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Dicono che in Comune sia registrato come Forti Nazareno, ma quello che tutti conoscono in paese è Nènofòrte, con un cognome ap-piccicatosi al nome come per un Carlomagno dell’alto medioevo - quando bastava un nome unico - e vagamente scivolato verso la funzione di attributo come a voler mettere in risalto la singolarità del personaggio. Ma-gari è solo la pronuncia dialettale che declina in -e anche tutti i plurali maschili, ma mai come in questo caso l’equivoco sembra man-tenuto ad arte: Nènofòrte!

Scherzènno scherzènno, anche Nèno ha ormai ottant’anni, essendo della classe 1932. Già

uomo di campagna, bidello, storico suonatore di piatti nella nostra banda musicale, ha i suoi tre figli sistemati da tempo e si gode la pensione in lunghe passeggiate, accompagnandosi quasi sempre a degli amici ma all’oc-correnza anche da solo. In questa foto, per esempio, l’abbiamo ripreso insieme a Cèncio dell’Ardìto, abituale compagno di camminate, ma in fase d’impaginazione abbiamo dovuto “scoppiarli” per esigenze tipografiche.

Buona gamba e spirito faceto, non manca di commentare fatti e personaggi della vita paesana, ricordando mille aneddoti ed episodi inediti con prontezza di spirito e velocissima loquela. Tra le altre cose, ti sciorina a memoria intere parti di “storie” in versi da lui ascoltate da ragazzo, quando l’ottava rima era appannaggio comune delle nostre genti e il cantastorie era quella figura magica di informatore, attore e poeta: incantatore, secondo la migliore etimologia del termine, che componeva “storie” su un reale fatto di cronaca cantandole poi nei paesi dei dintorni in occasione di feste, fiere, mercati. E che Nèno memorizzava, impressionato dalle vicende in sé e affascinato dalla particolarissima forma di narrazione. Fino a ripetercele difilato a distanza di un settantennio o giù di lì! Sia pure con errori e incongruenze ormai cristallizzate e di cui invano chiedereste spiegazione. Stavolta tocca alla Storia fatta per un amico di Girolamo dell’Onèsta, ossia Girolamo Brizi (Piansano 1907-1982), semplice uomo di campagna passato nella storia del paese quasi senza lasciare traccia (anche perché deceduto celibe e senza figli) e che ora scopriamo autore di questo saluto in versi all’amico partito per il servizio militare.

Siamo negli anni 1926-27. Il ventenne Romeo Forti, padre di Nèno, parte per Capua insieme con i coetanei Fortunato Sonno (il famoso fattore della tenuta di Mezzano) e Angelo Foderini (‘l Canuto), tutti della classe 1906, appunto per il servizio militare di leva. Romeo dovrà fare soltanto sei mesi di naja perché figlio unico, e Girolamo spedisce all’amico uno scritto in ottava rima di cui Nèno ricorda soltanto queste cinque ottave. Esso presenta infatti parecchi omissis, appunto perché l’originale mano-scritto è andato irrimediabilmente perduto e quanto riportato è frutto esclusivo della memoria orale;

con i possibili e anzi inevitabili travisamenti di questa forma di trasmissione del sapere, compresa la successione e il raggruppamento dei versi. Il testo è la trascrizione fedele del parlato, con le sue incongruenze e aritmìe. La stessa punteggiatura è quella indicata dalla fonte orale, né ci siamo arrischiati a intervenirvi proprio perché consci dell’arbitrarietà di ogni pur minima

“interpretazione” nel respiro della narrazione. Va da sé che il brano non è precisamente un esempio di alta letteratura, essendo farcito di ripetizioni e ovvietà, illogicità grammaticali e sintattiche. Lo schema metrico dovrebbe/vor-rebbe essere quello dell’ottava toscana, otto versi di endecasillabi piani, ma anche qui non mancano irregolarità, così come nello schema rimico (ammesso, come si diceva, che sia stata rispettata la concatenazione dei versi) è difficile individuare una regolare successione. Ciò che è sorprendente è piuttosto la pratica, diffusa appunto anche tra i ceti popolari meno abbienti, di ricorrere agli endecasillabi in rima anche per una “cartolina di saluto” all’amico soldato.

Storia fatta per un amico

di Girolamo Brizi detto dell’Onèsta Nel giardin di Piansan lasciasti i fiori per andare a passa’ la primavera a Capua che ti vennero a mandare dove ti converrà fare il militare.

Il dieci aprile vengo a rammentare, che da Piansan facesti la partenza gli amici venisti a salutare pieno di leggiadrìa e riverenza.

Romeo Forti (1906­1984)

Girolamo Brizi (1907­1982)

Nel caso che segue - anch’esso trascrizione fedele del parlato - un minimo di punteggiatura s’è resa indispensabile per la stessa comprensione del testo (che nonostante tutto rimane sibillino in qualche punto).

E’ la storia di una tragedia d’amore, di un figlio che uc-cide genitori e sorella perché contrastato nella sua love story.

Frequentissime un tempo e di sicuro successo, proprio perché strappalacrime e tali da farvi immedesimare gli ascoltatori. Nascevano da casi della vita reale, ma poi stava all’abilità del “poeta” confe-zionarle per il grande pub-blico. E non c’è da meravi-gliarsi per il largo seguito che trovavano nelle piazze, se an-Dicesti “Amici vi devo lasciare ché devo fare lunga permanenza”.

La permanenza tua sarà sei mese, poi lieto tornerai al tuo paese.

A Piansano tornerai alle tue imprese quando fenito avrai di fa’ ‘l soldato, allora dir potrai “sono borghese, libero cittadin son congedato”.

Tu in mezzo agli amici ne sarai cortese ché il foglio di congedo avrai guadambiato ma prima di portarlo avrai l’onore ti converrà sparger tanto sudore.

Quante sospire manderà il tuo cuore voltandosi dal senistro al destro lato, più non vede gli amici e i genitore la mamma e tue sorelle ch’hai lasciato.

Sol vede chi comanda con furore e via ti manda senza alcun indugiare e sempre ti comanda in fretta in fretta e lesto in fretta esso ti fa marciare, per farti fa’ il dovere che ti aspetta.

Ebbene le istruzion fatti imparare, quando che le istruzione ha’ ben capito, comincia a tormentarti l’appetito.

[omissis]

Saluto amico la tua batteria il reggimento e tutte l’ufficiale, quelli che più ti vanno in simpatia, tenentine, sergente e caporale.

Poi l’altre person d’alt’aristocrazia capitano, colonnello, e generale, infine vi saluto anche il maggiore, tenente colonnello pien d’onore.

“Il padre nel vederlo prepotente, disse: si prendi lei non ti do niente...” (disegno a china di Giuseppe Bellucci)

cora oggi i telegiornali ci propinano con successo morbosi tormentoni “a lunga conservazione” di cronaca più o meno nera. La nostra fonte non ne conosce l’autore né l’episodio reale che l’ha ispirato, ambientato comunque dalle parti di Stroncone, nella limitrofa provincia di Terni. Magari si trattava di un amore “d’oltreconfine”, dei paesi umbro-laziali della valle del Tevere, e chissà che non ci verrà segnalato da qualche lettore più informato o desideroso di andare più a fondo nella ricerca.

Storia di un padre e figlio

Il figlio Antonio di anni diciannove quel ch’aveva pietà ciascun si muove

vi era d’un tempo che Antonio altrove tre volte andava della settimana ai genitor non gli diceva dove mentre lui ... si allontana.

Fu poi scoperto con secure prove che amoreggiava con idea sì vana poco lontan da Terni con passione d’un paesetto chiamato Stroncone.

Il padre gli domanda con ragione per qual motivo in quel paese andava il figlio risponde è questa la questione siccome ciò l’amante onesta e brava.

Il padre non gli fa opposizione il figlio amoreggiare seguitava poi dice non fo per canzonare fra poco tempo la voglio sposare.

Un giorno venne il padre a richiamare dicendo mi ascolta per favore a me col cuore e colla lingua parla tu sei proprio deciso di sposarla?

Sì gli risponde non voglio lasciarla perché ci sono proprio innamorato.

Il padre dice non deve pigliarla non vuol saper di questo parentato perciò ti prego figlio abbandonarla perché tu campagnolo tu sei nato e lei figlia d’artiste e cittadina non si adatta in campagna poverina.

Il figlio ostinato dice è assai bellina

e voi farete pur cosa volete.

Soggiunge il padre pensa alla meschina dopo sposate come camperete.

Il figlio ostinato dice io vo’ Rosina e poi voglio la parte la intendete.

Il padre nel vederlo prepotente disse: si prende lei non ti do niente.

Il figlio gli risponde alteramente fra poche giorni vi farò vedere, uscendo di casa prestamente

torna a Stroncone dove avea i pensieri.

Va dall’amante sua tutto dolente e gli racconta questo dispiacere ti amo gli dice come sti parole

ma che io ti spose il padre mio non vuole.

La ragazza risponde se non vuole pazienza ci vorrà Antonio mio finor ci siamo amati quante ‘l sole, si vede a noi non ci destina Iddio.

A me di abbandonarti assae mi dole ma vede la cagione non so’ io.

Queste parole assai Antonio tormenta e dunque di lasciarmi sei contenta.

Ora prencipia il fatto che spaventa se ciò non ti dispiace mia Rosina sclamerita l’amante stai attenta il fatto lo saprai doman mattina, dopo anche te ne resterai scontenta io vado a casa scendo giù in cantina dove vi tengo un’arma e preso quella uccido padre e madre e mia sorella.

Si parte abbandonando la donzella e torna a casa con l’idea cattiva scende in cantina come disse a...

Il frammento che segue Nèno lo sentiva cantare dalla propria madre Marianna Santella (1908-1986). Non riusciamo a indovinarne neppure la successione dei versi, evidentemente disordinata e sovrapposta. C’è qualche amico lettore, di Canino o altrove, che ci sa aiutare a ricostruirne il testo e la base storica?

Morte nel lago

E concludiamo con una “storia” che il nostro Nèno aveva appreso negli anni dell’immediato dopoguerra dalla zia Teresa Forti (1919-1993), solita a cantarla durante i lavori in campagna. Tali versi fanno sicuramente parte di una composizione più lunga, che Teresa aveva imparato a memoria e che Nèno aveva anche lui memorizzato sciorinandone ora difilato questo brano.

Narra di un giovane di Ischia di Castro, il ventiseienne Angelo Rossi del fu Giuseppe e Oliva Filippucci, come poi abbiamo appurato, che intorno alle dieci di mattina del 12 agosto 1928 trovò la morte per annegamento nel lago di Mezzano. Era di domenica, e l’uomo - che, non essendo sposato, se non altro non lasciò vedova o orfani - era andato al lago con degli amici per un bagno estivo. Non fece più ritorno a casa, e l’indomani mattina i carabinieri di Valentano ne verbalizzarono la morte all’ufficiale dello stato civile del Comune.

Il brigante Borgognoni di Canino ...

Prese il fucile e la rivoltella ‘nco’

nelle sepolte macchie bandito si buttò

Di nome fu chiamato Borgognone e battezzato a nome Bernardino.

Nacque ndel mondo con brutta intenzione nel bel paese chiamato Canino.

Disperso se ne va per la campagna senza nessun rimorso nel suo cuore subito con un altro s’accompagna che l’era grande amico poi un traditore

ma un bel giorno che precisar non so co’ ‘n colpo di fucile il misero ammazzò

Prese il fucile e la rivoltella ‘nco’, nelle sepolte macchie bandito si buttò...

(disegno a matita di Giuseppe Bellucci)

Ne riportiamo questi versi sia come documento di storia locale - tipico esempio della trasmissione orale del “sapere” nella semianalfabeta società contadina dell’epoca - sia nella speranza di integrarli con quanto potrebbe ancora essere sepolto in un angolo della memoria di qualche nostro lettore più attempato. Come al solito il testo è assolutamente fedele al parlato, con la sola aggiunta di una sommaria punteggiatura per agevolarne la comprensione.

E’ quasi scontata la conclusione - se di conclusione si tratta -, e in ogni caso la “morale” della storia, con l’avvertimento sul “lago traditore”. In essa c’è sicuramente la conoscenza specifica del teatro della tragedia, con le sue sponde precipiti sul cratere lacustre; c’è, senza dubbio, il raccapriccio per la sciagura recente; ma c’è anche, in maniera preponderante, l’atavica diffidenza contadina verso l’acqua, l’horror pelagi, istintivo e invincibile, di quell’animale terragno che è l’uomo.

Era quindi un bel giorno di festa ed Angelino, un bel giovane ischiano, le dice “Andiamo al lago di Mezzano, una passeggiata noi la dovemo fa’”.

Ed i compagni dissero “Volentieri noi veniamo con te tutti quanti”, allor si partono tra suoni e canti senza sapere quel che succederà.

Quando furono alla spiaggia del lago tre di loro si misero a bagnare ed Angelino sapeva ben notare e con l’onde si mise a nota’.

Nota nota in circa a due ore ad un tratto Angelino è sparito

ed i compagni col cuore indebolito chi si sviene e chi sta a grida’.

A quel grido accorsero gli agenti ma nessuno sapeva notare

dopo tre quarti lo vennero a trovare orribil cosa che non si può vede’:

l’occhi fòra e la bocca sanguigna, il giovanetto è passato all’altro mondo, dov’è la madre il padre suo giocondo che all’altro mondo lo vanno a ritrova’.

O giovanotti di tutto il paese guardate ‘l lago com’è traditore, ed ogni bimbo ed ogni madre al cuore state attente con l’acqua a scherza’.

Testi estratti e rielaborati da la Loggetta nn. 73-74/2008, 92/2012, 94/2013 Il lago di Mezzano