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Le possibili azioni da intraprendere

Per definire e rendere più chiaro e schematico un eventuale piano di azioni da seguire per la valorizzazione del prodotto tipico e tradizionale è possibile fare riferimento ad aree generali di intervento sulle quali agire in funzione degli obbiettivi prefissati, stabilendo per ciascuna area, possibili azioni da intraprendere e specifici strumenti da utilizzare.

Questo schema generale, che ci apprestiamo a descrivere, rappresenta lo scheletro di riferimento del processo di valorizzazione del prodotto e può essere utile per fornire, sempre in termini generali, l’orientamento da seguire nell’attuazione di un concreto piano di valorizzazione per uno specifico prodotto.

Mobilitazione delle risorse locali

Appartengono a questa area di intervento tutte quelle azioni volte a identificare ed attivare le specifiche risorse del territorio. Ogni area rurale presenta infatti specificità proprie e risorse uniche che sono alla base della peculiarità del prodotto che da tale località deriva. L’unicità delle caratteristiche naturali e culturali del territorio vengono incorporate nel prodotto stesso e ne determinano la “qualità” (Brunori G., 2006).

La mobilitazione delle risorse è indirizzata ad attivare e rafforzare il legame che vi è tra queste specifiche risorse ed il prodotto stesso, attraverso il coinvolgimento degli attori locali, che devono, in primo luogo, riconoscere le risorse presenti nel loro territorio, divenire consapevoli di queste, per poi attivarsi ed organizzarsi per il loro

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potenziamento e la loro difesa.

Solo attraverso un’efficace azione di mobilitazione è possibile far sì che nel prodotto vengano incorporate le specificità proprie del territorio e che questo risulti chiaramente evidente al consumatore.

Le risorse locali coinvolgibili in un processo di mobilitazione appartengono a quattro diverse categorie (Brunori G., 2006):

• capitale naturale (razze e varietà autoctone, caratteristiche pedo-climatiche del territorio)

• capitale culturale (storia, conoscenze ed usanze, tradizione produttiva del territorio)

• capitale umano (l’insieme delle capacità, dell’arte e dei mestieri diffusi sul territorio)

• capitale sociale (rappresentato dalle interrelazioni presenti nel tessuto sociale del luogo, il potenziale di azione collettiva che favorisce lo scambio di idee e la realizzazione di progetti comuni)

Per attivare e tutelare le risorse locali risulta necessario, in primo luogo, acquisire più informazioni possibili sul territorio e sulle risorse effettivamente presenti in esso, successivamente stimolare il coinvolgimento dei produttori o attori locali, creando una consapevolezza condivisa del valore delle risorse stesse per poter poi tradurre, attraverso l’iniziativa individuale e collettiva, le peculiarità del territorio in risorsa economica.

Tutte le azioni volte alla valorizzazione delle produzioni tipiche e tradizionali partono da un’attenta mobilitazione delle risorse locali ed hanno come finalità ultima quella della loro tutela e riproduzione. Per cui un corretto piano di valorizzazione non può prescindere da una costante riflessione sulle iniziative messe in atto e sui riflessi che queste

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generano sulle specifiche risorse coinvolte (Brunori G., 2006).

Qualificare e comunicare il prodotto

In tale fase si cerca di definire in modo chiaro, univoco e condiviso l’identità del prodotto per poi farlo entrare in relazione con l’esterno attraverso le successive fasi di promozione e commercializzazione.

Spesso è sbagliato ritenere che a livello locale il prodotto presenti una sua chiara e definita identità, molte volte, in modo particolare quando nel processo di produzione sono coinvolti una pluralità di attori e di imprese, è necessario procedere ad una ridefinizione del prodotto stesso per creare un ‘immagine condivisa da diffondere all’esterno.

Un altro possibile errore è ritenere che le qualità del prodotto siano immediatamente percepibile e apprezzate all’esterno. Nella realtà, se non si interviene con specifiche azioni di comunicazione, difficilmente le peculiarità del prodotto risulteranno visibili al consumatore, per questo ancora più importante è creare un’identità definita del prodotto stesso (Brunori G., 2006).

La fase di qualificazione risulta infatti particolarmente importante; definire in modo univoco quello che il prodotto è, le sue caratteristiche, gli elementi qualitativi che lo contraddistinguono è infatti il primo passo per ottenere la differenziazione del prodotto stesso e permettere un suo chiaro riconoscimento sul mercato.

La fase di qualificazione si concretizza nella definizione delle caratteristiche organolettiche del prodotto, nella definizione delle tecniche produttive e nell’individuazione di appropriate forme di certificazione.

La qualificazione del prodotto crea le condizioni affinché possa essere attivata una relazione con l’esterno. Attraverso appropriati

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interventi è poi necessario far maturare una disponibilità a pagare per il prodotto stesso in funzione delle specificità da esso possedute (Brunori G., 2006).

Affinché la qualificazione risulti un intervento efficace nel piano di valorizzazione del prodotto deve essere seguita da una serie di azioni mirate a comunicare il prodotto al consumatore.

Nella scelta delle modalità di comunicazione per prodotti tipici e tradizionali è opportuno andare a privilegiare quelle forme di comunicazione che garantiscano un rapporto quanto più diretto tra il mondo produttivo e il consumatore, in modo tale da favorire lo scambio di quei valori legati al luogo di origine e attribuibili al prodotto.

Un ruolo essenziale sia per quanto riguarda la qualificazione del prodotto che la comunicazione delle caratteristiche da esso possedute al consumatore è svolto dalla scelta e dall’apposizione di un marchio.

Come tutti gli interventi volti a caratterizzare il prodotto e a trasmettere l’immagine di esso al consumatore, anche la scelta del marchio ha come obbiettivo primario quello di esaltare la qualità specifica del prodotto stesso e renderla riconoscibile sul mercato.

Esistono molti differenti tipologie di certificazione tra le quali operare la scelta più appropriata rispetto al prodotto preso in esame.

Fanno parte di queste (Brunori G., 2006):

• strumenti di origine completamente esterna (ISO 9000 sull’affidabilità generale delle imprese di produzione, UNI 10939 e Uni 11020 sulla tracciabilità della filiera produttiva, standard BRC per la garanzia della sicurezza igenico- sanitaria del prodotto, marchi di attestazione di metodi produttivi ecocompatibili). Queste tipologie di certificazione sono volti a trasmettere la qualità di conformità posseduta

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dal prodotto e consentono l’ingresso di questo in specifici segmenti di mercato, ma per quanto riguarda la valorizzazione dei prodotti tipici e tradizionali, presentano il grosso inconveniente di generare un’eccessiva omologazione del prodotto stesso e di non esaltarne per questo sufficientemente le specificità.

• strumenti di origine completamente interna (marchi collettivi). Questa tipologia di certificazione presenta la convenienza di adattarsi facilmente alle caratteristiche del prodotto e del sistema produttivo locale e di poter quindi facilmente rispondere alle esigenze delle imprese coinvolte nella produzione. Spesso però essendo marchi inizialmente totalmente sconosciuti sul mercato richiedono ampi investimenti ed azioni mirate impegnative per poter essere diffusi e fatti conoscere al consumatore.

• strumenti di qualificazione intermedi (DOC, IGP, Slow Food). Questa tipologia di certificazione può rappresentare un buon compromesso tra i due estremi prima descritti. Essi si basano su uno schema predefinito a cui aderire, all’interno del quale è possibile però dare spazio ed evidenza alle specificità proprie del prodotto. Inoltre tali marchi sono generalmente ben conosciuti dal consumatore o comunque la loro conoscenza viene diffusa grazie a specifici interventi di pubblicizzazione messi in atto da enti pubblici o privati che sostengono a carico proprio il marchio stesso, per cui essi possono rappresentare un supporto per l’attivazione di azioni di comunicazione e commercializzazione. Fanno parte di questa tipologia di certificazione quei marchi definiti nel loro insieme “segni geografici”, poiché mirano a qualificare ed a far conoscere il

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prodotto sulla base dell’origine geografica, appoggiandosi per questo all’immagine esterna che il territorio si è costruito nel tempo.

Commercializzare il prodotto

La fase della commercializzazione è una delle più importanti dell’intero processo di valorizzazione di un prodotto, essa consente infatti al prodotto stesso di incontrare il mercato e di trovare un proprio spazio all’interno di esso. Questa fase avvalora gli sforzi fatti nelle fasi precedenti permettendo al prodotto di esprimere il proprio “valore di scambio”, consente di ottenere la remunerazione adeguata affinché il sistema socio-economico possa continuare la propria attività, trovare in essa una fonte di sostentamento per riprodurre e garantire così la sopravvivenza dell’insieme delle risorse locali su cui tale attività si basa(Brunori G., 2006) .

Il momento della commercializzazione è rappresentato da tutte quelle iniziative atte a creare il mercato del prodotto; tali iniziative hanno infatti lo scopo di far percepire al consumatore le caratteristiche del prodotto stesso (in generale favorendo la percezione della qualità come connubio tra sicurezza, bontà delle materie prime, tecnologia, caratteristiche organolettiche, nonché storia, cultura e legame con il territorio) e di consentire una corretta associazione tra questo, i suoi elementi qualitativi e il marchio prescelto (Pellegrini M., 1994). Solo attraverso questo percorso è di fatto possibile favorire la fidelizzazione del consumatore al prodotto e conseguentemente di godere dei vantaggi economici che questo comporta.

Più in generale queste azioni rientrano nell’ambito delle strategie di marketing per la promozione delle vendite. Esse hanno infatti lo scopo di aumentare il volume delle vendite del prodotto e di trasmettere al consumatore l’immagine di specificità e di unicità del

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prodotto, diffondendo valori associati ad esso.

Una corretta campagna di marketing deve inoltre essere mirata a ridurre i rischi di “disinformazione” sull’utente finale che, infatti, interpreta frequentemente come tipici anche prodotti industriali che in tale direzione hanno solamente orientato la politica di marketing ed i contenuti delle campagne pubblicitarie (Olivero N., 2000).

La prima decisione strategica che riguarda le azioni di commercializzazione consiste in una chiara identificazione dei consumatori a cui il prodotto è rivolto; l’individuazione di un “target” di clienti sensibili o sensibilizzabili ai valori incorporati nel prodotto e più pronti a recepirli.

La seconda decisione, sempre di tipo preliminare, da chiarire per poter poi scendere nel dettaglio delle azioni di marketing da intraprendere, riguarda la comprensione dei possibili canali distributivi da mettere a disposizione del prodotto, delle loro modalità di funzionamento e della tipologia di concorrenza a cui il prodotto può essere sottoposto.

Queste considerazioni preliminari consentono alle imprese o alle associazioni delle stesse, di definire nel dettaglio gli obbiettivi da perseguire attraverso le iniziative di commercializzazione e le relative azioni da intraprenderle per raggiungere tal obbiettivi.

Le azione di comunicazione sono portate avanti sia da campagne istituzionali che da iniziative private (imprese o organismi collettivi). Le prime sono indirizzate a favorire, in via prioritaria, la conoscenza delle certificazioni comunitarie e del significato di ciò che si trova dietro a tali marchi sia a livello nazionale che europeo e, più nello specifico, a sostenere l’immagine dei prodotti tipici e tradizionali del territorio (Benussi, 1996).

Le seconde sono finalizzate alla creazione di specifici mercati di nicchia dove collocare i propri prodotti.

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La campagna di comunicazione può essere svolta scegliendo canali informativi differenti. Fanno infatti parte delle azioni di marketing:

• la promozione delle vendite: questa compende apertura di particolari corners nei supermercati, offerta di campioni omaggio, degustazioni gratuite, applicazione di sconti, concorsi a premi ecc.. Tali azioni consentono una più ampia informazione e aumentano la fidelizzazione alla marca, ed hanno immediato riscontro sul volume delle vendite (INEA,2001b).

• le relazioni pubbliche: comprendono convegni, conferenze, feste, fiere e manifestazioni, visite in azienda, opere sociali, sponsorizzazioni ecc.. Generalmente favoriscono il contatto diretto tra produttore e consumatore e contribuiscono a rafforzare l’immagine dell’impresa, del prodotto e del territorio di origine nei confronti del pubblico.

• diffusione del prodotto nei luoghi di consumo: si cerca di favorire la presenza del prodotto in ristoranti (cucine regionali e tematiche), alberghi ed agriturismi. Attraverso questo tipo di azioni si favorisce la conoscenza del prodotto che inoltre viene così associato ad esperienze di relazione sociale (Pizzaferri A., 2001).

• pubblicità: le modalità di attuazione di un’azione pubblicitaria possono essere le più disparate con specifici metodi, obiettivi e contenuti. Attraverso questa si possono ottenere effetti importanti sul volume delle vendite e sulla fidelizzazione alla marca (o marchio collettivo). La pubblicità è di fatto implicitamente presente in tutti gli altri tre strumenti di comunicazione (Marbach G., Fabi C., 2000).

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Come visto gli strumenti attraverso cui è possibile diffondere la conoscenza del prodotto sono vari. In base alla tipologia di mercato su cui si vuole agire (locale o delocalizzato) ed in base al budget che l’impresa può destinare a questo tipo di attività, devono essere scelti i canali di promozione più adeguati (INEA, 2001b).

Le azioni di marketing e di informazione risultano maggiormente efficaci se l’area di provenienza del prodotto è ben conosciuta e caratterizzata. L’immagine che il consumatore ha del territorio si riflette sul prodotto stesso. Vediamo infatti che, se l’area di provenienza gode di una buona reputazione (ad esempio aree a forte vocazione turistica), la percezione che il consumatore ha della qualità del prodotto è senza dubbio maggiore, se invece il territorio di origine risulta essere pressoché sconosciuto l’indicazione di provenienza non rappresenta elemento a favore del prodotto stesso (AA.VV., 2004). Per questo e visto che una migliore percezione della qualità si riflette positivamente sul volume delle vendite e sul differenziale di prezzo che il consumatore è disposto a sostenere per l’acquisto del prodotto, le campagne di comunicazione dell’impresa devono essere indirizzate a costruire e a diffondere, accanto all’immagine del prodotto, anche l’immagine del territorio di origine.

Le attività di informazione e marketing, soprattutto se indirizzate a promuovere e valorizzare il prodotto su mercati delocalizzati, sono impegnative sul piano finanziario. Spesso di conseguenza le piccole aziende di produzione tipica e tradizionale presenti sul territorio non risultano in grado di sostenere in forma autonoma una politica di valorizzazione di questo tipo. In questi casi è auspicabile prevedere forme di cooperazione (cooperative, consorzi, associazioni..) tra le varie imprese del territorio (Gregori M., Garlatti S., 1997).

Il sistema delle produzioni tipiche, a livello locale, assume infatti molto spesso le caratteristiche di un sistema produttivo territoriale per le

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profonde interazioni che si creano fra prodotto e territorio, fra prodotto e società, fra imprese dedite alla stessa produzione pur impegnate a diversi livelli .

Favorire la formazione di un sistema produttivo a rete in cui sia possibile gestire in forma associata una serie di funzioni e di attività, che per il loro livello o per i costi connessi non sarebbero alla portata del singolo operatore o, addirittura, dell’eventuale organismo di rappresentanza e tutela del prodotto, diviene quindi un operazione auspicabile. In tale modo si potrebbe conciliare la ridotta dimensione economica degli interessati con le esigenze di un mercato in forte crescita dimensionale (INEA, 2001b; Gregori M., Garlatti S., 1997).

Le produzioni italiane ed in modo particolare nel settore del tipico, sono infatti caratterizzate da un’eccessiva polverizzazione dell’offerta e da una notevole frammentarietà, dalle quali derivano elementi che ne limitano la potenziale vitalità e ne spiegano la latente vulnerabilità (Alla presenza di aziende di piccole dimensioni si abbinano minori potenzialità concorrenziali). Il frazionarsi di tali produzioni in una serie di siti produttivi di piccole dimensioni e di ridotto impatto commerciale procura agli operatori del settore una scarsa visibilità. La creazione di intese interaziendali tra i produttori presenti sul territorio, con la formazione di un sistema locale di produzione, consentirebbe ad esse di raggiungere una maggiore forza di mercato e conseguentemente di essere più competitive (Gregori M., Garlatti S., 1997).

In primo luogo la creazione di un sistema locale di produzione permette di raggiungere masse critiche di prodotto più elevate (una maggiore massa critica favorisce la capacità contrattuale dell’impresa con la distribuzione, rende possibile l’aumento del bacino di utenza e il raggiungimento di mercati delocalizzati) ed inoltre consente di sostenere con maggiore facilità i costi degli interventi necessari sulla

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filiera (i processi produttivi di tipo tradizionale hanno una resa inferiore rispetto a quelli sostitutivi di tipo industriale e questo rende i costi di produzione più elevati). Essenziale, per rendere più competitive le produzioni tipiche e tradizionali, risulta infatti essere l’efficienza della filiera stessa (Cornacchia G., Paoloni L., Surace P., 1998). Le imprese e le singole filiere dovranno contribuire allo sviluppo del comparto mediante investimenti specifici per il miglioramento dell’organizzazione, della produzione e della logistica. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto frequentemente si osserva come esso sia debole e disorganizzato. Per cercare di migliorare la distribuzione e la commercializzazione delle produzioni tipiche e tradizionali è auspicabile ricercare sinergie sul territorio, creare una rete di relazioni che amplificano gli effetti delle azioni intraprese a livello del singolo, coinvolgendo nel processo di valorizzazione l’intera comunità; essa diviene potatrice nel suo insieme degli elementi materiali e immateriali che identificano il prodotto favorendo così la costruzione di valore intorno ad esso.

Un importante esempio di quanto detto poco sopra, da prendere in considerazione per la valorizzazione dell’offerta, è senza dubbio l’attivazione di quelle che possono essere considerate le funzioni economiche “intersettoriali” dei prodotti tipici e tradizionali. In particolare, in tutte quelle aree dotate di notorietà e potenzialità nel settore turistico, è quanto mai opportuno stimolare percorsi integrati di intervento e sviluppo tra prodotti tipici e turismo (AA.VV., 2004). In questo senso, specie per i piccoli contesti locali di produzione, il paradigma dello sviluppo si può ricondurre alla crescita delle vendite dei prodotti associato all’importazione del turismo nel contesto locale.

Soltanto attribuendo al processo di valorizzazione dei prodotti tipici e tradizionali una natura collettiva e territoriale è possibile determinare la rivitalizzazione del territorio rurale da cui il prodotto

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proviene e consentire così il recupero e la salvaguardia dell’arte e dei mestieri, della storia produttiva e delle tradizioni culturali legate al prodotto stesso.

Il ruolo del sistema esterno alle imprese

La capacità di esprimere le potenzialità economiche del patrimonio di tipicità alimentare italiano dipende in larga parte dalla qualità del sistema esterno alle imprese, il sistema delle istituzioni e dei servizi (Comitato europeo delle Regioni, 1997).

Per una migliore efficienza del sistema esterno, in primo luogo, appare necessario ed importante avviare un coordinamento interregionale sulle politiche di settore per evitare approcci troppo distinti e scollegati tra le aree del paese. Un fatto determinante dal momento che molti prodotti tipici vedono le rispettive aree d’origine collocarsi in più regioni. Coerente ed utile risulta ricercare basi condivise per progetti multiregionali mirati a valorizzare e sostenere tali produzioni di qualità (Fanfani R., Montresor E., 1998).

Particolarmente richiesto è inoltre il supporto esterno nell’azione di tutela internazionale delle denominazioni di origine. Un supporto che può avvenire mediante servizi ed assistenza mirati per imprese e consorzi (specie per quelli di più ridotte dimensioni, incapaci di affrontare autonomamente tali azioni), ma soprattutto attraverso la modifica del quadro normativo internazionale, dove pesa oltremodo l’assenza di forme specifiche di protezione. Una gestione adeguata della tutela dei prodotti tipici italiani diviene infatti azione necessaria anche per scongiurare il pericolo di futuri attacchi a denominazioni italiane da parte di prodotti esteri concorrenti (Nomisma, 2000).

Un’altra linea d’intervento utile per il sostegno delle produzioni tipiche e tradizionali, che può prevedere l’intervento di un ente nazionale, è quella della promozione sui mercati esteri. Tale azione

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dovrebbe essere supportata da efficienti e specializzate strutture di servizio nazionali. A questo riguardo si sottolinea la possibilità e l’opportunità di istituire un’agenzia autonoma (anche con coinvolgimento diretto dei soggetti di filiera) dedicata alla promozione dei prodotti agroalimentari all’estero. Tale agenzia potrebbe sviluppare e supportare direttamente i prodotti tipici e costituirebbe il catalizzatore di una più generale strategia di valorizzazione del “made in Italy“ agroalimentare di qualità (Nomisma, 2000).

Per rispondere a queste differenti necessità che il settore presenta si dovrebbe provvedere alla creazione di un organo di rappresentanza dei prodotti delle filiere tipiche nazionali, cui affidare il compito (oggi non assolto oppure surrogato da molteplici e difformi soggetti) di interlocutore unico del sistema del tipico per la definizione delle politiche generali, di promotore delle valenze generali e di difensore degli specifici interessi, ma anche per fornire indicazioni e servizi allo sviluppo delle sue singole componenti (di grandi e di piccole dimensioni, dei settori zootecnici e di quelli vegetali, delle varie regioni ed aree del paese).

Tale orano rappresenterebbe una “cabina di regia nazionale” per il sistema delle produzioni tipiche, capace di rappresentare le numerose filiere, ma anche in grado di coinvolgere le competenze istituzionali intersettoriali (es. agricoltura, artigianato, industria, commercio, ambiente, turismo a livello centrale e regionale) che, nella logica dello sviluppo locale, si legano a tale tipologia di prodotti (INEA, 2001b; Nomisma, 2000).

Tale “cabina di regia” potrebbe utilmente guidare la definizione analitica di obiettivi e modalità di sviluppo del “sistema tipico”, potrebbe affrontare in maniera autonoma le specifiche problematiche