiche, di animali, piante, microrganismi e, virus, e di nuove tecniche di incrocio, selezione e monitoraggio.

Per quanto riguarda gli interventi previsti per l’ambito

biotecnologie e sicurezza

il Ministero dell'Ambiente, avvalendosi anche della consulenza di organismi tecnici e di concerto con il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, il Ministero della Sanità e il Ministero delle Politiche Agricole darà avvio a una serie di iniziative finalizzate ad approfondire i rischi per la diversità biologica conseguenti al rilascio incidentale e deliberato nell'ambiente di organismi modificati geneticamente. Inoltre sono previsti lo studio e l’attuazione di politiche, che permettano di impedire l'utilizzo e la vendita sul territorio nazionale di OGM o loro derivati di cui sia dimostrata una azione diretta o indiretta negativa sulla biodiversità anche a prescindere dalla presenza/assenza di danni alla salute.

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Per quanto riguarda l’ultima area di intervento,

cooperazione

internazionale ed ecodiplomazia

investe di fatto tutti gli argomenti della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) ed in modo particolare, i temi della diffusione delle conoscenze e della biosicurezza per il trasferimento di OGM da un Paese all'altro e, soprattutto, quello dell’equa distribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse ambientali locali. In questa area di intervento sono comprese una serie di iniziative condotte nella logica di offrire ai Paesi in Via di Sviluppo, nuove conoscenze e nuovi strumenti di crescita sostenibile da integrare (e non sostituire) con la cultura, le tradizioni, le consuetudini, e le attività dei popoli indigeni, che siano rilevanti ai fini della conservazione della biodiversità sotto ogni aspetto.

Per ciascuna delle aree di intervento qui brevemente richiamate ed illustrate vengono stabiliti l’obbiettivo generale da raggiungere, gli step intermedi su cui intervenire e le azioni specifiche da intraprendere per la loro realizzazione. Per gli interventi previsti vengono inoltre stanziati specifici fondi e viene chiarito nel dettaglio il loro impiego.

Il piano nazionale per la biodiversità viene infine stabilito sulla base delle linee guida riportate in questo documento e definisce nel dettaglio, per ogni area di lavoro sopra riportata, gli interventi che devono essere messi in atto per proteggere e valorizzare la biodiversità del territorio nazionale (Federazione Italiana dei Parchi, 1999; Marino D., 1998).

La biodiversità dei sistemi agricoli italiani

Un’attenzione particolare nel valutare quelli che sono, sul piano nazionale, gli interventi a favore della biodiversità, deve essere data ai sistemi agricoli, in quanto sistemi ricchi di biodiversità in cui l’intervento dell’uomo è senza dubbio determinante per la sopravvivenza di questa

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risorsa ed in cui è preminente il conflitto tra conservazione delle risorse naturali e crescita economica. In tali aree risulta infatti particolarmente importante trovare una via di sviluppo che consenta la sopravvivenza delle attività agricole e il rispetto e la salvaguardia del grande patrimonio naturale in esse contenuto.

L'Italia è il paese dell'UE con la maggiore percentuale di superficie destinata all’agricoltura (43,8%) distribuita per il 45% in montagna, per il 23% in collina e per il 32% in pianura. A partire dal 1930 si è però assistito a una progressiva riduzione della superficie coltivata, che oggi è pari a circa il 50% di quella dell'inizio del XX secolo.

I sistemi agrari hanno avuto ed ancora hanno un ruolo importante nella caratterizzazione della biodiversità oggi presente in Italia (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, 1998). Da sempre gli agricoltori hanno contribuito con il loro intervento e la loro abilità a definire, incrementare e proteggere la diversità biologica: razze, specie e varietà meglio adattate alle diverse condizioni del territorio sono state identificate, sperimentate, migliorate e coltivate per secoli, specie e varietà capaci di dare frutti durante tutto l’arco dell’anno, spesso resistenti alle fitopatie e facili da conservare.

Queste piante e animali sono stati, fino a tempi recenti, parte costitutiva non solo dell’economia e del paesaggio, ma anche della vita sociale, del quotidiano e dell’immaginario culturale delle popolazioni rurali del nostro paese.

Negli ultimi decenni, in Italia come nel resto d'Europa, i sistemi agricoli si stanno evolvendo verso opposte direzioni:

• intensificazione e semplificazione produttiva, nelle aree

idonee, quali quelle di pianura, con diffusione di agrosistemi fragili da un punto di vista ecologico e spesso dannosi in termini ambientali;

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• marginalizzazione/estensivizzazione in altre aree, quali quelle

di montagna, con conversione a pascoli seguite, in alcuni casi da rimboschimenti o da episodi di recupero spontaneo della vegetazione autoctona.

Le superfici naturali o seminaturali nel paesaggio agricolo intensivo sono povere di diversità biologica, non solo per le condizioni di isolamento e frammentazione in cui si ritrovano, ma anche perché agli effetti dell'inquinamento si sommano frequenti fenomeni di disturbo come quelli derivanti dall'urbanizzazione.

Il modello intensivo inoltre ha imposto come obiettivo di selezione l'incremento quantitativo delle produzioni agricole e zootecniche, che ha portato alla riduzione delle specie e delle razze di interesse locale fino a minacciarne l'esistenza. Le monoculture continuano a ridurre drasticamente la diversità degli agroecosistemi, comportando tra l'altro drastiche diminuzioni delle popolazioni di vertebrati e in particolare di uccelli (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, 2005).

I paesaggi che invece derivano dai processi di estensivizzazione si trovano, a loro volta, tra due estremi: l'abbandono colturale o la permanenza dei sistemi e dei paesaggi propri dell'agricoltura tradizionale.

Nel primo caso, se le alterazioni indotte dall'uomo non sono state tali da bloccare qualsiasi processo spontaneo di recupero, questo avviene con tempi variabili, più o meno lunghi, e la ricchezza biologica che ne deriva può ritornare elevata. Al contrario le zone eccessivamente degradate dall’attività dell’uomo, sono incapaci di ripristinare il precedente livello di biodiversità ed in esse spesso si assiste a fenomeni di erosione dei suoli e progressiva desertificazione (Shiva V., 1995).

I paesaggi dell'agricoltura tradizionale invece, sono sistemi policolturali dove ancora oggi si coltivano varietà o razze locali che

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rispondono ai caratteri dell'ambiente e alle necessità di tecniche agronomiche basate sull'impiego ottimale delle risorse locali, dei cicli e flussi naturali (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, 2005).

Il ruolo che questi hanno nella difesa della ricchezza della biodiversità è senza dubbio importante. Infatti non solo conservano al loro interno un ricco patrimonio di specie e razze locali, ma rappresentano essi stessi tessere di mosaici interconnessi da efficienti corridoi ecologici, che favoriscono la vitalità e il perpetuarsi di specie spontanee e selvatiche.

Nonostante i processi di degrado, nel nostro Paese si è conservata una variabilità importante ed una presenza notevole di specie di interesse agricolo. Questo fa dell’Italia un’area rimarchevole per qualsiasi strategia di conservazione della biodiversità. Di qui la necessità e l’urgenza di mettere in atto iniziative utili alla difesa e valorizzazione del nostro patrimonio genetico di interesse agrario e di sostegno a chi, in primo luogo gli agricoltori, questo patrimonio ha contribuito a creare e mantenere.

LE STRATEGIE DI DIFESA DELLA BIODIVERSITA’

Da molti anni la Comunità scientifica italiana è cosciente del problema collegato alla riduzione della variabilità genetica delle specie di interesse agrario. L’attività scientifica in tale ambito è infatti considerevole, così come numerosi sono gli studi a sostegno della salvaguardia di quel che è rimasto del patrimonio di specie coltivate o allevate nel nostro Paese. Anche gli Enti preposti alla gestione e al sostegno della ricerca hanno dimostrato una crescente sensibilità al problema: basti ricordare i finanziamenti previsti da numerosi regolamenti comunitari e le iniziative coordinate dal Ministero per le

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Politiche Agricole (Mi.P.A.F.), referente istituzionale per l’agrobiodiersità.

Dove invece le carenze sono ancora notevoli e la necessità di interventi urgente, è il trasferimento alla realtà di ciò che la ricerca ha evidenziato, attraverso l’attuazione di concrete iniziative per la salvaguardia delle risorse naturali.

Le iniziative che possono essere intraprese per conservare la biodiversità alla base dell'agricoltura italiana sono di vario tipo.

Alcune di queste nascono con lo scopo principale di promuovere quelle pratiche agricole a ridotto impatto, scoraggiando invece quelle ritenute incompatibili con i principi dello sviluppo sostenibile.

Fanno parte di esse le iniziative per diffondere le tecniche dell’agricoltura biologica, dovunque sia possibile e, in alternativa, sostenere l'agricoltura integrata, riducendo al minimo indispensabile l'impiego dei composti chimici e favorendo l'utilizzo di macchine agricole che minimizzino l'impatto negativo sul terreno; interventi per ridurre l'impatto da sovraccarico dei pascoli, da allevamenti intensivi, da monocolture; per difendere le zone umide e le brughiere; sostenere le comunità rurali e il ruolo che esse hanno nella creazione e nel mantenimento degli habitat seminaturali, sostenere la validità delle pratiche estensive, anche in aree marginali.

Altre iniziative a tutela della biodiversità comprendono interventi più specificatamente mirati alla conservazione di razze, varietà ed ecotipi locali, per preservare la variabilità genetica in essi presente e il patrimonio ambientale, economico, sociale e culturale che essa rappresenta. Queste iniziative di tutela delle risorse genetiche autoctone comprendono (Lombardi P., 1997):

• individuazione delle risorse genetiche autoctone attraverso i

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• stoccaggio e mantenimento ex situ delle risorse genetiche

autoctone;

conservazione in situ di specie autoctone;

• progetti di promozione e valorizzazione delle risorse genetiche

autoctone.

Tali interventi, sebbene inseriti in un omogeneo quadro di riferimento stabilito dal ministero delle Politiche agricole, vengono decisi e attuati a livello regionale, attraverso l’emanazione di specifiche leggi (Per la Toscana: Legge Regionale n. 50 del 16 luglio 1997, "Tutela delle risorse genetiche autoctone").

I repertori regionali

L’individuazione delle risorse genetiche autoctone viene attuata mediante la creazione di quelli che vengono chiamati Repertori Regionali. Questi nascono di fatto con il fine di catalogare, conservare e rendere pubbliche le informazioni relative alle risorse genetiche proprie di ogni territorio.

I Repertori Regionali si concretizzano in banche dati, all’interno delle quali vengono riportate tutte le specie, vegetali ed animali, originarie del territorio per cui sia stato riconosciuto un interesse generale alla tutela dal punto di vista economico, scientifico o culturale.

La richiesta di iscrizione al Repertorio Regionale può essere fatta sia da enti, pubblici o privati, sia da singoli cittadini, mediante presentazione della necessaria documentazione. Un’apposita commissione competente in materia, istituita a questo fine, ha il compito di valutare la richiesta e di esprimere il proprio parere, positivo o meno, per quanto riguarda l’iscrizione.

All’interno dei repertori vengono inscritte unicamente le specie autoctone. Secondo la normativa di riferimento ed in base alla

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definizione di autoctono che in essa viene riferita, possono quindi essere incluse nel Repertorio Regionale:

specie e culivar originarie del territorio della regione e qui

coltivate o allevate;

• specie e culivar introdotte da lungo tempo nel territorio

regionale ed integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e/o nel suo allevamento;

specie e culivar derivanti dalle precedenti per selezione massale

su base fenotipica;

• specie e culivar originarie del territorio regionale ma attualmente

scomparse o conservate in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca di altre regioni o paesi.

L’iscrizione al repertorio regionale qualifica la specie o cultivar in questione come risorsa genetica autoctona, e quindi degna di essere sottoposta a tutela.

Conservazione ex situ

La conservazione

ex situ

fa riferimento alla conservazione di specie animali e vegetali fuori dal loro habitat naturale.

L’attività di conservazione

ex situ

delle risorse genetiche viene concretizzata attraverso la creazione di cosiddette "banche del germoplasma".

Una banca del germoplasma

(germ plasm bank)

è una struttura, regolamentata dal Ministero delle Politiche agricole e forestali (D.M. 5 marzo 2001), che si occupa della conservazione del materiale genetico ereditario di piante e animali, il germoplasma o plasma germinale. Il germoplasma è infatti l’insieme dei materiali che permettono la riproduzione nel tempo di specie e varietà garantendo, in

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tale modo, la salvaguardia della biodiversità.

Il processo che porta all’immagazzinamento ed alla conservazione del plasma germinale parte dalla raccolta di questo in natura. La raccolta deve essere effettuata cercando di acquisire il germoplasma del più alto numero di individui possibile, per ogni popolazione considerata, al fine di garantire una sufficiente diversità genetica intraspecifica.

All’interno delle banche del germoplasma viene conservato sia materiale vegetale che animale. Le tecniche di conservazione si basano essenzialmente sulla crioconservazione, cioè sul congelamento controllato delle parti vive prelevate (Bonner, 1990; Baskin e Baskin, 1998). Si possono comunque avere differenze metodologiche in base alla natura della specie presa in considerazione ed alla porzione di individuo che viene prelevata ed utilizzata per la conservazione (per le piante soprattutto semi, pollini, spore e tessuti meristematici). Per esempio per le specie erbacee, è ampiamente praticata la conservazione dei semi (attraverso disidratazione e congelamento)(Linington e Pritchard, 2001; Primack e Carotenuto, 2003). Per le specie da frutto è invece largamente prevalente la tecnica di conservazione in campi di collezione. Per gli animali di interesse zootecnico le tecniche di conservazione

ex situ

fanno essenzialmente riferimento alla crioconservazione di materiale genetico (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, 1998).

Una volta che il materiale viene introdotto nella banca del germoplasma, viene registrato su di un apposito

data-base,

e la registrazione viene completata inserendo dettagliate informazioni, a carattere scientifico, relative all’entità oggetto della raccolta.

A livello nazionale sono attive almeno 15 istituzioni che conservano campioni di specie coltivate e dei loro parenti selvatici. Tra queste le più importanti sono quelle presenti negli Orti Botanici

Figura

Fig. n.3: Originaria area di diffusione della Mucca Pisana (Secchiari P.,  Martinelli A., 2007)
Fig. n.6 e n.7: Toro di razza Mucca pisana e vacca di razza Mucca  Pisana
Fig. n.8: Vitelloni di razza Mucca Pisana (Secchiari P., Martinelli A.,  2007).

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