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Un mosaico di femminilità

In Mōsō dairinin non vi è la presenza di una vera protagonista femminile attorno a cui ruotano tutti gli avvenimenti della serie, ma essendo composta da episodi slegati tra di loro accomunati soltanto da un tema di fondo, abbiamo piuttosto come protagoniste delle singole puntate una serie di personaggi femminili dalla psicologia interessante. In loro sono individuabili tutti gli aspetti che caratterizzano la figura dell’eroina proposta da Kon nei suoi precedenti lavori scissi in questo caso in diversi personaggi. In totale vi sono sei figure femminili: la designer Sagi Tsukiko, la professoressa Chōno, Taeko, figlia del poliziotto Hirukawa, la piccola Kamome, la signora Kamohara e Misae, la moglie di Ikari. Hanno tutte età e background differenti, a partire dalla giovanissima Kamome fino alla più anziana, Miase, ma sono tutte accomunate da una profonda angoscia esistenziale dovuta a un preciso trauma, oppure semplicemente all’incapacità di affrontare le difficoltà quotidiane. Ciascuna di loro viene approfondita dal regista in maniera diversa a seconda del ruolo che ricoprono all’interno della serie. Tra tutte, quella che probabilmente più si avvicina alla figura della protagonista è Tsukiko, la giovane designer creatrice sia di Maromi che di Shōnen Bat. Sarà, insieme a Ikari e Maniwa, il personaggio che apparirà più frequentemente nel corso della serie nonché, in quanto sua creatrice, chiave nella sconfitta di Shōnen Bat.

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realizzata su modello del cagnolino che la ragazza aveva con sé quando ancora era una bambina. Quando era piccola, Tsukiko era molto legata al suo cucciolo, talmente tanto da non riuscire ad accettarne la morte e ancor meno il fatto che questa fosse una conseguenza di una sua mancanza. Traumatizzata dalla perdita del proprio animaletto, la sua psiche rinnega la sua parte di colpa nella vicenda, abbozzando nella sua mente quella che è una prima versione di Shōnen Bat, su cui far ricadere la colpa dell’accaduto. Il ricordo del trauma è probabilmente iniziato a riaffiorare a livello incosciente nella ragazza durante il processo di realizzazione della mascotte commissionatagli dallo studio presso cui lavora. Il sentimento di colpevolezza repressa è andato ad incidere sulla pressione causata dalle imminenti scadenze imposte dai suoi superiori ed il conseguente timore di perdere la fama acquistata con Maromi. Popolarità che si è tuttavia rivelata l’ennesima causa di dolore per la ragazza: quando Kon la rappresenta alla sua scrivania, imprigionata da quattro pareti che separano il suo studio da quello delle sue colleghe, la designer è oggetto di scherno delle sue collaboratrici, invidiose della stima guadagnata dalla giovane Tsukiko. A causa del clima di terrorismo psicologico unito alle pressioni dei suoi superiori e al ricordo della colpevolezza repressa, la mente della designer ha fatto risorgere la figura di Shōnen Bat in modo che la ragazza potesse utilizzarla nuovamente per fuggire dalle proprie responsabilità. Il sollievo tuttavia è solo momentaneo: non appena la vittima si riprende dall’aggressione subita ritorna alla vita di tutti giorni e allo stress che ne deriva.

A differenza degli altri personaggi assaliti, Tsukiko dopo l’aggressione sembra estraniarsi dalla realtà in cui vive, chiudendosi in uno stato di catatonia, la ragazza partecipa a diverse interviste via televisione e agli interrogatori della polizia, ma sembra essere distante dai suoi interlocutori, perennemente alienata dalle circostanze in cui si trova. Nemmeno il crescente credito dato alla notizia di Shōnen Bat e i conseguenti assalti ad altre persone ad opera di un personaggio che in realtà dovrebbe essere confinato soltanto nella sua mente sembrano distogliere la ragazza dallo stato di apatia in cui è piombata. La passività di Tsukiko è pari se non superiore a quella di Mima di Pāfekuto burū, ma le due ragazze hanno tuttavia due modi differenti di rapportarsi con il proprio essere. Se la passività di Mima è dovuta soprattutto all’incapacità di identificare il proprio io e quindi di prendere una posizione definita rispetto agli eventi, quella di Tsukiko è indotta dalla sua autoconvinzione nel tentativo di fuggire dai propri doveri. In Mima avviene una lotta interiore, un profondo disagio mentale tra se stessa e la proiezione del suo alter ego, al quale la giovane idol talvolta tenta di reagire, non ottenendo tuttavia alcun risultato a causa delle condizioni di stress psicologico dovute al nuovo ambiente lavorativo. Tsukiko, invece, è completamente appagata dalla sua inerzia, è passiva perché ha scelto di esserlo pur di non adempire ai suoi compiti, e sarebbe probabilmente rimasta nel suo stato di indifferenza se non fosse stata destata dalla telefonata di Maniwa che ha riportando alla luce il trauma subito dalla ragazza dieci anni addietro. La passività di Mima ha avuto delle ritorsioni su alcuni membri della troupe televisiva per cui lavorava,

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provocando un forte senso di disagio nella ragazza che si è sentita colpevole per la morte dei colleghi. Tsukiko, al contrario, non si sente minimante responsabile per le aggressioni di Shōnen Bat, diventate sempre più violente. Se inizialmente le vittime subivano un lieve infortunio, nelle puntate finali della serie lo scontro con Shōnen Bat equivaleva alla morte, eppure la designer è sempre rimasta impassibile alla notizia, anche quando la vettura del suo manager si schianta di fronte ai suoi occhi decretando la fine della vita dell’uomo.

La telefonata di Maniwa risveglia la ragazza dalla sua apatia, ma ciò non è sufficiente a fermare Shōnen Bat e la scomparsa di Tsukiko e Maromi, rifugiatasi nella fantasia di Ikari su consiglio di quest’ultima, fa piombare Tokyo in uno stato di caos completo. Nel mondo immaginario del poliziotto, Tsukiko compare esattamente durante un flashback riguardante l’infanzia dell’uomo, il ricordo di una dichiarazione d’amore fatta alla ragazza di cui era innamorato quando era solo al liceo. L’uomo, fuori dall’aula, sbircia le tre ragazze che vi sono all’interno, tra cui anche Tomomi, la giovane a cui si era dichiarato. Anche qui Kon inserisce la componente voyeuristica nell’accezione più romantica del termine: benché siano passati anni, Ikari si imbarazza ancora al ricordo di quella dichiarazione, inoltre, l’uomo si trova nel suo mondo incentrato sugli antichi valori della tradizione, è quindi indiscutibile che si tratti di voyeurismo nel senso più sano del termine. Dai discorsi che provengono dall’interno dell’aula sembrerebbe che Tomomi stia per uscirne, ma quando la porta si spalanca, al posto della giovane innamorata di Ikari, compare Tsukiko. Inizialmente il regista aveva pensato ad un possibile coinvolgimento amoroso da parte della giovane designer con il detective Ikari, e forse questa scena era originariamente parte di quel disegno, ma Kon ha scartato questa eventualità privilegiando il rapporto tra il poliziotto ormai rassegnato e l’intramontabile fedeltà e stima la moglie Misae nutre nei suoi confronti. Il rinnego da parte dell’uomo del mondo che la sua stessa mente aveva generato costringe anche Tsukiko a fare definitivamente i conti con la realtà: la ragazza rivive il dolore della perdita del cagnolino, ma con la consapevolezza di una persona adulta, accettando l’evento e prendendosi la responsabilità dell’accaduto.

Il secondo personaggio femminile in ordine di apparizione è Chōno Harumi, mite professoressa di giorno e prostituta di notte, una doppia vita non dovuta a un capriccio o ad una necessità, ma ad un disturbo di sdoppiamento della personalità. È il personaggio che più di tutti ricorda Mima di Pāfekuto

burū: le due donne condividono la stessa passività, nonché il problema di incompatibilità con il proprio

alter ego. La prostituta Maria – da notare l’ironia del regista ad affidare ad una prostituta il nome della Vergine Immacolata – è una versione più aggressiva dell’immagine di se stessa che Mima vede riflessa negli specchi o nello schermo del computer. La battaglia di Harumi è la stessa combattuta da Mima: le due personalità sono costantemente in lotta del tentativo di affermarsi l’una sull’altra come “vero io”. Se per Mima però è un disturbo momentaneo iniziato con lo stress dovuto al cambio di professione,

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per la maestra Chōno è qualcosa che va avanti da tempo, vista anche la necessità della donna di rivolgersi ad uno specialista per provare a curare il malessere. Non vengono rivelate né le cause né il momento preciso in cui Maria ha iniziato a manifestare la sua presenza, ma la donna sembra essere sempre più aggressiva nei confronti della fragile Chōno.

Harumi è un personaggio pacato e misurato, soprattutto quando si trova in contesto pubblico sembra essere spoglia di qualsiasi emozione autentica, le uniche volte dove sembra mostrare una parte del suo carattere è proprio nelle liti telefoniche con Maria. Se Harumi non è in grado di definire il suo vero io, di contro, Maria non ha dubbi sulla sua esistenza è certa di ciò che è e ciò che vuole ottenere, mostrando sempre un atteggiamento schietto sia con l’altra sua metà, sia con i clienti che frequenta. È possibile considerarla la performer di questa serie, vista l’abilità della donna di interpretare diversi ruoli a seconda delle richieste del cliente – in un frangente è possibile vederla vestire i panni di Marylin Monroe nella celebre scena di The Seven Year Itch (in Italia conosciuto come Quando la moglie è in vacanza).

Figura 13: Maria travestita da Marylin Monroe in The Seven Year Itch.

Maria desidera che Harumi ritrovi la vera se stessa, così che anche lei possa essere più serena ed effettivamente la soluzione sembra migliorare con la proposta di matrimonio da parte del professore universitario per cui lavora, forse anche più inespressivo della stessa Harumi. Da quello che il regista mostra sullo schermo, il loro rapporto è piatto, spoglio di qualsiasi tipo di emozione e le loro conversazioni sono banali e intervallate da lunghi silenzi. La loro paralisi emotiva toccherà l’apice nella scelta di suggellare il matrimonio con delle semplici foto in una finta chiesa cattolica: la sacralità di un rituale che dovrebbe rappresentare l’amore vero e duraturo viene sradicata e rimpiazzata da una

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semplice cornice fittizia. Eppure l’idea di cambiare vita e assumere effettivamente un’identità anche nella sfera privata – ovvero quella di moglie del professore – sembra migliorare lo stato psicologico di Harumi. Conseguentemente, diminuiscono le apparizioni di Maria fino a scomparire del tutto, ed è in quel momento che la maestra decide di gettare tutti i vestiti e i trucchi appartenenti alla donna. Tuttavia, questo gesto equivale a negare una parte di sé, atto necessario a risvegliare la rabbia di Maria che ritorna ancor più prepotentemente a minare la psiche della donna. Giunta al limite, nella scena dell’aggressione di Shōnen Bat, la donna ha il volto truccato come quello di un pagliaccio.

Con questo episodio, Kon ha voluto mettere in scena il conflitto tra l’immagine che una persona deve mantenere in pubblico e quella della sfera privata, rappresentante il proprio io. Per farlo, Kon si è ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto: la donna in questione aveva un buon impiego presso un’importante società, aveva delle buone entrate, eppure alla sera lavorava come prostituta. Evidentemente afflitta da un forte conflitto interiore, la donna in questione è stata ritrovata morta suicida. Il caso ha canalizzato l’attenzione della gente sulla diversità delle attività svolte dalla donna e conseguentemente ha risvegliato l’attenzione sul suo malessere interiore. Kon ha voluto riprendere la vicenda e rielaborarla per dare nuovamente uno spunto su cui riflettere in merito all’inconciliabilità tra l’immagine pubblica che una persona è costretta a mantenere sul luogo di lavoro e quella privata – tema già proposto in Pāfekuto burū.

Il terzo personaggio femminile della serie è Taeko, la figlia adolescente di Hirukawa che, come ogni bambina, vede suo padre come un eroe. La sua cieca devozione per il padre sviluppata in età infantile non le ha mai permesso di vedere la depravazione dell’uomo. Il regista, infatti, rivela al pubblico la vita dissoluta del poliziotto e la sua inclinazione per la pedofilia, ma il rapporto tra padre e figlia sarà chiaro allo spettatore soltanto con l’episodio Chokugeki no fuan che affianca all’immoralità di Hirukawa il dramma vissuto dalla ragazza dopo esserne venuta a conoscenza. Nella puntata Otokomichi, vediamo che durante i suoi rapporti occasionali con le prostitute, l’uomo ha la pretesa di essere chiamato “Paparino” e, se questo particolare poteva essere inteso come una semplice fantasia dell’uomo, l’episodio successivo conferma la mentalità perversa del poliziotto, prova dell’interesse sessuale dell’uomo per la sua stessa figlia.

Per disegnare Hirukawa, Kon ha preso spunto da un caso realmente accaduto di una giovane ragazza, Asako, che, entrata nel giro della prostituzione, frequentava un signore la cui richiesta era proprio quella di essere chiamato “Paparino”. Kon ha modellato la storia di Hirkuawa e di Taeko su questa vicenda, facendo cadere la figlia liceale come vittima inconsapevole delle fantasie sessuali dell’uomo. L’immagine che la giovane Taeko aveva di suo padre, alla fine si era rivelata essere nient’altro che una proiezione mentale forte e rassicurante creata volontariamente della ragazza. La vita che ha sempre vissuto si è dimostrata una menzogna, l’uomo eccezionale di cui da bambina era innamorata in realtà non è mai

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esistito. La verità costituisce un peso troppo grande e inaccettabile per Taeko che, piuttosto che affrontarla, preferirebbe vivere nella dimenticanza. Sull’orlo della disperazione, la ragazza invoca l’aiuto di Shōnen Bat, prontamente accorso per portare sollievo all’ennesima persona al limite. L’essere la colpisce talmente forte da provocare l’amnesia tanto desiderata dalla giovane, concedendole il meritato sollievo. Il regista ha probabilmente inserito la storia di Taeko per dimostrare come anche le persone che non sono inscrivibili nella categoria degli “otaku” possano desiderare un mondo fittizio per fuggire dalle delusioni della vita reale.

Abbiamo poi la piccola Kamome nella puntata Happy Family planning, una ragazzina delle elementari – se non addirittura dell’asilo - aspirante suicida. È sicuramente il personaggio più enigmatico e sinistro della serie: compare solamente nell’ottava puntata e il suo passato è avvolto nel mistero, esattamente come quello dei suoi compagni Zebra e Fuyubachi. Non sappiamo quali possano essere le motivazioni che abbiano spinto una bambina così piccola a contemplare l’idea del suicidio, ma sicuramente la giovane età della piccola in rapporto agli eventi del corso della puntata è l’aspetto che più fa rabbrividire. Kamome ha conosciuto i suoi due compagni su una chat online di suicidi, non viene detto come la ragazzina sia venuta a conoscenza del sito, ma è indubbiamente una testimonianza dalla diffusione del media di internet avvenuta negli ultimi anni e la facile accessibilità anche da parte dei più piccoli. La chat di suicidi dimostra, inoltre, uno dei possibili usi sbagliati del mezzo, un risvolto macabro di quello che è diventato il metodo di comunicazione per eccellenza.

Durante l’intera puntata Kamome si comporta normalmente in compagnia degli altri due uomini: la ragazzina non appare disperata, turbata da qualche pensiero oscuro che possa indurla a togliersi la vita, piuttosto sembra essere pronta per trascorrere una giornata divertente in compagnia dei suoi due amici. L’assenza di inquietudine nell’animo della ragazza è la parte che più sconvolge lo spettatore, i vari tentativi di suicidio per la bambina sembrano un semplice modo di ingannare il tempo, piuttosto che la soluzione estrema per porre fine ad un malessere interno. È possibile ipotizzare quindi che la ragazzina non si renda conto della vera entità del gesto ma che l’abbia fatto semplicemente per noia. La curiosità e la facile fruibilità di internet – utilizzato probabilmente all’insaputa dei genitori evidentemente troppo impegnati con il proprio lavoro - l’ha portata alla chat di suicidi dove ha conosciuto Zebra e Fuyubachi. La ragazzina, eventualmente sola per la maggior parte del tempo, ha ritrovato in loro degli amici con cui confidarsi, cadendo però quasi inconsapevolmente in una drammatica spirale. Il regista confina la presenza di Kamome in questa singola puntata, lasciando lo spettatore pieno di domande e congetture, ma non fornendogli una risposta definitiva.

La signora Kamohara comparsa nell’episodio ETC. è forse il personaggio più miserevole e insignificante della serie. Il suo disagio deriva dal senso di inadeguatezza che nasce nella donna all’idea di non essere apprezzata dalle altre inquiline che abitano nel suo stesso stabile. Le tre casalinghe, tutte

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avanti con l’età, vivono nella palazzina da più tempo di Kamohara e di conseguenza hanno formato un gruppo unito e compatto, ritrovandosi ogni giorno a scambiare qualche pettegolezzo sui fatti del vicinato. Gli inutili tentativi di Kamohara di integrarsi nel gruppo fanno nascere nella donna un senso di disagio misto alla rabbia provata per le continue critiche ricevute dalle anziane signore. Quando al suo ritorno troverà il marito immerso in una pozza di sangue a causa dell’aggressione di Shōnen Bat, il primo pensiero della donna non va al coniuge gravemente ferito, ma al desiderio di scoprire com’è avvenuto l’incidente per poter dimostrare alle donne di essere all’altezza – se non addirittura superiore – alle loro aspettative. La donna non ha raggiunto limite – Shōnen Bat si manifesta per colpire il marito, non lei - ma ha comunque un disperato bisogno del misterioso aggressore sui pattini. La brama di omologazione della donna potrebbe essere letta in senso più ampio all’intera società giapponese e allo standard di uniformazione che essa promuove. L’incapacità di integrarsi con la massa è spesso fonte di disagio per il singolo, trasformando in psicosi la necessità di adeguarsi alla maggioranza per essere accettati da questa.

L’ultima figura femminile a essere introdotta nella serie è quella di Misae, la moglie del poliziotto Ikari. La donna è il secondo personaggio femminile per importanza dopo Tsukiko, il cui ruolo fondamentale sarà quello di smascherare Shōnen Bat e soprattutto risvegliare la coscienza del marito per riportarlo al mondo reale. Senza il suo intervento, probabilmente sia Ikari che Tsukiko sarebbero rimasti intrappolati in un’eterna fantasia, e Tokyo sarebbe andata verso una distruzione certa. La donna è di salute cagionevole sin da quando era giovane e spesso si è ritrovata a pensare che la sua malattia potesse costituire un impedimento nel lavoro e nei rapporti. Consapevole della fragilità della donna, Ikari ha scelto di rimanere al suo fianco affrontando insieme ogni problema, ma dopo la morte prematura della figlia, la relazione tra i due non è stata più la stessa.

Fisicamente debole, è in realtà la donna più forte tra quelle presenti nella serie, l’unica la cui volontà ferrea non verrà nemmeno scalfita dalla facile via di fuga rappresentata Shōnen Bat. La cieca fiducia e il rispetto che Misae prova nei confronti del marito costituiscono la fortitudine della donna, ciò che le ha permesso di affrontare con tenacia e responsabilità qualsiasi ostacolo che la vita le ha posto dinnanzi. L’immagine che la donna ha del marito è molto simile a quella che Taeko aveva costruito di Hirukawa: la descrizione di Ikari che la donna fornisce a Shōnen Bat rispecchia solo in parte la vera essenza dell’uomo, la cui tenacia si è affievolita nel corso degli anni. Gli incoraggiamenti di Ikari, portavoce degli antichi valori, erano tutti improntati sulla morale tradizionale, di come fosse necessario affrontare la realtà senza ricorrere a facili vie di fuga, insegnamento di cui la donna ha fatto tesoro incarnando