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La necessità di considerare il concetto della precauzione in relazione a tutti i soggetti che possono

Capitolo II. Il danno da contagio per via ematica: aspetti general

II.3. La necessità di considerare il concetto della precauzione in relazione a tutti i soggetti che possono

agire in prevenzione rispetto ad una data tipologia di

eventi dannosi

220 Circolare Min. Sanità n. 68 del 24 luglio 1978, in Riv. it. med. leg., 1979,

602.

221 Si rileggano alcuni stralci del testo approntato dal ministero nell’estate del

1978: “[La ricerca dell’antigene (...) deve essere eseguita in tutti i centri trasfusionali su ogni singola donazione mediante (...) indipendentemente dall’uso al quale la unità di sangue è destinata”; “[O]gni unità di sangue che risulti positiva (...) deve essere distrutta”; [G]li emoderivati a lunga conservazione (...) devono essere preparati esclusivamente a partire da sangue che sia risultato negativo”; “l’albumina umana normale e le proteine plasmatiche umane in soluzione stabile devono essere preparate solamente a partire da plasma che sia risultato negativo (...) il prodotto finito deve subire un riscaldamento a 60° per dieci ore”; “[T]utti i dati relativi ai metodi adottati per la ricerca dello (...) ed i risultati dell’analisi devono essere accuratamente riportati in appositi registri, da esibire ad ogni richiesta per le opportune verifiche”; “[P]er gli emoderivati a lunga conservazione (...) è fatto obbligo di eseguire la ricerca (...) sul prodotto finito, lotto per lotto”; si rinvia infine al testo citato per le rigorose norme destinate ad applicarsi sui prodotti importati, dalle quali tuttavia si desume la mancanza dell’obbligo di eseguire un controllo sul prodotto finito importato, lotto per lotto. A tale mancanza si ovviava richiedendo una certificazione una tantum proveniente dall’autorità sanitaria responsabile dei controlli nel paese di provenienza dei prodotti...

Come preannunciato, questo studio intende verificare in che modo il concetto della precauzione possa essere impiegato in via interpretativa per parametrare l’operare della responsabilità civile ad una tipologia di eventi dannosi – nel nostro paradigma di riflessione: il danno da contagio per via ematica - che rappresenta il prodotto di un agente nocivo caratterizzato dal fatto di manifestarsi improvvisamente, in una situazione nella quale gli agenti chiamati a contrastarlo agiscono nel quadro di un contesto cognitivo incompleto, tale da rendere incerta ogni decisione precauzionale intrapresa per fronteggiare il nuovo pericolo.

L’intento è verificare in che modo un modello di gestione del rischio trasfusionale decentrato, affidato all’operatività delle regole di responsabilità, possa utilmente affiancare il modello istituzionale di controllo fondato sul potere regolamentare degli organi amministrativi di vigilanza.

Il problema precauzionale che si pone con riferimento al danno da contagio post-trasfusionale deve pertanto essere analizzato per verificare in che modo le diverse regole di responsabilità civile (che possono venire in rilievo a seguito del verificarsi del danno da contagio) interagiscono con la particolare natura del rischio trasfusionale, nella prospettiva di indurre i soggetti, che a vario titolo hanno un ruolo nel processo causale che conduce al prodursi del danno da contagio, a modificare le proprie condotte nel segno dell’ottimo precauzionale.

L’indagine deve quindi adottare una scansione espositiva idonea a mettere in esponente il potere di agire in precauzione di tutti gli agenti che hanno un ruolo nel processo che determina il reificarsi del rischio di contagio. In questa prospettiva l’analisi si struttura enucleando tre distinte ipotesi di carattere descrittivo, quella della responsabilità: 1) ‘remota’; 2) ‘mediana’ e 3) ‘prossima’, per identificare ed analizzare, rispettivamente:

1) la posizione assunta nei confronti del danno da contagio dall’autore di un condotta illecita che, ledendo l’integrità fisica di un soggetto, ne determini l’esposizione al rischio trasfusionale, al fine di verificare il ruolo che l’interprete può assegnare al concetto della precauzione nell’accertamento della causalità giuridica (cap. III);

2) la posizione assunta nei confronti del danno da contagio dal medico curante, che, nella sua qualità professionale di depositario delle informazioni relative al rischio di contagio, gestisce e sviluppa questa informazione precauzionale sia in relazione alla necessità clinica di effettuare la scelta trasfusionale, valutando i rischi ed i benefici che la sua scelta apporterà al suo assistito, sia relazionandosi direttamente a quest’ultimo, per mettere in condizione il paziente di effettuare una scelta adeguatamente informata sull’opportunità di sottoporsi ad un atto terapeutico che per sua natura non è esente da rischi (cap. IV);

3) l’attività precauzionale esercitabile in via diretta dalle strutture che curano la raccolta, il controllo e la distribuzione del sangue (cap. V).

L’analisi comparatistica, focalizzata in particolar modo sulle esperienze statunitense e francese (ma in molti casi allargata ad altre epifanie della common law ed all’esperienza tedesca), accompagnerà lo svolgimento dell’indagine con riferimento a ciascuna delle problematiche appena descritte.

L’indagine tenderà a verificare se (ed in che misura) le divergenti soluzioni operazionali apprestate dalle corti francesi e statunitensi al problema della responsabilità da contagio del fornitore di sangue siano dipese da un’elaborazione interpretativa storicamente condizionata dal diverso assetto istituzionale assunto fin dall’immediato dopoguerra dal sistema nazionale di gestione della fornitura di sangue dei due paesi.

In seguito, lo studio si riporterà sul quadrante giuridico municipale, per verificare – in coerenza con i dati sviluppati nel corso dell’indagine – le ragioni che inducono a sottoporre i centri trasfusionali ad una regola di responsabilità calibrata in modo tale da incentivare gli attori del sistema sangue ad adottare comportamenti precauzionali ottimali di fronte all’incertezza, al fine di ridurre al minimo il rischio di danni catastrofici legato alla ritardata o mancata adozione di misure preventive di fronte all’avvento di nuovi e sconosciuti agenti virali trasmissibili per via ematica.

In quest’ottica viene verificata l’applicabilità alla fattispecie in discorso della disciplina della responsabilità da prodotto, analizzando in particolare se l’attività di un centro trasfusionale possa essere schermata da questa ipotesi di responsabilità in virtù dell’esenzione stabilita

dall’art. 6, lett. c, del d.p.r. 224/1988, in base al rilievo che il nostro ordinamento vieta qualsiasi forma di distribuzione del sangue a titolo oneroso, per poi individuare nella regola di responsabilità prevista per le attività pericolose dall’art. 2050 c.c., il criterio di imputazione del danno più adatto ad ottimizzare l’attività precauzionale posta in essere dai centri trasfusionali.

La ricerca di riscontri giurisprudenziali dai quali muovere per svolgere l’agenda il programma che ci si è appena assegnati, attuata compulsando la giurisprudenza repertoriata negli ultimi lustri alla ricerca di decisioni in materia di danno da contagio post-trasfusionale, sembra però incappare in una sorta di non sequitur: i repertori municipali, come si vedrà fra un paio di paragrafi, sembrano offrire scarsi appigli per approfondire il tema al nostro ordine del giorno222.

Il dato ha però ottimi motivi per risultare fuorviante. A prescindere dal presumibile ruolo deflativo giocato in questo tipo di controversie da transazioni (extra ed infra) giudiziali, la proverbiale lentezza del nostro apparato di giustizia alimenta il sospetto che un certosino scrutinio dei dockets dei tribunali della penisola porterebbe alla luce un numero davvero notevole di controversie pendenti dedicate al tema223.

222 Infra, in questo capitolo, par. 3.5.

223 Un esempio di come si possa descrivere la farraginosità della macchina

giudiziaria italiana è offerto da V.OLGIATI, Cross Border Litigation in Italy, in V.

GESSNER (ed.), Foreign Courts: Civil Litigation in Foreign Legal Cultures, Aldershot,

1996, 209, 212, il quale, prendendo in prestito il pregnante anglo-neologismo “litigotiation” originariamente formulato da M.GALANTER, Worlds of Deals: Using

Negotiation to Teach About Legal Process, 34 J. Legal Educ. 268, 268 (1984),

racconta (in tutta la sua sconfortante portata) agli increduli common lawyers un processo civile che - in virtù di tempi di adjudication surreali, specie in caso di controversie implicanti l’acquisizione di consulenze tecniche – ha perso per strada la sua funzione naturale per divenire un costoso strumento strategico da utilizzare nel valzer transattivo delle parti. Da ultimo, ulteriori riscontri (accompagnati da un

warning sulla necessità di interpretare la natura disomogenea dei dati quantitativi

utilizzati nella comparazione internazionale sui tempi della giustizia civile) in S. CHIARLONI, A Comparative Perspective on the Crisis of Civil Justice and on its

Possible Remedies, in 5 Card. El. L. Bul. 9 (1999); cui adde, amplius, S.CHIARLONI,

Senz’azzardare stime cumulative su coloro che hanno fin qui contratto l’HIV e/o l’HCV a seguito di un evento trasfusionale, nel 1998 si sapeva con provvisoria certezza che 423 italiani erano ufficialmente censiti come affetti (viventi o deceduti) da AIDS iatro-ematico224 (anche se qualche anno prima stime prodotte per difetto da addetti ai lavori - non ufficiali, ma documentabili – innalzavano il triste conteggio delle vittime del solo HIV post-trasfusionale a più di 700 casi225).

Nel procedere a ricostruire lo scenario rimediale che si offre al danno da contagio trasfusionale, sembra allora opportuno accantonare momentaneamente le prospettive teoriche che alimentano questo studio, per introdurre, deformando una vicenda reale226, un caso simulato.

L’assunto è che ciò possa rendere tangibili i tre eventuali (e diversi) terminali di imputazione del danno astrattamente disponibili ad accogliere la pretesa risarcitoria del contagiato.

Il fatto immaginario si prospetta come un evergreen della manualistica in materia di causalità giuridica, ma non è solo per questo che lo si tratteggia: Tizio, ferito in esito ad un incidente stradale occorso per inequivoca responsabilità di Caio (ma si potrebbe ipotizzare qualsiasi occasione di danno alla persona cagionato dal fatto illecito di un terzo) è trasportato in ospedale; il medico-chirurgo Mevio nell’apprestare le cure del caso decide di sottoporre il paziente a trasfusione di sangue; le sacche provengono dal centro trasfusionale di Emopoli ed il loro contenuto viene prontamente trasfuso a Tizio, che, dopo qualche tempo, scopre di essere portatore di un virus altamente invalidante, qui appellato NANZ.

La giustizia civile ed i suoi paradossi, in Annali della Storia d’Italia Einaudi, Torino,

1998, 407.

224 ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ, Aggiornamento dei casi di AIDS notificati

in Italia al 31 marzo 1998, Roma, 1998, 11:7; il dato, è bene puntualizzarlo, non si

riferisce a tutti i soggetti colpiti dall’infezione asintomatica da HIV a seguito di somministrazioni di sangue, ma solo ai soggetti che hanno sviluppato la malattia conclamata, compresi i casi di AIDS pediatrico.

225 Comunicazione a firma di Nicola Schianaia dell’Istituto Superiore di Sanità

datata 29 luglio 1993, consegnata all’autore in copia dal presidente dell’Associazione dei Politrasfusi Italiani.

226 Il caso è infatti sviluppato sulla falsariga degli eventi che fanno da sfondo a

Trib. Perugia 8 giugno 1991, in Resp. civ., 1993, 630, con nota di G. GIANNINI,

Sinistro stradale, responsabilità professionale del medico e nesso causale. 103

L’esercizio di fantasia assume, infatti, che all’epoca dei fatti lo screening del virus non fosse stato ancora obbligatoriamente prescritto dall’autorità regolamentare. Fra il trionfante annuncio alla comunità scientifica internazionale che i ricercatori del centro studi della multinazionale “Emoworld” avevano messo a punto un rivoluzionario kit di screening e l’emanazione del decreto con il quale il Ministero della Sanità aveva assoggettato i servizi di immunoematologia e trasfusione e i centri trasfusionali (di cui all’art 4 della legge 107/90) all’obbligo di effettuare su ogni singola unità di sangue e plasma donato la ricerca degli anticorpi del temibile (e fino a quel momento non testabile) virus NANZ, erano infatti trascorsi tre mesi, il tempo necessario per completare l’iter autorizzativo del nuovo presidio diagnostico e porlo sul mercato. E l’incidente a Tizio, purtroppo, era occorso proprio in quel periodo. Tizio si reca dal suo legale, che, dopo aver rinvenuto una massima giurisprudenziale apparentemente inequivoca227, taglia corto: il suo assistito è stato travolto sulle strisce pedonali da Caio, un vero e proprio pirata della strada, e ciò basta per citarlo in giudizio unitamente al suo assicuratore.

Costituendosi in giudizio, il difensore della compagnia di assicurazioni fa il suo mestiere e provvede alla chiamata in causa del medico Mevio, cui contesta la necessarietà della scelta terapeutica effettuata e, soprattutto, l’omesso ottenimento dell’informato consenso preventivo alla trasfusione da parte del paziente. Il legale di Mevio non ci pensa due volte, fa consultare la sua raccolta di leggi e decreti su CD ROM al suo giovane praticante di studio ed estende l’addebito risarcitorio al direttore del centro trasfusionale di Emopoli ed alla ASL di competenza.

Chi tentasse di dare ordine al mosaico di ipotesi di responsabilità che si accavallano in un siffatto quadro processuale incontrerebbe

227 “Il conducente di un veicolo che abbia cagionato per imperizia e

disattenzione un incidente stradale è responsabile per tutte le conseguenze dannose riportate dalla persona trasportata, ivi compresa l’insorgenza di un’epatite virale cronica contratta a seguito della emotrasfusione effettuata nel corso di un intervento chirurgico conseguente alle lesioni riportate nell’incidente”, Trib. Perugia 8 giugno 1991, cit., 636.

qualche problema a seguire l’approccio manicheo fatto proprio dalla già ricordata pronuncia della corte di Perugia.

Ne vedremo le ragioni, attraverso un’analisi che consenta di imbastire soluzioni non affrettate al nostro caso limite.

Il quale, se non altro, interpreta l’esigenza di affrontare il problema della precauzione con riferimento al contagio post- trasfusionale guardando alle posizioni giuridiche che vengono assunte rispetto al danno dai tre soggetti che possono contribuire causalmente al suo prodursi.

II.4. Il ruolo che la responsabilità civile può svolgere