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Modello italiano e valorizzazione: lineamenti di un ritardo culturale

4 VENEZIA E IL “MODELLO ITALIANO”

4.1 Modello italiano e valorizzazione: lineamenti di un ritardo culturale

In un celebre saggio del 1974 Jacques Le Goff si interessa della coscienza storica del popolo italiano distinguendola rispetto al resto del panorama europeo; il passato, che per tutte le altre nazioni del continente, se non del globo, rappresenta un fertile terreno in cui stanno ben piantate le radici di una pianta che protende i rami verso il futuro, per l'Italia costituisce invece un'enorme eredità dal peso insostenibile, un “fardello”, secondo le parole dello storico francese1. Al di là

dell'indiscutibile ruolo esercitato dall'impero romano e dalla secolare presenza della Chiesa sul territorio, egli attribuisce questa particolare situazione a due fattori principali: la coscienza degli italiani di avere origini antichissime e l'insicurezza derivata dal fatto di essersi costituiti a livello di nazione da poco più di un centinaio d'anni.

Questi due elementi porterebbero al cronico senso di inadeguatezza delle generazioni contemporanee nei confronti di un passato tanto illustre e al costante sentimento di decadenza e nostalgia verso una grandezza perduta e difficilmente riproducibile2. Nonostante le forti divisioni regionali, nella sensibilità degli storici e

di tutto il resto della popolazione la storia dello stato italiano sembra avere inizio molto prima del 1861, e procedere dall'antica Roma al presente in una sorta di continuità ininterrotta, resistendo alle sorti alterne dei vari imperi e al succedersi delle dominazioni straniere. In questa lunga catena di eventi, un elemento

1 LE GOFF J, Il peso del passato nella coscienza degli italiani, in CAVAZZA F.L., GRAUBAD S.R. (a cura di) Il caso italiano, Milano, 1974, vol. II, pp. 534- 548.

2 BOLLATI G., Il carattere degli italiani come problema storico, in BOLLATI G., Storia d'Italia, Torino, vol. I, pp. 951- 956.

unificatore sembra essere stato proprio la mistificazione del passato classico, il richiamarsi ad esso per legittimare il prestigio del sistema politico vigente, basti pensare alle programmatiche riprese dell'antico che caratterizzano la cultura della penisola dal Medioevo al periodo fascista. Questo atteggiamento si ripercuote inevitabilmente anche sulle testimonianze materiali di un tanto illustre passato, portando ad enfatizzarne la densità e il valore fino al luogo comune, ribadito oggi in più di un'occasione e ormai diffuso anche all'estero, che vuole l'Italia detentrice di più della metà del patrimonio artistico mondiale3.

La grande considerazione che l'italiano ha del proprio patrimonio si traduce in un'estensione crescente dei beni sottoposti a tutela, ad includere oggi anche testimonianze delle tradizioni popolari, il contesto ambientale, elementi etnolinguistici e qualsiasi manifestazione culturale in genere, e al terrore per una loro dispersione. Come abbiamo visto, l'idolatria del passato tende a tradursi in una diffusa sfiducia anche nelle manifestazioni artistiche contemporanee, che, pur tutelate anch'esse, non vengono generalmente ritenute all'altezza di interagire con le creazioni antiche, e quindi preferibilmente dislocate in altri contesti.

Allo stesso tempo però, questa separazione mortifica anche il monumento, negando ad esso la capacità di incidere ancora sul reale e relegandolo ad una semplice attrazione da museo. Negando all'edificio antico ogni possibile valore d'uso, si abbassa l'opera a livello di cimelio e, quindi, di una mera cosa o oggetto di possesso dotato di puro valore economico4. Considerato il ruolo attribuito al

passato, è comprensibile che una delle prime preoccupazioni degli organi preposti alla tutela sia il mantenimento dell'autenticità delle testimonianze: non è quindi un caso che all'interno del panorama europeo siano l'Italia e la Grecia le nazioni con una più rigida politica di tutela del patrimonio artistico, che rappresenta un

3 SETTIS S., Italia spa pp. 14- 15. Qui l'autore rileva anche come il dato non sia affatto rispondente ad una realtà oggettiva, e la particolarità della situazione italiana sia piuttosto da circoscrivere nei termini della capillarità e densità delle testimonianze culturali sul territorio.

4 SCARROCCHIA S., Che valore ha l'intero patrimonio culturale se proprio l'esperienza non ci

elemento primario per sottolineare la forte continuità e la grande antichità della propria nazione. Tuttavia, dalla seconda metà degli anni Ottanta l'adozione del concetto di valorizzazione sulla scia di paesi come la Gran Bretagna, l'Olanda o gli Stati Uniti, ha portato l'Italia a vivere in una costante dicotomia tra la sua illustre tradizione di tutela e la spinta a concepire il patrimonio anche in termini economicistici, alla rincorsa dei nuovi raggiungimenti stranieri.

Non possedendo però nel territorio una cultura del contemporaneo altrettanto sviluppata come, in particolare, quella dell'Europa del nord, e unendo questa situazione alla scarsa preparazione culturale che ha distinto negli ultimi vent'anni la classe dirigente italiana e alla pressione esercitata dai massicci flussi di turismo che continuano a coinvolgere il paese, le pratiche di valorizzazione spesso si riducono alla stregua di grandi eventi mediatici che riducono il bene a semplice generatore di profitto. Considerata la mancanza di un'adeguata pianificazione da parte degli organi preposti, anche gli interventi di restauro sono frequentemente preda delle sponsorizzazioni, occasioni durante le quali il privato, generalmente un'impresa, un'industria o un istituto di credito, sceglie di finanziare il restauro non del bene che ne ha oggettivamente il maggior bisogno ma di quello che più gli garantirà una risonanza mediatica, con conseguente incremento esponenziale dei capitali investiti. Le stesse opportunità economiche derivate da un ritorno di immagine sono alla base della scelta spesso dibattuta di incaricare una grande personalità straniera dei lavori di restauro o di costruzione ex novo di una struttura in un contesto monumentale, a prescindere da una valutazione qualitativa del progetto che essa andrà a proporre. Questi modi di agire tradiscono una concezione del bene culturale che lo riduce alla stregua di “giacimento” nel senso più letterale del termine, ovvero quello di risorsa da sfruttare per attrarre nuovi profitti; il concetto di valorizzazione quindi si confonde sempre più spesso con quello di promozione, dal quale è chiaramente assente ogni preoccupazione storica o culturale5. L'attenzione

5 MOSCHINI F., I sentieri interrotti della salvaguardia e della conservazione, in Memorabilia, pp. 180- 181.

sporadica e superficiale allo stato di conservazione dei beni unita all'immobilismo derivato da una tutela così estensiva, hanno portato nel tempo all'avanzato stato di degrado del patrimonio nazionale che oggi è sotto gli occhi di tutti. Questa situazione è il principale risultato della grande dicotomia tra l'illuminazione del pensiero dei primi teorici e le sue realizzazioni pratiche; risulta quindi necessario chiedersi come sia stato possibile arrivare ad una situazione così caotica con premesse del livello scientifico e culturale di Cesare Brandi e Giovanni Urbani.

Alla metà degli anni Sessanta l'Istituto centrale di restauro non è l'unico organo a garantire l'alta qualità del pensiero conservativo della penisola: un anno dopo la pubblicazione della Teoria del restauro di Cesare Brandi e nello stesso anno di redazione della Carta di Venezia, su proposta del ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui viene istituita una commissione d'indagine sul patrimonio storico, artistico, paesaggistico e archeologico. La Commissione Franceschini, chiamata in questo modo dal nome del presidente Francesco Franceschini (1908- 1987), allarmata dai primi segni di degrado territoriale dovuti anche all'incontrollata speculazione edilizia tipica di quegli anni e ad alcuni disastri ambientali, si pone come obiettivo primario una ricognizione dei beni culturali italiani al fine di procedere in seguito all'organizzazione della loro tutela e valorizzazione6.

I lavori di questo gruppo di parlamentari ed esperti durano circa due anni e hanno come esito la raccolta di un vasto materiale sulla base del quale vengono fissate 84 Dichiarazioni di principio e 9 Raccomandazioni, da intendere come indicazioni procedurali volte al ministero della Pubblica istruzione. Alla Commissione si deve l'ammodernamento, e di conseguenza l'ampliamento, del concetto di bene culturale, da semplice “cosa d'arte” al ben più inclusivo “testimonianza di civiltà” in linea con quello coniato dall'Unesco dieci anni prima. L'attribuzione di questo statuto ad un monumento o ad un qualsiasi oggetto d'arte

6 E' proprio questa l'occasione della prima comparsa in Italia di questo termine. Per la salvezza dei beni

culturali in Italia, «Atti e documenti della prima Commissione di indagine per la tutela e la

inoltre, viene subordinata ad una valutazione conoscitiva operata da esperti e quindi operata su basi scientifiche e non meramente sentimentali. Ma l'elemento più importante che viene introdotto riguarda il rapporto tra i beni pubblici e quelli in possesso di privati: i vincoli vengono applicati in entrambi i casi indistintamente in ragione di una rivoluzionaria concezione del patrimonio come unicum. Poiché tutto ciò che rappresenta una testimonianza di civiltà è necessariamente proprietà di un popolo quanto lo è di ogni cittadino, esso va reso sempre fruibile alla comunità, al di là di qualsiasi intervento personalistico.

E' proprio questo elemento di democratizzazione e di riunione del patrimonio che costituisce la sostanza di quello che viene chiamato “modello italiano”, perchè questa mentalità risulta una prerogativa del nostro paese. Rispetto alla legislazione tedesca ad esempio, nella quale la frammentarietà istituzionale dei

Länder e delle Gemeinden si ripercuote sulla salvaguardia dei beni applicando

vincoli diversi da regione a regione, o a quella inglese, in cui le associazioni private rivestono un ruolo fondamentale nella tutela, in Italia l'intero sistema viene regolato da norme pubbliche ed omogenee, legate alla funzione civica ed identitaria riconosciuta ai beni tutelati.

Ad una situazione di continuità del paesaggio storico e di stretto rapporto tra i beni culturali e il territorio come tipica di quella italiana, corrisponde dunque una legislazione altrettanto onnicomprensiva, che affida al controllo pubblico, realizzato attraverso un'amministrazione specializzata, la gestione dell'intero sistema7. La

situazione di primo piano rivestita dalla penisola a livello teorico nella seconda metà del 1960 negli anni successivi fatica a tradursi nella pratica. La scarsa specificità del termine “testimonianza di civiltà”, mai definito nel dettaglio dalla Commissione, porta soltanto ad un'estensione abnorme della tutela, ma non corrisponde poi ad un'adeguata pianificazione e realizzazione di interventi conservativi come auspicato. Concrete proposte operative come il Piano pilota per

7 ZAGATO L., Lezioni di diritto internazionale ed europeo del patrimonio culturale, Venezia, 2011, p. 127.

la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria messo a punto da

Giovanni Urbani nel 1976 e previsto per essere poi applicato su scala nazionale, si scontrano contro l'inerzia burocratica e l'apparente disinteresse della classe politica, tanto che la tutela scientifica applicata mediante una conservazione programmata rimane ancora oggi solo un obiettivo perseguito sulla carta. L'intervenuto decentramento amministrativo e la creazione di un Ministero preposto alla tutela non sembrano incidere sulla situazione in questo senso, se non complicandola ulteriormente in un groviglio di competenze.

Negli ultimi trent'anni inoltre, il sopravvenire di un'economia a carattere misto ha portato il ruolo dei privati a ricoprire una posizione imprescindibile anche nel campo della valorizzazione. Il nostro sistema di tutela si trova quindi nella posizione di dover necessariamente rapportarsi all'iniziativa dei privati, ma a dover far riferimento ad una legislazione che, ferma ancora agli anni Sessanta, pur all'avanguardia si riferisce ad una situazione economica non più attuale. Crescente è stata quindi negli ultimi anni l'influenza dei raggiungimenti del diritto internazionale su quello del nostro paese; una conseguenza è stata, a partire dal 1990, il ridimensionamento del ruolo dello Stato nell'amministrazione dei beni, progressivamente ridimensionato e circoscritto all'esercizio della sola tutela, mentre valorizzazione e promozione sono di norma delegate alle Regioni8.

Senza un'adeguata azione di conservazione preliminare, negli ultimi trent'anni si è quindi passati ad adottare le strategie di valorizzazione degli altri paesi europei puntando principalmente sul momento della fruizione, attraverso interventi effimeri ed organizzazioni di eventi che non rimediano però alla sostanziale inaccessibilità e immobilità di vasta parte del patrimonio, incrementandone soltanto il ruolo di attrazione turistica. Questa situazione, unita al preponderante peso del concetto di autenticità e alla tendenza già accennata alla museificazione del patrimonio di cui dovremmo disporre, ostacolano oggi il

reinserimento dei monumenti storici in un contesto vivo e propositivo, relegandoli a semplici oggetti di contemplazione. Una fruizione e valorizzazione veramente riuscite invece sono quelle che permettono di instaurare un dialogo con i beni del passato, di ricollegare la tradizione custodita in essi con il presente e lanciarli verso nuove destinazioni. Il riconoscimento ai beni di un potenziale produttivo non è da intendere in senso meramente economico ma deve necessariamente includere anche la possibilità di reimmettere questi beni nel circuito della creazione contemporanea, rendendoli anche una potenziale forma di nuova ispirazione9.