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3. L'OLIO D'OLIVA NEL MONDO ROMANO E TARDOANTICO

3.3 I modi della produzione olearia: l'Africa Romana e l'Hispania

3.3.4 Premitura

La premitura o spremitura è la fase centrale del processo di produzione dell'olio; ad oggi questa operazione, che permette la liberazione dell'olio e della morchia, è stata generalmente sostituita dalla centrifugazione.

Fino all'età moderna, ad ogni modo, questa fase prevedeva che la sansa, ottenuta grazie alla molitura delle olive, venisse pressata per tre volte, al fine di ottenere oli di qualità differente. L'olio di prima pressione era considerato il migliore e poteva essere utilizzato in campo alimentare136; quello di seconda pressione, sebbene di qualità leggermente inferiore, poteva andare incontro allo stesso tipo di impiego. L'olio di terza pressione, al contrario, assumeva una composizione caratterizzata dalla presenza di sostanze tossiche,

134 PONS PUJOL L.2009,p. 23. 135 MANNONI T.2004,pp. 173-174.

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motivo per il quale era destinato a funzioni differenti rispetto agli altri, ad esempio poteva essere utilizzato come lubrificante o come combustibile.

Prima della seconda pressione, talvolta alla sansa veniva aggiunta dell'acqua calda, con una temperatura di circa 40°C; l'obiettivo di questa azione era quello di favorire la fluidificazione dei composti grassi e di ridurre la viscosità dell'olio. A questa operazione deve essere collegato il ritrovamento di vari focolari, documentati archeologicamente all'interno di un buon numero di frantoi oleari137.

Solitamente la sansa veniva inserita all'interno delle fiscinae o fiscoli, dei sacchi porosi molto flessibili che permettevano la fuoriuscita dei liquidi, ma non delle componenti solide; dato che trattenevano parte della sansa, in seguito ad ogni operazione dovevano essere accuratamente lavati, di modo che i residui non contaminassero le mandate successive138.

I fiscoli venivano impilati sulla cosiddetta base di pressa, una superficie orizzontale che poteva essere costituita da una grossa lastra monolitica, da un lastricato oppure da cocciopesto e che era delimitata da un canale circolare o, più raramente, quadrato; proprio da questo canale si dipartiva un sistema di canalette, le quali convogliavano il liquido ottenuto nei bacini per la decantazione139.

I fiscoli venivano quindi coperti con una tavola lignea (orbis olearius), sulla quale veniva esercitata la pressione attraverso un macchinario complesso, il torchio, le cui varie tipologie sono ad oggi note con una certa precisione sia per merito delle descrizioni che ne sono state fatte dagli autori antichi sia grazie ai ritrovamenti archeologici140.

Il tipo di torchio più antico è quello a leva, diffusosi a partire dal II secolo a.C. In particolare, è interessante il torchio a leva e a verricello (o modello catoniano). Esso prevedeva che il prelum, una grande trave, premesse sulla pila di fiscoli; la testa del prelum, detta fulcro, era solitamente alloggiata all'interno di una nicchia ricavata nel muro oppure tra due montanti (arbores), spesso litici, con facce interne caratterizzate dalla presenza di incavi. L'altra estremità, detta potenza, era innestata in un meccanismo di trazione che la spingeva verso il basso; infatti era legata ad un argano collegato a un

137 PEÑA CERVANTES Y.2010,p. 39. 138 VISMARA C.2007,p. 459.

139 PEÑA CERVANTES Y.2010,p. 39; VISMARA C.2007,p. 458.

140 I torchi presentavano alcuni elementi lignei che, per la loro natura deperibile, tendenzialmente non possono essere rinvenuti nei contesti archeologici; ciò che è stato studiato nel corso di scavi e ricognizioni sono le componenti litiche, le quali, in vari casi, ci sono state restituite in buono stato di conservazione e hanno permesso una ricostruzione puntuale dei macchinari originari.

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contrappeso o incastrato a terra. L'argano doveva trovarsi ad una quota inferiore rispetto alla base di pressa, poiché in questo modo il prelum poteva essere abbassato a sufficienza. I contrappesi erano grandi blocchi di pietra e, nel caso in cui fossero utilizzati in relazione a questo tipo di torchio, presentavano degli incassi laterali141.

Fig. 13 Ricostruzione di un torchio a leva e a verricello (tratta da FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 32).

Fig. 14 Ricostruzione di un contrappeso parallelepipedo (tratta da BIGI L.2016,p. 101).

Il torchio a leva e a verricello era il più diffuso nei territori dell'Africa Romana, sebbene presentasse una serie di varianti regionali, evidenziate dagli studi di David J. Mattingly. Le arbores litiche, infatti, erano presenti nella Tripolitania, nell'Alta Steppa tunisina e

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nell'Aurès; al contrario, in Algeria e nella parte settentrionale e orientale della Tunisia le arbores generalmente non venivano utilizzate, favorendo l'incastro della testa del prelum nel muro o in una parete rocciosa, tramite un incavo solitamente a coda di rondine142.

Il torchio a leva e a verricello, a partire dal I secolo a.C., venne affiancato dal torchio a leva e a vite. Questo nuovo tipo di macchinario andò incontro a una prima, buona diffusione soprattutto tra I e II secolo d.C., in particolare nell'Hispania Baetica, dove è ben attestato lungo le rive del fiume Guadalquivir. Fu però tra il IV e il VII secolo d.C. che cominciò ad essere utilizzato con maggiore frequenza, soprattutto nel Vicino Oriente e presso le regioni situate a Sud del mar Mediterraneo, come l'Egitto143.

I torchi a leva e a vite sono stati rinvenuti raramente nell'Africa settentrionale; alcune attestazioni si hanno forse da siti come Volubilis e Cotta, nella Mauretania Tingitana, dove questi macchinari sono stati introdotti probabilmente per mezzo degli stretti legami tra questa provincia e l'Hispania Baetica.

Il torchio a leva e a vite (o primo modello pliniano), come il nome stesso suggerisce, non utilizzava l'argano, ma una vite senza fine, solitamente collegata a contrappesi che presentavano dei fori circolari o quadrangolari nella parte superiore e che, talvolta, erano di forma cilindrica.

Fig. 15 Ricostruzione di un torchio a leva e a vite (tratta da FABIANI F.,PARIBENI E.2012,p. 32).

142 VISMARA C.2007,pp. 460-461. 143 LEWIT T.2012,pp. 138-139.

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Fig. 16 Ricostruzione di un contrappeso cilindrico (tratta da BIGI L.2016,p. 106).

Un'evoluzione ulteriore di questo tipo di installazione produttiva è costituita dal torchio a vite diretta (o secondo modello pliniano), il quale aveva dimensioni inferiori e la cui parte superiore era costruita quasi interamente in legno (motivo per il quale questo macchinario può anche non essere individuato archeologicamente). Questo tipo di torchio non utilizzava il prelum, ma, al suo posto, un cilindro con due leve orizzontali tra loro trasversali, collegate ad un palo verticale che deteneva la funzione di fulcro di pressione, tenuto in posizione da un architrave144.

L'operazione di premitura avveniva all'interno del torcularium, il quale, solitamente, nei territori dell'Impero Romano presentava una pavimentazione in opus signinum. Nell'ambito dei frantoi oleari dell'Hispania Baetica, però, è stata riscontrata una particolarità: sono molti i torcularia che presentano dei pavimenti in opus spicatum, costituiti da laterizi posti di taglio e disposti a spina di pesce. Spiegare l'utilizzo di una pavimentazione simile in collegamento con la pressione della sansa non è semplice, in quanto sono molti gli elementi che sembrerebbero indicarla come assolutamente poco adatta: i laterizi, infatti, sono in materiale poroso, la qual cosa suggerisce che dovevano impregnarsi di olio, con il rischio di compromettere le pressioni successive. Inoltre l'opus spicatum non è particolarmente resistente: sottoposto continuamente alla forza

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dei torchi oleari, doveva danneggiarsi spesso. Alcuni studiosi hanno tentato di spiegare l'uso di questa pavimentazione con il suo carattere refrattario e il suo aspetto145.

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