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3. L'OLIO D'OLIVA NEL MONDO ROMANO E TARDOANTICO

3.3 I modi della produzione olearia: l'Africa Romana e l'Hispania

3.3.3 Molitura

Questa operazione avveniva all'interno del cavaedium, un cortile posto in collegamento con il torcularium, ma a una quota leggermente inferiore rispetto ad esso111.

Fig. 7 Ricostruzione di cavedium, torcularium e cella olearia (tratta da FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 29).

Il prodotto che era possibile ottenere attraverso la molitura era la sampsa, una pasta di olive mescolata con una parte dell'acqua contenuta nei frutti e con la morchia112. La

sansa è ricca di olio, il quale, però, in questa fase conserva ancora una densità eccessiva e aderisce alle altre sostanze organiche; per estrarlo, era necessario passare

110 NOGUERA CELDRÁN J.M.,ANTOLINOS MARÍN J.A.2009,p. 198. 111 FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 28.

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all'operazione successiva, la premitura o spremitura, che poteva però essere facilitata utilizzando preliminarmente acqua calda, in modo da favorire il distacco113.

Oltre alla sansa, la molitura delle olive comportava una prima fuoriuscita di una sostanza liquida costituita da olio e amurca, che veniva fatta defluire attraverso un sistema di canalette e, quindi, raccolta all'interno di vasche o recipienti114.

Le installazioni produttive utilizzate per svolgere questa operazione vengono rinvenute piuttosto di rado nei contesti archeologici; questo accade in quanto esse erano solitamente realizzate con materiali lapidei piuttosto costosi e ricercati, che, proprio per la loro natura, una volta che i frantoi oleari erano stati abbandonati, venivano spesso reimpiegati. Inoltre è necessario ricordare che una sola macina era in grado di alimentare mediamente due torchi: ne consegue che i macchinari per la molitura erano in numero inferiore rispetto a quelli per la premitura.

Nonostante i ritrovamenti siano piuttosto scarsi, disponiamo di alcune descrizioni puntuali relative a queste installazioni, fornite da autori quali Catone115, Varrone116, Columella117 e Palladio118. Proprio sulla base di questi testi, però, tra gli studiosi si è aperto un vero e proprio dibattito terminologico, al fine di collegare i vari nomi di macchinari riportati dagli autori antichi alle tipologie effettivamente note. Su questo argomento tutt'oggi si continua a discutere, in quanto non è ancora stato possibile giungere a delle conclusioni che possano essere considerate pienamente convincenti119.

Le ipotesi divergenti riguardo al nome e all'uso effettivo dei macchinari, unite alla povertà dei dati materiali, concorrono a rendere lo studio di questa fase produttiva piuttosto lacunoso e difficoltoso; in considerazione di questo fatto, in questa sede si tenterà di descrivere le installazioni nel modo più obiettivo possibile.

Sia Catone che Varrone, nelle loro opere, parlano del trapetum, attestato per la prima volta in Grecia nel V secolo a.C120. Esso era costituito da una vasca emisferica fissa con pareti concave (mortarium), che presentava un cilindro verticale centrale (milliarium); all'interno della vasca venivano fatte ruotare due macine semicilindriche in pietra, con la faccia interna piatta e quella esterna convessa, le orbes. Le macine erano collegate tra di

113 MANNONI T.2004,p. 174. 114 VISMARA C.2007,p. 450.

115 CATONE, De agricoltura (prima metà del II secolo a.C.); MARCONE A.1997, p.19. 116 VARRONE,Res rusticae (seconda metà del I secolo a.C.); MARCONE A.1997,p. 22. 117 COLUMELLA, De re rustica (seconda metà del I secolo d.C.); MARCONE A.1997,p. 26.

118 PALLADIO,Opus agriculturae (seconda metà del IV secolo o posteriore); MARCONE A.1997,p. 34. 119 PEÑA CERVANTES Y.2012,pp. 39-40.

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loro da una trave di legno detta cupa, che era utilizzata per azionarle: veniva infatti spinta, in modo da far ruotare le orbes sia su se stesse che attorno al milliarium. La cupa, inoltre, era attraversata da un perno verticale (columella), con la base al centro del cilindro.

Fig. 8 Ricostruzione di un trapetum (tratta da FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 30).

Fig. 9 Trapetum (tratto da PONS PUJOL L.2009,p. 21).

Il trapetum era estesamente diffuso nelle province iberiche, ma è poco attestato all'interno dei territori dell'Africa Romana, dove, in particolare, risulta presente soprattutto nella regione di Capo Bon121.

È invece Columella a citare per la prima volta in letteratura la mola olearia122. Questo macchinario era costituito da una base circolare in pietra, concava e fissa, detta

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sottomola, all'interno della quale era inserito un cilindro litico verticale, la mola. Quest'ultima veniva manovrata azionando la cupa, un'asse trasversale, che era a sua volta attraversata perpendicolarmente da una trave (columella). La mola ruotava sia attorno a se stessa che attorno alla columella123.

La mola olearia poteva essere utilizzata sia sfruttando la forza umana che quella animale. Columella la elogia, sostenendo che fosse più efficiente rispetto al trapetum, in quanto poteva essere regolata in modo che esercitasse la forza necessaria.

Sembra che la mola non fosse nata come macchinario specifico per la produzione di olio e che abbia assunto questa funzione per la prima volta nell'ambito delle province iberiche, dove è attestata soprattutto nell'Hispania Baetica in un periodo compreso tra il I secolo d.C. e la Tarda Antichità124.

Fig. 10 Ricostruzione di una mola olearia (tratta da FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 31).

Il trapetum e la mola olearia, malgrado vari studiosi conservino qualche incertezza al riguardo, sono oggi noti archeologicamente, ma lo stesso non può essere affermato per altre tipologie di installazioni di molitura.

122 "Oleo autem conficiendo molae utiliores sunt quam trapetum"; COLUMELLA, De re rustica, XII, LII, VI. 123 VISMARA C.2007,p. 452; FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 31; DENTONE M.2004,p. 181.

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Fig. 11 Trapetum e mola olearia a confronto (tratto da PEÑA CERVANTES Y.2012b, p. 40).

Columella parla di un sistema denominato canalis et solea, descrivendolo come meno efficiente rispetto ai macchinari già descritti125. Doveva trattarsi di un'installazione dai caratteri primitivi, legata probabilmente a una produzione olearia ridotta, destinata all'autoconsumo. Basandosi sull'etimologia, vari studiosi contemporanei hanno supposto che potesse trattarsi di una vasca in legno o in muratura, dalla forma allungata e con il fondo caratterizzato da asperità, all'interno della quale le olive venivano schiacciate da operai che calzavano zoccoli di legno126. Partendo da questo tipo di ragionamento, Cinzia Vismara ha ipotizzato che una vasca rinvenuta nel sito di Uchi Maius127, nel territorio della Zeugitana, pavimentata con tessere piramidali di calcare col vertice posto verso l'alto, potrebbe essere collegata a questo sistema di frangitura delle olive128. Sempre Columella cita anche i tudicula129, la cui identificazione sta risultando, se possibile, ancora più complicata. Non esistono indizi che permettano di ricostruirne con certezza la struttura e, inoltre, archeologicamente non hanno lasciato tracce ad oggi

125 "Oleo autem conficiendo molae utiliores sunt quam trapetum, trapetum quam canalis et solea";

"Rursus trapetum plus operis faciliusque quam solea et canalis efficit"; COLUMELLA, De re rustica, XII, LII, VI-VII.

126 DENTONE M.2004,pp. 182-183.

127 Si tratta della vasca 3 del frantoio 17.1, localizzato nell'area 25000; CAMPUS F.G.R.,GAMBARO L.2007, pp. 228-233.

128 VISMARA C.2007,pp. 454-455.

129 "Est et organum erectae tribulae simile, quod tudicula vocatur, idque non incommode opus efficit, nisi

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riconoscibili. Fu Laporte, ormai negli anni '70130, a ricollegare a questo sistema le

cosiddette masse d'armes, degli oggetti in bronzo cavo di forma rettangolare, in origine collegati ad un manico in materiale deperibile, che presentano due facce principali con una terminazione conica e due facce laterali lavorate invece a spina di pesce. Questi elementi sono stati individuati soltanto nel Nord Africa, in particolare nei territori corrispondenti alla Mauretania Caesariensis131.

Fig. 12 Riproduzione di tudicula (tratta da LAPORTE J.P. 1978,p. 168).

In ultimo, ricordiamo le rotulae, menzionate da Palladio132. Si tratta di un sistema che prevedeva che la frangitura delle olive fosse effettuata utilizzando un cilindro di pietra, il quale veniva fatto rotolare all'interno di un'apposita cavità. Sembra che le rotulae fossero diffuse soprattutto in Siria, ma che fossero conosciute e utilizzate talvolta anche in Tunisia133.

È probabile che esistessero anche altri sistemi di carattere primitivo, che però, almeno per il momento, non sono stati individuati, forse in quanto macchinari costruiti interamente in materiale deperibile, oppure perché risulta molto difficile distinguerli rispetto ad altre installazioni produttive.

130 LAPORTE J.P.1978,pp. 167-174.

131 PEÑA CERVANTES Y.2010,pp. 37-38; VISMARA C.2007,p. 456.

132 "Trapetis et rotulis et prelo nata est forma quam consuetudo dictavit"; PALLADIO,Opus agriculturae, I, XX.

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Sempre per quanto riguarda la molitura delle olive, è interessante l'affermazione di Catone, secondo il quale era necessario prestare un'attenzione particolare affinché durante il processo i noccioli non si rompessero, poiché in questo modo avrebbero conferito un sapore eccessivamente amaro all'olio.

In realtà questo fatto sembra essere poco verosimile; infatti sono diversi gli studiosi ad aver osservato da vicino alcuni frantoi tradizionali ancora oggi in attività in Spagna, in Tunisia e in Marocco, all'interno dei quali, durante la frangitura, i noccioli vanno incontro a rottura, senza che l'olio in seguito ottenuto ne risenta in alcun modo134. Inoltre Tiziano Mannoni, occupandosi della questione, è giunto a ritenere che, se si eccettua la snocciolatura manuale, l'unico metodo attraverso il quale, in epoca romana e tardoantica, sarebbe stato possibile evitare la frantumazione dei noccioli è la cosiddetta pilatura. Questo sistema prevedeva l'utilizzo di un mortaio in pietra, caratterizzato dalla presenza di una cavità circolare piuttosto profonda, la cui terminazione aveva un profilo ogivale; il mortaio veniva usato insieme ad un pestello in legno dal peso considerevole, con una testa curva.

Le molae erano troppo pesanti per non rompere i noccioli: i dati archeologici attualmente disponibili hanno consentito di stabilire che il loro peso era generalmente compreso tra i quattro e gli otto quintali, motivo per cui sarebbe stato molto difficile mantenerle sollevate rispetto al fondo delle vasche di molitura, al fine di esercitare una forza minore sulle olive135.

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