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Misurazione degli effetti dei servizi

2 . Misurazione del costo dei servizi

3. Misurazione degli effetti dei servizi

D a: Martin Wolins, Measuring thè Effect of Social Work

Intervention

All’inizio, ogni professione poggia su nozioni magiche: è un mistero, non solo per i clienti, ma anche per coloro che la praticano. Questi ultimi spesso dicono di conoscere tutte le risposte, ma in pratica sono ben poche le domande a cui saprebbero veramente rispondere, e si circondano di un’atmosfera rituale per proteggere lo status della propria professione. Alcuni di questi misteri non sono altro che l’embrione delle linee di condotta professionale

che ancora non sono esplicite o esplicabili, mentre altri sono1 un mero

prodotto della fantasia professionale. In questa fase iniziale è difficile •—

o addirittura impossibile — prevedere quali dottrine e quali pratiche si riveleranno effettivamente utili e valide nel futuro.

Come in ogni altra professione, anche nel campo del lavoro sociale sono poche le attività che hanno avuto origine da una base realmente scientifica. Ma una professione arriva sempre alla fase in cui ha bisogno di una conoscenza e di una padronanza dei suoi strumenti e delle sue tecniche che il semplice buonsenso non è in grado di fornirle. E’ neces­ sario sapere non solo quali sono i risultati che derivano da determinate azioni, ma anche quando e come si verificano. A questo punto la pro­ fessione deve affinare le sue teorie, definire chiaramente i suoi concetti, e servirsi di metodi scientifici per provare le sue asserzioni.

Inoltre il lavoro sociale, dovendo soddisfare determinate esigenze del sistema sociale da cui promana, ha l’obbligo di dimostrare la produttività e l’efficienza delle sue operazioni. In tal senso si sono mosse numerose ricer­ che le quali hanno affrontato le questioni più svariate, come i tipi e la portata dei servizi richiesti, il grado di efficienza amministrativa e l’ef­

ficacia delle diverse iniziative di lavoro sociale. Questa ultima probabil­ mente, pur essendo forse la più difficile, è quella che ha destato il maggiore interesse. La nostra giovane professione, come i bambini nei primi anni di vita, cerca l’approvazione altrui e domanda: « Faccio bene? faccio male ».

Perché misurare gli effetti

Per chiarire la materia trattata dal presente capitolo dobbiamo fare una distinzione fra la misurazione degli « effetti » e quello che è invece l’argo­ mento che più interessa il pubblico in genere e gli esponenti della nostra

professione in particolare: « l ’efficacia». Quando valutiamo gli effetti, cerchiamo una risposta alla domanda: «ch e cosa è successo?». Quando invece valutiamo l’efficacia, la domanda a cui cerchiamo una risposta è: « era utile quello che è successo? ».

Nei primi studi sul lavoro sociale si cercava di valutare direttamente l’efficacia. Oggi invece si tende a misurare gli effetti, perché gli effetti

stessi — se inquadrati nei valori correnti — possono1 darci una misura

dell’efficacia. Per esempio, il ricercatore che desidera conoscere l’e ffi­ cacia del casework nei riguardi di una madre nubile che cede ad altri il suo bambino, dovrà primo scoprire quale effetto tale atto abbia su di lei con e senza casework. Se gli risulta che la madre che ha beneficiato del casework soffre di sensi di colpa meno accentuati di quella che non ne ha beneficiato, avrà potuto determinare l’effetto del casework. Se inoltre, sulla base di una scala di valori correnti, gli è possibile specifi­ care il tipo e il grado di cambiamento desiderato, avrà anche una misura dell’efficacia dell’intervento.

L’ambizione di misurare direttamente l’efficacia porta troppo spesso anche gli operatori sociali più acuti a formulare considerazioni globali o giudizi conclusivi che creano problemi anche più numerosi di quelli che intendono risolvere, come è stato dimostrato dal mondo in cui li ha usati l’Eysenck (47), il quale in un’unica serie di tabelle ha riportato i risultati di terapie psico- analitiche ed eclettiche nonché le percentuali dei pazienti spontaneamente guariti in determinati ospedali. Le sue conclusioni furono che « i pazienti curati con la psicanalisi migliorarono nella misura del 44%, quelli curati ecletticamente nella misura del 64%, mentre i pazienti soggetti solamente a custodia o curati da medici generici arrivarono al 72% ». La tesi con­ clusiva dell’Eysenck — ossia l’esistenza di un rapporto inversamente pro­ porzionale fra guarigione e psicoterapia — è stata criticata sul piano meto­ dologico; ma il suo studio serve a dimostrare chiaramente le conseguenze di quegli studi di valutazione che intendono esplorare l’efficacia di un

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TTn’altrn ^ siderazion e da fare in merito alle differenze tra effetto ed

Per misurare l’efficacia per quale periodo e in

L’efficacia comporta una una descrizione.

O li effetti da m isurare

Che cosa dobbiamo studiare? Gli effetti del lavoro sociale come movi­ mento sociale? Gli effetti ottenuti da un caseworker in un intervento specifico presso un singolo cliente? Le conseguenze di una politica sociale a vasto raggio o di un programma di assistenza ? Oppure dobbiamo misurare tutte queste cose, dato che ricadono tutte nel campo delle attività di lavoro sociale? A motivo del fatto che le risposte e le procedure di ricerca dipen­

dono dalle domande che ci poniamo, è chiaro1 che il ricercatore deve avere

uno schema del settore in esame per poter suggerire le domande più op­ portune e le conseguenze da trarre da risultati specifici. Senza uno schema, la misurazione degli effetti degli interventi di lavoro sociale soltanto per caso può avere un significato.

Nel 1950 la Family Service Association of America pubblicò un manuale sulla misurazione dei risultati del casework. Il manuale, preparato presso la Community Service Society di New York, aveva lo scopo di arrivare a misurazioni più precise dei risultati di casework normalizzando e quanti­ ficando i giudizi espressi dai caseworkers. Per aiutarli nella determina­ zione del processo di un caso, ai valutatori fu detto di rivolgere in particolare

la loro attenzione a quattro tipi di cambiamento che potevano aver luogo nel cliente:

— Cambiamento nella sua capacità di adattamento (per esempio, nella capacità del cliente di andare d’accordo con altre persone, nella sua efficienza sul lavoro o in famiglia, ecc.).

— Cambiamenti nelle abitudini e nelle condizioni di vita (quali carat­ teristiche debilitanti della personalità o stato di salute).

— Cambiamento negli atteggiamenti (per esempio, accettazione del caseworker o di altre persone, sulla base delle dichiarazioni rese dal cliente).

— Cambiamenti di ambiente (per esempio, di tipo di abitazione). Subito dopo la pubblicazione del manuale, si vide chiaramente che po­ chissimi erano d’accordo sui problemi o gli obiettivi del lavoro sociale compresi in queste quattro categorie. Philip Klein, per esempio, dichiarò che « il valore sociale essenziale del casework si identifica con gli specifici obiettivi di un tipo di ente che agisca nel quadro di una particolare politica di accettazione, obiettivi che si riferiscono ad una aliquota relativamente piccola del complesso dei casi assunti dall’ente stesso, che sono condizionati da particolari impegni psicoanalitici e procedurali ed orientati verso il

conseguimento di finalità tecniche piuttosto che verso il soddisfacimento di esigenze sociali » (48). L’ultima frase è particolarmente interessante per noi,

perché pone in rilievo una divergenza di fondo circa gli obiettivi del lavoro sociale, e di conseguenza circa il tipo di effetti validi da misurare.

Il bambino domanda: «Faccio bene, faccio m ale?». Ma coloro cui la domanda è rivolta non sono d’accordo su ciò che possiamo aspettarci dal bambino. Fino a che ci troviamo in circostanze del genere, ossia fino a quando gran parte di quelle che sono le attività del^ lavoro sociale vengono svolte perché nel complesso preferiamo una società in cui queste cose vengono fatte ad una società in cui invece esse siano ignorate, il perse­ guimento dell’efficacia del lavoro sociale diventa simile al tentativo di catturare un grillo in una stanza completamente buia.

Gli obiettivi del lavoro sociale

Sono due gli attuali concetti informatori delle finalità del lavoro sociale negli Stati Uniti. Uno viene di solito definito con l’aggettivo « residuo », l’altro con quello di «istituzionale». Secondo il primo, l’assistenza sociale dovrebbe intervenire là dove le normali strutture dell’offerta — la famiglia e il mercato — si rivelano carenti. Secondo l’altro invece i servizi di assistenza fanno parte delle normali funzioni di una società moderna.

La tendenza attuale è verso il concetto istituzionale, ma la vecchia impo­ stazione non è stata completamente abbandonata, tanto che, in combinazione con quella nuova, porta alla formulazione di tre tipi di obiettivi di lavoro sociale: sostituzione temporanea, prevenzione o eliminazione del problema, interventi palliativi. Da ciascuno di questi obiettivi derivano alcune que­ stioni che si riferiscono agli effetti

Sostituzione temporanea. - Nell’assistenza sociale di oggi Obiettivo

primario è la sostituzione temporanea delle normali strutture che avrebbero dovuto soddisfare un determinato bisogno. Si tratta, m a n ermim, soddisfare prima il bisogno e di ricercarne poi le cause.

Quando ci poniamo una domanda circa gli effetti di un intervento di lavoro sociale avente carattere di sostituzione temporanea, diverse sono i significati che questa domanda può avere: