• Non ci sono risultati.

3. Principali fattispecie di danno non patrimoniale

3.1 Il Mobbing

3.1.2 Mobbing e Straining

Lo straining 121 è un fenomeno dalla valenza psicologica e giuridica derivante da un conflitto organizzativo lavorativo. L’individuazione di tale fenomeno è da attribuire al Professor Herald Ege, psicologo specializzato in ambito lavoristico, il quale, già teorizzatore del fenomeno del Mobbing, è pervenuto ad “identificare dal punto di vista della Psicologia del Lavoro quei conflitti organizzativi non rientranti nel Mobbing ma comunque comprendenti situazioni lavorative stressanti, ingiuste e lesive, quali per esempio la dequalificazione o isolamento professionale, con il termine originale

ed esclusivo di Straining”122. In particolare, lo Straining, è “quella

situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è

caratterizzata anche da una dura costante”123.

La nascita dello straining trae origine dal fatto che tali dinamiche degenerative del rapporto di lavoro, non rientrando nel mobbing, sarebbero rimaste prive di strumenti di tutela da parte dell’ordinamento124.

Lo straining, dunque, è “una condizione psicologica a metà strada tra il mobbing e il semplice stress occupazionale”: uno stress di gran lunga superiore a quello connesso alla natura del lavoro attuato mediante le tipizzazioni giuslavoristiche legate al potere direttivo del datore di lavoro e intenzionalmente volto ad un soggetto “vittima” o a un

121

Dal verbo inglese “to strain”, letteralmente “tendere”, “mettere sotto pressione”, “stringere”.

122 EGE, Oltre il Mobbing, Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto

di lavoro, Milano, 2005, p. 67.

123

EGE, op. cit., pp. 978 ss.

145

gruppo di esse per provocarne un peggioramento delle loro condizioni lavorative125.

Diversamente dal mobbing, nel quale l’azione di molestia deve essere caratterizzata da una serie di condotte ostili continuate nel tempo, “nello straining l’azione vessatoria non è per forza continuativa e la situazione stressante non viene necessariamente ripetuta nel tempo. E’ sufficiente anche una sola azione lesiva purché i suoi effetti siano

duraturi nel tempo”126.

Anche in questo caso, così come si è detto per il mobbing, il rischio di una mancata protezione del lavoratore è stato scongiurato da parte della giurisprudenza nonostante la mancanza di una specifica disciplina normativa. In particolare, il primo riconoscimento giurisprudenziale dello straining si è avuto da parte di una sentenza del Tribunale di Bergamo del 2005127.

Nel caso specifico il Tribunale di Bergamo ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ad una lavoratrice che era stata oggetto di poche azioni ostili distanziate nel tempo le quali, pur non riconducibili al mobbing, integravano certamente altro fenomeno giuridico autonomamente rilevante ai fini risarcitori, ossia lo straining.

Nella prassi, sono stati individuati una serie di elementi più significativi comprovanti il fenomeno in questione quali:

125 EGE, Oltre il Mobbing, Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto

di lavoro, op. cit.,p. 979.

126126

MELE, Lo stress forzato sul lavoro (c.d. straining) produce un danno

risarcibile?, in dir. del lav. giur. com., 2017.

127 Trib. Bergamo 21 aprile 2005, in www.dejure.it: Il caso trattava di un ufficio isolato, collocato in fondo al corridoio, e mentre tutti gli altri uffici erano stati ampliati e modernizzati, quello rimase nelle medesime condizioni. L’ufficio era, inoltre, privo degli strumenti necessari per svolgere l’attività lavorativa. Le condizioni riportate dal ricorrente integravano una chiara violazione dell’art. 2103 cod. civ. (la cui finalità è di salvaguardare i diritti dei lavoratori alla utilizzazione, al perfezionamento e all’accrescimento del relativo corredo di nozioni e capacità).

146

a) il comportamento del datore il quale, pur avendo il lavoratore ricoperto ruoli di responsabilità, non riconosce la professionalità acquisita;

b) il comportamento del datore che svuota il lavoratore dei ruoli professionali precedentemente acquisiti declassandolo a semplice figura operativa;

c) l’assoggettamento del lavoratore ad un progressivo isolamento tramite l’esclusione da nuovi progetti o attività; d) la perdita definitiva da parte del lavoratore di ogni attività o

responsabilità precedentemente ricoperta e il conseguente venir meno della preparazione professionale richiesta;

e) la perdita del rapporto diretto con i propri responsabili128. Sussistendo tali parametri, si concretizzano tutti i requisiti necessari ad integrare la fattispecie del c.d. straining. La condotta è oggettivamente idonea a determinare i tipici fattori patogeni di stress, essendo essa posta in essere dai vertici aziendali con scopo intenzionale e preciso di una progressiva emarginazione del lavoratore.

Una volta accertata la sussistenza del c.d. straining, dovrà essere riconosciuto alla lavoratore vessato il risarcimento dei danni subiti a causa di tali eventi lesivi. Anche per lo straining, come accade per il mobbing, il danno che ne deriva può essere sia di natura patrimoniale che non patrimoniale.

Il tipico danno di natura patrimoniale derivante dallo straining è la lesione del bene concreto della professionalità del lavoratore che

128

Tali atteggiamenti comporteranno inevitabilmente:

- l’umiliazione del lavoratore nel vedere lo sgretolamento progressivo della propria carriera professionale mediante l’esclusione dalle operazioni di responsabilità;

- le sopravvenute difficoltà nell’espletamento del marginale compito affidato al lavoratore stressato a causa dell’atteggiamento del datore di lavoro; - la condizione di isolamento del lavoratore, resa evidente dalla sistematica

147

“può verificarsi in diversa guisa, potendo consistere sia nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chances, ossia di ulteriori

possibilità di guadagno”129.

La normativa di riferimento, secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, è l’art. 2103 cod. civ. diretto a “salvaguardare il diritto del lavoratore all’utilizzazione, al perfezionamento ed all’accrescimento del proprio corredo di nozioni di esperienza e di perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto ed a impedire, conseguentemente, che le nuove mansioni determinino una perdita delle potenzialità professionali acquisite o affinate sino a quel

momento”130. Il lavoratore è tenuto a dare prova, anche in via

presuntiva, del danno subito. In particolare, per dedurre l’esistenza di un danno professionale è necessario far riferimento al tipo di professionalità colpita, al vissuto lavorativo, alla qualità professionale, alla non breve durata della dequalificazione subita e del successivo periodo di inattività lavorativa.

Quanto, invece, alla liquidazione del danno alla professionalità non può ovviamente che avvenire mediante la valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. In ordine al quantum debeatur, normalmente si impone la liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., tenendo in considerazione la vastità, la gravità e la persistenza degli effetti pregiudizievoli causati al lavoratore.

Oltre al risarcimento del danno patrimoniale, come abbiamo avuto modo di dire in precedenza, deve essere altresì riconosciuto al lavoratore il risarcimento del danno non patrimoniale.

129

Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, in Danno e resp., 2006, p. 852. 130 Cass. civ., sez. lav., 31 maggio 2010, n. 13821, in GDir, 2010, 29, 63.

148

Il fondamento normativo è dato dall’art. 2059 cod. civ. il quale sancisce esplicitamente la risarcibilità del danno non patrimoniale “nei casi determinati dalla legge” in particolare, del danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (ex art. 32 Cost.), alla reputazione, all’immagine e alla dignità (preservata dagli artt. 2 e 3 Cost.).

Scontata la risarcibilità nell’ambito del danno non patrimoniale dei pregiudizi subiti in virtù dell’esplicito riconoscimento normativo del diritto alla salute, le note sentenze delle Sezioni Unite131 del 2008 hanno precisato che “nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale”, oltre al danno quale “sofferenza soggettiva cagionata da reato”, sono ricomprese anche quelle sofferenze derivanti dalla necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli precedenti, sempre che sussista il pregiudizio a diritti inviolabili della persona.

Sulla prova del danno, le quattro sentenze delle Sezioni Unite hanno, altresì, temperato l’onere a carico del lavoratore, precisando che in tal caso il danneggiato può utilizzare ogni mezzo di prova, non ultima la prova presuntiva ex art. 2729 cod. civ. che, non deve essere visto come uno strumento marginale e subordinato nella gerarchia delle fonti di prova, ma costituisce un mezzo il cui campo di esplicazione in tema di prova del danno risulta anzi assai ampio.