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Chi non li conosce in paese? Pippo e la

‘Ntognina, una coppia inseparabile. Ot-tantatré anni lui, settantotto lei. Sposati da più di cinquant’anni e con l’unico figlio Piero, che a suo tempo sparì pure all’estero piuttosto a lungo ma che nep-pure ora che è di nuovo qui si vede molto in giro. Famiglia d’origine giù ppe’ le Cappannelle, quella di Pippo, figlio di Benedetto, gente contadina e di chiesa. Casa paterna nella Via della Chiesa, quella della ‘Ntognina; anzi, giù ppe’ le Scalette, in un portone dalle ardue scalate interne che quasi domina la chiesa parrocchiale. Anche loro gente di chiesa, a cominciare dai genitori, Mario e la Marietta, primi custodi del

mattatoio nel dopoguerra, per finire alle due sorelle suore, passando per i cugini Stendardi della famiglia di don Adorno. Da anni i due coniugi abitano in Via Maternum ed è facile incontrarli nei loro movimenti lento pede per le piccole incombenze e faccenduole di casa. Sempre a coppia. A volte l’una dietro l’altro, quando il marciapiedi è stretto o ingombrato, ma sempre insieme. Specie dopo qualche problema motorio per la ‘Ntognina, sopravvenuto con gli incerti dell’età ma pian piano superato. Persone semplici e “ritirate”, di quelle che non fanno storia, che hanno accolto la nostra foto con quel misto di mitezza e curiosità che si coglie nelle loro espressioni. Incredule di suscitare l’interesse del nostro giornale e al tempo stesso fiduciose nel buon fine di un foglio amico. E’ la magia del paese, del conoscersi, dell’incontrarsi, della certezza di umanità. E ci torna in mente il commento che giusto vent’anni fa facemmo per un’altra coppietta celebre, Chécco e la Rosilde, ricordate?, quando nel vederli spesso a passeggio con quella loro familiare signorilità senza tempo, ci venne spontaneo citare i versi de L’amor pacifico di Giuseppe Giusti: “Così di mese in mese e d’anno in anno / amandosi e vivendo lemme lemme, / è certo, cara mia, che camperanno / a dieci doppi di Matusalemme”. Che è l’augurio, oggi come allora, che a maggior ragione rivolgiamo a chi non merita meno dignità solo perché non è mai in prima pagina.

da la Loggetta n. 111/2017 I coniugi Filippo Melaragni e Antonia Sten­

dardi ­ Pippo e la ‘Ntognina ­ incontrati al­

l’altezza dell’edicola nel maggio scorso

Virgilio

È Virgilio Menicucci, pensionato irriducibile della classe 1923, che se la ride col suo campionario di bastoni da passeggio fuori della bottega di Bruno il fotografo (che poi è proprio di fronte a casa sua e dunque lo “calamita” a cazzòla nel suo piazzaletto insieme con una ristretta combriccola di altri frequentatori abituali). Virgilio ha lì di fronte casa e garage, ma poco distante ha anche l’orto, dove passa gran parte della giornata tra mille piccole incombenze e colture. “L’orto fà l’òmo morto”, dicono, per via dell’impegno continuo e faticoso.

Per di più l’accesso a quello suo è un po’

scomodo, perché bisogna scendere per un impervio sentieruccio lungo la costa che digrada al fosso. Lui zoppica per qualche acciacco alle articolazioni e naturalmente moglie e figlie lo sgridano perché smetta di andarci, ma lui niente; piuttosto si

accom-pagna con un bastone. Sicché se ne è costruiti una mezza dozzina, di bastoni, di varie fogge e colori, e qui ce li mostra divertito, da arzillo ottantaduenne, vecchia e cocciuta tempra con-tadina incurante delle raccomandazioni salu-tiste. A ogni cambio di stagione scappa fuori con qualche acciacco diverso, ma poi sbotta

in una risata e dice che continuerà a campare per dispetto. “Que’ ciassottèrra a tutte!”, fa Bruno, e Virgilio si crogiola contagioso dall’alto della sua im-mortalità. Simpatica figura, come parecchie altre di anziani, che si è ricavato una sua nicchia paesana in una cultura egemone sempre più distratta e distante.

da la Loggetta n. 57/2005

Anziani

(dall’articolo Le ‘figure’ di Méco)

...[Omissis] ...La prima di tali riflessioni è sulla con-dizione propria delle per-sone della sua età, gli an-ziani, così tanto presenti nei discorsi di sociologi e politici di qualsiasi risma.

Per loro si progettano “cen-tri”, si organizzano “mo-menti di aggregazione” e

“giornate della terza età”, si inventano lavori “social-mente utili”, si offrono sog-giorni climatici, animazioni con tombola o bingo, feste,

gite, balli... Una vera cuccagna, se si pensa ai vecchi di un tempo, senza pensione, abbandonati alla solìna in piazza dai loro stessi figli. Un’attenzione pubblica, quella di oggi, doverosa e sempre più necessaria, in una società che s’invecchia. Un’attenzione pubblica anche pelosa, molto spesso, per de-magogia e interessi elettoralistici non tanto nascosti, com’è proprio di parecchie altre faccende politico-amministrative. Ma ciò che più preoccupa è l’aspetto per così dire massificante di tale attenzione pubblica, questa sorta d’irreggimentazione dell’anziano, del “divertimentificio coatto” di più d’un centro. Vi si gioca a tombola o a carte; vi si organizzano feste da ballo; ci si prenota per gite e soggiorni; di nuovo vi si torna quotidianamente a giocare, a tombola o a carte. E magari vi si litiga, per le solite sciocchezze del gioco o per i posti in prima fila sul pullman. Il che è forse inevitabile in qualsiasi forma di convivenza, ma anche avvilente, specie in persone di quell’età.

Non è facile far leva o far risaltare le capacità migliori degli anziani, e qualche tentativo di uscire dall’ottica del puro e semplice “ammazzare il tempo” (che so, con esperimenti di lettura, coinvolgimento guidato di scola-resche, corsi di artigianato artistico, volontariato sociale...), specie se non sufficientemente motivato e adeguatamente supportato, si risolve facil mente in esperienze episodiche e melense, sicuramente scoraggianti. Ma ciò non può essere alibi per un disimpegno fatuo e ozioso che una gestione pubblica del servizio ha invece il dovere di correggere, integrare, volgere in positivo.

Quanta dignità negli anziani che un tempo non troppo lontano frequentavano le botteghe artigiane! Nascevano anche lì pettegolezzi e scoppiavano talvolta piccole baruffe, ma vi si respirava saggezza, umanità, disincanto bonario e divertito; insomma se ne usciva come rassicurati. Chissà, forse è la stessa isti-tuzionalizzazione dei “centri”, con l’inevitabile concentrazione di individui ed esigenze le più disparate, a vanificare buoni propositi anche di poche pretese. Peccato!, perché la loro comparsa, portato dei tempi moderni, è una conquista sociale troppo importante perché vada sprecata. Ben vengano i luoghi di incontro per anziani, con amministratori pubblici e operatori sociali che se ne occupano. Ma guai a lasciarsi andare a una routine da bettola, a non “sfruttarne” adeguatamente le potenzialità. E guai, soprattutto, a sfiduciare aggregazioni spontanee al di fuori dell’istituzione pubblica, per sua natura tendenzialmente monopolizzatrice e totalizzante, e a ritenere del tutto “accontentato” l’anziano stesso e la nostra coscienza col “bel giocattolo”

messogli a disposizione. Esso è un’op portunità preziosa, ma più ricca e com-plessa, per fortuna, è la persona umana, perché ci s’illuda di risponderle con qualche occasione materiale di svago. E in ogni caso è sicuramente più seria ed efficace una sollecitudine vera per strutture e concreti servizi di assistenza, quantunque meno rumorosi e appariscenti, piuttosto che pseudo-politiche da effetto placebo. Pensate, per dirne una, a quanti soldi privati si spendono anche in un piccolo paese come il nostro per l’assistenza tramite badanti.

Non potrebbero essere investiti più utilmente in una casa-struttura sul posto, che rap presenta una sfida del nostro tempo per ogni paese? E non potrebbe essere proprio questa l’ambizione di un progetto politico-ammini-strativo di più ampio respiro, a più lunga scadenza, che magari non ripaga nell’immediato ma ci risparmia lo spettacolo di preoccupazioni giovanilistiche e goderecce in nonni ai quali vogliamo bene, guarda un po’, anche per le rughe e gli ac ciacchi?

da la Loggetta n. 57/2005