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Il rispetto per il passato per un prospero futuro

Kaikisen è stato il primo manga di Kon ad essere pubblicato in monografico e, vista la particolarità dei temi trattati e dell’aspetto grafico del fumetto, per Kon è stato un successo sotto tutti gli aspetti. Nell’opera di esordio di Kon, troviamo ancora allo stato primordiale alcune di quelle che diventeranno in futuro le caratteristiche distintive del regista, quali una rappresentazione più improntata sul live action che sullo stile classico dei manga, e l’introduzione dell’elemento fantastico nel mondo reale.

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Il manga si presenta come un’opera verosimile: il palcoscenico su cui si svolgono gli eventi non è la Tokyo che il regista rappresenterà più volte nei suoi lavori successivi, bensì una località balneare decisamente più pacifica e tranquilla rispetto alla metropoli, nonostante il fermento per i preparativi del festival della sirena. Su questo scenario l’autore porta alla luce degli argomenti interessanti e particolarmente discussi nel Giappone contemporaneo. Il primo è sicuramente la perdita dei valori tradizionali in favore della modernizzazione delle aree periferiche come conseguenza di un’altra importante questione che preoccupa lo stato nipponico: lo spopolamento delle zone rurali a causa della migrazione dei giovani verso la città.

Da sempre, i paesi rurali sono portavoce di antiche usanze e tradizioni, valori spesso affievolitesi nelle grandi città. Prive di qualsiasi sbocco lavorativo che possa essere un’alternativa all’ereditare l’attività di famiglia, i giovani si spostano verso Tokyo, metafora di un futuro brillante e ricco di possibilità di impiego. Questo è effettivamente è il destino a cui è legato il protagonista dell’opera, intento a studiare per l’esame di ammissione all’università in modo da avere maggiori possibilità lavorative per il suo futuro. “La natura è importante, ma non si può vivere mangiando il panorama” è la frase che meglio incarna il desiderio del padre di Yōsuke di rivoluzionare il paese per renderlo attrazione turistica e fonte di guadagno per i compaesani. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale, quando il termine “occidentalizzazione” è diventato sinonimo di “progresso”, è stata attuata una forte politica di industrializzazione del paese e più precisamente delle aree metropolitane, lasciando così le zone più esterne e periferiche in una sorta estraneazione da questo progetto. Le campagne presentavano difficoltà nel mantenere una vita comunitaria implicando grossi disagi soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture. Successivamente, in seguito soprattutto al fenomeno di sfollamento delle campagne, sono stati molti i tentativi di sviluppo delle zone rurali per rendere anch’esse cittadine moderne e fonti di lavoro. Tuttavia, per poter costruire qualcosa è necessario distruggere qualcos’altro, e in questo caso si tratta della natura. Da tale comportamento, al fine di permettere un repentino sviluppo economico, si ha come inevitabile conseguenza il disfacimento più o meno parziale dell’ambiente circostante, unito ad un forte fattore di inquinamento che potrebbe avere riscontri cruciali per l’intero ecosistema. Come già detto in precedenza, la natura ricopre un ruolo sacrale nel collettivo giapponese, e deturpare l’ambiente corrisponde al venire a meno alle tradizioni e il rispetto che si ha verso di queste. Talvolta, come spesso raccontato nelle leggende o nella letteratura, la concezione animista dei fenomeni naturali ha insidiato nell’uomo il terrore che ad un comportamento scorretto da parte degli esseri umani, la natura potesse ribellarsi ed avere conseguenze catastrofiche sull’uomo. Per questo motivo sin dai secoli antichi, gli abitanti del Giappone hanno trattato l’ambiente con timore e rispetto tenendo fede a quelle che sono le tradizioni, ma con l’insinuarsi del pensiero occidentale caratterizzato dal dominio degli esseri umani sulla natura, insieme alla necessità di avere un’economia al passo coi tempi, ha assopito

45 questo tipo di pensiero nella coscienza di alcuni giapponesi.

In Kaikisen assistiamo allo scontro di questo tipo di atteggiamenti: il nonno è portavoce delle generazioni passate, dedite alla tradizione e al rispetto per i kami64 mentre suo figlio, il padre del

protagonista, rappresenta la generazione nata durante la guerra, coloro che hanno passato la loro gioventù sotto l’influsso dell’occupazione americana e si pongono con una mentalità più propensa al cambiamento. A fare l’ago della bilancia in questa situazione sarà Yōsuke. La scelta di Kon di rendere il protagonista il personaggio chiave per risolvere il conflitto è simbolica: il futuro sarà scritto dalle generazioni a venire, saranno loro a decidere se sia più giusto far tesoro delle tradizioni o se accantonarle per vivere in una realtà più materiale e pratica, ma meno spirituale.

Figura 1: scena dell'incontro con la sirena.

Il protagonista durante il corso della storia è sempre affiancato dai suoi amici d’infanzia che lo aiutano a riflettere e lo supportano in ogni sua decisione. Tetsu e Natsumi rappresentano due modelli differenti della gioventù odierna, Tetsu è il tipico maschio adolescente che vive il presente: non è

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particolarmente preoccupato per il suo futuro – al contrario di Yōsuke che dedica gran parte del suo tempo a studiare per l’esame di ammissione – ed è legato per lo più ai piaceri carnali, al desiderio di trovare una ragazza interessata ad avere una relazione con lui. Natsumi, più sensibile e riflessiva, è l’esempio della ragazza disillusa, colei che ha sperimentato la vita a Tokyo, ma che alla fine, dopo aver subito svariate delusioni, ha deciso di ritornare al suo paese d’origine per ritrovare se stessa. Natsumi, unica figura femminile di riferimento per il protagonista, gioca un ruolo chiave nelle scelte di Yōsuke. Giudiziosa e matura, riesce a confortare e dare consigli imparziali al protagonista, turbato dagli screzi interni alla sua famiglia. La perdita della madre quando ancora era bambino è un altro fattore decisivo nelle scelte del giovane. Il ricordo della scomparsa della madre farà capolino più volte all’interno della trama, rievocando epifanie dell’incidente nel caso di Yōsuke, mentre tormenterà il padre come un fantasma, impotente e rassegnato al fatto che è soprattutto il sottosviluppo della struttura ospedaliera del villaggio ad essere la causa della morte della moglie.

Altro elemento tipico di Kon che riscontriamo già dal suo primo manga è la componente fantastica, abilmente fusa con la realtà. Se dalle prime pagine può sembrare un semplice fumetto che tratta di temi riguardanti la vita di tutti i giorni, presto evolve in una fiaba con l’introduzione della leggenda della sirena. L’inserzione della componente fantastica, oltre ad essere il vero obiettivo di Kon, è ciò che serve a smorzare la piega apparentemente critica con cui rischia di essere letto il manga. L’elemento sovrannaturale è l’uovo di sirena, questo misterioso cimelio custodito nel tempio di famiglia che sembra suggellare un patto con una sirena che paia abitare a largo del litorale. La leggenda è avvolta in un alone di mistero fino alla fine del fumetto: nessuno sa se quello nel tempio sia un vero uovo, così come nessuno sa se la sirena esista realmente. Eppure questa leggenda è parte integrante del villaggio, l’intera comunità di regge su di essa, tanto da organizzare persino un festival in suo onore. L’intenzione del padre di Yōsuke di rivelare ai media dell’esistenza dell’uovo pur di lucrare sulla manifestazione attirando turisti, spoglia il rituale di tutta la sua sacralità. Il gesto di Yōsuke alla fine del manga, quando riconsegnerà il piccolo di sirena alla sua mamma, ristabilisce la solennità del patto stretto sessant’anni prima, confermando anche la veridicità della leggenda. Il signor Ozaki, unico spettatore del gesto, ha la conferma che non si tratta di una semplice storiella di paese, comprendendo così l’importanza del rispetto dell’ambiente e delle tradizioni ad esso legate.

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Wārudo apātomento horā

In un quartiere della Tokyo odierna è situato un fatiscente condominio abitato abusivamente da persone provenienti da diverse nazioni dell’Asia. Itta, il protagonista della storia, è un membro di un clan della yakuza che, per ordine dei suoi superiori, si reca nell’edificio per mettersi in contatto con un altro membro del gruppo, Hide, incaricato di far evacuare gli inquilini indesiderati. Quando Itta bussa alla porta dell’appartamento di Hide, non solo il collega mostra un atteggiamento aggressivo, ma sembra essere in stato semi-confusionale, quasi posseduto. Intimorito dalle condizioni dell’uomo, Itta lascia velocemente il palazzo per tornare al suo solito posto di lavoro.

L’uomo gestisce un’agenzia di appuntamenti le cui collaboratrici sono per lo più ragazze straniere disposte a soddisfare i desideri dei clienti pur di portare a casa qualche soldo. Viene contattato sul posto di lavoro dai suoi superiori che gli comunicano la fuga di Hide ed il conseguente passaggio dell’incarico affidato precedentemente a quest’ultimo: sarà Itta a dover far sgomberare gli abusivi dall’appartamento, il tutto entro una settimana.

Giunto sul posto, Itta cerca di capire quanti siano gli inquilini che dovrà mandare via dai propri appartamenti, scoprendo che gli abitanti sono più del previsto e che appartengono alle più svariate etnie. In un locale minuscolo vivono un gruppo di cinesi dediti al gioco d’azzardo, un altro è l’appartamento di un ragazzo taiwanese giunto in Giappone nella speranza di un futuro migliore di quello che il Taiwan potesse offrire a lui e alla sua famiglia, e poi ancora il gestore filippino di un night club, un uomo pakistano e infine un inquilino indiano. Itta prova numerosi espedienti per costringerli ad abbandonare le case di propria volontà, dagli insulti e le intimidazioni alla musica a tutto volume, ma ottiene l’effetto contrario e quando si mette con lo stereo a cantare a voce piena sul pianerottolo, i coinquilini invece di infuriarsi si uniscono ai canti sfrenati. Quando Annie, un’escort di origini straniere, lo viene a trovare si intratterrà con lei in un rapporto sessuale a porte aperte pur di infastidire gli abitanti del palazzo che, al contrario, si dimostrano sbigottiti ma interessati alla scena. In quel momento Annie rivelerà a Itta di aspettare un figlio da lui, lasciando l’uomo incredulo e rassegnato, dimostrando di non avere il minimo interesse nel diventare il padre del bambino.

Nel frattempo iniziano ad accadere fatti misteriosi nello stabile: insoliti rumori in soffitta, uno strano dipinto sulla parete del bagno comune, e addirittura Itta si sveglia sommerso dalla spazzatura e dai topi. Convinto che siano tutte ripicche dei condomini, l’uomo, adirato, minaccia gli altri inquilini con una motosega, e come ultima mossa per cercare di fargli lasciare le abitazioni utilizza dei fumogeni per simulare un incendio. I locatari raggiungono il limite della sopportazione ed inveiscono contro Itta per il suo comportamento, spiegando la loro situazione precaria di immigrati, giunti in Giappone per necessità economica, e di come i giapponesi siano spesso razzisti nei loro confronti. Dopo la

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discussione, i condomini abusivi fanno rientro nelle loro case, così come anche Itta.

Sono passati dieci giorni da quando l’incarico è stato affidato al membro della yakuza, la data della scadenza è stata ormai superata di tre giorni, ma ogni tentativo di far evacuare gli inquilini è stato vano. Inoltre, continuano a succedere eventi misteriosi, durante l’ennesimo rapporto con Annie, quest’ultima vede comparire dal soffitto dell’appartamento dove alloggia Itta la figura gigantesca di un neonato e, presa dal panico per l’allucinazione, tenta di strangolare l’uomo. Esasperato e rimproverato dai propri superiori per aver sforato la scadenza, Itta compie il folle gesto di appiccare veramente un incendio pur di far scappare gli abitanti del palazzo e, totalmente fuori controllo, si aggira per i corridoi dello stabile con una motosega in mano, distruggendo tutto ciò che incrocia la sua strada. Perseguitato dalla misteriosa figura del dipinto sulla parete del bagno, ad un certo punto Itta scaglierà la sua ira anche sull’affresco, tagliandolo a metà con la sega. Presi dal panico, gli stranieri che abitano nel palazzo abbandonano rapidamente l’edificio, più terrorizzati dal comportamento di Itta che dalle fiamme che divorano la casa. Sbigottiti dall’atteggiamento dell’uomo, molto simile a quello che aveva assunto il signor Hide prima di lui, gli stranieri non riescono a non cedere alle richieste di Annie, che supplica loro di trovare un modo per salvare il padre del suo bambino.

Credendolo posseduto da qualche spirito, gli inquilini decidono di rivolgersi ad uno sciamano indiano in grado di esorcizzare lo spirito. Lo sciamano viene subito condotto nel bagno per ispezionare il curioso affresco sulla parete deturpato da Itta, presunta causa della possessione dell’uomo. Lo sciamano dubita che sia una stregoneria di origine giapponese, e decide quindi di procedere con un rituale per scacciare via lo spirito. Durante il rito, tuttavia, Itta irrompe nella scena e, dominato dalla follia dello spirito, si scaglia sugli astanti che, fortunatamente, riescono ad immobilizzarlo. In questo modo lo sciamano può eseguire il rituale di purificazione anche sull’uomo.

A questo punto il lettore viene catapultato all’interno di una visione: gli autori fanno sperimentare al lettore ciò che Itta vive durante l’esorcismo. L’uomo si trova in una sorta di limbo, un posto lugubre pieno di acqua stantia da cui spuntano rovine e corpi appartenenti a persone di etnie differenti. Su un ammasso di esseri umani compare la figura del capo di Itta in vesti militari, puntando il fucile contro il suo subordinato. L’attenzione di Itta, però, si sposta su una casetta diroccata che sta andando a fuoco: sopra di essa sono presenti Annie e gli inquilini stranieri che lo incitano a raggiungerli sulla casa. Nel frattempo fa la sua comparsa nella scena una sorta di maschera gigante raffigurante un leone che ingurgita tutto ciò che trova davanti a sé, compresa la casetta che si ritroverà fagocitata e catapultata nel cieli di Tokyo, espulsa da una bocca simile a quella della maschera, ma situata sul ventre di una gigantesca figura femminile che sovrasta la città.

Lo spirito ha definitivamente abbandonato Itta, ma si è rifugiato in un altro luogo: una maschera che lo sciamano ha trovato nell’appartamento dell’inquilino indiano. Il giovane indiano, in preda alla

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disperazione, confessa di essere lui ad aver scatenato la maledizione, un modo per vendicarsi della sorella impiccatasi nel bagno dell’appartamento dopo essere stata ingannata da un uomo giapponese. Dopo aver fatto ragionare l’uomo, lo sciamano riesce a sigillare lo spirito all’interno della maschera in modo che non possa nuocere a nessuno, a condizione che la maschera rimanga intatta. In quel momento fa la sua comparsa in scena Hide, tornato munito di una spada sacra e più determinato che mai a sconfiggere lo spirito che infestava la casa. Ogni tentativo di spiegazione è inutile, pronto ad ingaggiare una lotta contro chiunque tenti di ostacolarlo. Nel frattempo giunge sul posto anche il capo di Itta e Hide con un gruppo di demolitori con l’intenzione di smantellare la casa. Il capo provoca Hide che riversa la sua ira sull’uomo, e nella colluttazione la maschera viene accidentalmente rotta, liberando nuovamente lo spirito. Un’aura maligna inizia allora a divorare la casa ed ogni cosa vi sia al suo interno, compresi Hide e il capo. L’inquilino pachistano intima lo sciamano di eseguire nuovamente il rito, ma questi spiega che senza un manufatto in cui sigillare lo spirito, questo potrebbe insediarsi ovunque. Tuttavia la situazione è sempre più drammatica e l’unica speranza di uscirne vivi è proprio il rituale di purificazione che viene prontamente messo in atto dall’indiano. Lo spirito trova come dimora il grembo di Annie, ancora all’interno della casa insieme ad Itta che stava tentando in qualche modo di proteggerla. Lo sciamano è riuscito ad ammansire lo spirito, la casa è distrutta ma tutti gli inquilini sono salvi, compresi Itta, Annie e il loro bambino in cui si è rifugiato lo spettro.