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È quello che ci dicevano alla scoletta, ossia all’asilo delle maestre pie, che per circa tre secoli hanno preceduto, e nell’ultimo tratto anche accompagnato, la scuola materna statale istituita appena qualche decennio fa. “A chi sta buono, l’ostia”. Un incentivo anche per i più discoli, attratti da quella cialda sottile pressoché insapore ma a suo modo croccantina e pastosa, prima di sciogliersi letteralmente in bocca. La soddisfazione era naturalmente per l’ottenimento del premio, qualunque fosse stato. Ma nella generale povertà del tempo, anche quella gratificazione appariva come una ghiottoneria. Il massimo erano le ostie intere, grandi o piccole, col classico monogramma impresso, ma alla fine erano ambìti anche i ritagli, le spezzettature, le parti di “disco” con i buchi delle ostie ritagliate. Erano le eccedenze o gli scarti, che in realtà venivano accantonati solo per qualche minimo difetto di colo-razione o qualche imperfezione appena percepibile nella sfoglia di pasta a seguito della cottura: accenni di sfilacciature, grumi microscopici, magari qualche “sbeccatura” o irregolarità nei bordi: niente, insomma, che potesse comprometterne il sapore e il gusto della vincita.

Era naturale che quelle ostie fossero appannaggio della scoletta, perché era naturale che a prepararle fossero le suore. Dedite non solo ai bambini e alle femminucce un po’ più grandicelle per avviarle al loro ideale di brave mogli e madri; non solo alla minestra giornaliera che oltre ai pargoli sfamava anche parecchi vecchietti che vi si recavano per la provènna; ma votate anche alle necessità della chiesa con lavori di cucito e ricamo per arredi e

paramenti; con scuola di catechismo e ritiri spirituali; con il supporto alle varie funzioni e liturgie parrocchiali e, finalmente, con la fabbricazione delle ostie.

Una storia lunga e mai interrotta, quella della preparazione delle ostie.

Anche un po’ nell’ombra, rispetto all’opera complessiva di quelle religiose.

Ma coronata da successo, se è vero che continua ancora oggi che quelle religiose mancano dal paese ormai da diciott’anni, ossia sull’esempio del buon maestro che trasmette le sue competenze perché l’attività prosegua anche senza di lui. E una storia ancor più singolare se si pensa che da queste parti sopravvive quasi solo nel nostro paese, rispetto alla totalità delle parrocchie che se ne riforniscono dalla produzione specializzata. Una storia, infine, tutta al femminile, che rivela una successione insospettata di pie

Andando a casa di Anna Maria Barbieri per intervistarla, ci ha incuriosito questo quadruccio at­

taccato alla parete: “Diploma d’onore e di merito conferito alla giovinetta Barbieri A. Maria della Scuola Catechistica Parrocchiale di Piansano”. E’ firmato dal vescovo Giovanni Rosi e è rilasciato dall’Opera Diocesana di Catechismo di Montefiascone il 27 agosto 1942, festa del Patrocinio di S. Lucia Filippini. All’epoca Anna Maria aveva dodici anni (mentre la foto inseritavi successiva­

mente la ritrae nel fiore dell’età giovanile), e viene naturale constatarne la continuità nello stile di vita e nelle pratiche devozionali, che dalla sfera privata e familiare (si è sempre occupata del fratello scapolo e per una vita ha convissuto con la suocera assistendola con affetto filiale) si ri­

volge anche alle necessità parrocchiali come la fabbricazione delle ostie, appunto, e il portare la comunione agli infermi ogni primo venerdì del mese.

donne le quali, affiancandosi o sostituendosi alle maestre pie Filippini, ne hanno condiviso e proseguito l’impegno con scrupolo e devozione.

Nell’articolo che segue ne sentiremo la testimonianza da Maria Foderini, che ricorda i tempi di sua nonna (anni ’30 del secolo scorso), ma la tradizione è giunta fino a noi ed è giusto che se ne conoscano le protagoniste.

Anche se non è stato facile mettere insieme queste poche notizie, proprio per il nascondimento connesso a un volontariato religioso per sua natura intimo e pudico.

Nel presentare questa sequenza fotografica sulle varie fasi di preparazione delle ostie - dall’impasto di acqua e farina per ottenere la pastella, alla sua cottura nel particolare stampo sagomato, e dalla pulitura del “prodotto sfornato” dalle minime imperfezioni alla separazione delle singole particole circolari - vediamo impegnate le ultime due protagoniste nel passaggio delle consegne da Anna Maria Barbieri ad Angela Fioretti. Siamo nell’estate del 2016 e Gioacchino Bordo ha voluto documentare il particolare servizio reso per diversi anni dalla zia Anna Maria. La quale, com’è noto, ha subìto un incidente abbastanza grave nella primavera dell’anno scorso e non ce la fa più ad assicurare il servizio. Che ha svolto da sola per quattro o cinque anni a casa sua, e più o meno per altrettanto tempo aiutando la Maria Foderini a casa di quest’ultima, che a sua volta lo aveva svolto per diversi anni prima di incappare anche lei nei problemi di salute che gliel’hanno im-pedito.

Prima di portarsi a casa le “macchinette”, si era tentato un lavoro di gruppo in una stanzetta interna del salone parrocchiale. Vi si dava appuntamento un certo numero di donne e si faceva il lavoro insieme. Avrebbe potuto essere la soluzione ideale. Ma un po’ ci si mise l’umidità, causa di qualche problema per la conservazione della farina e delle stesse ostie, un po’ una inevitabile maggiore confusione, in un’operazione che, per quanto semplice, richiede però attenzione costante nelle varie fasi, e quindi quel sistema fu abbandonato. Del resto anche prima d’allora provvedeva alla bisogna un’unica persona e in casa propria. Per una quindicina d’anni fino al 2003/04 l’aveva fatto Nadia Brizi (di Ferruccio), che ogni tre mesi vi era im-pegnata per quindici pomeriggi interi! Prima ancora, la Rosina del pòro Giggetto, ossia Rosa De Simoni, la moglie di ‘Ntognino Belano, che ugualmente, e per molti anni, vi dedicò parecchio del suo tempo, con gli

“straordinari” legati a funerali e particolari festività religiose e senza contare la maggiore “domanda” dell’epoca. Dopodiché, però, di queste volontarie si perdono le tracce (magari ci verranno segnalate ora), anche se è da ritenere che ci siano state in ogni tempo, di supporto o di supplenza alle maestre pie.

In questa sequenza fotografica vediamo la preparazione dell’impasto di acqua e farina; lo stampo delle ostie, dove viene distesa la pastella e da cui si ritrae la cialda a fine cottura; il taglio delle imperfezioni ai bordi dopo averle fatte raffreddare sotto un peso per evitare che si deformino, e il ritaglio delle varie ostie con l’apposito strumento (da ogni cialda se ne ricavano venti piccole e due grandi); infine la loro conservazione in contenitori e scatole in quantità determinate. Le due protagoniste sono Anna Maria Barbieri e Angela Fioretti in occasione dell’ultimo passaggio delle consegne (estate 2016)

(Servizio fotografico di Gioacchino Bordo)

Nello stralcio di articolo che segue la nostra Daniela Martinelli ricostruisce a grandi linee la storia del servizio nel nostro paese e le fasi della preparazione delle ostie, non mancando di sottolineare il senso comunitario sotteso a tale pratica e riassunto nello stesso titolo dell’articolo. L’autrice, insegnante di religione, non può non metterne in evidenza la componente più propriamente fideistica, fortemente radicata nel paese e ben rappresentata da persone degne per condotta di vita e pratiche di pietà. Ma si potrebbe tentarne anche una lettura per così dire antropologica, cogliendovi più in generale un umanesimo di fondo che è attributo della civiltà del paese, un senso di appartenenza primigenio sfociato nella pratica religiosa come quella che, nella cultura del luogo, maggiormente appaga le coscienze, ma che nel suo

“codice genetico” ci sembra istinto di specie, solidarismo nativo, adesione al trascendente che è nell’animo umano e contributo personale al destino collettivo. Sapienza del cuore e mani materne, direbbe qualcuno in questo caso. In ogni caso un patrimonio di umanità di incalcolabile valore. Energia immensa che ha consentito al paese di superare la sua non facile storia di povertà e che oggi, offuscata, sopravvive comunque in alcune coscienze e in molti esempi nascosti.

da la Loggetta n. 109/2016

Il senso della comunità

[...]...Chi prepara le ostie?...[...] Chiedendo un po’ in giro ho saputo che sono state molte a susseguirsi nel tempo, ma ne ho contattate princi­

palmente due: Anna Maria Barbieri e Maria Foderini, le quali hanno svolto questa attività da sole, e per qualche anno anche in gruppo sotto il salone parrocchiale, e mi hanno dato delle informazioni. Il lavoro è semplice e facile, ma richiede del tempo perché, “ringraziando Dio, a Piansano ne occorrono parecchie”.

Per la pastella servono un litro e mezzo d’acqua e un chilo di farina di frumento della migliore qualità. Bisogna setacciare la farina in una terrina, versare l’acqua e mescolare con un cucchiaio di legno finché non si ottiene una pastella omogenea e senza grumi. Poi si prende lo stampo per ostie e, dopo averlo unto con un po’ d’olio, si riscalda a fuoco moderato. Quando si sarà riscaldato, si versa una piccola quantità di pastella tra le due palette che poi si chiudono e si fa cuocere per pochi secondi in entrambi i lati la pastella versata. Si toglie lo stampo

dal fuoco e l’ostia dalle palette; si posa su un vassoio, si copre con carta assorbente e si mette sotto un peso per non farla deformare. Quando si saranno raffreddate, si tolgono da sotto il peso e si ritagliano tutt’intorno. La macchinetta per fare le ostie è composta da due piastre di acciaio dove sono incise ostie grandi e piccole, con il trigramma del nome di Gesù: JHS. A Piansano questo prezioso stampo è stato donato alla comunità parrocchiale dalla confraternita del S. Sacramento.

Un tempo il sistema per preparare le ostie era diverso. Maria mi ha raccontato che è cresciuta in questo clima di collaborazione e di fede e nella sua famiglia ha visto per la prima volta la nonna che con fatica cuoceva le ostie sulla brace, quando le suore non erano disponibili a causa di altri impegni. Usava un ferro apposito a forma di tenaglia alla cui estremità erano fissate due piastre; dopo averle riscaldate si versava la poltiglia di farina e subito si richiudeva la tenaglia formando una sfoglia sottilissima. Per tanti anni lei ha svolto questo servizio in parrocchia e era contenta quando vedeva tanta gente ricevere Gesù Eucarestia...[...] Annamaria racconta che si alzava alle quattro del mattino per preparare le ostie a casa sua. Era un servizio alla comunità per lei molto importante, e quando a messa vedeva distribuire la santa eucarestia non credeva possibile fosse stata lei a confezionare qualcosa che sarebbe diventato poi così prezioso per i fedeli.

Nel corso degli anni l’arte di preparare le ostie nel nostro paese non è venuta mai a mancare: segno di cooperazione, di grande senso di ap­

partenenza alla comunità e anche di nobile esempio. E’ necessario comprendere l’importanza della comunità, centro propulsore di vita, tessuto di relazioni, luogo della condivisione dei beni di ognuno e luogo di protezione per i più deboli. Bisogna ritornare a riflettere sul­

l’importanza dell’amicizia che, riscoperta come amore reciproco, ci consente di uscire da un atteggiamento di sfiducia verso il prossimo, di paura, di sospetto, e ci fa così nutrire rapporti costruttivi, veri e onesti.

Bisogna impegnarsi perché le nostre famiglie tornino a essere quegli spazi comunitari vitali che oggi vanno mancando sempre di più. E tutto questo rivolto non solo ai credenti ma a ogni uomo che ricerca il senso della sua vita nel mondo, senso che si trova solo insieme agli altri.

Daniela Martinelli