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Il ricordo come rifugio dalla realtà

Kanojo no omoide offre al pubblico una sorta di introduzione a quelli che saranno i futuri lavori di Kon,

anticipandone alcune caratteristiche fondamentali e i temi trattati. In quest’opera realizzata insieme al regista Morimoto, Kon non ricopre la carica del regista, bensì quella dello sceneggiatore, riproponendo in modo più approfondito la storia dell’omonima strip ideata da Ōtomo. La trama del fumetto originale è molto più semplicistica e lineare: la figura di Eva non compare mai direttamente davanti agli sventurati netturbini galattici, la presenza della volontà della donna è espressa dai suoi pensieri, comunicati soltanto al lettore. L’atmosfera è resa angosciante dall’arredamento in stile veneziano, decisamente insolito per l’interno di una nave spaziale, dalla tavola imbandita che si scoprirà essere poi un ologramma – così come ogni cosa all’interno della navicella –, ma soprattutto dal ritrovamento dei protagonisti della salma ormai consunta della donna che aveva deciso di isolarsi in quell’angolo remoto di spazio. I piccoli robot-servitori, ancora attivi all’interno della navicella, aumentano la carica adrenalinica inseguendo i due uomini e facendo definitivamente sembrare la nave spaziale posseduta da un’entità maligna. Il manga si conclude esattamente come la versione animata, ma il personaggi sono presentati con superficialità, senza una buona analisi introspettiva come invece proporranno Morimoto e Kon nel loro adattamento.

Il film si presenta come uno psico-thriller dai toni eleganti e poetici con un buon grado di surrealismo dato dalla mescolanza di vero e reale, passato e presente. La drammaticità dell’opera è evidenziata dalla ricercatezza e la realisticità del disegno, una cura spropositata nella realizzazione degli scenari e la liricità con cui viene affrontato il passato dei personaggi. La narrazione è tutt’altro che lineare, Kon e

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Morimoto propongono una varietà di scene a trompe l’oeil74 dove lo spettatore, insieme ai personaggi,

sono catapultati sempre più in un mondo misterioso e affascinante dove la differenza tra ciò che è reale e ciò che è simulato è sempre più difficile da distinguere.

Trattandosi di un film la cui trama ruota attorno al passato di una cantante di opera lirica, un apporto fondamentale è dato dalla colonna sonora, composta da Kanno Yōko, nella quale verrà inserita anche un adattamento dell’aria Un bel di’ vedremo cantata da Maria Callas. L’intera opera è colma di riferimenti al mondo della musica lirica, dalla rappresentazione degli ambienti sfarzosi che ben incarnano l’eleganza tipica dell’ambiente, alla figura di Eva, liberamente ispirata a quella di Maria Callas, e ancora lo stesso passato della donna ricorda la trama della Madama Butterfly di Puccini75.

Il titolo della pellicola, Kanojo no omoide, rivela già un importante indizio che acquisterà un senso per lo spettatore soltanto nella scena finale, quando attraverso un fluido movimento della camera rivelerà le reali fattezze della bizzarra astronave: una rosa dall’irresistibile potere, in grado di attirare a sé gli sventurati passanti. L’incipit della trama è ingannevole, orientando l’osservatore verso un semplice racconto fantascientifico. Il segnale d’aiuto trasmesso sotto forma del brano della Madama Butterfly costituisce il primo inquietante segnale che indirizza lo spettatore verso quello che sarà il vero corpus della storia, un’escursione onirica in cui i ricordi di Eva si mischiano e si sovrappongono a quelli dei due protagonisti, Heinz e Miguel. Le lunghe sequenze narrative che mostrano il passato dei personaggi si sovrappongono a quelle più dinamiche degli inseguimenti e le fughe da quello che sarà un inevitabile destino. Il senso di angoscia e smarrimento dei due uomini risulta enfatizzato dal realismo nel disegno, che permette allo spettatore di immedesimarsi nella loro posizione, il tutto amplificato dall’opulenza degli ambienti, ampi e claustrofobici al contempo. I protagonisti sono disorientati, incapaci di comprendere appieno la situazione in cui si trovano fino alla fine dell’opera, quando sarà ormai troppo

74 Il termine, utilizzato originariamente in campo pittorico, ha origini dal francese e significa letteralmente “ingannare l'occhio”. Il termine è stato coniato in periodo Barocco per indicare un tipo di pittura che dà l'illusione della tridimensionalità in modo da far apparire l'oggetto reale.

75 La Madama Butterfly è un'opera lirica ispirata al dramma Madame Butterfly, ideato dal commediografo americano Balesco Devid. Il protagonista della storia è un ufficiale della marina statunitense sbarcato in Giappone, a Nagasaki. L'uomo convola a nozze con la geisha ChōChō (nella lingua giapponese il suo nome significa “farfalla”), ma le leggi nipponiche prevedono che il matrimonio possa essere annullato nel momento in cui l'uomo decidesse di sposarsi con una donna americana. E così accade, quando l'ufficiale farà ritorno in America si unirà in matrimonio con un'altra donna, ripudiando così la “Madame Butterfly”, nome che Chōchō aveva adottato dopo le nozze. Nonostante tutto, la donna continua ad avere una fede cieca nell'ufficiale, convinta che un giorno tornerà da lei per crescere insieme a lei il figlio nato dalla loro unione. L'uomo tornerà in Giappone tre anni più tardi, ma contrariamente alle aspettative di Chōchō, non per formare una famiglia insieme a lei, bensì per ottenere la custodia del figlio, intenzionato portarlo con lui negli stati uniti per crescerlo secondo i “valori occidentali”. Ottenuta la custodia del bambino, l'uomo torna in America, mentre Chōchō che ha visto infrangersi tutti i suoi sogni e le speranze di una vita felice, dapprima si isolerà dal resto del mondo per poi inevitabilmente suicidarsi.

73 tardi per tornare indietro.

Il film mette in evidenza i rapporti tra uomo e donna, proponendo tre tipi diversi di amore: quello strettamente legato alla famiglia di Heinz, quello passionale di Miguel e infine l’amore controverso e malato di Eva. In tutti e tre i casi si tratta di un amore triste, dall’inevitabile finale amaro. I rapporti sentimentali di Miguel sono quasi esclusivamente di puro piacere, all’inizio del film elenca una serie di nomi di donne riferendosi a loro come le sue amanti da cui deve tornare. La sua indole da casanova lo accompagna persino ai limiti dello spazio, incapace di rimanere indifferente nei confronti della macabra ma attraente figura di Eva. Nei ricordi della donna, infatti, l’uomo – accomunato dallo stesso fascino mediterraneo – ricoprirà il ruolo di Carlo, lo sventurato fidanzato di Eva, i cui modi galanti lo rispecchiano alla perfezione. Miguel sarà la vera vittima della cantante: disposto a rincorrere quello che è ormai soltanto lo spettro di una donna, si fonderà definitivamente con le memorie di Eva, rimanendo imprigionato nel suo mondo fittizio fatto di ologrammi e sfarzosi ricordi.

Eva è l’emblema di un amore malato: raggiunto l’apice della notorietà, nel momento in cui ha perso la sua voce – ciò che la rendeva speciale – ha perso anche l’affetto del suo pubblico e l’amore – forse non poi così sincero - di Carlo. Consumata dall’odio, sarà lei stessa ad uccidere il suo fidanzato, ma dichiara vendetta all’intero genere maschile creando il suo castello fatto di ricordi per attirare e mietere sventurate vittime.

All’inizio della storia, la foto della sua famiglia dentro al portafoglio di Heinz porta lo spettatore a credere che i suoi cari stiano aspettando a casa il suo rientro, ma la verità sull’uomo verrà svelata solo nella parte finale del film. Gli ologrammi che Eva utilizza per far ricadere la sua vendetta anche su di lui, rivelano che l’astronauta in realtà non ha nessuno da cui tornare: l’uomo ha visto la sua famiglia sgretolarsi davanti ai suoi occhi con la morte della figlia, di cui si è sempre sentito responsabile. Se in un primo momento l’uomo sembra quasi cedere all’inganno di Eva, l’allettante proposta di trattenersi in quel luogo per rivivere in eterno il ricordo della sua famiglia felice, Heinz, rivivendo più e più volte la morte della figlia attraverso gli ologrammi, riesce a non cedere alle lusinghe della donna e finalmente ad accettare il suo passato. Sfortunatamente l’astronauta riuscirà a districarsi dai suoi ricordi solo quando per lui e per gli altri membri dell’equipaggio della Corona sarà ormai troppo tardi.

Il tema che accompagna il corso della narrazione è la memoria, la nostalgia legata a un passato distrutto, andato perso per sempre. Kon, giocando con l’ambivalenza tra illusorio e reale, rappresenta i diversi modi che l’essere umano ha di rapportarsi con il proprio passato: se da un lato c’è la dolorosa accettazione di Heinz, dall’altro c’è l’ostinazione di Eva, incapace di lasciarsi alle spalle i giorni di gloria. Non essendo in grado di affrontare le conseguenze derivate dalla perdita della voce, il ricordo per Eva rimane l’unica possibile consolazione, per questo motivo decide di creare il suo paradiso fatto di memorie dove rivivere in eterno il successo dettato dalla sua carriera. Il rancore della donna viene

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tradotto dagli ologrammi che infestano e tormentano la psiche dei protagonisti, sfidati ad affrontare le proprie paure e desideri più profondi.