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‘Ntogno Guidolotti - o, per i più anziani, ‘Ntogno del pòr’Oreste - figura di idraulico-stagnino-fontaniere..., è stato uno di quei personaggi che, a livello locale, nella loro umile quotidianità hanno tuttavia contribuito a caratterizzare un’epoca. Figura austera e cortese al tempo stesso, col suo immancabile baschetto blu, gli occhiali da saldatore sulla fronte e la tuta azzurra coi segni del mestiere, aveva un che di composto e rassicurante:

una comunissima anima nobile trovatasi a vivere tra le ambasce di questo secolo che sta morendo.

Era del ‘2, Antonio; terzogenito ma primo maschio di Oreste e Assunta Massimi, che prima di lui avevano avuto Emilia nel ’98 e Anna nel ‘900. Anna era morta ad appena un anno di vita nell’aprile del 1901 (rimpiazzata da un’omonima nel ’13), ma tutti gli altri figli successivi - dieci in tutto, uno ogni due anni - sono tutti sopravvissuti sparpagliandosi con il tempo in diversi paesi dopo il ma-trimonio; solo lui, alla fine, è rimasto a Piansano. Quando si arruolò nei ca-rabinieri, soltanto la primogenita Emilia si era già sposata, e probabilmente lui partì proprio per alleggerire il peso in famiglia e trovarsi una strada.

Non aveva ancora diciannove anni e faceva il bracciante, ma era attento e volenteroso, e all’epoca prese subito la “patente auto 2° grado”. Dopo tre anni nei carabinieri a cavallo della legione di Trieste, fu posto in congedo dalla legione di Roma con la “dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore”.

Tornò a fare il bracciante nelle tenute di Riminino e dintorni, dove conobbe la moglie Peppina Carrari di Ischia che vi lavorava anche lei con tutta la famiglia. Si sposarono e andarono ad abitare a Ischia, dove lo stesso anno - era il 1926 - nacque il primogenito Guido. Trasferitisi a Piansano, ebbero ancora Annita nel ’29, Cesarina nel ’33 e una seconda Annita nel ’34, venuta a rimpiazzare la prima morta a soli quattro anni.

Lui era a lavorare sempre in giro, ora in una tenuta ora in un’altra, un po’

perché era un esperto trattorista, all’epoca piuttosto rari, e un po’ perché evidentemente gli spostamenti non gli davano alcun pensiero: “si buttava”

con coraggio superando facilmente il chiuso del paese, il suo senso di confine (tendenze “cosmopolite” forse in parte ereditate dalla madre, a sua volta di origine marchigiana, e dalla nonna paterna, Maria Pellegrini, che invece veniva da Velletri). Dopo qualche stagione da trattorista a Ladispoli,

nel ’35 si trasferì con la famiglia in quel di Sutri, dove fece il trattorista e meccanico d’officina nella “contea” D’Ubaldo, un’azienda agricola modello in perfetto “stile regime”. Lì nacque anche l’ultimo figlio Orlando (1937), ma nel ’39-40, coi primi venti di guerra, la famiglia tornò in paese.

Il richiamo alle armi era imminente. Già nel settembre del ’30 Antonio si era dovuto presentare a una chiamata di controllo ed era stato messo a di-sposizione della 115a legione della milizia volontaria di sicurezza nazionale,

I nipoti carabinieri di Antonio Guidolotti

1. Bernardo Lucci (Bernardino), di Giacomo e Cesarina Guidolotti, nato a Piansano il 9 marzo 1957, carabiniere ausiliario arruolato l’8.11.1976 dalla Scuola allievi carabinieri di Torino e con­

gedato il 7.11.1977 dall’8° battaglione carabinieri Lazio di Roma. Vive con la moglie e i due figli a Roma, dove si è trasferito nell’83.

2. Guido Guidolotti, di Orlando e Isolina Menicucci, nato a Piansano il 2 luglio 1962, trasferito con la famiglia prima a Torino e poi a Roma, dove oggi vive con la moglie e una figlia ed è vice­

brigadiere alla centrale operativa carabinieri presso la presidenza della Repubblica.

3. Antonio Lucci (Toni), di Giacomo e Cesarina Guidolotti, nato a Piansano il 4 dicembre 1964, arruolato il 4.6.1982 dalla Scuola allievi carabinieri di Roma e oggi appuntato scelto alla stazione di Firenze. Vive a Cavriglia (AR) con la moglie un figlio.

4. Alessandro Tozzi, di Antonio e Annita Guidolotti, nato a Roma il 23 aprile 1965, arruolato nel giugno 1983 e trasferito da Campobasso a Firenze (anche lui appuntato scelto nella stessa stazione con il cugino Toni). Vive in un piccolo centro in provincia di Firenze con la moglie e una bambina.

5. Gianluca Ferri, di Piero e Guiduccia Lucci (e quindi pronipote di Antonio), nato a Roma il 17 luglio 1978, arruolato nella Scuola allievi di Reggio Calabria nel novembre 1998, in servizio a Bo­

logna e poi di nuovo in Calabria, congedato carabiniere ausiliario nel novembre 1999. Vive con la famiglia Roma, dove aspira a fare l’accompagnatore turistico.

quella che poi sarà il 115° battaglione camicie nere. Aveva cessato di appar-tenervi nel ’37 per essere reiscritto nella forza in congedo dei carabinieri reali, e dal settembre 1940 in poi sarà tutto un susseguirsi di richiami, esoneri, presentazioni al corpo e licenze straordinarie, prima per motivi

“agricoli” e poi di salute. Dopo vari accertamenti e anche un ricovero al-l’ospedale militare di Roma, fu definitivamente mobilitato nel dicembre del

’42 e inviato alla stazione di Civitavecchia, con comandi interinali anche a Piansano (quando fu assassinato il commilitone Luigi Santella, lui si trovava qui). Venne congedato nell’agosto del ’44, dopo il passaggio del fronte e la morte del figlio primogenito Guido, un ragazzo di 18 anni obbligato dai te-deschi al lavoro forzato al campo d’aviazione di Viterbo e rimasto vittima del bombardamento alleato del 14 aprile (con lui c’erano anche altri civili piansanesi e fecero tutti la stessa fine: Mariano Brizi - fratello del Coggiàme, per capirci - morì sul colpo, mentre Venanzio Baffarelli - de Campagnòlo - si trascinò con le sue ferite fino a ottobre. Guido morì il giorno dopo all’ospedale Grande).

Il dopoguerra fu tragico per tutti. Antonio si trovò senza lavoro, con tre figli piccoli in casa e la moglie eternamente sofferente a causa di un nervo trigemino che non le dava tregua. Per di più la morte di Guido l’aveva messa a terra del tutto, e magari stava distesa sul letto per una settimana non riuscendo a sopportare rumori di sorta. Sicché Antonio faceva anche da madre raccomandando ai figli la compostezza a tavola, facendogli il bagno, insegnandogli a leggere e scrivere, e perfino a lavarsi i denti con il carbone finemente triturato. Mai uno schiaffo; non ce n’era bisogno.

C’erano, in quegli ammaestramenti, come i segni di un’antica signorilità, di

quando suo nonno era una delle persone più agiate del paese e sua sorella Emilia, ospite da bambina degli zii a Montefia-scone, a quei tempi, per dire, già andava in giro con il cappellino in testa. Un grave dissesto finanziario aveva messo a terra la famiglia e bambini di nove/dieci anni s’erano trovati di colpo a guada-gnarsi il pane a Maremma. Ma “povertà non guasta gentilezza”, dice il proverbio, e l’educazione prima di tutto fu una specie di parola d’ordine, in quella casa.

Barcamenandosi dunque a fatica, An-tonio si decise alla fine a chiedere di

es-sere richiamato in servizio, e a 46 anni, nel gennaio del ’48, rivestì la divisa da carabiniere e venne assegnato alla stazione di Rieti. Vi rimase fino a tutto luglio del ’49, quando tornò a casa definitivamente in congedo con l’idea di aprire una botteguccia di fabbro-idraulico, mestiere rubato con gli occhi proprio a Rieti durante l’ultimo servizio.

La storia successiva la conoscono tutti; una storia discreta e dignitosa, di lavoro e affetti familiari. Nel ’53 si sposa Cesarina e nascono i primi nipoti:

Elda, da tutti ribattezzata Guiduccia per via dello zio scomparso tragicamente, e Bernando, conosciuto come Bernardino; nel ’59 si sposa Orlando trasferendosi a lavorare a Torino, dove avrà Fiammetta e i gemelli Angela e Guido; infine toccherà ad Annita, trasferitasi a Roma con il matrimonio e madre di Daniela e Alessandro, ultimo dei nipoti dopo Toni (Antonio), nato nel frattempo da Cesarina. E, guarda caso, tutti i nipoti maschi seguiranno l’esempio del nonno arruolandosi nell’Arma, in una continuità ideale e affettiva che non può non colpire.

Del resto Antonio - e chiunque l’abbia conosciuto può confermarlo - con il suo senso del dovere e il rispetto delle istituzioni, temperati entrambi da una forte carica di umanità, non ha mai smesso di sentirsi idealmente “in servizio”, e quando l’altro ex carabiniere Fernando Bronzetti, rientrato da Brescia con la famiglia agli inizi del 1978, costituì a Piansano la sezione dei carabinieri in congedo, lui venne chiamato unanimemente a ricoprirne la carica di presidente, nonostante l’età e gli incomodi annessi. Di più:

sfruttando proprio i ferri del mestiere - tubi, saldatrice, bulloni, rondelle...

- Antonio rivelò negli ultimi anni un insospettato senso artistico con la creazione di statuette in ferro riproducenti figure varie di soldati, tra i quali, naturalmente, hanno avuto un posto di rilievo i suoi carabinieri: famosissima

“la pattuglia”, che per anni ha fatto bella mostra di sé nell’ingresso della Compagnia Carabinieri di Tuscania. (Mi sorprese quando, sapendo della mia comunissima esperienza militare di leva, mi si presentò con la statuetta in ferro di un bersagliere in corsa, con fucile, tromba e piume al vento. Me la offrì con quel suo fare parco e affettuoso, spiegandomi semplicemente alcune tecniche della lavorazione. Mi sentii imbarazzato, ma un po’ anche mi commosse, il gesto di “considerazione” di quel vecchio alto e asciutto, serio e di gran cuore).

Oggi sento dire che aveva propensioni ideologiche di sinistra; che leggeva L’Unità sia in casa sia nelle fugaci apparizioni all’osteria, e che per questo fu sempre emarginato nei lavori pubblici da parte delle varie amministrazioni comunali democristiane. Solo il sindaco Ivrio Belano, dicono, che ebbe per lui una personale stima e considerazione, lo “riabilitò” affidandogli degli interventi alle condutture pubbliche, e i figli di Antonio ancora ricordano quella triste vigilia di Natale senza un soldo in casa, quando Ivrio si presentò anticipando di tasca propria quelle 14/15.000 lire che il Comune avrebbe dovuto pagargli da mesi. Sono cose che in casa non si dimenticano, ma io lo vengo a sapere solo oggi, e, come me, credo la maggior parte della gente. Come dire che dall’uomo non trasparivano rancori o sentimenti di avversione personale; vi si potevano solo apprezzare le qualità umane, il ci-vilissimo esempio al di sopra di divisioni e piccinerie partigiane. Mai una sguaiataggine o una parolaccia, né in privato né in pubblico, con il quale, professionalmente, si mostrò sempre disponibile a intervenire per le emergenze a qualsiasi ora del giorno, festivi compresi. E i figli vanno fieri di un’eredità che non si compra, oggi che ancora gli capita di ricevere attestati di stima nei suoi confronti e, più passa il tempo, più ne riscoprono l’influenza profonda su loro stessi.

Antonio morì d’infarto nell’85, due anni dopo la moglie che invece, poveretta, era rimasta

in-ferma e sofferente per il resto dei suoi anni. Ci piace vederlo sopravvivere in qualche modo nei suoi nipoti e nelle sue semplici opere. Ci piace di più ac-carezzarne il ricordo e sentirne la presenza come una piccola parte di noi.

da la Loggetta n. 27/2000

Il postino

Dal procaccia al corriere, oltre un secolo di corrispondenza E così anche Franco il postino

è andato in pensione. Dal pri-mo gennaio di quest’anno, di-cono le carte; ma di fatto già da novembre, per via di ferie non fruite e conteggi vari. Ora abbiamo una postina che gira con la sua macchinetta di ser-vizio bianco/gialla e sembre-rebbe dare una buona impres-sione di alacrità. Però ci hanno fatto notare più di una sua sostituzione in tempi ravvici-nati e dicono che in effetti la situazione è ancora fluida per essere il posto tuttora vacante, non ancora andato a concorso.

Tutti sperano che si definisca prima possibile perché - per quanto non ci si faccia caso o non ci si rifletta - alla fine il servizio postale è uno di quelli

da cui si giudica l’efficienza delle regole di convivenza. Pur sentendoci tutti intasati da pubblicità commerciale e immondizia cartacea di ogni specie, se la posta tarda ad arrivare o addirittura si perde per strada sono guai. E il postino, che nei piccoli centri conosce tutti e svolge per anni il servizio di consegna, alla fine diventa un riferimento, persona di fiducia cui si guarda con simpatia sia pure non senza una certa inquietudine, dato che lettere e cartoline di saluti sono state soppiantate da un pezzo da multe, bollette di pagamento, comunicazioni bancarie e ingiunzioni di varia natura. Fastidi, insomma. Se non rogne vere e proprie. Mi viene anzi in mente - scusandomi per l’autocitazione - quanto scrissi in proposito in un vecchio numero della Loggetta e bisogna riconoscere che in effetti la posta è sempre stata più motivo di agitazione che di gioia:

Sul finire degli anni ’50 - scrivevo nel n. 36 del 2002 - l’arrivo della posta nelle nostre case era avvenimento abbastanza raro e anche Franco Micalizzi, classe 1959, di Farnese, è stato porta­

lettere di Piansano dal novembre 2000 al 31 dicembre 2017. Venne ad abitare a Piansano nel 1983 a seguito del matrimonio con Maddalena Burlini e vi ha avuto due figli: Vanessa del 1984 e Giuseppe del 1986

motivo di una certa apprensione. La gente non aveva dimestichezza con le “carte”; anzi, ne diffidava. La vita di tutti era più semplice e quasi priva di rapporti esterni, e nelle case dei poveri potevano arrivare solo notizie di disgrazie. I saluti tra parenti residenti altrove si mandavano a voce tramite conoscenti o viaggiatori occasionali, mentre per posta erano sempre arrivate ingiunzioni di pagamenti, citazioni giudiziarie, chiamate militari. Con la guerra erano piovute anche le notizie tragiche dei morti e dei prigionieri, e solo più tardi, con la grande emigrazione per la Germania, la figura della postina - per tanti anni l’anziana Pia Bessi, che si aggirava affannosamente tra i vicoli con la sua borsona e chiamava e conosceva le ansie di tutti - divenne attesa e familiare per il cordone ombelicale con figli e mariti all’estero…

Da allora la situazione si è semmai aggravata, dato che oggi i rapporti familiari e affettivi si coltivano con gli ammennicoli moderni della comuni-cazione digitale e al servizio postale tradizionale sono rimasti relegati i nostri rapporti burocratici di utenti di servizi pubblici, clienti di banche e contribuenti del fisco. Una simpatia timorosa, dunque, quella verso il postino. Ma anche una complicità di specie, perché se le mazzate ti arrivano per mano di una persona familiare e coi modi di chi perlomeno vorrebbe farti coraggio, l’impatto è meno traumatico (almeno dicono). E Franco, via!, il suo occhio di riguardo ce l’aveva. Bonaccione, affabile e discreto al tempo stesso, dopo diciassette anni sapeva come regolarsi con tutti ed era sempre disponibile per piccoli favori: dirottare certa corrispondenza da un indirizzo all’altro - almeno in situazioni particolari - per venire incontro ai cambiamenti di abitazione nel paese, o consegnare direttamente al destinatario certe missive sgradite che l’interessato preferiva non si conoscessero in famiglia. Senza contare che bastava incrociarlo per strada per sapere da uno sguardo o da un cenno al volo se c’era da aspettarsi qualcosa. Ti pare poco?! Nel bene e nel male era diventato un ponte con l’esterno, l’uomo in casacca gialla che, a piedi o col suo motomezzo, ti raggiungeva nel tuo angolo ascoso di mondo sia che tu fossi in ansiosa aspettativa, sia, più spesso, nel caso tu avessi preferito di gran lunga essere svanito nel nulla.

E l’aver citato “l’anziana Pia Bessi” degli anni ‘50 ci porta a rivedere le varie figure di postini che hanno segnato la storia del paese da più di un secolo a oggi, con maggiori particolari, naturalmente, dall’ultimo dopoguerra.

La stessa Pia, farnesana della classe 1905, non era in realtà la postina ma la moglie del postino, Lello dell’ammasso, che però era stato anche Lello ‘l barbiere e continuava a essere Lello ‘l postino. Magia dei vari mestieri di questo intraprendente personaggio che pochi sapevano chiamarsi Raffaele

Silvestri. Classe 1902, Lello l’avevamo visto effettivamente barbiere nel filmato Terra nostra dei primissimi anni ’50, ma in contemporanea col servizio di portalettere aveva anche gestito l’ammasso agricolo, e all’epoca era normale che, in caso di impedimento o di necessità, la consegna della posta venisse affidata alle altre persone di casa, moglie e figli. Così ricordiamo sua moglie Pia ma anche la figlia Anna Maria, perlomeno prima del suo tra-sferimento a Viterbo a seguito del matrimonio nel 1963.

Lello stesso pare che avesse ereditato il mestiere dal padre, che allora si chiamava procaccia e andava a ritirare la posta a Valentano con il suo calesse. Il termine deriva infatti dal verbo procacciare e rende evidente l’idea di chi doveva provvedere al servizio attraverso una serie di incombenze ac-cessorie, come chi deve procurare, arrangiarsi, fare in modo che la posta arrivi a destinazione anche in presenza di difficoltà di mezzi e vie di comu-nicazione. Di qui l’uso del carrettino privato, che naturalmente veniva utilizzato anche come autonoleggio dell’epoca. Da una lettera del 29 novembre 1918 di Giuseppa De Simoni al fidanzato in guerra, per esempio, se ne ha una testimonianza precisa: “…Dimenticavo dirti che se il tempo lo

I coniugi Raffaele Silvestri (Lello ‘l postino, Piansano 1902­1978, che però aveva fatto anche il barbiere e poi gestito l’ammasso agricolo) e Pia Bessi fu Enrico (Farnese 1905 ­ Piansano 1976), che a lungo sostituì il marito nel servizio di portalettere. I due ebbero in paese tre figli, tutti trasferiti per lavoro o a seguito di matrimonio: Boris del 1925, Angelica del 1928 e Anna Maria del 1933, quest’ultima anch’essa sostituta del padre in talune occasioni e tra­

sferita a Viterbo a seguito del matrimonio con Quirino Papacchini nel 1963. Lello aveva “ere­

ditato” il mestiere di portalettere dal padre Nazareno

permette domani mi conviene andare ad Orvieto per portare la Maria in Col-legio, la mamma non può venire perché non si sente tanto bene, così ci vado io con la Mecuccia della zia Rosina insieme col Procaccia…”. Funzione talmente incollatasi alla persona da fargli sotto-scrivere i suoi saluti nella cartolina proprio come “Procaccia”. Né, oggi, le persone più anziane che pure se ne ricordano e te ne parlano, te ne sa-prebbero dire il nome anagrafico. Trat-tavasi dunque di Nazareno Silvestri, nato a Piansano nel 1875 da Odoardo e Maria Angelini e lì sposatosi nel ‘99, a 24 anni, con la diciottenne Angelica De Silvestri di Canino. All’epoca del matrimonio lui faceva il calzolaio. Por-talettere ci diventò nel 1904, quando il servizio - a seguito dell’istituzione del ministero delle poste e telegrafi avvenuta nel 1889 - fu istituito anche nel nostro Comune con due deliberazioni consiliari di maggio e giugno di quell’anno 1904 “per la consegna a domicilio della corrispondenza giornaliera”, e fu annesso all’ufficio postelegrafico che era già attivo dal maggio del 1891, quando fu impiantato in paese il telegrafo. Ricevitore telegrafico e portalettere erano dunque dipendenti co-munali, con un compenso di lire 200,65 il primo e di 451,45 l’altro.

Compensi rimasti invariati negli anni e confermati negli stanziamenti di bilancio di metà degli anni ‘30, dove si parla di “regolare servizio pubblico con soddisfazione della popolazione che vuole sia mantenuto” e dei “titolari degli uffici [che] meritano un elogio ed incoraggiamento dell’amministrazione comunale”. Il primo novembre 1930 i servizi dell’ufficio postale furono ampliati con l’inaugurazione del posto telefonico pubblico, di cui fu nominato gestore il sòr Giulio Compagnoni che era già titolare postelegrafico da subito dopo la guerra e vi era stato supplente per un paio d’anni anche prima di essere chiamato alle armi. Una coppia, quella del ricevitore Com-pagnoni e del procaccia Silvestri, operativa per gran lasso di tempo, dunque, e che certamente connotò il servizio postale locale per tutto il periodo tra le due guerre. I viaggi a Valentano si sarebbero interrotti con l’arrivo in paese delle autolinee Garbini, ma anche Lello, nei primi tempi, vi andava per

Nazareno Silvestri fu Edoardo (Piansano 1875­1954), il procaccia per antonomasia, ossia il primo postino, assunto dal Comune il 1° novembre del 1904 con l’istituzione del servizio di portalettere

consegnare e ritirare il sacco della posta, sia pure servendosi di un sidecar al

consegnare e ritirare il sacco della posta, sia pure servendosi di un sidecar al