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Il modello umano del movimento in EVAC

2 Concetti generali dell’Analisi di Rischio Quantitativa

2.4 La stima del danno

2.4.9 Il modello umano del movimento in EVAC

Per simulare realisticamente il fenomeno, il modello di simulazione EVAC considera le vere forze fisiche che si generano tra la folla in condizioni di congestione.

Tali forze includono le forze di contatto tra i corpi, le forze d’attrito tra i vari soggetti e tra questi e i muri laterali o gli ostacoli.

La modellazione di queste forze richiede che il dominio matematico dell’evacuazione sia continuo nello spazio.

Dunque, in FDS+EVAC, ogni persona partecipante all’esodo è definita come un “agent”, ossia come un essere autonomo caratterizzato da proprietà personali e proprie strategie di fuga, ed è seguita da una propria equazione di moto.

Dove:

• xi(t) è la posizione dell’agente i al tempo t;

• fi(t) è la forza esercitata sull’agente dalle condizioni al contorno e dunque dall’ambiente; • mi è la massa

• ξi(t) è una piccola forza di fluttuazione random.

Gli esseri umani modellati come agenti che si muovono in un dominio 2D rappresentato dai pavimenti degli edifici.

Il formato di ogni agente è rappresentato tramite tre cerchi disposti in modo da formare un’ellisse che rappresenta in modo approssimato la figura del corpo umano, come mostrato dall’immagine che segue.

Figura 64: Rappresentazione del formato di ogni agente.

Le dimensioni del corpo e le velocità di movimento senza impedimento degli agenti che rappresentano gli esseri umani sono indicate nella seguente tabella.

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Tipo di agente [m] Rd Rt/Rd [-] Rs/Rd [-] ds/Rd [-] Velocità [m/s]

Adulti 0,255 ± 0,035 0,5882 0,3725 0,6275 1,25 ± 0,30 Uomini 0,270 ± 0,020 0,5926 0,3704 0,6296 1,35 ± 0,20 Donne 0,240 ± 0,020 0,5833 0,3750 0,6250 1,15 ± 0,20 Bambini 0,210 ± 0,015 0,5714 0,3333 0,6667 0,90 ± 0,30 Anziani 0,250 ± 0,020 0,6000 0,3600 0,6400 0,80 ± 0,30

Tabella 10: Dimensioni del corpo e velocità di movimento.

Per simulare realisticamente il fenomeno, il modello di simulazione EVAC considera le vere forze fisiche che si generano tra la folle in queste situazioni.

In particolare, queste forze sono: • forze di contatto tra i corpi; • forze d'attrito tra i vari agenti;

• forze che si esercitano tra gli agenti ed i muri; • forze sociali;

• forze psicologiche, esercitate dall’ambiente e dagli altri agenti.

La modellazione di queste forze richiede che il dominio matematico relativo all'evacuazione sia continuo nello spazio.

Il modello a base dell’algoritmo di movimento implementato da EVAC è il modello di forza sociale presentato da Helbing e Molnar, con i cambiamenti introdotti da Langston per includere una migliore descrizione della forma del corpo umano e considerare i gradi di libertà della rotazione del singolo agente.

Figura 65: Il concetto di forza sociale secondo Helbing.

Focalizzando maggiormente l’attenzione sui comportamenti e sulle reazioni umane nelle situazioni di emergenza, le statistiche sulle analisi di eventi disastrosi dovuti a incendi, spesso rilevano che il numero delle vittime è notevole, soprattutto perché la maggioranza delle persone coinvolte non ha attuato una strategia di sopravvivenza adeguata, oppure non lo ha fatto in un tempo ottimale. Infatti, in una fase di immediata emergenza, il tempo disponibile per produrre una risposta di qualsiasi tipo è spesso limitato, e sono pochi coloro in grado di attuare un comportamento protettivo ed efficace. Se da una parte è noto che alcune variabili strutturali (e non modificabili) quali genere, età ed abilità fisiche, sono maggiormente associate alla possibilità di sopravvivenza (il numero di sopravvissuti è inferiore fra le donne, gli anziani, i bambini, i disabili), resta tuttavia decisivo in tale situazioni il fattore psicologico (potenzialmente modificabile), intendendo, ad esempio, con questo, le modalità di pensiero, le reazioni emotive, le abilità comportamentali. Un aspetto fondamentale per aumentare la quota di sopravvissuti in condizioni di emergenza è quello di fornire informazioni, sia prima, che durante la situazione di crisi (prove di evacuazione, planimetria con le vie d’esodo segnalate).

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Da alcuni studi sono emersi una pluralità di fattori che regolano l’efficacia di una evacuazione. Se ne possono distinguere quattro:

• fattori configurazionali: sono quelli riguardanti la struttura architettonica dell’edificio (o del mezzo – aereo, nave, ecc.), quali il numero delle uscite di emergenza, la loro ripartizione, il percorso per giungerci, ecc...;

• fattori ambientali: includono i probabili effetti debilitanti sulle persone da parte di calore, gas tossici, fiamme e l’influenza di questi fattori sulla velocità di sgombero e di individuazione delle uscite (ad es. la ridotta visibilità);

• fattori procedurali: rappresentano le conoscenze apprese dalle persone attraverso la segnaletica d’emergenza e le informazioni fornite dal personale preposto In questo caso, la chiarezza del messaggio e la presenza di una leadership che impartisca direttive è fondamentale per la sopravvivenza degli attori;

• fattori comportamentali: corrispondono alle diverse condotte tenute dalle persone in emergenza (le loro risposte iniziali, le loro decisioni, le interazioni sociali, le relazioni fra i membri del gruppo). I quattro fattori interagiscono tra loro regolando l’efficacia di un’evacuazione.

Figura 66: Interazioni tra fattori.

I fattori configurazionali e ambientali sono tra loro interconnessi ed entrambi influenzano sia le procedure che i comportamenti umani. Anche i fattori procedurali e quelli comportamentali sono tra loro in interazione: una procedura può guidare l’esecuzione di una sequenza di azioni, ma anche alcuni comportamenti di un individuo potrebbero dare indicazioni sulle procedure da selezionare ed eventualmente da modificare. La collocazione centrale dei fattori comportamentali rispecchia la loro importanza e rilevanza: infatti, anche in condizioni ottimali, quali un congruo numero di uscite di emergenza, ben evidenziate, senza problemi di visibilità, un comportamento erroneo di un individuo o di un piccolo gruppo può rendere vano anche le migliori progettazioni architettoniche. I fattori comportamentali sono spesso trascurati ma decisivi. Spesso si pensa che in condizioni di emergenza il comportamento umano predominante sia quello individualistico. Testimonianze di superstiti, “case study” e ricerche su campo in simulazioni hanno evidenziato la forte eterogeneità delle risposte individuali.

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Secondo Leach (2004) nelle situazioni di pericolo, la risposta degli individui può essere classificata in tre grandi gruppi:

- Il primo gruppo, che comprende il 10-15% di persone coinvolte in disastri, rimane relativamente calmo. Queste persone sono capaci di organizzare i pensieri rapidamente, mantenere intatta la consapevolezza delle situazioni e le capacità di giudizio e ragionamento, sono capaci di valutare la situazione, fare un piano di azione e metterlo in pratica;

- il secondo gruppo, composto da circa il 75% di persone, comprende coloro che rispondono in maniera sconcertata e confusa, mostrando un ragionamento compromesso e un rallentamento del pensiero. Il loro comportamento è guidato da processi quasi automatici;

- il terzo e ultimo gruppo (10-15%) tende a mostrare un alto grado di comportamenti controproducenti che aumentano il rischio di morte, come quello del pianto incontrollato, di confusione globale, urla e ansia paralizzante.

È in queste due ultime categorie di comportamenti che si riscontrano il maggior numero di vittime.

Le reazioni e i comportamenti nelle situazioni di pericolo possono essere le più disparate, se ne riporta a seguire un campione rappresentativo, che comprende stati emotivi, cognitivi e fisiologici:

- comportamenti ansiosi: le persone sono in preda all’ansia, urlano, piangono e diventano incapaci anche di azioni semplici come aprire una porta;

- comportamenti di fuga disorganizzata: le persone tendono a correre, fuggendo in qualsiasi direzione, anche se non è quella giusta;

- comportamenti di coesione sociale: le persone si riuniscono fra loro e si “sentono un gruppo” (es. “sulla stessa barca”);

- attaccamento ai beni familiari: le persone prima di evacuare cercano di recuperare gli oggetti personali che hanno un valore economico ed affettivo;

- comportamenti altruistici: le persone tendono ad aiutare altre persone in difficoltà, esponendosi loro stessi ad un pericolo vitale;

- comportamenti di “congelamento”: alcune persone rimangono cognitivamente paralizzate e incapaci a muoversi;

- comportamenti di panico: si tratta di comportamenti distruttivi, irrazionali e asociali quali il lottare con altre persone;

- disorientamento situazionale: le persone percepiscono uno stato di incredulità e di astrazione della situazione;

- disorientamento fisiologico: nella situazione di scarsa visibilità (es., causata dal fumo scaturito dall’incendio) le persone faticano a trovare le vie d’uscita e si intossicano con i gas inspirati.

I modelli teorici classici hanno messo in evidenza che, di fronte alla minaccia di vita, gli esseri umani (e gli animali) affrontano la situazione attraverso due tipi di azioni: il fronteggiamento o l’evitamento, un binomio definito combatti o fuggi (fight or flight).

Tra i professionisti che operano in scenari a rischio (ad esempio militari, vigili del fuoco), le esercitazioni e le simulazioni sono importanti in quanto consentono di produrre schemi comportamentali automatici per prevenire la paralisi cognitiva.

Altre teorizzazioni in ambito psicologico hanno tentato di spiegare i comportamenti ipoattivi, ritardi e rallentamenti delle persone e dei gruppi durante una situazione di pericolo. Da una parte le persone tenderebbero a considerare i segnali di pericolo dati da un’iniziale situazione di emergenza come una normale variabile della routine quotidiana. È il cosiddetto normalcy bias (distorsione di normalità): gli indicatori o avvertimenti iniziali di un pericolo sono trascurati o assimilati ad esperienze normali; in questa fase iniziale, le persone interpretano erroneamente i segni di pericolo e rispondono continuando le attività routinarie.

Dall’altra, ambiguità e pluralità di messaggi spesso ritardano sul comportamento di evacuazione. Risultati sperimentali hanno dimostrato che informazioni ambigue o eccessive circa un rischio o pericolo favoriscono

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la suggestionabilità nella folla, in tal modo si accorcia il tempo per realizzare nuove opinioni, ma si dilata quello per prendere decisioni. In un gruppo di persone ci sono maggiori variazioni e una maggioranza di opinioni e quindi di strategie possibilmente attuabili. I gruppi variano nella quantità di risorse attivabili da essi: maggiori sono le risorse attuabili dal gruppo, maggiore sarà il tempo necessario per decidere quali utilizzare.

Fino a poco tempo fa una folla in fuga veniva considerata come un liquido in uscita da un contenitore, che sfruttava ugualmente tutte le aperture per evadere. Quindi maggiore è il numero delle uscite più velocemente il “contenitore” veniva vuotato.

Ma questo modello “idraulico” non funziona, bisogna includere conoscenze che derivano dallo studio dei comportamenti umani in psicologia e nelle scienze sociali.

La folla è fatta di persone che non si comportano nello stesso modo. La folla non è un fluido ma è fatta di persone che pensano, interagiscono, prendono decisioni, hanno preferenze di movimento, cadono e ostacolano altri. Le persone possono avere comportamenti gregari o individualistici nella ricerca di un’uscita. Gli studi sui comportamenti collettivi nelle situazioni di evacuazione hanno messo in evidenza che le persone si muovono o tentano di muoversi più velocemente del normale, iniziano a spingersi e l’interazione diventa solo fisica, in tal modo il passaggio per il collo di bottiglia diventa scoordinato e alle uscite si formano strutture ad arco. Per tale ragione si può verificare un effetto chiamato faster is slower: più le persone si dirigono velocemente verso l’uscita, più vanno lente perché tendono ad accalcarsi ed a spingersi, a volte perfino a calpestarsi. In aggiunta, la fuga può essere maggiormente rallentata dalle persone che cadono o che si feriscono (che diventano a tutti gli effetti nuovi ostacoli). In alcuni casi, l’interazione fisica può causare una pressione pericolosa capace di sfondare barriere o muri. Come si può vedere nella figura successiva, nell’evacuazione da una stanza con due uscite e una minaccia alle spalle (fuoco) vi può essere una tendenza a comportamenti gregari e a fare ciò che fanno gli altri: in tal modo le uscite alternative possono essere trascurate o non usate in modo efficiente.

Figura 67: Esempio di comportamenti gregari in caso di incendio.

In conclusione, le persone non sono isolate ma intraprendono azioni auto protettive o altruistiche inserite in un contesto socio-ambientale che incoraggia o scoraggia una determinata sequenza comportamentale. L’espressione inglese milling (girovagare come un mulino) indica l’interazione sociale nelle prime fasi di allarme. Gli individui verificano e cercano una conferma con le altre persone (amici, colleghi, familiari) della gravità del messaggio o dell’avvertimento che hanno ricevuto; solo quando la rete sociale conferma la validità dell’avviso, iniziano a eseguire azioni protettive.

Secondo gli studi del NIST (National Institute of Standards and Technology) che ha ricostruito il comportamento di evacuazione dalle Twin Towers l’11 settembre 2001, è stato stimato che il 70% delle persone nel WTC che sopravvissero a quel disastro, prima di fuggire, parlarono fra loro sul da farsi e sul cosa

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stesse succedendo. In questa prospettiva, occorre tenere presente vari fattori in un gruppo di persone coinvolte in un incidente: il tipo di caratteristiche dei membri (quali l’età, agilità, genere, presenza di disabili o feriti), la densità del gruppo (caratteristiche delle persone come la loro corporatura, che quelle architettoniche della stanza in cui ci si trova), le relazioni tra i membri del gruppo (la concezione di status, di ruolo, di leadership e altri puramente culturali come il linguaggio, le tradizioni, le norme) e il contesto il cui avviene l’emergenza.

Le persone e i gruppi non sono in preda a pura istintualità o al contrario governate da perfetta razionalità, che non sono sole e non sono neanche una massa uniforme. Non bisogna quindi dimenticare che gli individui coinvolti in situazioni di emergenza di qualsiasi tipo, possono essere protagonisti efficaci, possono diventare cooperativi e mostrare capacità di leadership spontanea e si possono attivare sentimenti di solidarietà sociale ed azioni di mutua assistenza come esito di un processo intenzionale di altruismo ad altre persone.