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La regulation e l’avvento del rischio di contagio per via ematica del virus HIV: una storia italiana

Capitolo II. Il danno da contagio per via ematica: aspetti general

II.2 La regulation e l’avvento del rischio di contagio per via ematica del virus HIV: una storia italiana

Ci accingiamo così a rivivere una pagina oscura della storia recente del nostro paese178.

Lo scopo è quello di conoscere, ripercorrendo una vicenda drammaticamente reale, in che modo i soggetti pubblici e privati che collettivamente che hanno avuto un ruolo nel conformare le strategie di emovigilanza nel nostro paese hanno agito sul piano scientifico, istituzionale e regolamentare di fronte al progressivo delinearsi delle informazioni relative alla esistenza di un nuovo rischio associato all’impiego terapeutico del sangue, ponendo in essere decisioni precauzionali spontanee od implementate in via regolamentare, affinché le misure di precauzione volta per volta individuate fossero tempestivamente implementate dai soggetti operanti nell’ambito del ‘sistema sangue’ del nostro sistema sanitario nazionale.

D’istinto molti assoceranno questo racconto alla “tragedia del sangue infetto”, una vicenda che a tutt’oggi in Italia è nota soprattutto per il reiterato uso che di questo titolo giornalistico si è fatto a livello massmediatico, ma di cui in definitiva poco si continua a sapere dal punto di vista istituzionale, posto che l’Italia è l’unico paese industrializzato coinvolto nel corso degli anni ottanta da questa pandemia mondiale che ha preferito evitare di stabilire una verità istituzionale sull’accaduto, lasciando che di questa vicenda si interessassero talk shows, inchieste giornalistiche e, molti anni dopo, i tribunali, senza però che una visione globale dell’accaduto potesse emergere dal lavoro di una commissione di inchiesta governativa o parlamentare, onde consentire di ponderare in modo adeguato le decisioni politiche di natura riallocativa che questa vicenda ha

178 Per un’analisi di più ampio respiro sulla vicenda si rinvia a U.IZZO, Blood,

Bureaucracy and Law. Responding to the HIV-tainted Blood Contamination in Italy,

in FELDMAN,BAYER,Blood Feuds. AIDS Blood and the Politics of Medical Disasters, op. cit., 214.

sollecitato per venire incontro alle esigenze delle vittime dell’accaduto179.

Certo, possono ventilarsi seri dubbi sul fatto che all’operato delle corti del nostro paese possa riconnettersi il virtuoso circolo cognitivo ascritto alla fulleriana capacità delle corti di non limitarsi a costituire uno strumento di aggiudicazione operante nei confronti delle pretese delle parti, ma di rappresentare, in una più ampia prospettiva, un modo per segnalare alla società come ordinare le proprie relazioni alla luce del

feed-back informativo che il risultato dell’aggiudicazione sulla singola

controversia trasmette alla generalità dei consociati180.

Resta in ogni caso la consapevolezza, avvertita anche in esperienze che sotto questo profilo possono vantare una tradizione più solida e felice della nostra, oltre a strumenti processuali specificamente attrezzati per gestire controversie collettive (come le class actions statunitensi o i group litigation orders inglesi), che le corti non siano in grado di fare luce su problematiche estremamente complesse, quando queste problematiche, oltre ad implicare il puntuale accertamento delle pretese che le parti demandano all’aggiudicazione giudiziale, involgono la necessità di produrre ed elaborare i dati necessari ad analizzare sul piano istituzionale il problema che si pone sullo sfondo della controversia privata181.

Il nostro breve racconto prende le mosse da una data precisa. Chi ha buona memoria ricorderà che l’orgoglio nazionale raggiunse un picco inusuale nella settimana fra l’11 ed il 18 luglio 1982.

179 T. MARMOR, P. A. DILLON, S. SCHEER, The Comparative Politics of

Contaminated Blood: From Esitancy to Scandal, in FELDMAN,BAYER,Blood Feuds.

AIDS Blood and the Politics of Medical Disasters, op. cit., 350.

180 L.L.FULLER, The Forms and Limits of Adjudication, 92 Harv. L. Rev. 353,

368 ss. (1978).

181 Per un’analisi in questo senso, che esamina a fondo la monumentale opera di

accertamento compiuta in Canada dalla Krever Commission per fare luce sulle cause del contagio iatrogeno di migliaia di emofilici e politrasfusi canadesi, allo scopo di formulare le migliori risposte istituzionali al problema, M.J.TREBILCOCK,L.AUSTIN,

The Limits of the Full Court Press: Of Blood and Mergers, 48 Univ. Toronto L. J. 1

(1998). 86

Per alcuni, per una sparuta minoranza della popolazione, quella settimana significò invece l’avvio di un incubo.

Il 16 luglio 1982 il Center for Disease Control di Atlanta segnalò alla comunità scientifica internazionale che tre emofilici statunitensi (tutti consumatori abituali di concentrati di fattore VIII della coagulazione prodotti industrialmente da case farmaceutiche) erano deceduti manifestando i terribili sintomi di una oscura malattia (che all’epoca non era stata ancora associata alla breve sigla che le sarebbe stata assegnata in seguito182, ma) di cui s’era già constatato l’esito invariabilmente letale183.

Il giorno prima, per uno scherzo del destino, l’establishment del sistema sangue italiano era riunito a Roma per prendere parte alla “Giornata di Studio sul Piano Nazionale Sangue”.

Nell’occasione, l’allora direttore dell’Istituto superiore della sanità presentò la sua proposta per affrontare e risolvere l’inveterata incapacità del sistema sangue italiano di garantire l’approvvigionamento di plasma nazionale in quantità tali da soddisfare il fabbisogno richiesto per produrre i fattori concentrati della coagulazione consumati dagli emofilici italiani184.

Il problema del raggiungimento dell’autosufficienza nazionale nella raccolta di plasma era all’epoca sentito soprattutto in termini di costi e di garanzie di approvvigionamento185.

182 L’ossimòro “a fancy skinny man died of a big disease with a little name” fu

cantato qualche anno dopo in una celebre canzone di PRINCE, Sign of the times, 1987,

WEA-Warner Brothers.

183 CENTER FOR DISEASE CONTROL AND PREVENTION, Pneumocystis Carinii

Pneumonia Among Person with Hemophilia A, in Morbility and Mortality Weekly Report, 31 (1982) 365.

184 F. POCCHIARI, Il problema del sangue: proposta di soluzione (relazione

presentata alla Giornata di Studio sul Piano Nazionale Sangue, Roma 15 luglio 1982), in La trasfusione di sangue, 1983, 4, 274.

185 “Finora (...) in Italia (...) la quantità di plasma fornita al frazionamento è

irrisoria. L’industria italiana per la produzione di emoderivati importa il plasma o frazioni semilavorate. La dipendenza dall’estero non è solo una spesa, ma soprattutto una condizione precaria che può lasciarci senza emoderivati da un momento all’altro”, POCCHIARI, Il problema del sangue: proposta di soluzione, cit., 282.

Il 95 % delle unità internazionali della coagulazione assunte annualmente dagli emofilici italiani proveniva da plasma estero, che fosse lavorato in Italia o che vi arrivasse come prodotto finito186.

La strategia delineata per raggiungere l’autarchia nel settore, tuttavia, non accennava che fugacemente ai controlli allora vigenti sulla qualità dei concentrati assunti dalla popolazione emofilica nazionale, per constatare come un controllo rigoroso sull’origine del plasma fosse all’epoca praticamente impossibile187.

Questo atteggiamento non era limitato ai rappresentanti delle istituzioni.

Nemmeno i più prestigiosi addetti ai lavori di casa nostra potevano infatti sospettare che in quegli anni la dipendenza dall’estero nel settore degli emoderivati stava silenziosamente esponendo i coagulopatici italiani al rischio di contrarre un virus di cui all’epoca si ignorava l’esistenza: si guardava, anzi, con un misto di ammirazione ed invidia al rigoroso regulatory system al quale era sottoposta la produzione degli emoderivati importati dagli Stati Uniti188.

186 POCCHIARI, Il problema del sangue: proposta di soluzione, cit., 274.

187 “Non c’è dubbio che gli emoderivati, per le esigenze tecnologiche di

produzione e di standardizzazione sono specialità farmaceutiche di produzione industriale, soggette a registrazione, e pertanto sottoposte a tutti i controlli dell’Autorità Sanitaria da espletarsi sugli impianti produttivi previamente autorizzati, sul plasma di origine e sulla produzione finale lotto per lotto. Il controllo da parte dell’Autorità Sanitaria sul plasma di origine è oggi praticamente impossibile, sia perché non esistono norme legislative, quali ad esempio quelle della Food and Drug Administration relative alla raccolta e all’inflaconamento di “plasma di origine per ulteriore frazionamento” sia perché le industrie nazionali, in carenza di tali normative, spesso preferiscono comprare direttamente dall’estero frazioni plasmatiche semipurificate”, ancora POCCHIARI, Il problema del sangue: proposta di soluzione,

cit., 283-84.

188 Si leggano le rassicurazioni espresse all’epoca da uno dei massimi esperti

mondiali in materia di malattie della coagulazione, P.M.MANNUCCI, Availability of

Plasma Fractions for Therapeutic Use in Italy - Proceedings of an International Conference on Plasmapheresis 82, Milan, 27-28 May 1982, in La ricerca in clinica e laboratorio, 1983, 13:1, “[I]n Italy and in other countries plasmapheresis is seen by

the medical world, and particularly by the blood bankers, as a sort of devil. Its image is associated with crowds of undernourished people from developing countries, queuing up in front of dirty blood banks to donate their blood only to be deprived of their

Nel 1983 i dati inquietanti emersi l’anno prima continuarono a trovare allarmanti conferme epidemiologiche, al punto che due importanti istituzioni (nel nuovo come nel vecchio continente) non esitarono – pur nella perdurante mancanza di prove scientifiche definitive sulla trasmissibilità per via ematica del misterioso virus – ad elaborare tempestive raccomandazioni sulla necessità di adottare misure atte (se non ad eliminare, almeno) a ridurre l’entità del rischio di contagio.

Negli USA, in una riunione strategica tenutasi il 4 gennaio 1983 presso il Center for Disease Control and Prevention, gli epidemiologi dell’istituto di Atlanta si professarono ormai convinti che il male immunitario fosse causato da un agente virale trasmissibile per via ematica e caldeggiarono vigorosamente davanti ai responsabili della FDA ed ai rappresentanti dei blood bankers statunitensi l’immediata adozione sia del surrogate screening, che di un metodo di selezione dei donatori fondato su domande esplicite sulle abitudini sessuali del candidato donatore. Il 13 gennaio seguente entrambi i suggerimenti furono respinti dalle tre principali associazioni dei blood bankers189.

Le raccomandazioni del CDC furono tuttavia portate a conoscenza della comunità scientifica internazionale da un’importante rivista medica190.

In Europa il warning fu decisamente più autorevole sul piano politico, anche per la natura dell’istituzione che lo pronunciò.

scanty plasma proteins for a few dollars. The medical profession must be aware that such ‘wild’ plasmapheresis has now been abandoned practically everywhere, and that plasma made available to commercial manufacturers comes from plasmapheresis stations, fully controlled and approved by national regulatory agencies, such as the Food and Drug Administration in the USA (...) On the other hand, even those not giving credit to these imaginative stories and dreadful pictures are nevertheless deeply concerned with the fear that intensive plasmapheresis might be dangerous for the health of the donor (...). These preoccupation must be dealt with and dissipated because there must be a strong guarantee that the health of those who give their plasma for humanitarian purposes is not endangered by plasmapheresis”.

189 RED CROSS,AABB,CCBC, Joint Statement on Acquired Immune Deficency

Syndrome, in 23 Transfusion 87 (1983).

190 W. CHECK, Preventing AIDS Transmission: Should Blood Donors Be

Screened?, in JAMA (February 4, 1983), 569. 89

Il 23 giugno 1983 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la partecipazione di un rappresentante del Ministero della Sanità italiano, emise la raccomandazione n. R (83) 8191, il cui testo non lasciava àdito a dubbi: “to avoid wherever possible the use of coagulation factor products prepared from large plasma pools: this is especially important for those countries where self-sufficiency in the production of such products has not yet been achieved; to inform attending physicians and selected recipients, such as hemophiliacs, of the potential health hazards of hemoteraphy and the possibilities of minimizing these risks; to provide all blood donors with information on the Acquired Immune Deficiency Syndrome so that those in risk groups will refrain from donating (an example of an information leaflet for donors is appended)”.

E’ una coincidenza davvero paradossale, ma quello stesso giugno il ministero della sanità italiano si affrettò a promulgare un dettagliato decreto disciplinante la produzione, il commercio e l’impiego delle proteine plasmatiche derivanti dal sangue di animali suini e bovini192.

Solo qualche mese dopo, sotto il solleone d’agosto, il Ministero della Sanità emanò una circolare non pubblicata in Gazzetta Ufficiale, nella quale, dopo aver brevemente riassunto le caratteristiche che il male sconosciuto mostrava di avere secondo le informazioni dell’epoca, si invitavano i non specificati destinatari del foglio ministeriale “a voler curare che le informazioni in merito siano diffuse in modo capillare agli operatori sanitari”, senza fare alcun riferimento espresso alla necessità di allertare i soggetti incaricati di gestire specificatamente il rischio che il pur incompleto quadro informativo già all’epoca proiettava in capo agli assuntori di sangue o prodotti emoderivati193.

191 Che si può leggere nel Recueil International de Législation Sanitaire, 35.1

(1984) 54.

192 D.M. 9 giugno 1983, in G.U. 25 giugno 1983, n. 173.

193 Circolare n. 64 del 3 agosto 1983, in Bollettino delle farmacodipendenze e

dell’alcolismo, 1998, 4, 19. Per inciso il testo della circolare affermava: “i dati

epidemiologici e clinici orientano verso una ipotesi di eziologia virale a trasmissione sessuale e parenterale simile a quella dell’epatite B. Infatti fra le categorie di soggetti più frequentemente colpiti dalla sindrome di immunodeficienza acquisita si contano

Nel dicembre di quell’anno una commissione di esperti, che il Ministero della Sanità aveva istituito per dare forma alle strategie di cui s’era discusso l’anno prima, presentò una “Proposta di Piano Sangue Quinquennale” che avrebbe dovuto gradatamente rendere possibile raggiungere l’autosufficienza italiana nella produzione di emoderivati. La proposta rimase lettera morta194.

Il documento fra l’altro esprimeva la necessità di divulgare fra gli operatori del sistema sangue italiano la consapevolezza che “la trasfusione di sangue può trasmettere malattie (epatiti, AIDS)” 195.

Un segno tangibile di attenzione ministeriale al pericolo che l’AIDS fosse trasmesso per via ematica risale all’estate del 1984196. Nell’occasione, però, il Ministero della Sanità implementava una serie di misure di profilassi (appena raccomandate dall’OMS e, in questo caso, subito adottate) per evitare il contagio degli operatori sanitari esposti al rischio di venire accidentalmente a contatto con il sangue umano.

Il 1984 volgeva al termine senza che le autorità sanitarie italiane avessero speso una (sia pur non risolutiva) determinazione ufficiale specificamente volta ad affrontare il problema posto alla sicurezza del sangue dalla minaccia rappresentata dall’HIV. Il sangue recava margini di rischio per i dipendenti del servizio sanitario, ma non (evidentemente) per i pazienti che avessero avuto in sorte di ricevere una trasfusione o di assumere plasmaderivati. In quei mesi persino i tossicodipendenti furono oggetto di una specifica azione informativo- precauzionale da parte del Ministero197.

omosessuali maschi, tossicodipendenti, soggetti che ricevono frequenti trasfusioni di

sangue o di suoi derivati”.

194 Per una ricostruzione della normativa a quel tempo vigente in materia di

approvvigionamento, controllo e gestione di una risorsa tradizionalmente scarsa alle nostre latitudini, v. M. ZANA, Il servizio trasfusionale tra tecnica e normativa: il

parere del giurista, in Riv. it. med. leg., 1985, 834.

195 Si veda la Proposta di Piano Sangue Quinquennale, Roma, Ministero della

Sanità, Centro Studi, Dicembre 1983.

196 Circolari del Ministero della Sanità del 25 giugno e del 25 agosto 1984,

rispettivamente, n. 48 e 65, in Recueil International de Législation Sanitaire, 37.3 (1986) 582-34.

197 Si vedano le circolari n. 86 del 25 ottobre 1984 e n. 87 del 20 novembre

1984 (non pubblicate in Gazzetta Ufficiale), in Bollettino delle farmacodipendenze e 91

Prima del natale di quell’anno, tuttavia, in quella parte della Gazzetta ufficiale che solo i diretti interessati compulsano con attenzione apparve il primo decreto ministeriale che autorizzava la commercializzazione di un concentrato di fattore VIII trattato al calore secco198.

Altre autorizzazioni furono rilasciate per prodotti di altre case farmaceutiche entro il gennaio del 1985199, mentre per il fattore IX trattato la prima autorizzazione fu decretata nel marzo 1985200.

Giungevano così anche nel nostro paese i primi lotti di plasmaderivati in grado di offrire elevati margini di sicurezza virale ai loro consumatori201.

dell’alcolismo, cit., 25, recanti rispettivamente “tutela dello stato generale di salute dei

tossicodipendenti” e “problemi di assistenza sanitaria ai tossicodipendenti”.

198 Aut. all’immissione in commercio del preparato farmaceutico KRYOBULIN

TIM 2IMMUNO, in G.U. 11 dicembre 1984, n. 339.

199 Aut. all’immissione in commercio del preparato farmaceutico KOATE

BANDA VERDE SCLAVO, in G.U. 18 dicembre 1984, n. 346; aut. all’immissione in

commercio del preparato farmaceutico HEMOPHIL T.TRAVENOL, in G.U. 17 gennaio

1985, n. 14.

200 Aut. all’immissione in commercio del preparato farmaceuticoBEBULIN TIM

2IMMUNO, in G.U. 21 marzo 1985, n. 69.

201 Sviluppato da una casa farmaceutica tedesca (la Behringwerke) nei primi

anni ottanta per immunizzare il plasma dalla presenza del virus dell’epatite B, il trattamento al calore secco inizialmente non ebbe alcuna fortuna commerciale. Sebbene plasmaderivati antiemofilici trattati al calore fossero autorizzati all’immissione in commercio nel mercato tedesco fin dal febbraio 1981, il costo elevato e la scarsa quantità del prodotto commercializzato fecero sì che per anni il consumo di questi concentrati in Germania rimanesse minimo (v. S.DRESSLER, Blood

‘Scandal’ and AIDS in Germany, in FELDMAN,BAYER, Blood Feuds. AIDS Blood and

the Politics of Medical Disasters, op. cit., 192, 196). Lo stesso avvenne negli USA

quando nell’aprile del 1983 la FDA ne autorizzò la commercializzazione. Il punto era che fino alla fine del 1984 s’ignorò che il trattamento al calore immunizzava il sangue anche dall’HIV (v. P.M.MANNUCCI,L.MONTAGNIER ET AL., Absence of Antibodies to

AIDS virus in Hemophiliacs Treated with Heat-Treated Factor VIII Concentrate, in Lancet (February 2, 1985). Il metodo del “calore secco”, tuttavia, non garantiva

l’immunizzazione assoluta dei concentrati; fu nel corso del 1985 che ci si rese conto che solo il trattamento al calore umido o con tensioattivi era idoneo ad eliminare ogni traccia apprezzabile del virus HIV dagli enormi pools di plasma (che raccoglievano il sangue di alcune migliaia di donatori) attraverso cui si ottengono industrialmente i

Lo sdoganamento burocratico (un atto dovuto) non poteva però bastare. I nuovi prodotti emoderivati costavano ai bilanci delle USL dieci volte più dei concentrati non trattati (che continuavano ad essere regolarmente commercializzati); inoltre, farmacie e centri di trattamento per l’emofilia disponevano di cospicue scorte di magazzino, senza considerare gli stessi pazienti emofilici, i quali, abituati all’agevole autotrattamento domiciliare (specie se non risiedevano nei paraggi di un centro di trattamento), erano soliti mantenere cospicue provviste di prodotto nel frigorifero della cucina domestica.

Nessun amministratore avrebbe liquidato i costosi stocks di prodotto giacenti nelle frigoemoteche nazionali senza sapere cosa significava utilizzare i nuovi concentrati appena apparsi sul mercato. L’informazione era essenziale. E l’informazione si fece attendere, salvo che per alcune iniziative non promananti da organi istituzionali.

Nel marzo del 1985 gli emofilici italiani ricevettero a domicilio l’aggiornamento del “manualetto” che il Comitato medico scientifico della Fondazione italiana dell’emofilia inviava loro periodicamente, il cui testo esprimeva l’intento di rassicurare un lettore comprensibilmente angosciato202, invitandolo nel contempo a sottoporsi ai controlli resi

fattori antiemofilici e che la pasteurizzazione non era comunque in grado di azzerare il rischio che i concentrati trasmettessero l’epatite C (allora definita non-A non-B), v. COLOMBO ET AL., Transmission of Non-A Non-B Hepatitis by Heat-Treated Factor

VIII Concentrate, in Lancet (July 6, 1985); MORFINI et al., Prevalence of Infection

with the Hepatitis C Virus among Italian Hemophiliacs before and after the Introduction of Virally Inactivated Clotting Factor Concentrates: A Retrospective Evaluation, in Vox Sang., 1994, 67:178.

202 Il manualetto interpretava le prime drammatiche notizie che allora

provenivano dagli Stati Uniti, affermando che: “il contatto con il retrovirus [dell’HIV], a cui tutti gli emofilici sono pur esposti, implica per fortuna assai raramente lo sviluppo della malattia, perché l’organismo ha notevoli poteri per la difesa. Solo un emofilico su 1000/2000 si è infatti ammalato di AIDS in America ed in altri paesi d’Europa. In Italia non vi è stato nessun caso di AIDS fra gli emofilici; e del resto, anche i casi fra i non emofilici sono attualmente non più di 20/30, contro i 200/300 di paesi europei con popolazioni simili a quella italiana come la Francia, Germania ed Inghilterra. Sembrerebbe quindi che l’emofilico italiano abbia maggiori poteri difensivi e speriamo che questa tendenza continui ad essere confermata! (sic)”. Alla domanda “cosa può fare l’emofilico per difendersi dall’AIDS?” il manualetto rispondeva: “(...) [l’emofilico] potrà presto misurare nel siero gli anticorpi contro il virus LAV HTLV III con metodi commerciali che saranno disponibili a tutti fra

possibili dall’imminente disponibilità del test ELISA della Abbot, che infatti si sarebbe reso disponibile in Italia a partire dall’aprile del 1985, a distanza di circa un mese dalla sua commercializzazione negli USA.

Nel maggio successivo, in occasione di una conferenza stampa convocata a Milano dalla Fondazione Italiana dell’Emofilia, gli emofilici italiani furono pubblicamente ed accoratamente invitati ad utilizzare solo confezioni recanti la “banda verde” o la lettera T