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OBBLIGHI E RESPONSABILITA' DATORIALI IN MATERIA DI SICUREZZA E DANNO BIOLOGICO SUL LUOGO DI LAVORO

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INDICE

Premessa ……….4

CAPITOLO I: EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO ………10

1. Brevi cenni storici ………..10

1.1 L’origine della disciplina lavoristica ………..10

1.2 Le fasi storiche della normativa in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro ……….12

1.3 Le novità in materia di salute e sicurezza alla luce del nuovo codice civile del 1942 ……….17

1.4 Gli anni ’70 ……….19

1.5 Gli anni ’80 ……….22

1.6 Gli interventi comunitari in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ………..24

2. Fonti del diritto ………28

2.1 Principi costituzionali ……….28

2.2 Disciplina codicistica ………34

2.3 Dalla direttiva 89/391/CEE, passando per il d.lgs. n. 626/1994, fino al Testo Unico per la sicurezza sul lavoro. Il d.lgs. n. 81/2008 ………40

2.4 La contrattazione collettiva e individuale ………47

CAPITOLO II: LA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO E IL RIPARTO DELLE COMPETENZE ………54

1. Misure generali in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro ………54

2. Le figure del datore, del dirigente e del preposto ………..56

2.1 Il datore di lavoro nel settore privato ……….56

2.2 Il datore di lavoro nel settore pubblico ……….62

2.3 Il dirigente ed il preposto ………63

2.4 La delega di funzioni ………67

2.5 Obblighi non delegabili del datore di lavoro ……….71

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2.5.2 Il servizio di prevenzione e protezione. La nomina del

responsabile ………..75

3. Altre figure della sicurezza ……….84

3.1 L’R.L.S.: rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ….84 3.2 il medico competente e la sorveglianza sanitaria …………..89

3.3 il lavoratore ………..94

CAPITOLO III: DANNO PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE ……….100

1. Il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale nel sistema del codice civile ………100

2. Il “nuovo” danno non patrimoniale alla luce degli interventi della Cassazione dal 2003 ad oggi ………116

3. Principali fattispecie di danno non patrimoniale ……….126

3.1 Il Mobbing ………126

3.1.1 La risarcibilità del danno da mobbing ……….134

3.1.2 Mobbing e Straining ………144

3.2 Il danno da demansionamento ………148

(3)
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Premessa

Mediante il presente elaborato mi propongo di analizzare una questione che ha assunto nel nostro Paese sempre maggiore rilevanza a causa della sua complessità: la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Detto fenomeno trova la sua origine storica alla fine del XIX secolo con lo spostamento di una gran massa di individui, dalle campagne alle città, per trovare occupazione nelle fabbriche a seguito di un processo di evoluzione economica ed industriale.

Per affrontare la questione, ho proceduto ad effettuare un excursus storico della disciplina normativa a partire dal Codice Civile del 1865 sino al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, con particolare attenzione al profilo della responsabilità del datore di lavoro.

Il sistema normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro può essere suddiviso in tre fasi storiche: la prima, dal Codice Civile del 1865 al Codice Civile del 1942, facendo particolare attenzione alle vicende modificative dell’art. 2087 cod. civ.1, norma cardine che sancisce l’obbligo dell’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie atte a garantire la salute e la sicurezza dei propri dipendenti, fino alla legislazione degli anni ’50 ; la seconda, dall’introduzione dei due pilastri normativi dell’epoca quali il d.P.R. n. 547 del 1955 (“Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”) e il d.P.R. n. 303 del 1956 (“Norme generali per l’igiene del lavoro”) passando per la legge 20 maggio 1970, n. 300, c.d. “Statuto dei lavoratori”, fino alla direttiva quadro di matrice comunitaria

1 Art 2087 cod. civ.: “Tutela delle condizioni di lavoro.

L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

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5

89/391/CEE recepita, con qualche anno di ritardo, dal d.lgs. n. 626 del 1994; la terza, infine, comprendente la disciplina degli anni ’90 sino al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Successivamente, dopo aver effettuato l’analisi dei principali interventi legislativi in materia, anche di matrice comunitaria, nella seconda parte dell’elaborato, ho provveduto ad esaminare in maniera dettagliata le misure generali in materia prevenzionistica ai sensi dell’art. 15 T.U. del 2008 quali la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza, la programmazione del sistema prevenzionistico, il controllo sanitario dei lavoratori, l’informazione e la formazione adeguata per i lavoratori e i dirigenti. Allo stesso tempo, ho analizzato anche le diverse figure dei responsabili, presenti nell’organizzazione del lavoro, che ricoprono un ruolo fondamentale in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. In particolare, la prima figura che ho esaminato è quella del datore di lavoro e dei relativi obblighi non delegabili quali la valutazione dei rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’art. 28 T.U. e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Le altre figure di rilievo che ho approfondito sono quella del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (R.L.S) e del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (R.L.S.T.) fondamentali per garantire la partecipazione “equilibrata” ed attiva di tutti i lavoratori per una più efficace e consapevole realizzazione della sicurezza sul luogo di lavoro; quella del medico competente al quale il legislatore ha riconosciuto “la funzione di consulente del datore di lavoro, soprattutto per ciò che concerne il processo di valutazione dei rischi, piuttosto che la funzione tecnica del medico che provvede al

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rilascio dei giudizi di idoneità”2 e quella del lavoratore il quale ai sensi

dell’art. 20, co. 1, T.U. deve “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.

Infine, nell’ultima parte dell’elaborato ho trattato il tema, da sempre dibattuto in dottrina e giurisprudenza, sulla non patrimonialità del danno e sul relativo raffronto con il danno patrimoniale nel sistema lavoristico. Con il riconoscimento da parte del legislatore del 1942, all’art. 2059 cod. civ.3, del danno non patrimoniale si è assistito ad una prima apertura a tutela di quegli interessi riguardanti la persona non connotati da rilevanza economica che fino a quel momento erano esclusi. Inizialmente la giurisprudenza ricomprendeva all’interno del danno non patrimoniale solamente il danno morale, inteso come sofferenza psichica transitoria conseguente al pregiudizio subito dal lavoratore. A metà degli anni ’70, accanto al danno morale puro, la giurisprudenza riconosceva un nuovo tipo di danno: il c.d. danno biologico4, espressione utilizzata inizialmente per individuare un tertium genus di danno, differente dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale. Infine negli anni ’90 la giurisprudenza riconobbe per la prima volta del c.d. danno esistenziale inteso come la lesione di “attività realizzatrici della persona, delle abitudini di vita e

2

Intervento del Dott. Beniamino Deidda, procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze, al 73° Congresso Nazionale SIMLII, Roma, 2010. 3 Art. 2059 cod. civ.: “Danni non patrimoniali.

Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

4 Art. 138, co. 2, d.lgs. n. 209/2005: “Per danno biologico si intende la lesione

temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”.

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7

degli assetti relazionali del danneggiato”5. Sostanzialmente il

riconoscimento di questo nuovo tipo di danno servì a colmare un vuoto legislativo e a ricondurre la risarcibilità dello stesso all’art. 2043 cod. civ.6 Si affermava così la ricomprensione nell’alveo del danno non patrimoniale di tre distinte fattispecie: il danno morale, il danno biologico ed il danno esistenziale.

Il danno non patrimoniale però non ebbe vita facile. Difatti la Cassazione intervenne una prima volta con le c.d. “sentenze gemelle” del 20037, dando un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. e, una seconda volta con le c.d. “sentenze di S. Martino” del 20088. In forza delle prime decisioni, la Corte regolatrice riconobbe un’ampia estensione del danno non patrimoniale, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona e non più come solo danno morale soggettivo. In questo modo garantì la tutela di tutti i diritti che la Costituzione riconosce e garantisce agli individui mediante una tripartizione del danno non patrimoniale (danno morale soggettivo, danno biologico, danno esistenziale).

Successivamente, a causa di un contrasto giurisprudenziale insorto in ordine alla risarcibilità (o meno) in via autonoma del danno, la Cassazione fu chiamata nuovamente ad intervenire, questa volta a Sezioni Unite, con le sentenze di S. Martino del 2008.

Nel 2008 le Sezioni Unite rivoluzionarono l’idea di danno non patrimoniale definendolo come una categoria unitaria e onnicomprensiva, giudicando la tradizionale tripartizione, tra danno morale soggettivo, biologico ed esistenziale, meramente descrittiva.

5

MOSCA, Immissioni intollerabili: la prova del danno esistenziale, in RCP, 2008, 2, 395.

6

Art. 2043 c.c. “Risarcimento per fatto illecito.

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

7

Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, nn. 8827/8828, in Danno e resp., 2003, 819. 8

Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Danno

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La Cassazione precisò inoltre che l’onnicomprensività del danno non patrimoniale non doveva comportare in alcun modo duplicazioni risarcitorie, che si configuravano ogniqualvolta venivano attribuiti nomi diversi a identici pregiudizi.

La questione però rimase comunque aperta tant’è che nella giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite del 2008 si registrò progressivamente un diverso orientamento, soprattutto da parte della terza sezione della Suprema Corte di Cassazione la quale, a partire dalla sentenza n. 1361 del 20149, dopo aver affermato che la categoria del danno non patrimoniale è articolata nelle voci di danno biologico, morale ed esistenziale, precisò che tutte le voci di danno sono suscettibili di liquidazione a condizione che venga evitata una duplicazione. In questo modo si ribadì l’autonomia del danno morale soggettivo ed esistenziale rispetto al danno biologico, in ragione dell’assunto che “salute, dolore, qualità della vita sono beni diversi e

come tali esigono un risarcimento distinto”10.

Infine, sempre in riferimento alla non patrimonialità del danno, ho trattato alcune tra le molteplici fattispecie di danno non patrimoniale in ambito lavoristico. In primo luogo ho esaminato il c.d. mobbing, definito dalla Cassazione, in assenza di una specifica definizione normativa, come “quella condotta datoriale, sistematica e protratta nel tempo, tenuto nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il

cosiddetto terrorismo psicologico”11. In secondo luogo, ho affrontato

la questione del danno da demansionamento inteso come l’evento lesivo alla professionalità del lavoratore che deriva dall’inadempimento del datore di lavoro consistente nella violazione

9 Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361, in Danno e resp., 2014, 363 ss. 10

PONZANELLI, Danno non patrimoniale: l’abbandono delle Sezioni Unite di San

Martino, in Danno e resp., 4, 453.

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9

dell’art. 2103 cod. civ., il quale obbliga il datore ad adibire il lavoratore alle mansioni di assunzione o a quelle corrispondenti alla categoria superiore acquisita successivamente.

Concludendo, l’obiettivo principale di questa tesi è quello di porre l’attenzione, mediante un’analisi il più possibile precisa e puntuale della disciplina, sull’adeguatezza del sistema prevenzionistico nel nostro Paese.

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10 CAPITOLO I

EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO

SOMMARIO: 1. Brevi cenni storici – 1.1 L’origine della disciplina

lavoristica – 1.2 Le fasi storiche della normativa in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro – 1.3 Le novità in materia di salute e sicurezza alla luce del nuovo codice civile del 1942 – 1.4 Gli anni ’70 –

1.5 Gli anni ’80 – 1.6 Gli interventi comunitari in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro – 2. Fonti del diritto – 2.1 Principi

costituzionali – 2.2 Disciplina codicistica – 2.3 Dalla direttiva 89/391/CEE, passando per il d.lgs. n. 626/1994, fino al Testo Unico per

la sicurezza sul lavoro. Il d.lgs. 81/2008 – 2.4 La contrattazione collettiva e individuale

1. Brevi cenni storici

1.1 L’origine della disciplina lavoristica

Nel nostro Pese l’esigenza di disciplinare la materia di sicurezza sul luogo di lavoro ha avuto origine alla fine del XIX secolo, in risposta ad una situazione di forte crisi socio-economica, la c.d. “questione

sociale”1, derivante dalle conseguenze sociali dell’industrializzazione e

della formazione di una classe operaia mal retribuita e priva di qualsiasi tutela.

1

Termine coniato dai filosofi dell’epoca in conseguenza a un dibattito sulle condizioni di lavoro degli operai e sulla equa distribuzione della ricchezza tra i cittadini.

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Lo sviluppo del settore delle industrie favorì il trasferimento di una gran massa di persone, dalle campagne alle città, per lavorare nelle fabbriche. Ben presto, a causa dell’insalubrità degli ambienti, alle condizioni disumane di lavoro e all’utilizzo sempre più diffuso di macchinari e attrezzature obsolete e prive di misure di sicurezza, i lavoratori cominciarono ad organizzarsi nelle prime forme embrionali di associazioni sindacali.

Organismi di natura privatistica ispirati ad una giustizia sociale destinata a rappresentare i lavoratori e a tutelare i loro interessi, sia collettivi che individuali.

Le prime associazioni formate da lavoratori e da contadini furono le Società di Mutuo Soccorso2. Nacquero per far fronte ai bisogni di assistenza e previdenza conseguenti allo sviluppo del nuovo contesto sociale, poiché non esisteva alcun servizio sanitario nazionale e nessun sistema pensionistico.

Con il versamento di una piccola quota mensile garantivano sussidi in caso di malattia, invalidità o morte dei consociati.

Negli ultimi decenni del XIX secolo cominciarono a formarsi le prime strutture sindacali, le cc.dd. “leghe di resistenza”, espressione dei soli lavoratori.

La principale novità introdotta da questi nuovi sistemi associativi fu lo strumento dello sciopero, ovvero l’astensione dall’attività lavorativa per rivendicare i propri diritti in relazione alle paghe eccessivamente basse, agli orari di lavoro disumani e agli incidenti mortali sempre più dilaganti.

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Risultò così necessario un intervento del legislatore per l’adozione dei primi provvedimenti normativi di prevenzione degli infortuni3 e delle malattie professionali4, soprattutto in alcuni settori più a rischio. Il legislatore introdusse una legislazione sociale specifica per i rapporti di lavoro subordinato, poiché per loro stessa natura erano soggetti a frequenti abusi da parte dei datori di lavoro; l’intervento era atto a temperare gli effetti di quel dominio sul lavoro altrui5.

1.2 Le fasi storiche della normativa in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro

Il quadro normativo in materia lavoristica può essere suddiviso in tre fasi storiche:

- la prima, dal codice civile del 1865 alla legislazione degli anni ‘50;

- la seconda, dalle norme emanate dagli anni ‘50 fino agli anni ‘80, comprendente lo Statuto dei lavoratori del 19706;

- la terza, dalle norme introdotte dagli anni ‘90 ad oggi.

Il codice civile del 1865 rappresentava la prima disciplina organica ed unitaria del rapporto di lavoro. Il legislatore non introdusse una definizione di contratto di lavoro, bensì l’art. 15707 cod. civ. nel quale,

3 Art. 2, co. 1, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124: “Si considera infortunio, ai fini della

tutela assicurativa obbligatoria, ogni evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni”.

4

Art. 3, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124: “Si considera malattia professionale quella

contratta nell'esercizio e a causa della lavorazione alla quale il lavoratore è adibito”.

5 BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano, 1915, p. 617. 6

V. Legge 20 maggio 1970, n. 300. 7

Art. 1570 cod. civ. del 1865 “La locazione delle opere è un contratto per cui una

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sebbene si riferisse alla “locazione delle opere”, si faceva rientrare sia il lavoro subordinato, sia il lavoro autonomo.

Nel codice civile del 1865, diversamente dal passato, la subordinazione derivava da un atto di volontà delle parti, avendo base contrattuale ed essendo uno stato liberamente voluto dal lavoratore stesso. Il rapporto di subordinazione non doveva più essere letto in senso letterale, come avveniva in passato nelle antiche opere servili, ma gli si doveva attribuire un significato più moderno e perfettamente compatibile con umana libertà e dignità del lavoratore8.

In realtà, il codice civile non fu un mezzo sufficiente a fronteggiare il dilagare degli incidenti e delle morti sul lavoro, poiché mancavano delle previsioni espresse che imponessero degli strumenti a tutela dei lavoratori.

L’organizzazione aziendale rimaneva di esclusiva competenza del datore di lavoro e non era ammissibile alcun intervento da parte dello Stato. Il sistema che veniva così a delinearsi era sostanzialmente privo di mezzi idonei volti a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori.

L’art. 1124 cod. civ. del 1865 si limitava soltanto a disporre che: “i contratti debbono essere eseguiti di bona fede, ed obbligano non solo a quanto è nei medesimi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l’equità, l’uso o la legge ne derivano”.

Attraverso un interpretazione estensiva dell’art. 1124 cod. civ. la dottrina affermava che il datore di lavoro era obbligato a “fornire un

ambiente sano di lavoro e buoni istromenti di lavoro”9.

Il codice civile del 1865 prevedeva, inoltre, una limitata tutela in materia di infortuni sul lavoro. L’art. 1151 cod. civ.10 riconosceva

8

BARASSI, op. cit., p. 622. 9 BARASSI, op. cit., p. 556.

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infatti la responsabilità del datore per eventuali infortuni occorsi ai propri dipendenti. Si trattava di una responsabilità per colpa e l’onere della prova incombeva sul lavoratore sul quale gravava anche l’onere di provare in giudizio il rapporto di causalità fra il comportamento colposo del datore e l’evento infortunio.

In base all’art. 1151 cod. civ. il datore di lavoro non era quindi in alcun modo responsabile per gli infortuni imputabili a colpa del lavoratore. Sostanzialmente, la risarcibilità del danno nel Codice Civile del 1865 era subordinata alla dimostrazione della colpa del datore di lavoro ai sensi dell’art. 1151 cod. civ.

Nel trentennio successivo all’entrata in vigore del Codice Civile del 1865, la situazione rimase pressoché identica fino all’emanazione della legge 17 marzo 1898, n. 80.

Tale provvedimento legislativo ebbe infatti il merito di introdurre, per la prima volta nel sistema legislativo italiano, l’obbligatorietà dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, seppur limitata ad alcuni settori produttivi (il tessile, chimico e metalmeccanico).

L’aspetto più importante di questa riforma legislativa era da ricondurre alla prevalenza della logica della “riparazione del danno” in termini economici a favore del lavoratore che fosse rimasto vittima di un infortunio, estendendo la copertura assicurativa agli infortuni imputabili anche a colpa del lavoratore e ponendo a carico dell’imprenditore l’obbligo di dimostrare la propria estraneità dall’evento, invertendo così l’onere della prova.

In particolare con la legge n. 80 del 1898, con la quale veniva introdotto l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, venne istituito un sistema assicurativo basato sul principio del c.d. rischio professionale in forza del quale l’imputazione della

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Art. 1151 cod. civ. del 1865 “Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri,

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responsabilità civile in materia di infortuni sul lavoro non veniva più realizzata secondo gli ordinari criteri civilistici della colpa o del dolo bensì sul criterio dell’accollo di tale responsabilità in capo al soggetto (datore di lavoro) che traeva i massimi vantaggi dallo svolgimento dell’attività lavorativa.

La teoria del rischio professionale si affermava come prospettiva di una revisione radicale del principio di imputazione dell’obbligo risarcitorio in relazione ai nuovi rischi.

Il T.U. muoveva infatti dal presupposto che il verificarsi degli infortuni sul lavoro non era che una conseguenza naturale e diretta industriale. Il verificarsi dell’infortunio, a causa degli inadeguati sistemi di sicurezza, non poteva essere ricondotto ad un fortuitus casus, ma risultava essere una certezza. Era l’industria stessa a racchiudere in sé, indipendentemente che fossero adottate tutte le misure di prevenzione, il pericolo del verificarsi di infortuni sul lavoro.

In ragione di tale circostanza, il T.U. poneva a fondamento della tutela contro gli infortuni sul lavoro il principio del c.d. rischio professionale in forza del quale il datore di lavoro, per il solo fatto di gestire l’attività produttiva, era responsabile dei danni subiti dal lavoratore a causa dell’infortunio sul lavoro anche se derivanti da caso fortuito o da colpa lieve del lavoratore.

L’introduzione di un sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro basato sul principio del c.d. rischio professionale si sarebbe però rivelato sostanzialmente inutile e inidoneo ad offrire una effettiva tutela ristoratrice a favore del lavoratore laddove la riparazione del danno non fosse stato assicurato da un sistema di assicurazione obbligatoria e nemmeno unicamente dalla capienza (o meno) della garanzia patrimoniale generica posseduta dal datore di lavo.

Per questo motivo, il T.U. del 1904 ebbe ad istituire l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro affidandone la gestione ad

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appositi Enti (Cassa Nazionale Infortuni e Casse private di assicurazione) presso i quali i datori di lavoro avevano l’obbligo di assicurarsi e di versare i relativi premi assicurativi calibrati in funzione dell’intensità del rischio a cui era esposto il lavoratore sancendo così che i lavoratori “non devono essere costretti a subire i costi dello sviluppo industriale sacrificando la propria vita o la loro salute, ma deve essere l’industria stessa a sopportare il costo degli infortuni, assumendolo come un rischio aggiuntivo delle operazioni

economiche”11.

Pertanto, il datore di lavoro assicurandosi contro il rischio infortuni poteva liberarsi dalla responsabilità per i danni subiti dai lavoratori a causa dell’infortunio sul lavoro.

L’assicurazione contro gli infortuni venne così a costituire un mezzo idoneo per dare, da un lato, una maggiore garanzia al lavoratore in relazione al pagamento dell’indennità in caso di infortunio e, dall’altro, per redistribuire tra gli imprenditori gli oneri economici e il costo degli infortuni.

Una decisa svolta nella gestione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, vene attuata dalla legge 22 giugno 1933, n. 860 con la quale venne istituito l’Istituto Nazionale contro gli Infortuni sul Lavoro, ribattezzato I.N.A.I.L. nei decenni successivi, nel quale vennero ricompresi la Cassa Nazionale Infortuni e le Casse private di assicurazione.

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1.3 Le novità in materia di salute e sicurezza alla luce del nuovo codice civile del 1942

La disciplina lavoristica a tutela della sicurezza sul lavoro venne a trovare un deciso incremento nel c.d. regime corporativo e, in particolare, con l’adozione del nuovo codice civile del 1942 all’art. 2087 cod. civ., rubricato “Tutela delle condizioni di lavoro”.

Con tale norma venne infatti posto a carico dell’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisica dei lavoratori mediante l’adozione e il mantenimento di efficaci sistemi di sicurezza basati sull’esperienza e sulla tecnica propri dell’attività svolta.

La vera svolta nella tutela della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro si è però avuta con la promulgazione della Carta Costituzionale del 1947, con la quale il diritto alla salute venne riconosciuto (art. 32 Cost.) come un diritto indisponibile appartenente ad ogni cittadino e, al contempo, venne riconosciuto anche l’interesse dell’intera collettività alla preservazione delle condizioni di salute nell’ambito del rapporto di lavoro in ragione dei notevoli costi sociali derivanti dagli infortuni sul lavoro e dalle malattie professionali.

Un ulteriore passo in avanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro è stato fatto negli anni ’50, attraverso l’emanazione di disposizioni più specifiche e tecniche, rese necessarie dall’aumento di infortuni e malattie professionali causati dalla grande crescita economica dell’epoca.

Nel nostro paese, fino alla fine degli anni ’80, la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro era infatti assicurata attraverso le previsioni antinfortunistiche contenute in una serie di Decreti del Presidente della Repubblica12 i quali erano “contraddistinti da una

12

V. d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (norme per la prevenzione degli infortuni sul

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preponderanza di disposizioni eccessivamente dettagliate” le quali, però, avevano “progressivamente rivelato la propria rigidità rispetto alla complessità del fenomeno che pretendevano di governare e la propria obsolescenza rispetto ai profondi mutamenti dei processi produttivi e dei modelli organizzativi delle imprese, considerata l’emersione dei nuovi fattori di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori”13.

I due pilastri normativi in materia erano:

- il d.P.R. n. 547 del 1955: conteneva disposizioni generali e specifiche per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in relazione ai locali, alle vie di accesso e di passaggio; ai meccanismi di protezione delle macchine per il trasporto e il sollevamento; obblighi su impianti, manutenzioni periodiche e dispositivi di protezione; infine, gli obblighi dei datori e dei lavoratori, adempimenti ed eventuali sanzioni14.

- il d.P.R. n. 303 del 1956: interveniva in materia di igiene e delle condizioni dei luoghi di lavoro, in relazione a rumori, vibrazioni, polveri e altri agenti fisici; protezioni obbligatorie

lavoro integrative di quelle emanate con d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547); il d.P.R. 19

marzo 1956, n. 303 (norme generali per l’igiene del lavoro); il d.P.R. 20 marzo 1956, n. 320 (norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo); il d.P.R. 20 marzo 1956, n. 321 (norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene

del lavoro nei cassoni ad aria compressa); d.P.R. 20 marzo 1956, n. 323 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro negli impianti telefonici); il d.P.R. 7 gennaio

1956, n. 165 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni). 13

ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, Milano, 2008, p. 87.

14

L’art. 403, d.P.R. n. 547 del 1955 introdusse anche l’obbligo per il datore di lavoro di detenere il registro degli infortuni sul lavoro: “Le aziende soggette al presente

decreto devono tenere un registro, nel quale siano annotati cronologicamente tutti gli infortuni occorsi ai lavoratori dipendenti, che comportino un'assenza dal lavoro superiore ai tre giorni compreso quello dell'evento. Su detto registro, che deve essere conforme al modello stabilito con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, devono essere indicati, oltre al nome, cognome e qualifica professionale dell'infortunato, la causa e le circostanze dell'infortunio, nonché la data di abbandono e di ripresa del lavoro. Il registro infortuni deve essere tenuto a disposizione degli ispettori del lavoro sul luogo di lavoro”.

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durante l’utilizzo di sostanze tossiche e nocive; servizi sanitari e igienico-sanitari.

L’aspetto che più rilevava di questa nuova legislazione risiedeva nell’importanza attribuita al sistema di controllo e sicurezza durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e alla corretta applicazione della normativa stessa.

1.4 Gli anni ‘70

Attorno agli anni ‘70 si sviluppò una consapevolezza diversa e la necessità sempre maggiore di tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. E’ chiaro come la particolare posizione di debolezza contrattuale del lavoratore nei confronti del datore rischiasse di esporre lo stesso a condizioni di lavoro particolarmente pericolose. Da qui l’esigenza di intervenire a tutela della posizione del lavoratore anche sul piano collettivo, attraverso l’emanazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, il cd. “Statuto dei lavoratori”.

L’art. 9 dello Statuto dei lavoratori, rubricato “Tutela della salute e dell’integrità fisica”, riconobbe ai lavoratori il diritto, attraverso i loro rappresentanti, “di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.

Veniva così ad aprirsi una duplice possibilità: ai lavoratori, attraverso i loro rappresentanti, fu riconosciuta la possibilità di intervenire attivamente sull’organizzazione del lavoro15, da un lato, attraverso un

15

BIANCHI D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, p. 190.

(20)

20

diritto di controllo ad “ampio raggio”16, dall’altro, attraverso la promozione di attività di ricerca, di elaborazione e attuazione di misure a tutela della salute e integrità psicofisica dei lavoratori17. L’art. 9 Stat. lav. permise così di abbandonare la mera dimensione risarcitoria in favore della tutela “reale” delle condizioni di lavoro. L’introduzione dello Statuto dei lavoratori fu determinato dagli eventi sviluppatisi nell’autunno caldo del 1969 e ancor prima dai movimenti di massa eterogenei del 1968, che rivoluzionarono molteplici settori, tra questi la classe dei lavoratori.

Uno degli autori del testo normativo, poi definito il “padre dello statuto”, Gino Giugni, lo definì ''il frutto di una felice congiunzione tra la cultura giuridica e il movimento di massa''. In questo modo anche la Costituzione cominciò a varcare i cancelli delle fabbriche.

Il riferimento alle “rappresentanze” di cui all’art. 9 stat. lav. è stato oggetto di dibattiti a livello dottrinale a seguito dell’introduzione del d.lgs. n. 626 del 1994 e successivamente con il d.lgs. n. 81 del 2008. In proposito, parte della dottrina, ha sostenuto il superamento della disciplina statutaria18 per ragioni teoriche e pratiche.

In particolar modo il disegno di prevenzione partecipata delineato dal legislatore del 1994 “mal si concilia con la dimensione conflittuale evocata dallo Statuto e con il carattere privatistico e volontaristico

della rappresentanza ivi prevista”19.

16

AMOROSO, Art. 9. Tutela della salute e dell’integrità fisica, in Il diritto del lavoro.

Lo Statuto dei lavoratori e la disciplina dei licenziamenti, vol. II, Milano, 2006, p. 359.

17

ORCIANI, Rappresentanza e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di

lavoro, Napoli, 2014, p. 15.

18

PROIA, Consultazione e partecipazione dei lavoratori, in Montruschi (a cura di),

Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, p. 200; NATULLO, Rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali in azienda, in Arg. dir. lav.,

1997, p. 209; ZOLI, Sicurezza del lavoro: contrattazione e partecipazione, in Mass.

giur. Riv. giur. lav., 2000, p. 622.

(21)

21

Tale tesi ha trovato ulteriore avvallo nel d.lgs. n. 81 del 2008 e, segnatamente, in forza del meccanismo della c.d. “abrogazione espressa innominata di cui al suo art. 304, co. 1, lett. d), in base al quale è abrogata ogni altra disposizione legislativa e regolamentare nella materia disciplinata da tale decreto che risulti incompatibile con lo stesso”20.

L’abrogazione dell’art. 9 Stat. lav. è sostenuta anche da coloro i quali rilevano la natura auto-conclusa ed esaustiva della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 626 del 1994, la quale non consentirebbe la sopravvivenza “della stringente regolamentazione di cui all’art. 9 Stat. lav. che, dunque, verrebbe assorbita dalla legge più recente e più dettagliata”21.

La dottrina però non segue un orientamento unitario e, parte di essa, sembra orientato a sostenere la tesi del c.d. assorbimento e potenziamento dell’art. 9 Stat. lav., appellandosi al principio di non regresso, piuttosto che l’ipotesi di abrogazione22. Ciò in ragione dell’assenza nella normativa comunitaria di un potere di controllo analogo a quello previsto dall’art. 9 Stat. lav., tale da configurare una situazione di maggiore protezione rispetto ai requisiti minimi indicati nella normativa comunitaria23.

Sempre in relazione all’interesse del legislatore alla tutela della salute, in primis dei cittadini e di conseguenza dei lavoratori, con la legge 23

20

PASCUCCI, La nuova disciplina della sicurezza sul lavoro del 200/2009: una

rapsodia fra novità e conferme, in I Working Papers di Olympus, 2001, 1, p. 26 Contra BONARDI, La filosofia e le linee generali del nuovo testo unico sulla sicurezza,

in Note inf., 2008, 42, p. 13. 21

PROIA, op. cit., p. 201; NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, p. 257.

22 ALES, L’art. 9 Statuto dei lavoratori alla luce della legislazione più recente in

materia di salute e sicurezza: partecipazione o controllo?, in Riv. it. dir. lav., 1, 2011,

p. 67.

(22)

22

dicembre 1978, n. 833, si riformò la sanità italiana, istituendo il Sistema Sanitario Nazionale24 (SSN).

Il Servizio Sanitario Nazionale pubblico si basa sull’universalità dell’assistenza sanitaria e sull’equità di accesso alle prestazioni. Nel settore lavoristico gli obiettivi principali della norma erano riferibili alla prevenzione delle malattie e degli infortuni attraverso la “promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di lavoro”. Inoltre, la stessa norma ricomprende nelle competenze specifiche del Servizio Sanitario Nazionale anche “la sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro gli strumenti ed i servizi necessari”.

1.5 Gli anni ‘80

Negli anni ’80 la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro suscitò particolare interesse anche a livello comunitario; tant’è che gli obblighi e le prescrizioni introdotte dal legislatore italiano in quegli anni derivarono dal recepimento di direttive di matrice comunitaria. L’obiettivo primario del legislatore comunitario era uniformare la disciplina in tutti gli Stati membri.

24 Art. 1 legge 23 dicembre 1977, n. 833 “il Servizio Sanitario Nazionale è costituito

dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini. Nel servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività”.

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23

Le Direttive analizzavano i singoli rischi e le relative misure di sicurezza obbligatorie per tutti i soggetti coinvolti nel processo di sicurezza.

Il legislatore comunitario intervenne in maniera rilevante già nel 1982, attraverso la Direttiva 82/501/CEE, nota come “Direttiva Seveso”, all’indomani della sciagura avvenuta nel 1976 presso l’impianto dell’ICMESA nella città di Meda, al confine con il comune di Seveso nell’hinterland milanese.

L’incidente causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube contenente diossina, una sostanza chimica tra le più tossiche. Ebbe una forte risonanza pubblica e a livello europeo segnò il momento in cui fu introdotta, per la prima volta, una disciplina specifica sui rischi industriali. La ratio della direttiva risiedeva nel fatto che i gestori, nonché i proprietari di impianti al cui interno fossero contenute sostanze pericolose in quantità tali da poter dar luogo a incidenti, fossero tenuti ad adottare tutte le misure necessarie al fine di prevenire il verificarsi di incidenti. Tale prevenzione doveva attuarsi tramite la progettazione, il controllo e la manutenzione degli impianti rispettando gli standards di sicurezza fissati dalla norma stessa25. In Italia la “Direttiva Seveso” non fu recepita nell’immediatezza, ma soltanto nel 1988 con il d.P.R. 17 maggio 1988, n. 17526.

L’intervento del legislatore comunitario è poi proseguito attraverso l’emanazione di una serie di direttive27, poi recepite dal nostro

25

POSTIGLIONE-MAGLIA, Il punto sulla “Direttiva Seveso”, in www.tuttoambiente.it 26

La Dir. 82/501/CEE, successivamente modificata dalle direttive 87/216/CEE e 88/610/CEE. Il tardivo recepimento da parte dell’Italia ha fatto sì che attraverso il d.P.R. 17 maggio 1988, n. 175, si recepisse anche la Dir. 87/216/CEE.

27 V. D.lgs. n. 277 del 1991 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, in attuazione delle dir. 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE e 88/642/CEE; legge n. 257 del 1992 rubricata “Norme relative alla cessazione dell’impiego di amianto”, in attuazione della dir. 91/382/CEE.

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24

ordinamento, senza però giungere ad un complesso dispositivo unitario.

1.6 Gli interventi comunitari degli anni ’80 in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro

Una tappa fondamentale nel miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro risultò la Direttiva quadro 89/391/CEE. Essa ha garantito prescrizioni minime in materia in tutti i paesi europei, sebbene gli Stati membri fossero autorizzati a mantenere e stabilire misure più severe.

Alcune disposizioni della direttiva risultarono essere particolarmente innovative per quegli anni, introducendo nuovi obblighi sia a carico del datore, che del lavoratore.

Secondo quanto previsto dalla direttiva, il datore di lavoro aveva degli obblighi ben precisi:

- effettuare una valutazione periodica dei rischi e a tenerne conto anche all’atto di acquisto degli impianti e nell’allestimento degli spazi di lavoro;

- garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, senza oneri finanziari a loro carico;

- organizzare gli opportuni servizi di protezione e di prevenzione;

- garantire formazione e informazione ad ogni lavoratore in merito a sicurezza e salute durante l’attività lavorativa.

In merito agli obblighi dei lavoratori all’art. 11 Dir. 89/391/CEE28 si faceva specifico riferimento alla cd. “partecipazione equilibrata”, con

28

Art. 11 Dir. 89/391/CEE, “Consultazione e partecipazione dei lavoratori” “I datori di lavoro consultano i lavoratori e/o i loro rappresentanti e permettono la

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25

la quale si riteneva indispensabile che i lavoratori fossero in grado di contribuire, anche attraverso specifiche forme di rappresentanza (il c.d. r.l.s.), all’adozione delle misure di sicurezza necessarie.

La partecipazione dei lavoratori costituiva una parte importante della gestione della salute e sicurezza, essendo essi in possesso dell’esperienza e della conoscenza riguardante le modalità di svolgimento del lavoro e delle possibili conseguenze. Pertanto risultava necessario che i dirigenti e i lavoratori collaborassero strettamente per trovare soluzioni congiunte a problemi comuni, anche durante i processi decisionali.

riguardano la sicurezza e la protezione della salute durante il lavoro. Ciò comporta:

- la consultazione dei lavoratori;

- il diritto dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti di fare proposte;

- la partecipazione equilibrata conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. Il lavoratori o i rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori partecipano in modo equilibrato, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, o sono consultati preventivamente e tempestivamente dal datore di lavoro: a) su qualunque azione che possa avere effetti rilevanti sulla sicurezza e sulla salute; b) sulla designazione dei lavoratori;

c) sulle informazioni;

d) sull'eventuale ricorso a competenze (persone o servizi) esterne all'impresa e/o allo stabilimento;

e) sulla concezione e organizzazione della formazione.

I rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori hanno il diritto di chiedere al datore di lavoro di prendere misure adeguate e di presentargli proposte in tal senso, per ridurre qualsiasi rischio per i lavoratori e/o eliminare le cause di pericolo. I lavoratori di cui al paragrafo 2 ed i rappresentanti dei lavoratori di cui ai paragrafi 2 e 3 non possono subire pregiudizio a causa delle rispettive attività contemplate ai paragrafi 2 e 3.

Il datore di lavoro è tenuto a concedere ai rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori un sufficiente esonero dal lavoro - senza perdita di retribuzione - ed a mettere a loro disposizione i mezzi necessari per esercitare i diritti e le funzioni derivanti dalla presente direttiva.

I lavoratori e/o i loro rappresentanti hanno il diritto di fare ricorso, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, all'autorità competente in materia di sicurezza e di protezione della salute durante il lavoro, qualora ritengano che le misure prese ed i mezzi impiegati dal datore di lavoro non siano sufficienti per garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

I rappresentanti dei lavoratori devono avere la possibilità di presentare le proprie osservazioni in occasione delle visite e verifiche effettuate dall'autorità competente”.

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26

La partecipazione dei lavoratori alla fase di pianificazione permise l’elaborazione di misure più realistiche ed efficaci in materia di protezione e sicurezza. Essi potevano individuare con maggiore facilità i problemi e le loro causa, indicando soluzioni pratiche al fine di sviluppare e migliorare un sistema prevenzionistico idoneo.

L’impatto che ebbe la direttiva quadro nei rispettivi stati membri non fu il medesimo; in alcuni Stati la direttiva ebbe importanti conseguenze a livello giuridico, a causa dell’inadeguatezza della legislazione nazionale, mentre in altri non fu necessario introdurre grandi adeguamenti.

Il recepimento nell’ordinamento italiano avvenne con notevole ritardo tramite il d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626. La nuova disciplina, anziché basarsi sull’analisi dell’agente specifico di rischio idoneo a provocare l’infortunio o la malattia professionale, era diretto ad assicurare una complessa analisi aziendale e di tutti i fattori di rischio presenti.

Il d.lgs. n. 626 del 1994 permise così il superamento dell’impostazione precedente riguardante la riparazione del danno ex legge n. 80 del 1989. Il nuovo modello incentrato sulla nozione di “sicurezza partecipata”, riconosceva al lavoratore il diritto ad avere i mezzi necessari per fronteggiare i rischi e a ricevere una formazione adeguata in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro29.

A tale riguardo risultò di fondamentale importanza il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza30: la figura, eletta o designata, con il

29

AA.VV. La sicurezza nei luoghi di lavoro e jobs act, (a cura di) Bellocchi, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 210 ss.

30 V. Art. 47, D.lgs. n. 81 del 2008: “Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”. “1. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è istituito a livello territoriale o di comparto, aziendale e di sito produttivo.

2. In tutte le aziende, o unità produttive è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

3. Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai

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compito di rappresentare i lavorati in azienda per quanto concerne la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il percorso di ammodernamento della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro è approdato nell’aprile 2008 a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 81/2008 con il quale è stato introdotto il cd. “Testo Unico in materia di sicurezza e salute sul lavoro” al fine di individuare una disciplina più specifica e puntuale.

lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell'ambito territoriale o del comparto produttivo.

4. Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza é eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali in azienda.

In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante é eletto dai lavoratori della azienda al loro interno.

5. Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l'espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva. 6. L'elezione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza aziendali, territoriali o di comparto, salvo diverse determinazioni in sede di contrattazione collettiva, avviene di norma in corrispondenza della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro, individuata, nell'ambito della settimana europea per la salute e sicurezza sul lavoro, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro della salute, sentite le confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Con il medesimo decreto sono disciplinate le modalità di attuazione del presente comma.

7. In ogni caso il numero minimo dei rappresentanti di cui al comma 2 é il seguente: a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 lavoratori; b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori; c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori. In tali aziende il numero dei rappresentanti é aumentato nella misura individuata dagli accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva. 8. Qualora non si proceda alle elezioni previste dai commi 3 e 4, le funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti di cui agli articoli 48 e 49, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

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2. Fonti del diritto

2.1 Principi costituzionali

L’avvento della Costituzione segnò una svolta per il diritto del lavoro poiché nell’originario impianto del Codice Civile del 194231 l’idea di persona era in realtà difficile da rintracciare32.

Il sistema giuridico delineato dal legislatore dell’epoca corporativa non faceva alcun riferimento all’individuo ma alla “massa amorfa degli individui. Non le persone. L’individuo ape-produttore. Non la

persona con i suoi valori”33.

Nell’art. 2 Cost.34, troviamo invece il recepimento del c.d. principio “personalista” in forza del quale l’ordinamento riconosce e garantisce i diritti inviolabili al singolo in quanto individuo e non permette una valutazione puramente economica dell’attività imprenditoriale.

In maniera più chiara, la medesima idea di fondo è ribadita dall’art. 3 Cost 35. E’ la norma che contiene il noto principio di uguaglianza che si sostanzia al primo comma come uguaglianza formale mentre, al comma successivo, come uguaglianza sostanziale. Tale articolo risulta funzionale alla “partecipazione effettiva dei lavoratori al progresso

31 BIANCHI D’URSO, op. cit., p. 5 32

BIGLIAZZI GERI, Persona e lavoro, in Atti del XIII Congresso Nazionale

dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, Padova, 1994, p. 39.

33 BIGLIAZZI GERI, op cit., p. 41. 34

Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia

come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

35 Art. 3 Cost.: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla

legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

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morale e materiale della società, in evidente contrapposizione al ruolo

assegnato, nella stessa norma, alla persona umana”36.

La concretizzazione dell’uguaglianza sostanziale comporta per lo Stato, come disposto dall’art. 3 Cost., il dovere di rimuovere tutti gli ostacoli economici e sociali che impediscano il pieno sviluppo della persona umana.

Gli artt. 2 e 3 Cost. in combinato disposto con l’art. 32 Cost.37 permettono di cogliere il reale significato del concetto di “salute” il quale “non è da considerarsi come un valore a se stante”38 ma riconducibile ad altri valori fondamentali quali: libertà ed uguaglianza. L’art. 32 Cost. , insieme agli artt. 3839 e 4140 Cost., rientrano nell’alveo dei diritti sociali che legittimano il cittadino a pretendere una serie d’interventi minimi a difesa del bene-salute, riconosciuti allo stesso come componente di un gruppo sociale.

L’art. 32 Cost. è una norma che ha sul piano della rilevanza giuridica una doppia connotazione in quanto è al contempo una norma programmatica (nel senso che il legislatore deve promuovere, oltre che la ricerca e sperimentazione, anche l’aspetto

36

MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2016, p. 11 ss.

37

Il primo comma dello stesso articolo dispone che “La Repubblica tutela la salute

come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

38

ALBI, op. cit., p. 46 39

Art. 38 Cost.: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per

vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L'assistenza privata è libera”.

40

Art. 41 Cost.: “L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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30

organizzativo mediante idonee iniziative volte all’attuazione di un sistema di tutela adeguata alle esigenze di crescita della società), e una norma precettiva (poiché attribuisce al singolo cittadino un vero e proprio diritto soggettivo alla salute sia nei confronti dello Stato che nell’ambito dei rapporti interpersonali).

A difesa del bene-salute del cittadino, vi è l’obbligo per lo Stato di predisporre, tramite un’organizzazione sanitaria idonea, le prestazioni necessarie per realizzarne il godimento effettivo e globale41.

Il diritto alla salute ha una duplice funzione:

- la tutela dell’integrità fisica e psichica dell’individuo che può essere fatta valere dallo stesso nei confronti dello Stato, dei privati e dei datori di lavoro;

- la tutela di un interesse collettivo della società a non subire conseguenze negative da situazioni igienico-sanitarie che potrebbero compromettere la salute pubblica attraverso la diffusione di malattie.

La tutela al diritto alla salute può avvenire mediante la fruizione di trattamenti medici di prevenzione e cura, ma anche migliorando la qualità della vita, rimuovendo tutti quegli elementi nocivi ambientali o causati da terzi.

Il rapporto tra salute e integrità psico-fisica è di genus e species, poiché il concetto di salute esprime un “valore ampio e dinamico

strettamente dipendente dal suo rapporto con l’ambiente”42, mentre

l’integrità psico-fisica è “un valore statico da proteggere e da

salvaguardare”43.

41 Possiamo però aggiungere che, la liberazione della persona, che passa attraverso l’assicurazione dei diritti sociali, non può prescindere dall’autodeterminazione dell’individuo che di questi diritti è concretamente portatore; è chiaro che all’interno dei diritti sociali ci sia sempre una quota di “libertà”: la libertà del malato di scegliere se ricevere o meno le cure.

42

ALPA, voce Salute (diritto alla), in Noviss. dig. it., App., VI, Torino, 1986, p. 914. 43 D’ARRIGO, voce Salute (diritto alla), in Enc. dir., V (agg.), Milano, 2001, p. 1016.

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Nel diritto vigente emerge che il diritto alla salute, “per potersi realizzare pienamente, ha la necessità non solo di proiettarsi nella dimensione risarcitoria ma anche di inverarsi mediante soluzioni rimediali che ne garantiscano l’effettivo godimento e che inibiscano l’insorgere di comportamenti offensivi …, limitando ragionevolmente

gli effetti pregiudizievoli per la salute umana” 44.

Si può quindi ritenere la salute come una fattispecie complessa che prevede una tutela articolata e differenziata poiché, mentre nei rapporti con i terzi la tutela della stessa può attuarsi mediante un obbligo o dovere di astensione, al contrario, quando il rapporto deriva da un accordo negoziale, essa rappresenta “un vero e proprio diritto soggettivo a che la controparte adotti tutte le opportune cautele che risultano imposte dall’obbligo di protezione accessorio alla

prestazione contrattuale principale” 45.

A garanzia della tutela del diritto alla salute il legislatore costituzionale ha introdotto anche l’art. 38, co.146, Cost. il quale riconosce “ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere” il diritto di accedere all’assistenza sociale. Il 2° comma47, invece, tutela ogni lavoratore in “caso d’infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Tale norma ricomprende, perciò, sia “l’assistenza sociale” che la “previdenza sociale” a favore degli aventi diritto, entrambi di competenza esclusiva dello Stato e dei suoi organi48. L’assistenza sociale è l’insieme degli interventi dello Stato a favore dell’intera

44

ALBI, op. cit., p. 46 ss 45

ALBI, op. cit., p. 49.

46 Art. 38, co. 1, Cost.: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi

necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

47 Art. 38, co. 2, Cost.: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati

mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

48

V. Art. 38, co. 4, Cost.: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed

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32

cittadinanza principalmente, come disposto dal comma 1, a favore di coloro che si trovino in una situazione di inabilità al lavoro.

Al contrario la previdenza sociale è riconducibile esclusivamente ai lavoratori i quali hanno diritto ad essere tutelati dallo Stato in caso di eventi che comportino la perdita totale o parziale della capacità lavorativa quali malattie e infortuni.

In relazione al secondo comma si parla di lavoratori senza specificare il tipo di attività svolta. Quindi, le tutele previdenziali che inizialmente per ragioni storiche sono nate per i lavoratori subordinati, si sono poi estese via via a tutela anche dei lavoratori autonomi.

Il sistema previdenziale attraverso un accantonamento del risparmio degli individui consentirà, in futuro, in previsione della cessazione dell’attività lavorativa, di assicurare al lavoratore le risorse necessarie a mantenere un adeguato tenore di vita.

Come si può evincere da quanto detto in precedenza, il diritto alla salute prevale su altri diritti costituzionalmente garantiti, primo fra tutti il principio della libertà di iniziativa economica priva contenuto all’art. 41 Cost49.

Al momento della promulgazione, il legislatore riconobbe la necessità di far coesistere l’attività economica privata con l’intervento pubblico diretto nell’economia; impose, altresì, la prefigurazione di una struttura complementare degli interventi pubblici e privati per il raggiungimento dei fini sociali e del benessere collettivo.

La prospettiva dell’epoca impose ai padri costituenti di assicurare la sicurezza, la libertà e la dignità della persona umana, soprattutto quella che sarebbe stata ed è la dimensione lavoristica dell’individuo.

49 Art. 41 Cost.: “L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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Nella Carta Costituzionale la dimensione lavoristica diventa centrale tanto da garantire che il diritto al lavoro non venga sopraffatto dall’attività imprenditoriale e dal rapporto di subordinazione. Così, “la Repubblica ha assunto l’impegno di promuovere le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro e garantisce allo stesso tempo che tale risultato non sia raggiunto a scapito dei soggetti che si trovino in una particolare relazione con l’attività imprenditoriale in ragione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. I lavoratori, però, debbono essere tutelati all’interno del rapporto di lavoro. L’imprenditore privato, in altri termini, deve assicurare ai lavoratori

subordinati condizioni di dignità, di sicurezza e di libertà”50.

Analizzando l’art. 41 Cost., nei suoi tre commi, lo vediamo contenere tre importanti prescrizioni: al primo comma afferma il principio della libertà dell’iniziativa economica privata; al secondo espone le limitazioni a cui tale iniziativa è sottoposta ed infine, al terzo comma sancisce le modalità d’intervento pubblico necessarie affinché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata.

Il primo comma presenta, quindi, un diritto-potere inviolabile dell’economia di mercato che riconosce a chiunque la libertà di iniziare, svolgere e terminare un’attività economica.

L’iniziativa economica privata non è però illimitata e incontrollata, tant’è che il comma successivo pone subito delle limitazioni.

Possiamo ritenere che questo secondo comma contenga una riserva di legge implicita, giacché enuncia solamente i limiti, ma sarà poi necessaria la specificazione di una legge ordinaria.

L’iniziativa economica è si libera, ma è necessario il rispetto di limitazioni che non possono essere sormontate in quanto espressione

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di valori costituzionali rilevanti quali: sicurezza, libertà e dignità umana.

Ne deriva che la salute, quale diritto fondamentale del lavoratore ed interesse della collettività, non può ritenersi una mera speranza, ma una condizione necessaria per l’esercizio dell’organizzazione produttiva.

In relazione alla salvaguardia psico-fisica dei lavoratori, l’art. 41 Cost. risulta di fondamentale importanza dato che il datore di lavoro non potrà invocarlo per giustificare scelte organizzative che possano compromettere la sicurezza dei propri dipendenti.

Contestualizzando la protezione della salute dei lavoratori non è dipendente dalle scelte tecniche e organizzative del datore di lavoro, bensì è da ritenersi un momento imprescindibile della fase organizzativa dell’attività di produzione. Dunque, è necessario da parte del datore di lavoro un approccio globale alla conoscenza, al controllo e alla limitazione dei rischi attraverso un adeguato sistema di prevenzione tecnico, organizzativo e sanitario.

2.2 Disciplina codicistica

L’introduzione nell’ordinamento italiano dell’art. 2087 cod. civ.51 ha consentito una tutela diretta e puntuale del diritto alla salute nei luoghi di lavoro, facendo sorgere obblighi di natura non patrimoniale in capo al datore, quali l’adozione di tutte le misure del caso a tutela dell’integrità fisica e morale dei prestatori di lavoro.

Si tratta di un disposto particolarmente innovativo e di fondamentale importanza poiché consente il pieno ed effettivo riconoscimento del

51 Art. 2087c.c.: “Tutela delle condizioni di lavoro”.

“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che,

secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

(35)

35

diritto alla salute dei lavoratori. Pur essendo una norma antecedente alla nostra Carta Costituzionale, dalla lettura in combinato disposto con gli artt. 32 e 41 Cost., possiamo ricavare il principio secondo cui l’attività economica non può svolgersi in contrasto con le esigenze di dignità e sicurezza umana.

L’art. 2087 cod. civ. è una norma che non descrive una singola fattispecie, ma “descrive una generalità di casi, che confluiscono in un'unica categoria riassuntiva, cui il giudice riconduce il caso concreto”. Il giudice avrà così un incontestato margine di discrezionalità, anche se tuttavia, non gli sarà comunque “consentito di produrre o integrare norme: la sua è una discrezionalità, per così dire, di fatto” 52.

La mera lettura dell’art. 2087 cod. civ. non è sufficiente, dovrà essere letto unitamente a norme speciali, il cui contenuto non potrà derogare alla disciplina codicistica ma solamente integrarla.

La norma speciale ha la funzione di regolare “in modo diverso, rispetto al diritto comune, solo il quid pluris che la qualifica rispetto alla norma generale, la quale contribuirebbe a riguardare quella parte della

fattispecie comune alle due norme”53; cosicché la norma speciale non

potrà derogare a quella generale, ma si limiterà a decretarne un’applicazione specifica.

Quello tra norme generali e norme speciali è “un sistema circolare: la norma generale imprime una particolare direzione alle norme speciali offrendone un criterio imprescindibile di inquadramento; le norme speciali arricchiscono di una serie di specificazioni l’obbligo di

52

ALBI, op. cit., p. 79. 53

GORGONI, Regole generali e regole speciali nella disciplina del contratto, Torino, 2005, p. 48 ss.

Riferimenti

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