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Salvare Venezia nel Novecento Il campanile e la psicosi del crollo

5 VENEZIA COM'ERA DOV'ERA?

5.2 Salvare Venezia nel Novecento Il campanile e la psicosi del crollo

A partire dall'Ottocento il tessuto storico della città risulta segnato da due

tendenze opposte e parallele: la contraffazione dei monumenti antichi in nome di una rinascenza dei fasti della Serenissima e l'applicazione di piani urbanistici su vasta scala. Dopo gli interventi del Governo austriaco volti ad omologare Venezia ad ogni altra città periferica dell'impero, primo tra tutti la realizzazione del ponte ferroviario di collegamento con la terraferma, i grandi inserimenti infrastrutturali si incrementano con l'annessione al Regno d'Italia, che prevede un'altra serie di grandi lavori per rendere la città più flessibile alle esigenze moderne33.

Pur andando una nel senso di una inserzione forzata di modernità, su modello delle altre città europee, e l'altra verso un ritorno al passato e di una museificazione astorica, entrambi gli orientamenti convergono su un punto: mancano la vera essenza della città. Entrambi tentano di applicare dei modelli senza tener conto della complessità del tessuto urbano e degli elementi di unicità che le sono caratteristici. Questa dualità di approcci, entrambi propositivi ma lontani dalla realtà del tessuto urbano, è una caratteristica che si è mantenuta costante negli ultimi due secoli.

La necessità di applicare una tutela reale, che parta dalle esigenze dettate dal monumento e non da modelli elaborati a priori, viene portata in primo piano al volgere del secolo con l'episodio del crollo del campanile di San Marco. Il campanile, fondato nel X secolo e completato nel XII, aveva dominato la piazza antistante la Basilica per più di 600 anni, passando attraverso il terremoto del 1511, i danni subiti dalla caduta di un fulmine verso la metà del XVIII secolo34. Incluso

nei progetti di restauro dell'area marciana al passaggio della direzione da Giovanni Meduna a Pietro Saccardo, esso viene interessato da un intervento volto a

33 PERTOT G., Venezia 'restaurata'... op. cit., p. 47.

34 BOSCOLO BIELO M., Crollo e ricostruzione del campanile di San Marco, Roma, 2012, pp.6- 24; MARCHESINI M., Un secolo all'ombra: crollo e ricostruzione del campanile di San Marco, Belluno, 2000.

riqualificarne l'immagine antica che tuttavia viene sospeso a più riprese in seguito a polemiche sul rifacimento di alcuni elementi. La mattina del 14 luglio 1902, pochi giorni dopo i primi segni di cedimento denunciati dall'architetto Domenico Rupolo, membro dell'Ufficio regionale della conservazione dei monumenti, e dall'assistente Antonio Moresco, il campanile crolla riempiendo la piazza di un cumulo di polvere e macerie. Il ruolo simbolico rivestito da questa struttura nel definire la fisionomia della città è testimoniato dalla reazioni suscitate dalla notizia nella pubblicistica dell'epoca.

Alla circolazione di un soprendente numero di cartoline commemorative raffiguranti il campanile nel momento del crollo, si aggiungono componimenti poetici e vignette satiriche, nonchè i toni enfatici della stampa locale e nazionale, tra i quali la celebre prima pagina del Gazzettino che titola “Il campanile di San Marco abbattuto dall'imperizia degli ingegneri governativi”35. La presenza del campanile,

ripetutamente documentata dalla cartografia, dalle raffigurazioni dei vedutisti e perfino citata nei racconti di viaggio o nelle descrizioni letterarie, è ormai così legata all'identità cittadina che nel Consiglio comunale convocato d'urgenza lo stesso giorno del crollo non vi è alcun dibattito in merito alla soluzione da prendere: i presenti si esprimono all'unanimità per la sua ricostruzione. Il comune dispone immediatamente uno stanziamento di 500 mila lire da destinare ai lavori di ricostruzione e, rimosse in sei mesi le macerie sotto la supervisione di Giacomo Boni, si iniziano gli scavi sulle antiche fondazioni.

Accertato che le cause della tragedia non sono state determinate da dissesti statici, ma piuttosto dai danni arrecati alla struttura da un restauro settecentesco, si decide di impostare il nuovo corpo di fabbrica sulle fondamenta preesistenti. Le uniche modifiche apportate rispetto alla struttura antica sono indirizzate ad assicurare maggiori condizioni di sicurezza alla nuova struttura: un leggero allargamento delle fondazioni per ripartire il peso della canna campanaria su una

35 FENZO M., Il campanile di San Marco: il crollo e la ricostruzione: 14 luglio 1902- 25 aprile 1912, «Catalogo della mostra, Venezia, 14 luglio- 31 dicembre 1992» Milano, 1992, p.59.

superficie più ampia, e l'impiego di moderne strutture di risalite in cemento armato per alleggerire la struttura complessiva del nuovo corpo di fabbrica. Dal punto di vista estetico l'opera finita si ripropone in tutto e per tutto identica a quella medievale, complice anche il ricollocamento delle ricomposte decorazioni in marmo e bronzo di cuspide, cella campanaria e Loggetta, che Giacomo Boni aveva recuperato tra le macerie36. Considerate le motivazioni etiche alla base di questa

ricostruzione, riproporre inalterato l'aspetto originario del campanile costituisce un carattere imprescindibile dell'intervento.

Questa linea operativa viene dichiarata con forza già al momento della posa della prima pietra, quando il sindaco Filippo Grimani pronuncia per la prima volta la frase “com'era, dov'era” che da allora costituisce la caratteristica fondamentale del pensiero conservativo dei veneziani. Per quanto riguarda l'opinione pubblica al di là dei confini lagunari, accanto al concorso indetto dall'Accademia di Belle Arti di Milano (nel quale i giovani progettisti non si vedono invece imporre alcuna restrizione riguardo allo stile e alle forme della nuova costruzione se non quella di rispettare la collocazione originaria) soltanto l'architetto Otto Wagner sembra esprimersi per una ricostruzione creativa37.

Sulle pagine del Piccolo di Trieste viene pubblicata un'intervista dove l'architetto propone di realizzare un nuovo campanile in forme moderne per scongiurarne la falsificazione. Egli avanza anche la proposta di spostarlo dall'originaria collocazione per trovarne un'altra più consona all'armonia strutturale della piazza; nel suo pensiero, la disgrazia causata da un evento naturale diventa un'occasione progettuale per mettere il nuovo alla prova in un contesto antico. Nonostante questo Otto Wagner non si esime da biasimare i progettisti italiani per non essere stati in grado di scongiurare il crollo e manifesta serie preoccupazioni per le condizioni statiche dell'intero tessuto edilizio della città, che vede

36 FRANZOI U., La ricostruzione del campanile, in FENZO M. (a cura di), Il campanile di San

Marco... op. cit., pp. 84- 91. DONGHI D., La ricostruzione del campanile di San Marco e della loggetta di Sansovino, in “Ateneo Veneto”, vol. II, Venezia, 1912.

inevitabilmente destinata alla distruzione38. In beffa ad ogni profezia di distruzione,

il 25 aprile del 1912 viene celebrata la rinascita del campanile; viene sancita così la sopravvivenza del valore al monumento che l'ha generato. L'episodio, oltre a celebrare il trionfo dell'ostinata ricerca di continuità dei veneziani contro il tempo distruttore, segna anche l'inizio di una stagione di estrema apprensione nei confronti di tutti gli altri monumenti medievali della città39.

L'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti stila un elenco di campanili e di chiese antiche a rischio di crollo, i quali nei decenni successivi vengono sottoposti esclusivamente ad interventi di consolidamento statico e ristrutturazioni. Come nota Giuseppe Romanelli, mentre nel resto d'Europa si consolida il culto del nuovo, a Venezia l'attenzione si concentra unicamente sulla conservazione40. Il timore che si possano verificare eventi analoghi a quello del

campanile è da considerare alla base della scarsa ricettività della città alle innovazioni sperimentate sulla terraferma nello stesso periodo. Dove si verifica la necessità di costruire un edificio nuovo, questo viene dislocato lontano dalla città storica, oppure prende le forme di una semplice imitazione del linguaggio antico.

Fino alla prima guerra mondiale si susseguono interventi volti principalmente a rimettere in efficienza le strutture antiche nel più breve tempo possibile e nei quali l'interesse per l'aspetto stilistico degli edifici si traduce più che altro in una rimozione delle cosiddette “superfetazioni”, ovvero dei corpi aggiunti all'edificio in epoche successive alla sua fondazione giudicati poi dannosi per l'equilibrio statico dell'insieme, o di quelli a cui non viene attribuito alcun valore artistico. In questo modo la predilezione per l'antico a Venezia diventa tale che Futuristi la eleggono a simbolo del passato da estirpare riservandole una speciale invettiva Contro Venezia passatista.

38 Ibidem, p. 15.

39 PERTOT G., Venezia 'restaurata'... op. cit., p. 58.